La notte quando il mondo conobbe Mourinho

La notte quando il mondo conobbe Mourinho

Il Porto trionfa in una Champions League piena di sorprese: il nome del tecnico portoghese si impone come uno dei più interessanti, sta per iniziare una nuova era 

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Nessuno avrebbe potuto immaginare che il 26 maggio del 2004, a battezzare l’Arena Auf Schalke di Gelsenkirchen quale nuova location per una finale di Champions League, ci sarebbero state Porto e Monaco.

Non solo una finale inedita, ma l’intera edizione di quella Coppa fu del tutto anomala: già ai preliminari uscirono squadre quotate come Borussia Dortmund e Newcastle, ma anche la fase a gironi non fu da meno, con l’eliminazione eccellente di Inter, Lazio e Ajax, approdata ai quarti di finale appena otto mesi prima, nella stagione precedente. Allora i Lancieri vennero sconfitti a tempo scaduto dal Milan, poi trionfatore in quella storica edizione, che per la prima volta ha visto ben tre italiane in semifinale. Proprio i rossoneri di Ancelotti, campioni in carica, apparivano ai più come i favoriti per la riconquista del trofeo edizione 2003-04.

I gironi imprevedibili

 

Nella realtà dei fatti, però, la fase a eliminazione diretta (al pari di quelle precedenti), sparigliò ogni pronostico e si rivelò una delle più imprevedibili di sempre: Manchester Utd e Juventus salutarono subito agli ottavi, mentre, un’altra favorita, il Bayern, cadeva di fronte al Real Madrid. La perdita di certezze e tradizione, poi, proseguì ancor più clamorosa nei quarti di finale, quando il Real subiva la rimonta e la conseguente eliminazione da parte dei francesi del Monaco nella gara di ritorno e il Milan, superfavorito, incappava in una delle notti più tristi della sua storia, affondando di fronte al Deportivo La Coruña nel retour-match in terra spagnola, dopo un 4-0, tanto perentorio quanto impronosticabile, visto il 4-1 a suo favore dell’andata.

Ecco che si aprivano così le porte del sogno per le due fantastiche outsider.

 

Il percorso di Porto e Monaco

 

 

Nella parte alta del tabellone, il Porto avrebbe fronteggiato proprio il Depor, dopo un cammino fin qui esaltante: superato il girone col Real, dopo qualche iniziale sbandamento, la formazione lusitana aveva cominciato a carburare alla perfezione, mettendo clamorosamente ko il Manchester Utd negli ottavi, con un gol allo scadere di Costinha a Old Trafford, decisivo per il passaggio del turno. Non paga, poi, si era sbarazzata della sorpresa Lione nei quarti, sfruttando alla perfezione la vittoria nella partita casalinga. I Dragoes, sotto la sapiente regia di Deco e forti soprattutto per una difesa arcigna, assicurata dallo stopper Ricardo Carvalho e dall’esperto portiere Vitor Baia, erano magistralmente condotti in panchina dal tecnico emergente José Mourinho, capace di riportarli alla vittoria del titolo portoghese, della coppa nazionale e soprattutto della Coppa UEFA, nella stagione precedente.

Forse ancor più esaltante la cavalcata dell’altra rivelazione di quel torneo, il Monaco, guidato da Didier Deschamps. Costruito con giocatori scartati da più blasonate realtà (su tutti Morientes, diventato poi capocannoniere di quell’edizione di coppa), sapientemente miscelati con uomini di sicuro affidamento e prospettiva come Giuly, Evra e il bomber croato Prso, il club monegasco era riuscito a imporsi nel girone su Depor e PSV Eindhoven (nella memoria soprattutto il pirotecnico 8-3 agli spagnoli, condito da un poker di Prso) e negli ottavi a rimontare in casa al ritorno sulla Lokomotiv Mosca. Nei quarti di finale, ecco l’impresa col Real: dopo aver perduto all’andata 4-2 a Madrid, al ritorno nel Principato nemmeno il vantaggio degli ospiti con Raul riusciva ad abbattere i monegaschi, capaci di segnare tre reti e ribaltare le sorti del match e di approdare alla semifinale. Ad attenderli ora il quotato Chelsea di Claudio Ranieri, alla prima loro Champions dopo l’arrivo del magnate russo Roman Abramovich. Mentre i francesi confermavano la legge del Louis II ipotecando la finale con un netto 3-1, poi splendidamente difeso col 2-2 di Londra, nell’altra semifinale Mourinho riusciva a incartare il favorito (dopo la mattanza fatta del Milan) Deportivo, andando a vincere il ritorno in terra iberica grazie a un rigore di Derlei.

 

 

 

Finalissima per Mourinho

 

La finale si preannunciava, sulla carta, quantomai incerta. Ma solo su questa. Fin da inizio gara, infatti, la sensazione fu che il calcio arioso e aggressivo del Monaco avesse trovato nel Porto di Mourinho, quadrato e coperto, il peggior avversario possibile: la sorte poi ci mise lo zampino, dapprima mettendo fuori combattimento per infortunio l’asso biancorosso d’attacco Giuly, poi recapitando al 39’ sul destro di Carlos Alberto un pallone lanciato in aria e preda di un paio di rimpalli. La zampata nel sette dell’attaccante brasiliano si rivelò imprendibile per il portiere Roma, condannando il Monaco a un canovaccio tattico ancora più sfavorevole e complicato per cercare la rimonta. E infatti furono due ripartenze dei lusitani, nella ripresa, a chiudere il conto.

Superata da poco la metà della seconda frazione, Deco duetta con Alenichev e poi finalizza spiazzando Roma; in seguito, lo stesso Alenichev si mette in luce, fulminando in rete un assist in profondità, appena sporcato e aggiustato dalla deviazione di Squillaci.

Un risultato rotondo in una partita non spettacolare, ma gestita magistralmente dai vincitori, che incorona nuovamente il Porto campione d’Europa 17 anni dopo il tacco di Madjer contro il Bayern.

Una vittoria ancor più storica della precedente, anche perché quel trionfo resta, ancor oggi, l’ultima vittoria di una outsider nella massima competizione europea, ormai cannibalizzata dai top team.

 

 

 

 

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