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In giorni di intensa e instancabile Ghiblification, in cui tutti o quasi si sono cimentati grazie all'Ai nella trasformazione di una o più fotografie nello stile di Miyazaki, i siti sportivi hanno rilanciato con insolita frequenza la rivisitazione una delle foto più celebri del nostro calcio, quella scattata da Stefano Rellandini durante il “derby della vergogna” del 12 aprile 2005. L'avrete vista tutti: Rui Costa e Materazzi sono ritratti di spalle, il primo con le braccia conserte, l'interista con il gomito appoggiato sulla spalla del dieci portoghese, e davanti a loro una coltre di fumogeni rossastra vela completamente le tribune. Ma cosa è successo prima che si creasse quella scena perfetta, durata sì e no una manciata di secondi?
Inter e Milan si avvicinano al derby di andata dei quarti di finale di Champions League del 6 aprile con i classici “sentimenti contrapposti”. I rossoneri sono in testa al campionato e i cugini inseguono al terzo posto, ma a meno sedici e con poche o nulle speranze di rientrare in corsa, visto che davanti c'è anche la Juventus.
Sono passate appena due stagioni dall'euroderby in semifinale che con due pareggi spalancò le porte alla sesta Champions del Milan a Manchester contro la Juventus. L'Inter sogna la rivincita, ma ultimamente tra le due squadre non c'è quasi partita.
Nei suoi primi cinque anni di presidenza il derby è stato per Massimo Moratti un porto sicuro in cui la sconfitta non faceva mai capolino, ma dallo 0-6 dell'11 maggio 2001 è cambiato tutto e la stracittadina è diventata un tormento: “Ottimista non posso esserlo” spiega il presidente ai giornali dopo l'ennesima debacle.
In “casa” del Milan, l'Inter ha attaccato con veemenza per tutto il primo tempo, sfiorando il gol con Mihajlovic, Veron e Cruz, ma su una punizione pennellata da Andrea Pirlo a pochi secondi dal 46esimo, Stam ha trovato di testa la deviazione dell'1-0. Mancini, che lo aveva alla Lazio, gli aveva consigliato di passare all'Inter in estate, ma il centralone olandese non ha dubbi: “Fortuna che non l'ho ascoltato”.
San Siro è una bolgia, l'Inter della ripresa meno aggressiva, così a poco più di un quarto d'ora dal termine un Milan in controllo passa di nuovo. Ancora Pirlo da calcio piazzato e di nuovo un colpo di testa a centro area, stavolta del bomber ucraino Shevchenko. È il diciassettesimo gol subito dall'Inter in stagione su palla inattiva, andrebbe aggiustato qualcosa nei meccanismi difensivi.
Il ritorno, dopo appena sei giorni, appare ai più una mera formalità e in un periodo in cui Berlusconi soffre per una disfatta elettorale, il suo Milan si esalta.
Nei tre derby stagionali l'Inter non ha mai segnato ai rossoneri, così pensare a un 3-0 sembra un'utopia. Appena due mesi dopo a Istanbul, tuttavia, il Liverpool dimostrerà che anche lo squadrone di Ancelotti può subire pericolosissimi cali di tensione. Quel 3-0 diventato 3-3 in finale segnerà l'onta più dolorosa della storia milanista, la coda del derby di ritorno del 12 aprile una pagina nera dell'interismo.
Sarà la cinquantesima stracittadina giocata in carriera da Paolo Maldini, ma a trentasette anni compiuti il capitano milanista la definisce solo “una sfida come tante”, perché ormai le uniche sfide in cui le due squadre si giocano davvero qualcosa sono quelle di Champions League: “Già ero fiducioso prima, figurarsi dopo il 2-0...”.
La curva Sud milanista canta ai rivali in segno di sberleffo “interista diventi pazzo son vent'anni che non vinci un c...”, poiché in quell'universo tre Coppe Uefa non hanno rilevanza, e quando i rossoneri passano di nuovo in vantaggio il resto della gara si trasforma in una lunga agonia nerazzurra.
L'Imperatore Adriano all'andata era in tribuna per un infortunio, ma pure se non è al top della condizione Mancini è certo che “Con tre tiri in porta ti può cambiare una partita”. Ma toccherà ancora una volta a Shevchenko: alla mezz'ora ha il pallone sul sinistro al limite dell'area, con la difesa interista che rincula e troppo tempo per calciare, e trova una bordata a giro che si infila all'angolino destro. È il gol che cancella ogni speranza di rimonta.
L'Inter si butta in avanti con la forza della disperazione ma gli ultras hanno già deciso: questa partita non s'ha da fare. Prima del match era girata voce che qualcosa di grosso sarebbe potuto succedere se la squadra di Mancini non fosse riuscita a raddrizzare il risultato, ma in pochi vi danno credito. Tra questi il questore, che non impone ai cancelli un controllo più stringente a ciò che i tifosi portano all'interno dello stadio.
L'Inter le prova tutte per superare la diga rossonera, con un Nelson Dida in versione superlativa, ma il gol arriva solo a venti minuti dal termine su azione d'angolo. L'argentino Cambiasso svetta su cross di Mihajlovic, ma l'arbitro annulla per una carica di Cruz sul portierone brasiliano e la curva Nord sbrocca. Una follia premeditata, ma comunque inconsulta.
Comincia un interminabile lancio in campo di bottiglie, ombrelli e fumogeni e uno di essi colpisce alla spalla il numero uno milanista, che si accascia a terra. Il fumo si alza dal terreno di gioco a fitte volute e gli ultras nerazzurri desiderano solo che la partita venga interrotta, al grido di “tutti a casa olè”. Le due squadre si rintanano nella metà campo opposta ed è in quel frangente che Rellandini coglie l'occasione della fotografia della vita.
L'arbitro Merk, vista l'impossibilità a riprendere la gara e l'infortunio di Dida, fischia la fine anticipata. Per il Milan sarà semifinale, porta d'accesso all'incubo turco. Per l'Inter un'onta che solo il Triplete mourinhano di cinque anni dopo riuscirà a lavare.
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