        Vincere una Champions League &egrave; una goduria in s&eacute;, farlo come il Manchester United del 1999 &egrave; qualcosa di indescrivibile: sotto di un gol al minuto 90 contro il Bayern Monaco, con due reti nel recupero i Red Devils riuscirono a ribaltare la situazione completando in pi&ugrave; il "Treble", cio&egrave; il filotto con tutti i trofei disponibili, Premier ed FA Cup. Un incubo invece per i bavaresi, travolti nel modo pi&ugrave; atroce e impensabile. Ma che due anni dopo riusciranno a prendersi una bella rivincita conquistando la Champions contro il Valencia.  L'illusione di Basler  Stiamo parlando forse della pi&ugrave; incredibile rimonta di sempre in una finale? Se la gioca in Champions League con Liverpool-Milan, che per&ograve; fin&igrave; pari e poi ai rigori, da 0-3 a 3-3. Qua invece fine del discorso al novantesimo: o meglio, ben oltre il novantesimo, altrimenti non ci sarebbe l'epicit&agrave; del ricordo. Estasi Manchester United, il 26 maggio 1999, e beffa Bayern, in avvio nettamente meglio al Camp Nou di Barcellona e avanti con il gol del suo centrocampista pi&ugrave; talentuoso: Mario Basler. Rasoiata dal limite su punizione e Schmeichel che non accenna quasi la parata. Il pi&ugrave; classico dei colpi a freddo, che lascia di sale uno United molto meno brillante che nei turni precedenti quando tra gli altri ha fatto fuori, in semifinale, la Juventus, andando a segnare 3 gol a Torino a rimontare l'iniziale 2-0. Grandi protagonisti i "Calipso Boys", Andy Cole e Dwyght Yorke, una coppia di attaccanti forti fisicamente e in un periodo realizzativo straordinario. Eppure in finale sono spuntati, cos&igrave; come i tanti prodotti del vivaio del Manchester United diventati protagonisti a livello internazionale: Giggs, Beckham, Gary Neville e Butt. Assenti per gli inglesi due pezzi da novanta come Scholes e Keane, cos&igrave; Alex Ferguson, che diventer&agrave; "Sir" dopo quel trionfo, deve dare fiducia all'ex milanista Blomqvist a sinistra. Nel Bayern Monaco a proposito di ex italiani sognano la loro prima Champions League sia Stefan Effenberg che il 38enne Lothar Matthaeus, che ormai viene schierato da libero.    Sheringham e Solsjkaer  Lo United soffre e non trova il bandolo della matassa. Alla lunga l'assenza di Keane e Scholes pesano e per il Bayern &egrave; gioco facile trascinare la sfida sui suoi binari. Quando il tecnico Ottmar Hitzfeld inizia coi cambi, abbastanza conservativi, stanno per scorrere i titoli di coda. Anche Ferguson ha mischiato le carte cambiando il reparto offensivo. Fuori Cole e Blomqvist e dentro le due punte di riserva: l'elegante Teddy Sheringham e il guizzante Ole Gunnar Solskjaer. Non &egrave; tempo di contenere, bisogna andare all'attacco. Ma al 90esimo, con 3 minuti di recupero segnalati dal quarto uomo, &egrave; sempre 1-0 per il Bayern. Poi da un calcio d'angolo su cui sale anche il portiere Schmeichel succede l'impensabile: i tedeschi sbagliano il rinvio, Giggs che &egrave; mancino tenta un destro strozzato che diventa in mischia un assist per Sheringham, appostato a pochi metri dalla porta. Pareggio, dunque, ma non &egrave; finita. Altri due minuti e su un altro corner per lo United che ormai &egrave; in trance ecco la sponda di Sheringham per Solskjaer che nell'area piccola allunga il piedone e batte Kahn. Novantatreesimo minuto e i Red Devils vincono la Champions, perch&eacute; non c'&egrave; pi&ugrave; tempo per il Bayern di rimediare. L'immagine che rimane nella memoria oltre alle lacrime dei bavaresi &egrave; la capriola di gioia di Schmeichel in mezzo al campo. "Treble" per il Manchester United, oggi si chiamerebbe Triplete ma cambia poco. Una finale da ricordare per sempre, forse per chiunque, anche gli sconfitti. United che torna invece sul trono d'Europa dopo ben 31 anni nel giorno di quello che sarebbe stato il 90esimo compleanno di Matt Busby, l'uomo che costru&igrave; il primo ManU campione d'Europa.&nbsp;       

L'incredibile rimonta oltre il novantesimo dei Red Devils contro il Bayern Monaco in finale, grazie ai gol dei subentrati Sheringham e Solskjaer

Champions League 1999, i 3 minuti dello United

        Nessuno avrebbe potuto immaginare che il 26 maggio del 2004, a battezzare l&rsquo;Arena Auf Schalke di Gelsenkirchen quale nuova location per una finale di Champions League, ci sarebbero state Porto e Monaco. Non solo una finale inedita, ma l&rsquo;intera edizione di quella Coppa fu del tutto anomala: gi&agrave; ai preliminari uscirono squadre quotate come Borussia Dortmund e Newcastle, ma anche la fase a gironi non fu da meno, con l&rsquo;eliminazione eccellente di Inter, Lazio e Ajax, approdata ai quarti di finale appena otto mesi prima, nella stagione precedente. Allora i Lancieri vennero sconfitti a tempo scaduto dal Milan, poi trionfatore in quella storica edizione, che per la prima volta ha visto ben tre italiane in semifinale. Proprio i rossoneri di Ancelotti, campioni in carica, apparivano ai pi&ugrave; come i favoriti per la riconquista del trofeo edizione 2003-04.  I gironi imprevedibili &nbsp; Nella realt&agrave; dei fatti, per&ograve;, la fase a eliminazione diretta (al pari di quelle precedenti), sparigli&ograve; ogni pronostico e si rivel&ograve; una delle pi&ugrave; imprevedibili di sempre: Manchester Utd e Juventus salutarono subito agli ottavi, mentre, un&rsquo;altra favorita, il Bayern, cadeva di fronte al Real Madrid. La perdita di certezze e tradizione, poi, prosegu&igrave; ancor pi&ugrave; clamorosa nei quarti di finale, quando il Real subiva la rimonta e la conseguente eliminazione da parte dei francesi del Monaco nella gara di ritorno e il Milan, superfavorito, incappava in una delle notti pi&ugrave; tristi della sua storia, affondando di fronte al Deportivo La Coru&ntilde;a nel retour-match in terra spagnola, dopo un 4-0, tanto perentorio quanto impronosticabile, visto il 4-1 a suo favore dell&rsquo;andata. Ecco che si aprivano cos&igrave; le porte del sogno per le due fantastiche outsider. &nbsp; Il percorso di Porto e Monaco &nbsp; &nbsp; Nella parte alta del tabellone, il Porto avrebbe fronteggiato proprio il Depor, dopo un cammino fin qui esaltante: superato il girone col Real, dopo qualche iniziale sbandamento, la formazione lusitana aveva cominciato a carburare alla perfezione, mettendo clamorosamente ko il Manchester Utd negli ottavi, con un gol allo scadere di Costinha a Old Trafford, decisivo per il passaggio del turno. Non paga, poi, si era sbarazzata della sorpresa Lione nei quarti, sfruttando alla perfezione la vittoria nella partita casalinga. I Dragoes, sotto la sapiente regia di Deco e forti soprattutto per una difesa arcigna, assicurata dallo stopper Ricardo Carvalho e dall&rsquo;esperto portiere Vitor Baia, erano magistralmente condotti in panchina dal tecnico emergente Jos&eacute; Mourinho, capace di riportarli alla vittoria del titolo portoghese, della coppa nazionale e soprattutto della Coppa UEFA, nella stagione precedente. Forse ancor pi&ugrave; esaltante la cavalcata dell&rsquo;altra rivelazione di quel torneo, il Monaco, guidato da Didier Deschamps. Costruito con giocatori scartati da pi&ugrave; blasonate realt&agrave; (su tutti Morientes, diventato poi capocannoniere di quell&rsquo;edizione di coppa), sapientemente miscelati con uomini di sicuro affidamento e prospettiva come Giuly, Evra e il bomber croato Prso, il club monegasco era riuscito a imporsi nel girone su Depor e PSV Eindhoven (nella memoria soprattutto il pirotecnico 8-3 agli spagnoli, condito da un poker di Prso) e negli ottavi a rimontare in casa al ritorno sulla Lokomotiv Mosca. Nei quarti di finale, ecco l&rsquo;impresa col Real: dopo aver perduto all&rsquo;andata 4-2 a Madrid, al ritorno nel Principato nemmeno il vantaggio degli ospiti con Raul riusciva ad abbattere i monegaschi, capaci di segnare tre reti e ribaltare le sorti del match e di approdare alla semifinale. Ad attenderli ora il quotato Chelsea di Claudio Ranieri, alla prima loro Champions dopo l&rsquo;arrivo del magnate russo Roman Abramovich. Mentre i francesi confermavano la legge del Louis II ipotecando la finale con un netto 3-1, poi splendidamente difeso col 2-2 di Londra, nell&rsquo;altra semifinale Mourinho riusciva a incartare il favorito (dopo la mattanza fatta del Milan) Deportivo, andando a vincere il ritorno in terra iberica grazie a un rigore di Derlei. &nbsp; &nbsp; &nbsp; Finalissima per Mourinho &nbsp; La finale si preannunciava, sulla carta, quantomai incerta. Ma solo su questa. Fin da inizio gara, infatti, la sensazione fu che il calcio arioso e aggressivo del Monaco avesse trovato nel Porto di Mourinho, quadrato e coperto, il peggior avversario possibile: la sorte poi ci mise lo zampino, dapprima mettendo fuori combattimento per infortunio l&rsquo;asso biancorosso d&rsquo;attacco Giuly, poi recapitando al 39&rsquo; sul destro di Carlos Alberto un pallone lanciato in aria e preda di un paio di rimpalli. La zampata nel sette dell&rsquo;attaccante brasiliano si rivel&ograve; imprendibile per il portiere Roma, condannando il Monaco a un canovaccio tattico ancora pi&ugrave; sfavorevole e complicato per cercare la rimonta. E infatti furono due ripartenze dei lusitani, nella ripresa, a chiudere il conto. Superata da poco la met&agrave; della seconda frazione, Deco duetta con Alenichev e poi finalizza spiazzando Roma; in seguito, lo stesso Alenichev si mette in luce, fulminando in rete un assist in profondit&agrave;, appena sporcato e aggiustato dalla deviazione di Squillaci. Un risultato rotondo in una partita non spettacolare, ma gestita magistralmente dai vincitori, che incorona nuovamente il Porto campione d&rsquo;Europa 17 anni dopo il tacco di Madjer contro il Bayern. Una vittoria ancor pi&ugrave; storica della precedente, anche perch&eacute; quel trionfo resta, ancor oggi, l&rsquo;ultima vittoria di una outsider nella massima competizione europea, ormai cannibalizzata dai top team. &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp;       

Il Porto trionfa in una Champions League piena di sorprese: il nome del tecnico portoghese si impone come uno dei pi&ugrave; interessanti, sta per iniziare una nuova era&nbsp;

La notte quando il mondo conobbe Mourinho

        &ldquo;Vecchio Milan &egrave; amaro addio&rdquo;. Questo il titolo della rosea la mattina del 27 maggio 1993. La sera prima i rossoneri erano stati sconfitti dai francesi dell&rsquo;Olympique Marsiglia nella finale di Champions League. La squadra rossonera crolla sul traguardo dopo una sequenza impressionante che l&rsquo;aveva vista vincere il campionato 1991-1992 senza sconfitte (22 vittorie e 12 pareggi) ed una Champions League edizione 1992-1993, condita fino a quel momento con 10 vittorie su 10 partite ed un solo gol subito, quello di Romario ad Eindhoven a dicembre. Si ha la sensazione della caduta dell&rsquo;impero, sensazione rafforzata dal fatto che nelle settimane successive, prima Rijkaard e poi Gullit lasciano la casa rossonera per approdare altrove. In quelle settimane neanche il pi&ugrave; fiducioso tifoso rossonero avrebbe potuto ipotizzare quanto sarebbe accaduto dodici mesi dopo. Quando inizia la stagione 1993-1994 il Milan appare defilato, sia nel mercato che nei pronostici. Acquista il giovane terzino Panucci dal Genoa, incassa un paio di prestiti nelle figure di Brian Laudrup dalla Fiorentina appena retrocessa e Raducioiu dal Brescia, ma perde definitivamente anche Marco van Basten, la cui caviglia peggiora di settimana in settimana e soprattutto Lentini che ai primi di agosto &egrave; vittima di un grave incidente che lo terr&agrave; lontano dai campi da gioco per quasi tutta la stagione.   &nbsp;  Una formula particolare  La seconda edizione della Champions League presenta una novit&agrave; rispetto alla edizione precedente. Al termine de due gironi finali le vincitrici di ciascun girone incontreranno in semifinale secca in casa le seconde classificate dell&rsquo;altro girone. La concorrenza ai nastri di partenza &egrave; fortemente accreditata ed il Milan non parte tra le favorite. Troppi i cambiamenti, troppe le perdite di qualit&agrave; da poter ipotizzare che la compagine rossonera possa competere nuovamente ai livelli devastanti visti solamente un anno prima. Tra le compagini di spicco troviamo il Manchester United che rivede la massima competizione europea dopo 24 anni, ovvero da quando il Milan nell&rsquo;aprile del 1969 estromise gli allora Campioni d&rsquo;Europa guidati da Best e Charlton, il Porto, Il Werder Brema, vincitore solamente 15 mesi prima della Coppa delle Coppe, un rinato Anderlecht, ma soprattutto il Bercellona. I catalani stanno imperversando in Spagna dopo il tramonto della generazione della &ldquo;Quinta del Buitre&rdquo;, ma vengono da una cocente delusione patita solamente l&rsquo;anno prima negli ottavi di finale della massima competizione europea dove furono estromessi dal Cska Mosca perdendo 3-2 in casa nonostante il buon pareggio per 1-1 in quel di Mosca durante la gara di andata. Per stampa e opinione pubblica &egrave; il Barcellona la squadra da battere. Assente invece i campioni in carica dell&rsquo;Olympique Marsiglia, squalificati per lo scandalo Valenciennnes dell&rsquo;anno prima, il cui posto &egrave; preso dal Monaco. La coppa inizia in sordina per il Milan che pesca i campioni svizzeri dell&rsquo;Aarau. L&rsquo;andata nella palude elvetica si risolve a favore dei rossoneri grazie ad una stoccata di Papin. Sembra tutto in discesa ma la gara di ritorno, presenta un Milan inguardabile, che davanti al suo pubblico esterrefatto, rischia di capitolare per ben tre volte di fronte agli elvetici, salvo condurre in porto con grande mestiere uno 0-0 ai pi&ugrave; apparso imbarazzante. Il secondo turno si rivela pi&ugrave; agevole con i rossoneri che goleadano il Copenaghen in terra danese (0-6) gestendo il ritorno con una vittoria di misura (1-0). I due turni eliminatori destinati a selezionare le 8 squadre dei due gironi finali mietono le prime vittime. Lo United si incarta in casa contro i turchi del Galatasaray in casa (3-3) salvo poi non riuscire a sbloccare lo 0-0 in terra turca ed uscendo per differenza reti. Fuori anche Feyenoord (eliminato dal Porto) e Steaua Bucarest, travolta dai francesi del Monaco. Qualche pensiero per i catalani solo al primo turno quando la Dinamo Kiev si impone per 3-1 nella gara di andata in casa salvo poi crollare al Camp Nou per 4-1. Spazzati via senza problemi invece gli austriaci dell&rsquo;Austria Vienna nel turno successivo. Il sorteggio dei gironi favorisce fortemente il Barcellona che pesca Galatasaray, Spartak Mosca e Monaco. Diverso il percorso dei rossoneri che pescano tre mine vaganti come porto Anderlecht e Werder Brema. I catalani fanno il loro dovere dominando il girone dall&rsquo;inizio alla fine con 2 pareggi e 4 vittorie di cui l&rsquo;ultima ottenuta nel Principato di Monaco e che le da il diritto di giocare la semifinale secca in casa. Diverso il percorso del Milan che comincia le danze al Park Astrid di Bruxelles contro un Anderlecht insidioso. La forte nevicata e il pallone arancione arridono ai rossoneri che strappano un prezioso 0-0. Solo una settimana dopo, in un anticipo di coppa (il Milan &egrave; in partenza per Tokyo per giocare la Coppa Intercontinentale contro il San Paolo), i rossoneri offrono finalmente una prestazione convincente sotto il profilo offensivo liquidando in casa il Porto per 3-0. Alla fine della seconda giornata il girone del Milan &egrave; un trenino di squadre con il Milan a tre punti, Porto e Werder Brema a due e Anderlecht a un punto. Belgi suicidatisi in terra di Germania allorch&eacute; in vantaggio per 3-0 a met&agrave; della ripresa riescono a farsi rimontare dai verdi di Brema fino ad un roboante 5-3. Ai primi di marzo si giocano il terzo e quarto turno, che vede i rossoneri impegnati contro i campioni di Germania. Il Milan sta dominando il campionato, grazie ad una difesa pressoch&eacute; imperforabile a cui fa da contro altare un attacco sparagnino ma letale quando serve. La squadra rossonera a novembre si &egrave; assicurata servigi di Marcel Desailly, chiamato in fretta e furia a sostituire Boban, infortunatosi nel Derby vinto contro l&rsquo;Inter. Capello capisce che, non disponendo pi&ugrave; di risorse illimitate sul fronte offensivo, &egrave; necessario proteggere la squadra e posiziona il gigante d&rsquo;ebano davanti alla difesa. Le due sfide con il Werder saranno anche le pi&ugrave; sofferte. A Milano il Milan prevale 2-1 non senza patemi dopo che i tedeschi avevano impattato il vantaggio di Maldini con un colpo di Basler. Il ritorno vede i verdi di Germania letteralmente assediare la porta di Rossi che para l&rsquo;imparabile salvo poi capitolare per un rigore del neozelandese Rufer, impattato poco dopo da un gol di Savicevic, finalmente entrato nei meccanismi rossoneri. I due gol tedeschi risulteranno anche gli unici subiti dai rossoneri in tutta la competizione. Quindici giorni dopo il Milan ospita l&rsquo;Anderlecht fiducioso di chiudere la pratica del girone, ma un palo (su tiro di Albertini), impedisce ai rossoneri di sbloccare lo 0-0 di partenza. In contemporanea da Brema arrivano notizie allarmanti con il Porto che sta distruggendo il Werder (finir&agrave; 5-0 per lusitani). A questo punto la sorte del girone si decider&agrave; nell&rsquo;ultima sfida al Das Antas, casa dei Dragoes, con il Milan a 7 punti ed i portoghesi a 6. Il 13 aprile il Milan gioca una partita di mestiere strappando lo 0-0 che gli permette di giocare la semifinale in casa contro il Monaco. Quindici giorni dopo le semifinali finiranno con identico punteggio (3-0) traghettando milanesi e catalani ad Atene, ma il campo racconta storie differenti. Al Camp Nou il Barcellona, che da gennaio si avvale delle prestazioni anche di Romario, polverizza la difesa del Porto in una manifestazione di calcio quasi irridente. A San Siro il Milan passa subito con un gol di testa di Desailly su calcio d&rsquo;angolo, francese che va ad arpionare il pallone a 2,95 metri dal suolo, lasciando di stucco anche il telecronista della Mediaset che trasmetteva la partita. Passato in vantaggio il Milan lascia l&rsquo;iniziativa ai transalpini le cui iniziative richiedono le maniere forti prima di Baresi (giallo con diffida che gli far&agrave; saltare la finale) e poi con Costacurta (non diffidato) punito con un rosso diretto al minuto 40, estratto dall&rsquo;arbitro tedesco Heynemann, ingannato da una teatrale ed innocua caduta dell&rsquo;attaccante tedesco Klinsmann, giocatore non nuovo a questo genere di scorrettezze. Lo sconsolato difensore (che tre mesi dopo salter&agrave; la finale della Coppa del Mondo per un cartellino altrettanto generoso estratto dal francese Quiniou) lascia il campo disperato ed attonito prima ancora che il Direttore di gara estragga il rosso. Nella ripresa ci si attende un Milan pronto ad alzare le barricate, Milan che invece attacca e raddoppia subito con un siluro di Albertini all&rsquo;incrocio dei pali e triplica verso la fine del match con Daniele Massaro. La finale &egrave; assicurata ma il prezzo da pagare &egrave; altissimo. I rossoneri dovranno giocare l&rsquo;atto conclusivo della manifestazione senza i centrali titolari. Alla finale mancano 21 giorni, 21 giorni per Capello per inventarsi qualcosa per arginare l&rsquo;apparente strapotere dei catalani. Catalani che per&ograve; a differenza del Milan devono ancora giocare per la Liga (il Milan aveva gi&agrave; vinto il titolo nazionale il 22 aprile), Liga che si aggiudicheranno grazie ad un colpo della sorte quando Dijukic, attaccante del Deportivo La Coruna si far&agrave; parare il rigore dall&rsquo;estremo difensore del Valencia, rigore che avrebbe condotto il titolo nella piccola citt&agrave; spagnola proprio all&rsquo;ultima giornata di campionato, titolo che festeggeranno (a detta di Cruijff) oltremisura. Cos&igrave; mentre un Barcellona sereno si dedica alle ultime giornate di campionato, il Milan comincia per mano del suo tecnico una serie di esperimenti per cercare la formazione ideale. E mentre i primi esperimenti portano grande preoccupazione in casa rossonera (emblematica una sconfitta in amichevole 2-0 contro al Fiorentina dove Capello prova Desailly centrale e dove la squadra sbaglia tutto lo sbagliabile), dalla Spagna, arriva una dichiarazione di Cruijff che a domanda precisa sulla finale risponde perentorio che &ldquo;la differenza tra Barcellona e Milan &egrave; che il Barcellona schiera Romario mentre il Milan Desailly&rdquo;. Questa dichiarazione, che in realt&agrave; era riferita al tipo di gioco praticato dalle due squadre verr&agrave; distorta e amplificata dagli astuti giornalisti italiani, circostanza questa che far&agrave; passare per sempre il grande allenatore olandese come un mostro di presunzione e che porter&agrave; desiderio di rivalsa da parte dell&rsquo;ambiente rossonero.    In realt&agrave; Cruijff teme fortemente i rossoneri, memore della pesante sconfitta che aveva patito ad Oviedo in una amichevole pre campionato quando i rossoneri con facilit&agrave; si erano imposti per 3-0 sui catalani, ma l&rsquo;euforia per il calcio spettacolare capace di generare la sua squadra e la Liga vinta al fulmicotone all&rsquo;ultima giornata non gli permettono di mantenere la giusta lucidit&agrave; in vista dell&rsquo;atto finale. Lucidit&agrave; che sparisce completamente quando prima di partire per Atene il papero d&rsquo;oro si fa fotografare con la Coppa dei Campioni vinta a Wembley nel 1992, in una sorta di gesto propiziatorio. Questa foto genera nuovi leggendari articoli da parte della stampa italiana che cavalca l&rsquo;onda precedente in maniera quasi atavica. Ma mentre l&rsquo;ambiente catalano veleggia, per leggerezza sulle ali del&rsquo;entusiasmo al Milan sono molto concentrati e quando la Uefa designa l&rsquo;olandese Blankestein per arbitrare la finale i rossoneri si oppongono. Male hanno digerito l&rsquo;arbitraggio tedesco nella semifinale ed a detta dei rossoneri la comunione della lingua tra l&rsquo;arbitro tedesco Heynemann e Klinsmann aveva di fatto favorito ingiustamente l&rsquo;espulsione di Costacurta. Non vogliono che la situazione si ripeta dal momento che il Barcellona ha nei suoi punti di forza il difensore olandese Koeman. La Uefa ritiene la richiesta del Milan ragionevole e cambia la designazione scegliendo l&rsquo;esperto arbitro inglese Don.    Quando le squadre si presentano sul manto di gioco dello Stadio Olimpico di Atene l&rsquo;enfantico lavoro della stampa italiana e spagnola ha creato ai pi&ugrave; l&rsquo;idea comune (ed errata) di una partita a senso unico a favore dei catalani, circostanza condivisa anche da tutte le agenzie di scommesse di tutta Europa, tutte tranne quelle della nazione madre di tutte le scommesse ovvero quelle inglesi che quotano il Milan favorito per la vittoria finale fin da prima della disputa delle semifinali. Da maestri di gioco e scommesse avranno visto lungo anche in questa circostanza. Capello decide quindi di schierare una difesa inedita con Tassotti e Panucci sulle fasce e con Maldini e Galli centrali. La partita si rivela fin da subito una sorta di mattanza per i colori catalani. Cruijff in un eccesso di fiducia esclude dalla formazione titolare Michael Laudrup (uno dei quattro stranieri del Barcellona &ndash; all&rsquo;epoca se ne potevano schierare solamente tre), danese che a detta di Capello era l&rsquo;unico in grado di impensierire l&rsquo;impianto difensivo dei rossoneri, preferendogli l&rsquo;olandese Koeman, bravo ad impostare ma lento e inefficace contro le sortite ficcanti del Milan.    Nei novanta minuti va in onda la replica esatta della finale di cinque anni prima a Barcellona contro lo Steaua Bucarest. Quattro reti, un palo, un gol annullato e dominio rossonero dal primo all&rsquo;ultimo minuto. Apre Massaro dopo un blitz sulla fascia del Genio Savicevic, raddoppia ancora &ldquo;provvidenza&rdquo; Massaro, poco prima della fine della prima frazione di gioco, su passaggio di Donadoni in un&rsquo;azione che vede il Milan tenere la palla per oltre due minuti e mezzo con ogni passaggio accompagnato dagli ol&egrave; di una estasiata tifoseria rossonera. Savicevic chiude il match dopo pochi minuti dalla ripresa delle ostilit&agrave; inventandosi un pallonetto tanto bello quanto difficile che sorprende lo spaesato estremo difensore catalano. Chiude Desailly autore del quarto punto, quel Desailly a suo tempo tanto bistrattato da Cruijff rispetto all&rsquo;evanescente Romario, brasiliano annullato da un fenomenale Filippo Galli, che dopo tanta sfortuna raccoglie i frutti di abnegazione e fedelt&agrave; ai colori rossoneri giocando una partita formidabile.    La faccia Cruijff ad ogni gol &egrave; una maschera di pietra, ma ci&ograve; non gli impedir&agrave;, da grande uomo di sport di andare a fine partita negli spogliatoi rossoneri a stringere la mano a ciascun giocatore del Milan. Anni dopo il maestro olandese racconter&agrave; come una delle sue pi&ugrave; grandi sfortune calcistiche fu incontrare il Milan sulla sua strada, a suo dire &ldquo;Squadra che quando commetti un errore non si limita a fartelo pagare, ma semplicemente ti giustizia fino in fondo senza sconti. Avevo imparato questa lezione dal calciatore (Milan &ndash; Ajax 4 &ndash; 1 nel 1969), ma presuntuosamente non me ne sono ricordato da allenatore quando giocammo ad Atene con il Barcellona nel 1994 (Milan &ndash; Barcellona 4 &ndash; 0)&rdquo;. E mentre nella Masia del Barcellona un giovanissimo Puyol a rischio della sua incolumit&agrave;, festeggia entusiasta la vittoria rossonera per la bellezza del gioco espresso, la notte di Atene chiude per sempre una serie di capitoli. Si chiude l&rsquo;era di Cruijff a Barcellona. L&rsquo;olandese rester&agrave; ancora un anno ma senza energia e mordente accompagner&agrave; la sua creatura pi&ugrave; bella ad un lento declino che la vedr&agrave; soccombere al Real Madrid in patria ed al Paris Saint Germain in Champions League. Si chiude la parabola di Marco van Basten, presente a bordo campo per incitare compagni. Sar&agrave; infatti l&rsquo;ultima volta che l&rsquo;airone olandese seguir&agrave; il suo amato club in trasferta. E quella sera si chiude l&rsquo;era di una squadra leggendaria, come narrer&agrave; in maniera esemplare il compianto Giorgio Tosatti qualche mese dopo, sulle pagine del Guerin Sportivo, che definir&agrave; la notte di Atene come &ldquo;il canto del cigno della pi&ugrave; grande squadra italiana di sempre&rdquo;.   &nbsp; &nbsp;       

Finale di Champions League, i rossoneri di Fabio Capello abbattono il Barcellona fino a quel momento forse la squadra pi&ugrave; in forma d'Europa

1994, apoteosi Milan

        Non siamo abituati a vedere il Newcastle in Europa, nonostante il nome e la storia siano assolutamente di prestigio. Negli ultimi anni poi i Magpies, "Le gazze", grazie a corposi investimenti hanno gi&agrave; dimostrato di poter stare tra i grandi d'Inghilterra. Per scaldare i motori in vista dell'esordio in Champions contro il Milan, competizione in cui il Newcastle torna dopo 20 anni, abbiamo ripescato 5 grandi giocatori del passato del club. Quasi tutti sono ultra-conosciuti. &nbsp; Alan Shearer, il re del gol  Strano destino, quello dei grandi attaccanti inglesi in epoca recente: valanghe di gol segnati ma pochi titoli vinti, in proporzione. Harry Kane ha deciso di trasferirsi al Bayern dopo 213 gol segnati in Premier League, mentre invece Alan Shearer ha deciso di legarsi fino alla fine della carriera e oltre al Newcastle, rifiutando pi&ugrave; di una volta passaggi al Manchester United, per esempio, dove avrebbe probabilmente fatto incetta di trofei. Shearer ad oggi &egrave; il miglior marcatore nella storia del campionato inglese, con 260 reti realizzate. Nato a Newcastle, non poteva che essere il calciatore simbolo di una squadra che a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila &egrave; arrivata sempre a un passo dalla gloria rimanendo per&ograve; sempre a mani vuote. Campione d'Inghilterra con il sorprendente Blackburn nel 1993, il suo trasferimento ai Magpies nell'estate del 1996 fece epoca, non solo per il prezzo (15 milioni di sterline, un record), ma perch&eacute; Shearer, uno degli attaccanti pi&ugrave; completi degli ultimi 40-50 anni, aveva deciso di tornare a casa rifiutando, appunto, la corte di altre big inglesi e straniere come il Real Madrid. Del resto all'epoca il Newcastle era una big e lo sarebbe stato per almeno altri 6-7 anni, sempre con Shearer al centro dell'attacco, il numero 9 e quell'esultanza iconica seppur semplice, la corsa con il braccio alzato, diventata una statua fuori dal Saint James's Park, casa dei bianconeri. Suoi gli ultimi cinque gol, tutti consecutivi, del Newcastle in Champions, edizione 2002-03. Da allenatore poi costretto ad assistere alla tremenda retrocessione nel 2008-09.&nbsp;   David Ginola, un tocco di classe  Mai stato profeta in patria, David Ginola, specialmente da quel 17 novembre 1993, data celebre e infausta per i francesi, la sera della sconfitta 1-2 al Parco dei Principi contro la Bulgaria che cost&ograve; il mondiale del 1994 ai Bleus. La rete decisiva di Kostadinov a tempo scaduto venne realizzata in contropiede dopo una palla buttata via malamente da Ginola, all'epoca al Paris Saint-Germain, che invece di perdere qualche secondo prezioso aveva deciso di effettuare un cross nel nulla. I due anni del francese al Newcastle, dal 1995 al 1997, saranno all'insegna dei tocchi di classe e dei colpi di genio. Esterno offensivo totalmente ambidestro, amante delle giocate a sensazione, David sar&agrave; uno dei protagonisti del doppio secondo posto consecutivo dei bianconeri: il primo dei quali particolarmente sanguinoso visto che i Magpies riusciranno a bruciare un vantaggio di 12 punti in campionato, pi&ugrave; o meno a met&agrave; del percorso. Decisiva anche la sconfitta in casa con il Manchester United che in rosa aveva un altro francese poco profeta in patria, anche lui in campo in quella disastrosa serata contro la Bulgaria: Eric Cantona. Questo derby "bleu" a distanza rendeva la Premier League ancora pi&ugrave; interessante, in un'era in cui di stelle straniere se ne vedevano ancora abbastanza poche. Calciatore per cui mezza Europa si era interessata al suo apogeo, col Barcellona che per anni tenter&agrave; di portarlo al Camp Nou senza dimenticare un tentativo in extremis dell'Arsenal di inserirsi al momento del passaggio dal Psg al Newcastle, Ginola in Premier avrebbe fatto divertire ancora con Tottenham e Aston Villa. Oggi produce anche un vino pregiato, a conferma che il buon sangue e i buoni piedi non mentono.  &nbsp; "Gazza" con le... Gazze  Paul Gascoigne, quanto gli abbiamo voluto bene. Irriverente e contagioso, una furia in campo con i suoi lampi di genio. Alla Lazio era arrivato dal Tottenham, ma il suo esordio tra i professionisti era stato proprio col Newcastle: tre anni, dal 1985 al 1988, quando aveva i capelli corti e il faccione rubizzo, tipico di uno che era appena diventato maggiorenne. Non un grande Newcastle in quel triennio, ottavo posto come miglior piazzamento ma anche un diciassettesimo e una quasi-retrocessione. E Gascoigne sempre l&igrave;, titolare indiscusso, miglior giovane della First Division non ancora Premier League nel 1987-88. Gi&agrave; "Gazza" per via di quella corsa un po' storta, da volatile. Ha gi&agrave; vinto anche una FA youth Cup segnando un bellissimo gol in finale contro il Watford e probabilmente in contemporanea ha cominciato ad assaggiare un po' troppe bottiglie di alcol. Dovrebbe andare al Manchester United, ma si inserisce il Tottenham che per lui paga ben 2.3 milioni di sterline nel 1988, circa 5 miliardi di lire al cambio dell'epoca. Per Sir Alex Ferguson, tecnico dello United, il pi&ugrave; grande rimpianto della sua vita: non aver potuto allenare e quindi gestire quel geniaccio capace di giocate fenomenali. &nbsp;   Gary Speed, capitano malinconico  Il centrocampo ce l'aveva in mano lui, uno dei migliori calciatori gallesi di ogni epoca, a testa alta in mezzo ai vari Giggs, John Charles o Bale. Non era un tipo molto estroso, piuttosto concentrato e sempre sul pezzo, Gary Speed, morto suicida il 28 novembre del 2011 mentre era commissario tecnico del Galles. Due giorni prima era stato col suo vecchio compagno di squadra al Newcastle, Alan Shearer, a vedere una partita dei Magpies contro il Manchester United. Nulla lasciava presagire un gesto estremo, nemmeno quando a partita finita Speed si era messo a scambiarsi dei messaggi con altri ex calciatori divenuti nel frattempo commentatori in televisione. Il ritrovamento, tremendo, fatto dalla moglie: suicidio, impiccato nel garage di casa. Speed in campo era il contrario del suo cognome, che in inglese significa "velocit&agrave;"; ma non per questo risultava meno efficace. Per sei stagioni e mezza al Newcastle, con la fascia da capitano, dal 1998 al 2004. Gi&agrave; in l&agrave; con gli anni, essendo nato nel 1969, salt&ograve; pochissime partite ritirandosi in seguito una volta sfiorata addirittura la quarantina. Una storia triste ad accompagnare un grande giocatore. &nbsp;   Peter Beardsley, l'elettricit&agrave;  Quinto con pi&ugrave; presenze in assoluto (326), sesto per numero di gol (119), Peter Beardsley &egrave; rimasto per ben 14 stagioni al Newcastle. Anche lui fenomeno di longevit&agrave; visto che ha avuto almeno tre vite calcistiche, le due con i Magpies e in mezzo con il Liverpool. Sempre sulla fascia con la sua imprevedibilit&agrave;, a sinistra soprattutto ma in generale creando sempre scompiglio nella difesa avversaria: l'esplosione gi&agrave; nel 1984 con i 20 gol segnati nella First Division, la seconda divisione inglese, buoni per riportare il Newcastle nella massima serie. Praticamente intoccabile anche in nazionale per un lustro abbondante con cui disput&ograve; due mondiali (1986 e 1990) e un europeo (1988), fu uno dei pionieri nel prestare il proprio nome a un videogioco, nel 1988, il "Peter Beardsley's international football". Coi suoi capelli a scodella, un volto impossibile da dimenticare per gli appassionati.       

Da Shearer a Gascoigne, ripercorriamo in parte le vicende del club che ritorna in Champions dopo un'assenza di 20 anni

Newcastle, la storia in 5 giocatori

        Una serata unica, una partita indimenticabile, una notte magica. Quantomeno per i tifosi milanisti. Stiamo parlando della finale di Champions League del 28 maggio 2003, che vede contrapporsi le formazioni di Milan e Juve. Si tratta della prima e, ad oggi, ancora unica volta in cui due compagini italiane si affrontano nell&rsquo;atto conclusivo della pi&ugrave; prestigiosa competizione europea. Milan all&rsquo;arrembaggio Il primo tempo &egrave; quasi tutto del Milan. Chi si aspettava una delle proverbiali partenze fulminanti della Juve ha dovuto ricredersi. Molto meglio il Milan, pi&ugrave; rapido e agile, soprattutto pi&ugrave; aggressivo. Ha chiuso la Juve nella sua met&agrave; campo facendo viaggiare il pallone e imponendo il palleggio dei suoi talenti migliori, con Rui Costa e Seedorf molto ispirati. La Juve soffre oltre il lecito sulle fasce, dove soprattutto Shevchenko, imprendibile, graffia gli juventini. Inizialmente l'ucraino sfrutta l'out destro avvelenando con le sue finte e i suoi scatti brucianti il povero Montero, chiaramente a disagio sull'esterno. Dopo un po', Sheva si sposta a sinistra con lo stesso risultato, mettendo alle corde Thuram. La scelta di Lippi di inserire Tudor e di spostare Montero nel ruolo di Birindelli si rivela sbagliata perch&egrave; la Juve perde spinta sulla fascia e soprattutto dalla parte di Montero la difesa imbarca acqua, con l'uruguaiano in affanno. Juve in affanno &nbsp;La Juve si adatta, cercando di replicare di rimessa, ma Camoranesi non si vede mai, Trezeguet &egrave; quasi sempre anticipato, solo Del Piero piazza qualche acuto. Non sono mancate le azioni da gol, anzi il Milan all'8 il gol l'ha pure segnato, a conclusione di una trama esemplare. L'avvia Rui Costa con un dribbling prolungato e un'apertura perfetta sulla sinistra per Inzaghi: cross di Pippo e Sheva, al centro dell'area stoppa e sventaglia alle spalle di Buffon. Dura un attimo l'euforia milanista perch&eacute; Merk su segnalazione del guardalinee annulla il gol, per un fuorigioco di Rui Costa, finito sullo slancio in area, proprio davanti a Buffon. Dopo due minuti la Juve risponde da par suo, con un'azione un po' casuale ma pericolosissima: su un cross da destra di Thuram, Trezeguet anticipa Maldini ma incorna fuori una palla-gol sontuosa. La partita rimane vibrante, con numerosi cambi di fronte da una parte e dall&rsquo;altra, fino al 90&rsquo; minuto, quando il triplice fischio decreta i supplementari. Il Milan perde subito Roque Junior che si &egrave; stirato, nel tentativo di andare al cross. Non avendo pi&ugrave; sostituzioni disponibili, il Milan rimane in dieci, Ambrosini si sposta sulla linea dei difensori. La Juve cerca di approfittarne, senza essere mai pericolosa. Roque Junior, come nel calcio d'altri tempi, continua a lottare, zoppicando vistosamente. Finale senza brividi, con le due squadre ormai con la testa ai rigori. Mozzafiato la sequenza, e molti errori. Shevchenko alla fine firma il 3-2 decisivo, regalando la Coppa ai suoi e permettendo a capitan Maldini di alzarla al cielo di Manchester. &nbsp; Il tabellino di Juventus-Milan 2-3 del 28 maggio 2003 JUVENTUS (4-4-2): Buffon; Thuram, Tudor (42 pt Birindelli), Ferrara, Montero; Camoranesi (1 st Conte ) Tacchinardi 6 Davids (20 st Zalayeta) Zambrotta; Trezeguet, Del Piero. A DISP.: Chimenti, Pessotto, Iuliano, Di Vaio. All. Lippi. MILAN (4-3-1-2): Dida; Costacurta (20&rsquo; st Roque Junior), Nesta, Maldini, Kaladze; Gattuso, Pirlo, (26&rsquo; st Serginho), Seedorf; Rui Costa (42&rsquo; st Ambrosini); Shevchenko, Inzaghi 5,5. A DISP.: Abbiati, Laursen, Brocchi, Rivaldo. ALL.: Ancelotti 7. ARBITRO: Merk (Germania) 6,5 Guardalinee: Muller e Schraer. Quarto uomo: Stark AMMONITI: Costacurta, Tacchinardi, Del Piero. NOTE: spettatori paganti 63.315. Angoli 13 a 4 per il Milan. Recuperi: 3&rsquo; pt, 1&rsquo; st.       

Il 28 maggio del 2003 i rossoneri superarono i bianconeri al termine di un match avvincente, nella prima finale tra italiane nella storia del prestigioso trofeo

Juve-Milan 2-3, quando Maldini alzò la Champions League al cielo di Manchester

        Il sorteggio che ha messo di fronte i campioni d&rsquo;Italia in carica del Milan e quelli in pectore del Napoli per i quarti di finale di Champions League ha riaperto un file archiviato da troppo tempo. La storia dei derby italiani in Europa affonda le sue origini negli anni &rsquo;80 con le prime inedite sfide fratricide, diventate nei magnifici anni &rsquo;90 addirittura una felice ricorrenza, celebrata fino ai primi anni del 2000 nei quali dominavamo il continente calcistico, un attimo prima che si esaurisse il filone d&rsquo;oro della nostra Serie A. Una storia lunga 30 anni che vale la pena ripercorrere riavvolgendo il nastro di queste sfide sempre sentite e particolari: dalle sette finali alle numerosissime semifinali, passando per pronostici rovesciati e sfide al veleno. Primo e ultimo derby italiano nelle coppe Stagione 1985-86, ai nastri di partenza della Coppa dei Campioni la Serie A si presenta con una rarissima combo di squadre, in un torneo aperto solamente alle vincitrici dei rispettivi campionati: c&rsquo;&egrave; il Verona dei miracoli di Osvaldo Bagnoli, fresco di uno scudetto storico, e c&rsquo;&egrave; la Juventus, ammessa di diritto dopo aver vinto tra le lacrime la sua prima coppa dalle grandi orecchie nella tragica notte dell&rsquo;Heysel con il Liverpool. Il primo derby italiano spunta dall&rsquo;urna gi&agrave; al secondo turno, con i bianconeri che eliminano i giallobl&ugrave;. L&rsquo;ultimo derby &egrave; invece datato 2014-15, un ottavo di finale di Europa League in cui la Fiorentina di Montella elimina la Roma di Rudi Garcia. Da Juventus-Fiorentina alla notte di Manchester: le sette finali tutte italiane La prima finale tra due squadre italiane arriva nel 1990 con Juventus e Fiorentina a giocarsi la Coppa Uefa, che prevedeva la finale con la formula dell&rsquo;andata e ritorno. Vinsero i bianconeri tra polemiche e veleni. La seconda arriva gi&agrave; l&rsquo;anno successivo in Supercoppa, se la giocano la Samp di Boskov e il Milan di Sacchi, che alza il trofeo. Nel 1991 sono Inter e Roma a giocarsi la Coppa Uefa, che prende la strada di Milano dopo due combattutissime sfide. Nel 1993 &egrave; il Parma a trionfare in Supercoppa nel doppio confronto con il Milan; Parma che nel 1995 si prende anche la Coppa Uefa battendo la Juventus. Il derby Uefa del &rsquo;98 vinto dall&rsquo;Inter sulla Lazio nella finale di Parigi verr&agrave; ricordato per l&rsquo;indimenticabile doppio passo di Ronaldo il Fenomeno su Marchegiani sotto lo sguardo attonito di Nesta. L&rsquo;ultima finale tra due italiane &egrave; anche la prima e unica in Champions League: nel maggio del 2003 al Teatro dei Sogni di Old Trafford il Milan supera la Juventus ai rigori con l&rsquo;iconico sguardo di Shevchenko prima di calciare il penalty decisivo che passa alla storia. Milan-Inter e i due derby di Champions League Nel racconto dei derby italiani in Europa c&rsquo;&egrave; anche la storia nella storia di Inter e Milan e delle due &ldquo;drammatiche&rdquo; stracittadine di Champions League, disputate fra il 2003 e il 2005, entrambe terminate con i rossoneri in festa e i nerazzurri nello sconforto. Nella prima occasione, Inter eliminata senza perdere, ma dall&rsquo;incredibile regola del gol in trasferta, decretato dal calendario, che lancia il Milan in finale. Due anni dopo &egrave; un quarto di finale di cui andare poco fieri: dopo il successo rossonero nel match d&rsquo;andata, il ritorno sar&agrave; ricordato come il &ldquo;derby della vergogna&rdquo;, con Dida bersagliato dalle torce lanciate dalla curva nerazzurra e l&rsquo;inevitabile sconfitta a tavolino. La notte magica del Napoli Nell&rsquo;unico derby italiano in Europa giocato dal Napoli, c&rsquo;&egrave; una notte magica che ancora fa tremare i polsi ai tifosi partenopei di una certa et&agrave;: &egrave; il 1989 e ai quarti di finale di Coppa Uefa il sorteggio ha detto Juventus. All&rsquo;andata a Torino finisce 2-0 per i bianconeri grazie al gol di Pasquale Bruno e all&rsquo;autorete di Corradini, ma al San Paolo gli azzurri la ribaltano con Maradona e Carnevale che trascinano la sfida ai supplementari e Renica che un attimo prima dei rigori firma il gol qualificazione accendendo Fuorigrotta. Il sogno infranto del Cagliari La Coppa Uefa 1993-94 regala la favola del Cagliari di Bruno Giorgi, che in un doppio derby ai quarti e in semifinale sfida le signore d&rsquo;Italia, fermandosi a un passo dalla clamorosa impresa. Approdati ai quarti di finale, i sardi pescano la Juventus, un sorteggio apparentemente proibitivo ma che alla fine non si rivela tale: Dely Vald&eacute;s punisce i bianconeri nel match di andata, Firicano e Lul&ugrave; Oliveira ribaltano il risultato nel ritorno di Torino e firmano l&rsquo;impresa. &Egrave; semifinale e l&rsquo;urna dice ancora derby, con l&rsquo;Inter di Bergkamp e Jonk. All&rsquo;andata in Sardegna il Cagliari rimonta due volte l&rsquo;Inter prima di far impazzire il Sant&rsquo;Elia con il 3-2 di Pancaro, ma al Meazza si arrende ai nerazzurri, uscendo dal doppio derby con un bilancio di 3 vittorie e una sconfitta. Il derby dimenticato Nel concludere il lungo viaggio attraverso i derby italiani in Europa, riemerge il ricordo di una sfida caduta nel dimenticatoio e che pure fa parte a pieno titolo della storia di queste sfide: la semifinale di Intertoto del 1998 tra il Bologna di Mazzone e la Samp di Spalletti, che vede trionfare gli emiliani, che poi vinceranno anche il trofeo conquistando la qualificazione alla Coppa Uefa.       

Verona-Juventus il primo, Fiorentina-Roma l&rsquo;ultimo: in mezzo sette finali tra Coppa Uefa, Supercoppa e Champions League. Tra i ricordi anche le imprese di Cagliari e Bologna

Milan-Inter, in Europa è più bello: la storia dei derby italiani nelle coppe

        Bayern Monaco-Paris Saint-Germain, un grande classico ormai del calcio europeo, di recente anche una finale di Champions League, nel 2020. Due squadre con grandi campioni a caratterizzare le rispettive storie, inclusi giocatori passati dal campionato italiano. Siamo andati a recuperare i migliori. Bayern Monaco e Psg, Palloni d'Oro La prima volta che Bayern e Psg si trovano di fronte &egrave; nella Champions League 1994-95, nella fase a gironi. I francesi sono leggermente superiori ai bavaresi, in un periodo contraddittorio per il calcio transalpino, in realt&agrave;. Per&ograve; davanti hanno un giocatore formidabile, un attaccante liberiano capace di fare quasi tutto: si chiama George Weah e attualmente &egrave; il presidente del suo paese. Attaccante forte di testa, ambidestro e creativo, risolve la partita di ritorno con un destro all'incrocio dopo una serie di dribbling degno pi&ugrave; di un fantasista che di un numero 9. Arriver&agrave; fino alla semifinale, quel Psg, e Weah al Milan, oltre che al Pallone d'Oro l'anno successivo. Il Bayern invece &egrave; una squadra in cui la stella &egrave; il vecchio Lothar Matthaeus, a proposito di Pallone d'Oro: non &egrave; pi&ugrave; un trequartista debordante, ma il libero nel 5-3-2 schierato da Giovanni Trapattoni. Sulla fascia sinistra un laterale molto promettente che arriver&agrave; anche in Italia, pure lui al Milan, ma far&agrave; pochino, e cio&egrave; Christian Ziege. Bayern Monaco e Psg, le meteore Come Ziege, che comunque uno scudetto lo vincer&agrave;, altri giocatori provenienti da Bayern Monaco e Paris Saint-Germain arriveranno in Italia portati dal blasone, rivelandosi dei mezzi o dei completi flop. Un nome su tutti, Carsten Jancker, colossale attaccante dei bavaresi e della nazionale che viene preso dall'Udinese nel 2002 e lascer&agrave; il Friuli due anni dopo, segnando &ldquo;la bellezza &ldquo;di 3 gol totali in 41 presenze. Uno in pi&ugrave; di quelli segnati in un'unica partita, Bayern Monaco-Psg della fase a gironi della Champions League 1997-98 (5-1 per i tedeschi). Psg che non era la squadra dominante di oggi e che ogni tanto lasciava andare qualche giocatore verso lidi "ricchi" come era la Serie A dell'epoca: da Bravo, direzione Parma, ad Algerino, terzino destro che passer&agrave; come una meteora al modesto Venezia nella prima met&agrave; del campionato 2001-02. Non un bidone, ma un giocatore che avrebbe potuto dare di pi&ugrave;, Stephane Dalmat, strappato giovanissimo al Psg dall'Inter nel 2001. Inter che si era gi&agrave; accaparrata qualche anno prima quel Ciriaco Sforza protagonista involontario dei film di Aldo, Giovanni e Giacomo. Bayern Monaco e Psg, epoca recente Al Bayern e al Psg, comunque, ci andavano gli italiani anche "veri", quando ancora i nostri non si spostavano tanto all'estero. Due nomi, uno a testa: Ruggiero Rizzitelli per i bavaresi, Marco Simone per i parigini. Poi purtroppo &egrave; stata la Serie A a farsi pi&ugrave; piccola, negli ultimi anni. E se andiamo a vedere la formazione del Psg contro il Bayern (Ancelotti ha allenato entrambe le squadre) nella fase a gironi della Champions 2017-18 c'&egrave; da strabuzzare gli occhi: Dani Alves, Thiago Silva, Marquinhos, Verratti, Thiago Motta e Cavani. Tutti acquistati da squadre italiane. E nel Bayern Monaco un ex Genoa come il terzino destro brasiliano Rafinha e due giocatori acquistati dalla Juventus, Vidal e Coman, che poi decider&agrave; con un suo gol la finale di Champions del 2020, quella post-chiusure per via della pandemia di Covid-19. Il mondo ribaltato, rispetto a due decenni prima. Bayern Monaco e Paris Saint-Germain, curiosamente, non hanno mai pareggiato nei precedenti scontri diretti.&nbsp;       

Moltissimi calciatori hanno giocato in queste due squadre prima o dopo aver militato nei club di Serie A. Allenatori compresi...

Da Rizzitelli a Weah: Bayern Monaco-Psg attraverso "gli italiani"

        Non sappiamo se quella notte fosse seduto sulle tribune del Camp Nou, se se ne stesse comodo sul divano di casa sorseggiando una birra gelata, o fosse in giro a festeggiare con famiglia e amici. Di certo ci piace pensare che la sera del 5 novembre 1997 Oleh Blochin abbia trascorso la cena del suo compleanno &ndash; spegneva 45 candeline &ndash; facendo il tifo per un biondo ragazzo, che in mondovisione stava facendo impazzire Sergi Barjuan, uno dei terzini pi&ugrave; rapidi al mondo, colonna portante della difesa del Bar&ccedil;a e della nazionale spagnola. Ma che gi&agrave; al terzo della ripresa di quel Barcellona-Dinamo Kiev si ritrova intorbidato nel tunnel del Camp Nou, accompagnato da un lontano brusio quasi impercettibile, perch&eacute; il biondo ragazzo aveva appena ammutolito il popolo catalano. Sergi non ne poteva pi&ugrave;: guardando il replay del fallo di mano che gli costa il secondo giallo, si nota come lo spagnolo cerchi volontariamente il pallone e come, con una deviazione degna del miglior Vitor Baia &ndash; certamente non &ldquo;del cercatore di farfalle&rdquo; che proprio quella sera rientrava in campo dopo quattro mesi &ndash;, interrompa il lancio diretto verso lo spazio in cui si sarebbe infilato il numero 10&hellip; Oleh Blochin &egrave; forse l&rsquo;unico Pallone d&rsquo;Oro della storia a poter vantare un sosia addirittura pi&ugrave; famoso di lui, almeno visivamente. La somiglianza tra l&rsquo;attore americano Willem Dafoe (il sergente Elias Grodin di &ldquo;Platoon&rdquo;) e il figlio d&rsquo;oro d&rsquo;Ucraina che scrisse la storia della nazionale sovietica &egrave; imbarazzante. Ma soprattutto &egrave; il pi&ugrave; grande calciatore ucraino della storia. Almeno prima di quel 5 novembre al Camp Nou. In quella notte nasce una stella. O sarebbe pi&ugrave; corretto affermare che &ldquo;si palesa al grande pubblico una stella&rdquo;, dato che in Ucraina rappresenta gi&agrave; la speranza per il futuro e non &egrave; oggetto misterioso nemmeno per gli scout. Quel biondo dalla pelle chiarissima e lo sguardo glaciale, che corre con eleganza mentre la maglia numero 10 gli si appiccica alla schiena ha 21 anni, e si chiama Andriy Shevchenko.  Sheva &egrave; l&rsquo;erede designato di Blochin. Come Oleh viene allattato fin da piccolo &ndash; entrambi entrarono all&rsquo;et&agrave; di 10 anni &ndash; dai competenti mister nelle giovanili della Dinamo Kiev; come per il Pallone d&rsquo;Oro 1975 sull&rsquo;ascesa di Sheva si posa lo sguardo intransigente di Valeriy Lobanovskyi. A dire il vero Andriy si ispirava a Ihor Bjelanov &ndash; altro talento ucraino premiato da France Football nel 1986 &ndash;, ma l&rsquo;accostamento a Blochin risulta forse pi&ugrave; azzeccato, anche senza considerare la data del compleanno. Su questo il Colonnello avrebbe potuto esprimere un giudizio pi&ugrave; obiettivo, visto che li ha allenati tutti e tre. Quella sera a comporre la coppia d&rsquo;attacco con Sheva c&rsquo;&egrave; Sergiy Rebrov, altro talentuosissimo del calcio ucraino che segna col pallottoliere, ma che in futuro trover&agrave; fortuna esclusivamente in Nazionale, rimanendo eterno incompiuto al di fuori dei confini ucraini. Sergi, Couto, Reiziger, Ferrer. Questa la retroguardia scelta da Van Gaal. Schevchenko parte quasi sempre dalla zona destra. A met&agrave; primo tempo prende palla e punta verso il centro: li salta tutti, uno dopo l&rsquo;altro come birilli. Si ritrova sulla sinistra, uno sguardo avanti e lo scarico all&rsquo;indietro per poi tornare a sfiancare Sergi. Quello che si esibisce davanti ai 55mila del Camp Nou &egrave; un calciatore pronto, che tutta Europa ha ammirato. Non sono tanto i tre gol segnati &ndash; i primi due arrivati di testa grazie alle uscite senza senso di Vitor Baia, il terzo su rigore &ndash; a rubare l&rsquo;occhio, quanto la grazia con cui si muove: una corsa soave che in una frazione di secondo pu&ograve; trasformarsi in impeto, scaltrezza, demolente accelerazione improvvisa. Shevchenko corre e ricama con i compagni, ma sa anche pungere come il pi&ugrave; velenoso dei serpenti. La trasformazione del rigore che vale il 3-0 al &rsquo;44 &ndash; guadagnato con una serpentina che manda fuori giri sia Sergi che Couto &ndash; &egrave; identica a quella con cui qualche anno pi&ugrave; tardi condanner&agrave; la Juventus a Manchester: sguardo concentrato, occhiatina all&rsquo;arbitro, palla a destra e portiere a sinistra.&nbsp;  Il Barcellona crolla in casa, viene &ldquo;goleado&rdquo; 4-0; subisce la sconfitta pi&ugrave; umiliante di sempre nella competizione e abbandona la Champions dopo sole quattro partite. La Dinamo Kiev vincer&agrave; il girone e uscir&agrave; ai quarti sconfitta dalla Juve. Nel frattempo su Shevchenko c&rsquo;&egrave; il &ldquo;controllo&rdquo; di Ariedo Braida e Adriano Galliani, pronti a portarlo al Milan con un&rsquo;offerta gi&agrave; sul piatto da 18 milioni di dollari. Dopo quella sera non basteranno: ne serviranno 25 per battere la concorrenza di tutti gli altri. Barcellona-Dinamo Kiev 0-4 del 5 novembre 1997: il tabellino BARCELLONA (4-3-3): Baia; Ferrer, Reiziger, Couto, Sergi; Ciric, Celades, Garcia (26&rsquo; st Nadal); Figo, Giovanni (8&rsquo; st Amor), Rivaldo. A DISP.: Busquets, Puyol. ALL.: Van Gaal. DINAMO KIEV (4-4-2): Shovkovskyi; Luzhnyi (14&rsquo; st Volosyanko), Vashchuk, Golovko, Dmytrulin; Kalitvintsev (1&rsquo; st Maksymov), Gusin (15&rsquo; st Mykhaylenko), Khatskevich, Kosovskyi; Shevchenko, Rebrov. A DISP.: Kernozenko, Bezhenar, Radchenko, Belkevich. ALL.: Lobanovskyi. ARBITRO: Hugh Dallas (Scozia). MARCATORI: 9&rsquo;, 32&rsquo; e 44&rsquo; (rig.) Shevchenko, 34&rsquo; st Rebrov.  &nbsp; &nbsp;       

Il 5 novembre 1997 nacque una stella. Gi&agrave; seguito dagli scout del Milan e di mezza Europa, l&rsquo;ucraino sfoggi&ograve; in mondovisione il suo talento cristallino: tripletta e Bar&ccedil;a fuori dalla Champions

Barcellona-Dinamo Kiev: quando Shevchenko ammutolì il Camp Nou

        Un mercoled&igrave; da campioni. Una notte da leggenda. Una notte "maggica". Dopo 35 anni, il 30 ottobre 2002 una squadra italiana torna a vincere al Santiago Bernabeu. E? la Roma di Francesco Totti, temuto allora poi omaggiato da una standing ovation all&rsquo;ingresso in campo nel 2016, perche? il rispetto e? anche riconoscere la grandezza dell&rsquo;avversario. Eppure, confessera? anni dopo in un&rsquo;intervista a Sky, mai come in quell&rsquo;estate era andato vicino a trasferirsi a Madrid, a indossare la maglia bianca unico contraltare alla passione per la Roma, quando il grande calcio era solo un sogno racchiuso fra le mura di casa, sospese tra Porta Latina e Porta Metronia. "Avevo bisticciato col presidente, c&rsquo;erano cose che non andavano e il Real Madrid era li?, a un passo, ci sono andato molto vicino. Non sarei mai andato in un&rsquo;altra squadra italiana, ma a Madrid si?. Poi gli amici, la famiglia, mi hanno consigliato bene, mi hanno consigliato di restare e meno male che ho dato retta a loro", ha ammesso.  La vigilia E? la quinta giornata della prima fase a gironi, iniziata all&rsquo;Olimpico contro le Merengues. E? un 3-0 senza storia, cui Totti puo? solo assistere perche? squalificato dopo la rissa dell&rsquo;anno prima contro il Galatasaray. Nelle prime quattro partite, la Roma ha ottenuto solo una vittoria, in Belgio contro il Genk (1- 0, gol di Cassano). L&rsquo;obiettivo dei giallorossi e? fare la corsa sull&rsquo;AEK Atene, che ha gia? fermato due volte sul pareggio gli spagnoli, in testa al girone con 8 punti. I precedenti Prima di quel 30 ottobre, solo due squadre italiane hanno vinto al Bernabeu, tempio riverito e temuto del calcio mondiale. Si chiamava ancora Chamartin nel 1962, quando si presenta la Juventus per il ritorno dei quarti di finale di Coppa dei Campioni. Di Stefano ha firmato l&rsquo;1-0 all&rsquo;andata al Comunale, ma al ritorno Sivori riceve di prima dal &ldquo;gigante buono&rdquo; John Charles. Il Real perde per la prima volta in casa nella storia della manifestazione. Si va alla ripetizione, alla "bella", e vinceranno gli spagnoli. Cinque anni dopo sara? l&rsquo;Inter a trionfare 2-0 in un anticipo di primavera, il primo marzo 1967, con gol di Cappellini e autorete di Zoco su tiro di Suarez.  Totti stende il Real Madrid Capello traccia un 4-4-2 con cui almeno per un tempo la Roma non aveva sfigurato all&rsquo;Olimpico. Dietro si affida ad Aldair che, nonostante gli almanacchi spostino la data di nascita un mese dopo, festeggia il tramonto del compleanno con una partita da leggenda. Arretra Candela per contenere Figo, e davanti al francese chiede una prestazione di sacrificio in ripiegamento a Delvecchio, mentre Emerson e Tommasi aspettano a zona Zidane. Il real spinge all'inizio ma la prima grande occasione e? per Montella, che puo? mirare solo davanti a Casillas ma tira fuori. Mancano tre minuti alla mezz&rsquo;ora quando l&rsquo;Aeroplanino viene anticipato in area, ma il pallone scorre verso Totti che in corsa disegna il destro sul primo palo che cambia la storia. Con questa rete, la dodicesima, il capitano raggiunge Voeller e Pruzzo al secondo posto nella classifica marcatori della Roma in Europa. Gliene mancano allora sei per superare le 18 del primatista Manfredini: ne segnera? 20 di piu?. Il Real di Del Bosque si butta in avanti ma e? un attacco disordinato, nonostante i grandi nomi. La Roma potrebbe anche raddoppiare con Montella, Totti e Cafu che non raggiunge Batistuta, entrato nella ripresa, solo davanti a Casillas. Alla Roma bastera? l&rsquo;1-1 dell&rsquo;ultima giornata contro l&rsquo;AEK per passare alla seconda fase a gironi a braccetto col Real. Ma dopo quella vittoria, la storia europea dei giallorossi non sara? piu? la stessa.        

Il 30 ottobre del 2002, grazie alla rete del loro capitano, i giallorossi espugnarono la Casa Blanca. Una vittoria storica: solo Inter e Juve avevano sconfitto le Merengues in trasferta

Totti-gol, la Roma batte il Real Madrid al Santiago Bernabeu

        &ldquo;Sveglia a mezzogiorno. Colazione abbondante a base di frutta. Riposino pomeridiano. Doccia, cena e feste fino all&rsquo;alba&rdquo;. Come dichiarato in una recente intervista &egrave; questa la vita di Faustino Asprilla. Ancora oggi passa le giornate tra relax e divertimento. Quel divertimento di cui ha abusato tanto anche quando giocava. Alti e bassi per Tino, che certamente avrebbe potuto fare di pi&ugrave;: il colombiano se l&rsquo;&egrave; sempre spassata, anche a ridosso delle gare. Newcastle-Barcellona, Asprilla non si trova Il 17 settembre 1997, proprio in seguito a una notte brava, Tino Asprilla dipinge la sua serata perfetta. Newcastle &egrave; in fermento, sono le ore che precedono il debutto assoluto dei Magpies in Champions League, ma, incredibilmente, Tino non si trova. &Egrave; sparito senza rispondere alla convocazione. Il colombiano si presenta solo a ridosso della gara e a sorpresa Kenny Dalglish decide di farlo giocare ugualmente. Il motivo &egrave; semplice: Shearer &egrave; fermo ai box e rientrer&agrave; solo a gennaio, un&rsquo;altra assenza pesante in attacco non &egrave; contemplabile. Asprilla gioca in coppia col futuro attaccante del Milan Jon Dahl Tomasson, supportati dalle sortite offensive dell&rsquo;ex Liverpool Barnes e dell&rsquo;ex United Gillespie.  Ospite d&rsquo;onore in una serata speciale comunque vada, il temibile Barcellona di Van Gaal, Figo e Rivaldo: una macchina da gol orfana di Ronaldo passato all&rsquo;Inter (102 nella passata edizione della Liga con Bobby Robson in panchina). C&rsquo;&egrave; anche un po&rsquo; di Italia in campo: dirige l&rsquo;incontro il nostro Pierluigi Collina.  Asprilla e Gillespie fanno ammattire il Barcellona Gi&agrave; dai primi minuti di gioco Asprilla fa ammattire la difesa del Barcellona. Reiziger non lo tiene e lo stende sul lato corto, a pochi centimetri dall&rsquo;area. Il colombiano sembra una scheggia impazzita, svaria da destra a sinistra con Barnes e Gillespie che si buttano dentro, mentre Tomasson viene incontro. Una buona occasione fallita dal danese su invito dell&rsquo;ex stella dei Reds ed ecco che i ruoli s&rsquo;invertono, con Tomasson a fare da rifinitore per Asprilla servito in area. Il portiere Hesp esce sui piedi di Tino che con un guizzo sposta la palla all&rsquo;ultimo: rigore. Non c&rsquo;&egrave; Shearer, calcia Asprilla. Hesp intuisce ma non basta: il St James&rsquo; esplode al minuto 22.  Gli spagnoli accusano il colpo, frastornati dagli avanti inglesi e da un catino che non smette di cantare. Gillespie sembra Overmars. Riceve sulla destra e punta: Sergi non se ne rende conto, ma il nordirlandese ha gi&agrave; crossato. Asprilla sale al terzo piano e spacca la porta di testa: altra capriola seguita dal boato. Ad inizio ripresa il Bar&ccedil;a prova a uscire dal guscio, ma il Newcastle, oltre a contare sulla serata di grazia del colombiano, ha dalla sua un&rsquo;arma letale che si chiama Keith Gillespie. Al 49esimo l&rsquo;esterno nordirlandese viene servito da capitan Lee. Riceve sulla fascia destra nella propria trequarti campo, alza lo sguardo e punta Sergi in surplace. Il terzino spagnolo riesce solo ad accompagnare la corsa dell&rsquo;esterno bianconero, che arrivato all&rsquo;altezza dell&rsquo;area crossa verso il centro. Sul pallone stacca ancora una volta altissimo Tino Asprilla, che batte per la terza volta l&rsquo;immobile Hesp.  Non basta l&rsquo;orgoglio blaugrana, &egrave; festa grande al St James&rsquo; La scena si ripete qualche minuto dopo, ma questa volta il portiere del Bar&ccedil;a blocca il colpo di testa in tuffo del colombiano. Galvanizzato dalla tripletta Asprilla non si risparmia, ripiega addirittura a centrocampo e quando si accende il St James&rsquo; s&rsquo;infiamma. Una spettacolare serpentina seguita da una debole conclusione di sinistro fa spellare le mani ai 36mila presenti, prima del miracolo di Given sulla conclusione di Nadal. Non manca l&rsquo;orgoglio ai catalani, che al 73esimo tornano in partita grazie alla giocata di Figo e al colpo di testa di Luis Enrique. Rivaldo fa tremare il Newcastle colpendo in pieno la traversa su punizione, ma ogni attacco blaugrana si trasforma in un possibile contropiede per Asprilla e Gillespie. Da brividi gli ultimi minuti, quando Figo accorcia ulteriormente sul 3-2 e il St James&rsquo; vive quegli attimi di silenzio generato dalla paura di non farcela. Il boato torna al fischio finale, con i tifosi impazziti di gioia per festeggiare un trionfo storico. Intervistato a fine gara, Asprilla giustificher&agrave; il ritardo dicendo &ldquo;Che era a fare sesso con alcune sue fidanzate inglesi&rdquo;. Come dicevamo, &ldquo;una vita al limite&rdquo; ancora oggi quella del colombiano, che ha sempre vissuto il calcio come un divertimento, senza regole o schemi da seguire.   Newcastle-Barcellona 3-2 del 17 settembre 1997: il tabellino NEWCASTLE (4-4-2): Given; Watson, Barton, Albert, Beresford; Gillespie, Lee (C), Batty, Barnes (36&rsquo; st Ketsbaia); Asprilla, Tomasson (32&rsquo; st Peacock). A DISP.: Srnicek, Howey, Hughes, Pinas, Rush. ALL.: Dalglish. BARCELLONA (4-3-3): Hesp; Reiziger, Celades, Nadal, Sergi; De la Pena, Rivaldo, Luis Enrique; Figo, Anderson (11&rsquo; st Dugarry), Amunike (1&rsquo; st Ciric). A DISP.: Busquets, Abelardo, Garcia, Pizzi, Amor. ALL.: Van Gaal. ARBITRO: Collina (Italia). MARCATORI: 22&rsquo; pt, 31&rsquo; pt e 4&rsquo; st Asprilla (N), 28&rsquo; st Luis Enrique, 44&rsquo; st Figo. NOTE: ammoniti Batty (N) e De la Pena (B). &nbsp;       

17 settembre 1997, Tino regal&ograve; una vittoria insperata ai Magpies nel giorno dello storico debutto in Champions League. Grande protagonista anche Keith Gillespie

Newcastle-Barcellona: la tripletta di Asprilla che stese i catalani

Nella carriera di Zizou ci sono tante gemme, ma una brilla su tutte: la giocata che decise la Champions League 2001-02 resta senza dubbio tra le più straordinarie della storia del calcio

PODCAST - Il gol capolavoro di Zidane al Leverkusen

        La prima volta che Liverpool e Real Madrid si incontrano in una finale di Coppa dei Campioni &egrave; il lontano 27 maggio del 1981. Allora (come oggi per un curioso caso del destino) i Reds e i Blancos scendono in campo in terra francese, a Parigi. In quella mite giornata di fine maggio il mondo &egrave; da poco entrato in quella decade dalle tante luci e dalle tantissime ombre che sono stati gli anni &rsquo;80: negli States Reagan diventa presidente e subito rischia di morire per mano di un pazzo, da noi invece &egrave; Giovanni Paolo II a scampare miracolosamente alla mano assassina di Ali Agca, mentre con l&rsquo;omicidio di Stefano Bontate inizia la seconda guerra di mafia. In Inghilterra il mai dimenticato Bobby Sands si lascia morire in carcere, mentre qualche giorno dopo, per un melanoma al piede, viene a mancare anche il leggendario Bob Marley. Sono giorni strani, a tratti cupi, in cui il mondo si prepara a scoprire e a dover affrontare un nuovo terribile virus dal nome strano e sconosciuto, ma che purtroppo diventer&agrave; ben noto a tutti di l&igrave; a poco. Il calcio nel frattempo si appresta a vivere l&rsquo;appuntamento pi&ugrave; importante della stagione, ovvero la finale di Coppa dei Campioni: al Parco dei Principi si affrontano il Liverpool di Bob Paisley e il Real Madrid di Vujadin Boskov.&nbsp; Le grandi del calcio europeo&nbsp; I due club sono gi&agrave; delle autentiche corazzate del calcio europeo e insieme vantano otto coppe dalle grandi orecchie in bacheca, due per gli inglesi e ben sei per gli spagnoli. Da un lato per&ograve; bisogna ricordare che le Merengues non sono pi&ugrave; quella squadra formidabile che negli anni &rsquo;50 e &rsquo;60 faticava a trovare degni rivali, mentre il Liverpool vive forse uno dei momenti pi&ugrave; floridi della sua storia. I Reds dunque si presentano alla sfida di Parigi da favoriti.&nbsp; Road to Paris Il cammino delle due formazioni verso l&rsquo;atto finale &egrave; stato abbastanza simile: sia il Liverpool che il Real Madrid non hanno incontrato avversari irresistibili prima delle semifinali, dove affrontano e superano, non senza qualche difficolt&agrave;, rispettivamente il Bayern Monaco di Rummenigge e l&rsquo;Inter di Oriali, Beccalossi e di un giovanissimo Bergomi. Il difensore interista, tra l&rsquo;altro, si mette in luce nella partita di ritorno riuscendo ad annientare Juan Gomez Gonzalez, al secolo Juanito, il celebre e velocissimo numero 7 delle Merengues.&nbsp; Il trionfo dei Reds e il gol di Alan Kennedy Bob Paisley si affida al capitano Phil Thompson, al grande Ray Kennedy, inventato proprio da lui come mezz&rsquo;ala, oltre che ai soliti Kenny Dalglish,&nbsp;Terry McDermott e&nbsp;Graeme Souness. Dall&rsquo;altra parte i Blancos davanti schierano un tridente formato dal sopracitato Juanito, Santillana e l&rsquo;inglese Cunningham. Davanti a quasi 50.000 persone l&rsquo;arbitro ungherese Karoly Palotai d&agrave; il via ad una finale che inizialmente si rivela tesa, senza guizzi da una parte e dall&rsquo;altra. In un primo tempo davvero avido di emozioni, arrivano due squilli da parte del Real, che prima col tedesco Uli Stielike e poi con Juanito, si rende pericoloso dalle parti della porta di Ray Clemence, ma senza trovare fortuna. La seconda frazione vede l&rsquo;inerzia del gioco spostarsi vertiginosamente dalla parte dei Reds, che incalzano a pi&ugrave; riprese gli avversari, avvicinandosi in pi&ugrave; di un&rsquo;occasione ad andare in vantaggio. La partita si sblocca solamente all&rsquo;ottantunesimo, quando sugli sviluppi di un fallo laterale il terzino sinistro Alan Kennedy entra in percussione in area e supera Agust&igrave;n, segnando il gol decisivo che consegna la vittoria al Liverpool. Non sar&agrave; l&rsquo;ultima volta che il difensore inglese decider&agrave; una finale di Coppa dei Campioni con un suo gol (segner&agrave; l&rsquo;ultimo rigore nella finale dell&rsquo;edizione 1983/84), ma questa &egrave; un&rsquo;altra storia. Per i Reds si tratta della terza vittoria nella pi&ugrave; grande competizione europea per club, e tutte e tre le volte in panchina c&rsquo;&egrave; Bob Paisley, vera leggenda dei Reds. &Egrave; cos&igrave; che il presidente Uefa Artemio Franchi consegna a Phil Thompson la coppa dalle grandi orecchie, che il capitano inglese alza fiero contro il cielo di Parigi.        

Al Parco dei Principi di Parigi pi&ugrave; di quarant&rsquo;anni fa gli inglesi superarono gli spagnoli di Boskov per 1-0 grazie al gol di Alan Kennedy

Liverpool-Real Madrid, nel 1981 trionfarono i Reds di Bob Paisley

        Il 15 maggio del 2002 l&rsquo;Hampden Park di Glasgow si veste a festa per ricevere l&rsquo;appuntamento pi&ugrave; affascinante del calcio europeo: la finale della Uefa Champions League. In Scozia arrivano due club con una storia completamente agli antipodi: da una parte il Real Madrid dei Gal&agrave;cticos, alla ricerca della vittoria numero nove nel torneo, dall&rsquo;altra l&rsquo;operaio Bayer Leverkusen, vero e proprio outsider del torneo che si gioca per la prima volta nella sua storia la possibilit&agrave; di alzare la coppa dalle grandi orecchie. Il mondo del calcio si appresta dunque a godersi quest&rsquo;ultimo appuntamento per club prima dell&rsquo;attesissimo mondiale di Corea e Giappone, un torneo stellare che vedr&agrave; affrontarsi quella generazione di fenomeni provenienti da molti dei Paesi dalla grande tradizione calcistica. Generazione di cui fa parte, tra gli altri, Zinedine Zidane. La notte di Zizou Troppo evidente la sproporzione dei valori in campo. Questa &egrave; la sensazione della vigilia, il Real Madrid, gi&agrave; otto coppe dei campioni alle spalle, vera potenza del calcio europeo che in questo momento pu&ograve; schierare in campo il maggior numero di stelle, contro la Cenerentola Bayer, ottima formazione trascinata dal gi&agrave; fortissimo Ballack, ma niente di pi&ugrave;. A dire il vero questo grande divario non sar&agrave; cos&igrave; evidente in campo, anche se i tedeschi non rischieranno mai seriamente di impensierire troppo i Blancos.&nbsp;La partita pi&ugrave; importante del calcio europeo quella sera finisce per&ograve; per diventare una mera cornice, uno sbiadito sottofondo di fronte a una delle prodezze pi&ugrave; belle della storia del calcio: il gol di Zizou. Nel corso del primo tempo il Real Madrid va in vantaggio dopo meno di 10 minuti con il solito Raul Gonzalez Blanco, prima di essere raggiunto al quattordicesimo dal pareggio firmato da Lucio. Quando la prima frazione sta per volgere al termine arriva il guizzo, la pennellata d&rsquo;artista che mette la firma su un gol capolavoro:&nbsp;Solari fa involare sulla fascia Roberto Carlos che brucia sullo scatto Sebescen e mette al centro, dove Zidane con una girata eccezionale di mancino, lui che in teoria sarebbe destrorso, spedisce il pallone all'incrocio dei pali. Ancora oggi per molti questo &egrave; il gol pi&ugrave; bello della storia della finale di Champions League, insidiato forse solamente molti anni pi&ugrave; tardi dalla rovesciata di Bale contro il Liverpool.  Il secondo tempo si trascina senza troppe emozioni, come se il sigillo, su quella partita e su quell&rsquo;edizione del trofeo, fosse stato gi&agrave; messo al quarantacinquesimo minuto. Il Real alza cos&igrave; la sua nona Champions League/Coppa dei Campioni, e Zidane si toglie uno sfizio personale. Fino a quel momento, anche se aveva gi&agrave; alzato una Supercoppa Europea, era uscito sconfitto in finale in Coppa Uefa con il Bordeaux e due volte con la Juventus in Champions.&nbsp; Bayer Leverkusen-Real Madrid 1-2 del 15 maggio 2002: il tabellino BAYER LEVERKUSEN (4-3-2-1): Butt; Sebescen (20' st Kirsten) Zivkovic, Lucio (45' st Babic), Placente; Schneider, Ramelow, Ballack; Basturk, Brdaric (38' pt Berbatov); Neuville. A DISP.: Juric, Vranjes, Dzaka, Kleine. ALL.: Toppmoller. REAL MADRID (4-1-3-2): Cesar (22' st Casillas); Salgado, Helguera, Hierro, Roberto Carlos; Makelele (28' st Flavio Conceicao); Figo (13' st McManaman), Zidane, Solari; Morientes, Raul. A DISP.: Guti, Karanka, Munitis, Pavon. ALL.: Del Bosque.&nbsp; ARBITRO: Meier (Svizzera). &nbsp;MARCATORI: 8' Raul (R), 14' Lucio (B), 45' Zidane (R).&nbsp;&nbsp;        

Il 15 maggio del 2002 i Blancos alzarono la coppa dalle grandi orecchie per la nona volta grazie ad una perla di Zizou

Bayer Leverkusen-Real Madrid: quando Zidane incantò l’Europa

        L&rsquo;atmosfera &egrave; la solita, da brividi, con Anfield gremito in ogni ordine di posto; colorato di rosso per spingere il Liverpool verso la remuntada. &Egrave; l&rsquo;8 marzo 2006, quando il Benfica vola in Inghilterra per disputare la gara di ritorno degli ottavi di finale di Champions League. L&rsquo;Inghilterra, una terra che evoca dolci ricordi al tecnico dei Rossi di Portogallo Ronald Koeman: fu una sua punizione nei tempi supplementari a decidere la finale del &rsquo;92 contro la Samp. A Lisbona i lusitani si sono imposti per 1-0, grazie alla rete segnata nel finale da Luisao. Il Liverpool &egrave; campione d&rsquo;Europa in carica e Benitez ha a disposizione gli uomini giusti per ribaltarla, oltre al favore del pronostico. Simao supergol, Benfica avanti ad Anfield Arbitra Massimo De Santis, ma non &egrave; l&rsquo;unico italiano sul prato di Anfield. In panchina seduto vicino a Koeman c&rsquo;&egrave; anche Fabrizio Miccoli, in prestito dalla Juventus. Il Liverpool &egrave; padrone del campo, colpisce un palo clamoroso con Crouch gi&agrave; all&rsquo;11esimo, ma non riesce a concretizzare le palle gol. Cos&igrave; alla mezz&rsquo;ora esce fuori il Benfica che centra una traversa con Geovanni e passa in vantaggio al 36&rsquo;. Il gol porta la firma del capitano: una gemma di Simao Sabrosa. Dopo un pasticcio della difesa inglese, il fantasista riceve palla sulla sinistra, si accentra e lascia partire un destro a giro micidiale sul quale Reina non pu&ograve; arrivare. Esplode il settore ospiti, Simao corre ad abbracciare Koeman e i portoghesi sono con un piede ai quarti di finale. Gli ospiti si chiudono ovviamente in difesa, mentre il Liverpool si rifugia nei disperati tentativi dalla distanza, che nonostante eccellenti tiratori come Gerrard e Alonso non vanno a buon fine.&nbsp;  Miccoli, la sforbiciata che annichil&igrave; Anfield Acclamato a gran voce da tutto lo stadio, a met&agrave; ripresa Benitez decide di giocare anche la carta Fowler, ma la clessidra del Liverpool sta ormai per esaurirsi. Con i Reds sbilanciati a cercare disperatamente il gol del pareggio che riaprirebbe la sfida, a mettere il punto esclamativo ci pensa il nostro Fabrizio Miccoli. Il Pibe di Nard&ograve;, entrato al 77esimo al posto di Nuno Gomes, segna con una splendida sforbiciata dopo aver controllato non benissimo un pallone che a quel punto poteva essere calciato solo cos&igrave;, in volo. Il gol che chiude la contesa arriva sotto gli impazziti tifosi portoghesi, che difficilmente dimenticheranno questa magica serata. Finisce 2-0 per il Benfica, che compie una grande impresa. Esclusa la doppia gara degli ottavi con l&rsquo;Atletico della stagione 2019-20 &ndash; quando i Reds persero 3-2 al ritorno ma dopo i supplementari (nei 90&rsquo; era finita 1-0) &ndash;, il Liverpool aveva perso sia andata che ritorno nella fase finale della Coppa Campioni/Champions League solamente in un&rsquo;altra occasione: nella stagione 1973-74 contro la Stella Rossa. Liverpool-Benfica 0-2 dell&rsquo;8 marzo 2006: il tabellino LIVERPOOL (4-4-2): Reina; Finnan, Carragher, Traor&eacute;, Warnock (25' st Hamann); Luis Garcia, Gerrard, Xabi Alonso, Kewell (18' st Ciss&eacute;); Morientes (25' st Fowler), Crouch. A DISP.: Dudek, Hyypi&auml;, Barragan, Anderson. ALL.: Benitez. BENFICA (4-3-3): Moretto; Alcides, Luis&auml;o, Anderson, L&eacute;o; Robert (25' st Ricardo Rocha), Beto, Manuel Fernandes; Geovanni (16' st Karagounis), Nuno Gomes (32' st Miccoli), Simao. A DISP.: Quim, Nelson, Karyaka, Marcel. ALL.: Koeman. ARBITRO: De Santis (Italia). MARCATORI: 36' pt Simao, 44' st Miccoli (B).        

Negli ottavi di finale della Champions League 2005-06 i lusitani espugnarono Anfield dopo aver vinto anche all&rsquo;andata. Memorabile la sforbiciata del Pibe di Nard&ograve; che valse lo 0-2

Liverpool-Benfica: quando Simao e Miccoli eliminarono i campioni

La Juventus&nbsp;contro il Villarreal ha buttato via nella maniera peggiore la qualificazione ai quarti di finale di una Champions League che probabilmente non avrebbe vinto, visto che delle otto rimaste in corsa la peggiore &egrave; proprio il Villarreal, ma che sarebbe stata un segnale importante per il futuro. Un ottimo inizio, con piglio diverso rispetto alla Juventus da vittorie allegrianamente &lsquo;di corto muso&rsquo; che sta quasi sognando lo scudetto, una traversa di Vlahovic, altre situazioni pericolose, poi dalla mezz&rsquo;ora del primo tempo pi&ugrave; niente contro una squadra organizzata, con 4-4-2 blindato, che ha cambiato passo nell&rsquo;ultimo quarto d&rsquo;ora con l&rsquo;ingresso di Gerard Moreno e dallo Stadium ha portato a casa uno 0-3 esagerato ma anche una qualificazione meritata.  Poi il calcio non &egrave; la ginnnastica ritmica o i tuffi, le cose che diciamo sempre, eccetera: se la Juve fosse uscita iniziando in maniera pi&ugrave; guardinga tutti avrebbero detto che le partite di Champions vanno aggredite e che Allegri non ha la mitica mentalit&agrave; internazionale. E se fosse passata difenendo un 1-0 iniziale saremmo ora qui a parlare di &#39;concretezza&#39;. Rimane il fatto che per la Juventus, considerando la differenza di fatturato e di prospettive, uscire contro il Villarreal, la settima squadra della Liga, sia stato pi&ugrave; amaro rispetto alle eliminazioni della squadra di Sarri con il Lione e di quella di Pirlo con il Porto, sempre agli ottavi. Un club dalle potenzialit&agrave; e dalle spese nemmeno paragonabili a quelle del mondo Agnelli-Elkann, il Villarreal, ma che in Europa spesso impacchetta avversari pi&ugrave; quotati e dalle spese no limits, come &egrave; avvenuto l&rsquo;anno scorso in Europa League con il Manchester United. Specialit&agrave; anche di Emery, fra l&rsquo;altro, con il Villarreal e con il Siviglia, mentre dall&rsquo;altra parte della barricata (cio&egrave; il PSG) la prospettiva &egrave; per lui un po&rsquo; cambiata.  Se l&rsquo;analisi della partita &egrave; gi&agrave; da carta straccia, o se vogliamo da byte sprecati, non altrettanto &egrave; quella della stagione della Juventus, che pu&ograve; essere divisa in A.V., Avanti Vlahovic, e D.V., Dopo Vlahovic. Una rosa certo non peggiore di quelle di Napoli e Inter, e senz&rsquo;altro migliore di quella del Milan, sta portando ad un quarto posto che &egrave; il minimo del minimo sindacale anche tenendo conto di un centrocampo nemmeno paragonabile a quello di pochi anni fa e che Locatelli non ha migliorato. Non si possono ogni volta criticare Arthur e Rabiot, perch&eacute; quelli sono, o notare che il principale schema &egrave; il cross di Cuadrado: questa &egrave; la Juventus di Allegri, che migliorando la qualit&agrave; dei singoli migliorer&agrave; anche il resto (ma a questo punto si potrebbe anche richiamare in panchina Trapattoni). La Supercoppa &egrave; stata persa contro l&rsquo;Inter. La Champions &egrave; finita prima di raggiungere il livello naturale della Juventus e della altre corazzate, quello dei quarti, dopo cui contano quasi soltanto episodi e situazioni. Rimane la Coppa Italia, che peraltro aveva vinto anche Pirlo e che comunque &egrave; ancora da conquistare passando sulla Fiorentina e su una delle due milanesi.  Un bilancio inaccettabile, per un club che negli ultimi due anni ha fatto aumenti di capitale per 700 milioni di euro: &egrave; quasi come se gli Agnelli si fossero ricomprati la Juventus da s&eacute; stessi, per ritrovarsi messi peggio che al punto di partenza. Per proseguire sulla linea, peraltro giusta, dei giovani dal grande potenziale, diciamo senza troppa fantasia Zaniolo la prossima estate o De Ligt e Chioesa ai loro tempi, oltre ovviamente a Vlahovic, occorreranno tanti altri soldi. Ma soprattutto dirigenti capaci di spenderli al meglio: perch&eacute; il fallimento in una partita o in una stagione pu&ograve; essere attribuito all&rsquo;allenatore, ma quello di un progetto solo a chi comanda. Andrea Agnelli si deve quindi prendere i complimenti per i nove scudetti consecutivi e le critiche per la sua gestione degli ultimi tre anni, compresa quella umana di tante situazioni: non vogliamo paragonare gli 11 minuti di Dybala ai 6 di Rivera in Messico, ma i segnali sono di quel tipo.  In definitiva, uscire agli ottavi di Champions non &egrave; questa gran tragedia rispetto ad un&#39;uscita nei quarti, e dopo un ciclo come quello dell&#39;ultimo decennio qualche stagione di transizione ci sta, ma in rapporto ai mezzi a disposizione (da sottolineare due volte: in rapporto ai mezzi a disposizione) la Juventus attuale &egrave; stata costruita male, pensando a tutte le ultime tre stagioni. La Superlega vagheggiata da Agnelli e Florentino Perez non nascer&agrave; mai, ma per entrare in quella realistica targata UEFA c&#39;&egrave; ancora un po&#39; di strada da fare. 

La Juventus ancora fuori agli ottavi, la specialit&agrave; di Emery, la svolta di Vlahovic e il bilancio stagionale

Agnelli fuori dalla Superlega

        Gigio Donnarumma &egrave; uno degli imputati per l&rsquo;eliminazione del Paris Saint-Germain dalla Champions League per opera del Real Madrid, ma va detto che il 90% degli arbitri avrebbe fischiato fallo contro Benzema quando ha toccato il portiere del PSG, creando la situazione per il gol dell&rsquo;1-1 che ha cambiato poi la partita. Al di l&agrave; della moviola fuori tempo massimo, come sta giocando quello che l&rsquo;anno scorso era considerato il miglior portiere del mondo? Architrave del successo dell&rsquo;Italia a Euro 2020, cosa da non dimenticare&hellip; Intanto ha giocato poco, l&rsquo;alternanza con Keylor Navas in campionato gli ha spesso detto male visto che &egrave; sceso in campo 11 volte su 27 partite. E quasi sempre ha fatto il suo, come percentuale di parate rispetto ai tiri in porta subiti &egrave; il secondo della Ligue 1, dietro a Walter Benitez del Nizza ma davanti a Navas. Simili le sue percentuali in Champions League, dove per rendimento &egrave; il sesto della manifestazione, dietro per&ograve; ad esempio a Courtois che &egrave; secondo. Tutte le statistiche ovviamente scompaiono dietro al peso specifico di una prodezza o di un errore, ma non si pu&ograve; dire che Donnarumma sia il problema di una squadra che si &egrave; zavorrata con i resti di Messi e Sergio Ramos, anche se per Al Khelaifi il bilancio non &egrave; mai stato un problema. La grande domanda: Donnarumma avrebbe fatto meglio a rimanere al Milan, che come soldi non gli offriva tanto meno e che pu&ograve; vincere &lsquo;solo&rsquo; il campionato come il PSG? La risposta risiede in ci&ograve; che sar&agrave; il PSG nei prossimi anni, una volta messi alla spalle i Mondiali in Qatar che diedero inizio a tutta l&rsquo;operazione (e alla rovina politica di Platini, ma questa &egrave; un&rsquo;altra storia) e tutti i discorsi sul soft power.&nbsp; L'altra faccia del derby, almeno in senso politico-sportivo, d'Europa &egrave; quella di Carlo Ancelotti, che a giorni alterni &egrave; il re del calcio oppure un allenatore bollito. Chiss&agrave; quale casella barrerebbe adesso De Laurentiis... Di sicuro &egrave; uno dei pochi al mondo in grado di guidare la squadra pi&ugrave; prestigiosa del mondo, cambiando pelle a seconda delle circostanze. Il Real Madrid con cui 8 anni fa conquist&ograve; la Decima era una squadra condannata alla vittoria, con Cristiano Ronaldo nel punto pi&ugrave; alto della sua parabola e tanti campioni in missione (fra gli altri anche Modric e Benzema...), questo pur con giovani di qualit&agrave; ed i vecchi appunto invecchiati &egrave; un Real di transizione, in attesa di giovani superstelle (Mbapp&eacute;, Haaland, eccetera) attorno a cui costruire un nuovo ciclo. Certo &egrave; curioso che Ancelotti venga scoperto a 63 anni dopo una partita, per quanto importante, vinta per un errore del portiere e due contropiede. La verit&agrave; &egrave; che le macchine di Formula 1 possono essere guidate soltanto da piloti di Formula 1: non si pu&ograve; dare la Red Bull a un tassista, ma nemmeno mettere Verstappen su una Panda.&nbsp; Sulla panchina del Real Madrid non finir&agrave; mai Giampiero Gasperini e non certo perch&eacute; di calcio ne sappia meno di Ancelotti, anzi. Contro il Bayer Leverkusen dopo un brutto inizio si &egrave; finalmente rivista la migliore Atalanta, quella che appena gli avversari abbassano il ritmo li asfalta dando l'impressione di giocare in 14 contro 11. Ed in effetti con un Muriel (o Zapata, quando torner&agrave;) appena decente di solito &egrave; cos&igrave;. Un 3-2 che sarebbe dovuto essere un 7-2, i tedeschi devono ringraziare Hradecky e la fortuna per avere tenuto aperta la qualificazione ai quarti di Europa League. Sputando sangue invece la Roma &egrave; passata sul campo del Vitesse Arnhem, con Mourinho che ha cercato di scuotere la squadra con tre sostituzioni punitive nell'intervallo (e si &egrave; trattenuto dal cambiare in quel momento anche Zaniolo, per non creare casi) ma alla fine ha portato a casa giusto il risultato. Non &egrave; poco, perch&eacute; questa Conference League la Roma la pu&ograve; anche vincere, ma i discorsi sul progetto sono sempre allo stadio dei discorsi.       

I processi al Paris Sant-Germain, la scoperta di Ancelotti e la rinascita di Muriel.&nbsp;

La scelta di Donnarumma

        Non c&rsquo;era bisogno di arrivare al 9 marzo 2022 per scoprire il feeling fra Carlo Ancelotti e la Champions League, ma certo la partita vinta contro il PSG &egrave; di quelle che rimarranno nella memoria anche di chi &egrave; abituato a vincere, come Ancelotti e a maggior ragione il Real Madrid. Prima di tutto perch&eacute; &egrave; arrivata contro il grande rivale politico sportivo, quel PSG che si era sfilato dal progetto Superlega di Perez e Agnelli, per poi diventare il principale sponsor di Ceferin oltre che improbabile riferimento di un calcio basato sul diritto sportivo e non sui soldi: la squadra che paga gli stipendi di Mbpp&eacute;, Neymar, Messi&hellip; Questo 3-1 con qualificazione sar&agrave; ricordato anche perch&eacute; nella sostanza immeritato, dopo che il Real era stato preso a pallate a Parigi, resistendo all&rsquo;italiana, e a Madrid era stato inferiore agli avversari (con un grandissimo Verratti) per un&rsquo;ora, prima che l&rsquo;errore di Donnarumma sul pressing regalasse a Benzema il primo dei suoi tre memorabili gol. Il pi&ugrave; bello &egrave; stato ovviamente il secondo, con azione ed assist leggendari di Modric, ma anche il terzo &egrave; stato da super-centravanti, non da uno che fino ai suoi 31 anni, cio&egrave; fino alla partenza di Cristiano Ronaldo per la Juventus, era considerato e forse anche si considerava un gregario di lusso. Di sicuro il pubblico del Real Madrid &egrave; impazzito come in poche altre occasioni &egrave; accaduto, ed era un ottavo di finale. L&rsquo;Italia vestir&agrave; Adidas a partire dal 2023, cio&egrave; dopo la scadenza dell&rsquo;attuale contratto in essere con la Puma. Non &egrave; soltanto una questione di soldi, anche se &egrave; evidente che l&rsquo;azienda tedesca ha offerto di pi&ugrave;, ma anche di status: nazionali Adidas sono la Germania, l&rsquo;Argentina, la Spagna, il Belgio. Nazionali Nike sono invece Brasile, Inghilterra, Olanda e Francia, limitando il discorso alle squadre che dal punto di vista politico e sportivo possono vincere un Mondiale. Ma la squadra Adidas per eccellenza &egrave; la FIFA, di cui l&rsquo;azienda &egrave; sponsor da oltre mezzo secolo, senza contare l&rsquo;importanza che ebbe Horst Dassler (il figlio del fondatore Adolf) nella struttura della FIFA come la conosciamo oggi, nel bene e nel male. Una dietrologia accademica, visto che gli azzurri giocheranno il Mondiale in Qatar nella scuderia della &lsquo;cugina&rsquo; (fu fondata dal fratello di Adolf Dassler, Rudolf) Puma, ovviamente se si qualificheranno. Ma per il futuro una buona mossa. Interessante &egrave; comunque la storia dello sponsor tecnico della Nazionale, argomento di cui si parla dal Mondiale 1974, quando lo sponsor era&hellip; l&rsquo;Adidas. Per&ograve; senza logo, se non sui calzettoni, e visti gli usi dell&rsquo;epoca anche senza soldi versati alla FIGC. Con la federazione contenta di ricevere gratis l&rsquo;abbigliamento di gioco. Decisamente altri tempi&hellip;&nbsp; Il rapporto con l&rsquo;Adidas prosegu&igrave; nel 1978, mentre al Mondiale 1982 l&rsquo;Italia di Bearzot utilizzava materiale di le Coq Sportif, azienda che era controllata dall&rsquo;Adidas e che fu alla base di uno scandalo per pagamenti in nero agli azzurri. Poi Diadora, Nike, Kappa e dal 2003 appunto la Puma, con il cui logo la squadra di Lippi conquist&ograve; nel 2006 il quarto Mondiale azzurro, oltre ovviamente all&rsquo;Europeo dell&rsquo;anno scorso con Mancini in panchina. Quando si gioca Bologna-Inter? Nessuno sa bene quando potremo finirla di citare la classifica della Serie A con l&rsquo;asterisco di questa partita da recuperare, si possono fare soltanto congetture basate sulla solerzia dei magistrati sportivi. Non essendo il Bologna in corsa per niente, &egrave; un problema che appassiona chi sta lottando per lo scudetto: Milan, Napoli e la stessa Inter, dove magari qualcuno d&agrave; per scontati 3 punti che scontati non sono, visto che il campionato &egrave; pieno di squadre medie senza obbiettivi e dalla grinta variabile. L&rsquo;Inter ha tempo ancora due settimane per presentare il ricorso contro l&rsquo;Appello che ha dato ragione al Bologna (in sostanza: la partita va rigiocata, il Bologna non scese in campo per motivi di forza maggiore), poi non ci sono certezze sui tempi della sentenza del Collegio di garanzia del CONI. Ma anche ipotizzando grande velocit&agrave; la prima data utile sarebbe quella del 27 o 28 aprile, fra la domenica teorica di Inter-Roma e quella altrettanto teorica di Udinese-Inter, quindi con quattro giornate ancora da giocare. Tutti discorsi che scomparirebbero, con playoff giocati faccia a faccia.       

L'impresa del Real Madrid, l'Italia dell'Adidas e la data di Bologna-Inter...

La coppa di Ancelotti e Benzema

L&rsquo;Inter ha salutato la Champions League con una eccellente partita a Liverpool, vincendo 1-0 e con il sogno dell&rsquo;impresa, con mezz&#39;ora ancora da giocare, stroncato dall&rsquo;espulsione che Alexis Sanchez si &egrave; quasi andato a cercare, in entrambe le situazioni da cartellino giallo. Espulsione decisiva almeno quanto quella di Barella con il Real Madrid, viste le situazioni. Comunque un&rsquo;iniezione di autostima per il finale di campionato, al di l&agrave; degli infortuni (De Vrij e Brozovic da valutare) che magari condizioneranno la gi&agrave; decisiva partita di domenica sera con il Torino.  Il gap tra Inter e Liverpool  Questo non significa che Inter e Liverpool siano vicine come valori: la squadra di Inzaghi ha giocato al 100% delle sue possibilit&agrave; attuali, quella di Klopp al 70 senza metterci a contare i pali, le occasioni e anche la tranquilla gestione delle due partite. Diverse sono le cilindrate, cio&egrave; il livello medio dei singoli, pi&ugrave; di quello del gioco. Dando per scontati i soliti discorsi sulla Premier League e la Serie A, nel caso dell&rsquo;Inter bisogna parlare di una squadra che da campione d&rsquo;Italia si &egrave; trovata letteralmente costretta a vendere i suoi due migliori, cio&egrave; Lukaku e Hakimi, cio&egrave; i due principali schemi di Conte.  Nel finale di partita i tre centrocampisti neroazzurri erano Vecino, Vidal e Gagliardini, l&rsquo;unica punta un Correa alla ricerca della forma. Imbarazzante il confronto con il parco attaccanti, fra titolari e panchinari, a a dispozione di Klopp: Salah, Diogo Jota, Man&eacute;, Luis Diaz, senza contare Firmino infortunato. Poi se c&rsquo;era differenza undici contro undici, figurarsi in dieci contro undici. Magari un altro tipo di allenatore avrebbe ribaltato la squadra, buttando in campo anche Dzeko stanco e Caicedo ai mimimi termini, ma il confronto con i predecessori dice che Simone Inzaghi in Europa se l&rsquo;&egrave; giocata meglio. Da ricordare che lui il girone l&rsquo;aveva passato anche con la Lazio, l&rsquo;anno scorso, prima di essere eliminato dal Bayern Monaco negli ottavi. Cosa si pu&ograve; dire ad un allenatore che in una situazione difficile ha sfiorato l&#39;impresa contro una delle migliori squadre del mondo?  L&#39;Inter in campionato  La domanda a questo punto &egrave; una sola, cio&egrave; quanto influir&agrave; questa eliminazione sulla corsa scudetto. Al Milan l&rsquo;uscita dall&rsquo;Europa ha fatto bene, al Napoli cos&igrave; cos&igrave;, tutti ragionamenti con il senno di poi. Con quello di prima bisogna dire che nessuno pu&ograve; fare il salto di qualit&agrave; in Champions League dovendo trarre dal calciomercato plusvalenze reali. E questo per l&rsquo;Inter 2022-23, e non solo per l&#39;Inter, si pu&ograve; gi&agrave; dire adesso. 

La squadra di Simone Inzaghi ha sfiorato l&#39;impresa contro quella di Klopp, nonostante il livello medio dei singoli molto diverso...

La cilindrata di Inter e Liverpool

        &Egrave; la notte di mercoled&igrave; 7 marzo 2007, quando all&rsquo;Allianz Arena di Monaco si presenta il Real Madrid. In palio c&rsquo;&egrave; il passaggio ai quarti di finale della Champions League 2006-07. L&rsquo;andata &egrave; terminata 3-2 per le Merengues, grazie alla doppietta di Raul e al sigillo di Van Nistelrooy, reti mitigate dai gol di Lucio e Van Bommel, che hanno tenuto in corsa il Bayern Monaco.&nbsp; I gol pi&ugrave; veloci di sempre in Champions League Per passare il turno i bavaresi devono solo vincere: la partita si mette in discesa dopo soli 10 secondi e 12 centesimi di gioco. &Egrave; questo il tempo che Roy Makaay impiega per segnare il gol del vantaggio tedesco. La realizzazione lampo entra di diritto nella storia: &egrave; il gol pi&ugrave; veloce di sempre in Champions League. La rete dell&rsquo;olandese relega sul terzo gradino del podio di questa speciale classifica il nostro Alessandro Del Piero, che aveva impiegato appena 20 secondi e 12 centesimi per bucare Schmeichel a Old Trafford contro il Manchester United, nella seconda gara del girone dell&rsquo;edizione 1997-98. Pinturicchio verr&agrave; poi superato da Gilberto Silva, che sapr&agrave; anticiparlo di soli 5 centesimi, punendo il Psv in un match della fase a gironi 2002-03. Pintucchio uscir&agrave; dal podio nel 2011, quando Jonas del Valencia segner&agrave; al Leverkusen dopo soli 10,96 secondi, stabilendo cos&igrave; il terzetto a oggi definitivo: Makaay (10.12&rsquo;&rsquo;), Jonas (10.96&rsquo;&rsquo;), Gilberto Silva (20.07&rsquo;&rsquo;). L&rsquo;azione del gol di Makaay contro il Real Madrid L&rsquo;illogico nel gol lampo di Makaay al Real Madrid sta nel fatto che siano le stesse Merengues a battere il calcio d&rsquo;inizio. Dopo il fischio dell&rsquo;arbitro Michel la palla viene toccata indietro e allargata subito sulla sinistra per Roberto Carlos. Il terzino sbaglia il controllo e si fa prendere d&rsquo;infilata da Salihamidzic: due tocchi e servizio al centro verso Makaay che sta attaccando la profondit&agrave; in mezzo alle maglie bianche. All&rsquo;olandese arriva un pallone perfetto che, di prima intenzione, indirizza verso il secondo palo bucando Casillas. L&rsquo;Allianz Arena esplode di gioia, mentre Capello in panchina quasi non ci crede. L&rsquo;eliminazione del Real nell&rsquo;anno del Milan L&rsquo;avvincente confronto tra Bayern e Real si decider&agrave; nella ripresa, con il futuro interista Lucio a segnare il 2-0 su azione d&rsquo;angolo e Ruud van Nistelrooy ad accorciare su penalty a pochi minuti dal termine. Il rigore dell&rsquo;olandese non baster&agrave; ai Blancos: il 4 pari maturato tra andata e ritorno qualifica i bavaresi grazie alla regola dei gol in trasferta. Ai quarti di finale sar&agrave; il Milan di Ancelotti a vendicare Don Fabio, eliminando il Bayern nel cammino verso il trionfo che arriver&agrave; ad Atene. &nbsp;       

Il 7 marzo 2007 l&rsquo;olandese del Bayern Monaco segn&ograve; dopo soli 10 secondi e 12 centesimi nella sfida degli ottavi contro le Merengues stabilendo un nuovo record

Makaay e quel gol al Real, il più veloce di sempre in Champions League

        Dusan Vlahovic &egrave; arrivato alla Juventus troppo tardi per cambiare il suo campionato ma non troppo tardi per renderla competitiva in Champions. Sul campo del Villarreal da due palloni giocabili il serbo ha tirato fuori un gol ed un pericolo per la porta di Rulli. Se non guardassimo i colori delle maglie ed i rispettivi budget dovremmo dire che la Juventus ha giocato una buona partita, rischiando poco, e che al ritorno partir&agrave; favorita. Ma andando al di l&agrave; del risultato, generato anche dalla distrazione di Rabiot e De Ligt che ha lasciato libero Parejo per il pareggio, bisogna dire che la squadra di Allegri sembra sempre sotto il suo potenziale. Poco coraggiosa, anche nelle serate positive, quasi ad accontentarsi. In prospettiva non &egrave; un male, perch&eacute; recuperando Chiellini, Dybala e magari Bernardeschi questa Juventus pu&ograve; crescere molto, ma nel presente non si pu&ograve; dire che Allegri stia dando chiss&agrave; quale valore aggiunto rispetto a Pirlo o a Sarri. Vlahovic aveva pi&ugrave; occasioni da gol nella Fiorentina.&nbsp; Handanovic, Ospina, Maignan: ricordiamoci di questi nomi. L&rsquo;ultima folle giornata di campionato offre il pretesto per riflettere sui portieri della Serie A, dei quali assurdamente si parla soltanto dopo un errore o una piccola serie di errori. Sembra quasi che Handanovic, Ospina e Maignan abbiano iniziato a giocare ieri&hellip; &Egrave; chiaro che un portiere non pu&ograve; essere giudicato dal numero di gol subiti, perch&eacute; chi gioca nella Salernitana sarebbe penalizzato rispetto a chi gioca nell&rsquo;Inter, ma nemmeno per il numero assoluto di parate perch&eacute; in questo caso sarebbero penalizzati i portieri aiutati da difese pi&ugrave; forti. Dopo 26 giornate o gi&ugrave; di l&igrave; una statistica interessante &egrave; quindi la percentuale di parate rispetto ai tiri in porta subiti. Ebbene, in questa classifica di rendimento grezza (non tutti i gol e le parate hanno la stessa importanza) il miglior portiere della Serie A 2021-22 risulta Handanovic con il 78,8% di parate rispetto ai tiri nello specchio della porta, di poco davanti ad Ospina (77,9) e Maignan (76,%). Poi Provedel, Szczesny, Romero, eccetera, con la conferma statistica che Musso ha fatto perdere qualcosa all&rsquo;Atalanta e che la cultura degli highlights non rende i giusti meriti ai portieri delle squadre migliori. Che di solito, poprio perch&eacute; di solito possono scegliere, hanno i migliori. Handanovic, Ospina, Maignan. Le due giornate di squalifica a Jos&eacute; Mourinho per parole e gesti verso Pairetto durante Roma-Verona fanno parte del pacchetto Mourinho: ci ricordiamo bene di quando a inizio stagione in tanti criticavano il Mourinho ammorbidito e condiviso.... Lui &egrave; alla Roma per scuotere e cambiare prospettiva ad un ambiente, come fu a suo tempo (ma con altri giocatori di partenza, di Totti in gi&ugrave;) per Fabio Capello, come &egrave; stato per Conte dalla Juventus 2011 in avanti, poi &egrave; chiaro che nel 2022 ci sono decine di allenatori che fanno giocare le squadre meglio di lui. Ci stanno di meno le due giornate al preparatore dei portieri, quella al preparatore atletico e la squalifica a Tiago Pinto, che non hanno la stessa funzione del frontman, ma sono comunque dettagli rispetto ad una stagione che sta assurdamente scivolando via perch&eacute; nonostante tutto la Roma ha ancora l&rsquo;Europa League nel mirino e, a dirla tutta, la Champions a 6 punti di distanza con 12 partite ancora da giocare: magari citando la Juventus di fronte all&rsquo;arbitro Mourinho pensava al 2022 e non a Calciopoli, visto che poi in quel periodo allenava il Chelsea. Mourinho non &egrave; ancora un personaggio del passato, considerando il pacchetto completo.&nbsp;       

Il valore aggiunto di Allegri, i portieri nel mirino e il pacchetto Mourinho.&nbsp;

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