Crescendo nel nord-est italiano, in particolar modo in Veneto e nel vicentino, &egrave; scontato conoscere almeno un Baggio nel corso della propria vita. Meno scontato &egrave; vederne due insieme contemporaneamente con la maglia della Nazionale, e ancora meno leggerli come marcatori sul tabellino di una partita del Mondiale. Eppure &egrave; successo il 9 luglio del 1994, durante il quarto di finale Italia-Spagna. I due Baggio sono ovviamente il Divin Codino, croce e delizia del Mondiale a stelle strisce che prima ci trascin&ograve;, unico faro nell&rsquo;autoreferenziale buio di Arrigo Sacchi, per poi fallire il celebre rigore, e Dino, egregio gregario e incontrista della mediana, uno dei centrocampisti pi&ugrave; forti della sua generazione. <o:p></o:p> <h2>Il match e la doppia firma dei Baggio<o:p></o:p></h2> &Eacute; stato proprio Dino, dopo pi&ugrave; di venti minuti di continui cambi di fronte, a siglare la rete del vantaggio. Il ragazzo di Camposampiero, presa palla poco fuori dall&rsquo;area di rigore, lascia partire una staffilata di collo pieno che si infila a mezza altezza a fil di palo non lasciando scampo a Zubizarreta. &Eacute;&nbsp;un gol fantastico, ma soprattutto importante, visto che spezza gli equilibri indirizzando l&rsquo;inerzia del match dalla parte degli azzurri. Il resto del primo tempo si trascina verso il termine con gli spagnoli che tengono palla e i ragazzi di Sacchi che tentano veloci verticalizzazioni per Roberto Baggio, costante spina nel fianco degli iberici. Nella seconda frazione il pressing delle Furie Rosse si fa pi&ugrave; alto, i nostri perdono campo e arriva l&rsquo;inevitabile pareggio su un tiro deviato di Caminero.&nbsp;A salvare le sorti del confusionario reparto offensivo azzurro ci pensa neanche a dirlo, il solito Divin Codino che, a 3 minuti dal 90&rsquo;, scarta l&rsquo;estremo difensore spagnolo e fa 2-1.<o:p></o:p> <h2>La prima volta della prova tv<o:p></o:p></h2> L&rsquo;Italia intera esplode, i ragazzi in maglia azzurra dall&rsquo;altra parte dell&rsquo;oceano sono a pochi minuti dalla semifinale, ma la partita ha ancora qualcosa da dire. La quaterna arbitrale concede sei minuti di recupero e gli spagnoli si gettano in avanti. A poco pi&ugrave; di sessanta secondi dal termine, su una palla tesa da destra, Tassotti vede accorrere Luis Enrique di gran carriera e, per non correre rischi, lo colpisce con una gomitata sul setto nasale. Ko tecnico. Il fantasista spagnolo &egrave; una maschera di sangue, in diretta l&rsquo;arbitro non vede nulla, finisce 2-1 con l&rsquo;Italia in semifinale. La stangata per Tassotti arriver&agrave; dalla prova tv, usata per la prima volta nella storia, che lo squalificher&agrave; per 8 turni, mettendo la parola fine sul suo Mondiale e, pi&ugrave; in generale, sulla sua avventura in azzurro.<o:p></o:p>

        Crescendo nel nord-est italiano, in particolar modo in Veneto e nel vicentino, &egrave; scontato conoscere almeno un Baggio nel corso della propria vita. Meno scontato &egrave; vederne due insieme contemporaneamente con la maglia della Nazionale, e ancora meno leggerli come marcatori sul tabellino di una partita del Mondiale. Eppure &egrave; successo il 9 luglio del 1994, durante il quarto di finale Italia-Spagna. I due Baggio sono ovviamente il Divin Codino, croce e delizia del Mondiale a stelle strisce che prima ci trascin&ograve;, unico faro nell&rsquo;autoreferenziale buio di Arrigo Sacchi, per poi fallire il celebre rigore, e Dino, egregio gregario e incontrista della mediana, uno dei centrocampisti pi&ugrave; forti della sua generazione.  Il match e la doppia firma dei Baggio  &Eacute; stato proprio Dino, dopo pi&ugrave; di venti minuti di continui cambi di fronte, a siglare la rete del vantaggio. Il ragazzo di Camposampiero, presa palla poco fuori dall&rsquo;area di rigore, lascia partire una staffilata di collo pieno che si infila a mezza altezza a fil di palo non lasciando scampo a Zubizarreta. &Eacute;&nbsp;un gol fantastico, ma soprattutto importante, visto che spezza gli equilibri indirizzando l&rsquo;inerzia del match dalla parte degli azzurri. Il resto del primo tempo si trascina verso il termine con gli spagnoli che tengono palla e i ragazzi di Sacchi che tentano veloci verticalizzazioni per Roberto Baggio, costante spina nel fianco degli iberici. Nella seconda frazione il pressing delle Furie Rosse si fa pi&ugrave; alto, i nostri perdono campo e arriva l&rsquo;inevitabile pareggio su un tiro deviato di Caminero.&nbsp;A salvare le sorti del confusionario reparto offensivo azzurro ci pensa neanche a dirlo, il solito Divin Codino che, a 3 minuti dal 90&rsquo;, scarta l&rsquo;estremo difensore spagnolo e fa 2-1. La prima volta della prova tv  L&rsquo;Italia intera esplode, i ragazzi in maglia azzurra dall&rsquo;altra parte dell&rsquo;oceano sono a pochi minuti dalla semifinale, ma la partita ha ancora qualcosa da dire. La quaterna arbitrale concede sei minuti di recupero e gli spagnoli si gettano in avanti. A poco pi&ugrave; di sessanta secondi dal termine, su una palla tesa da destra, Tassotti vede accorrere Luis Enrique di gran carriera e, per non correre rischi, lo colpisce con una gomitata sul setto nasale. Ko tecnico. Il fantasista spagnolo &egrave; una maschera di sangue, in diretta l&rsquo;arbitro non vede nulla, finisce 2-1 con l&rsquo;Italia in semifinale. La stangata per Tassotti arriver&agrave; dalla prova tv, usata per la prima volta nella storia, che lo squalificher&agrave; per 8 turni, mettendo la parola fine sul suo Mondiale e, pi&ugrave; in generale, sulla sua avventura in azzurro.       

In vista della semifinale di Nations League contro gli iberici, il precedente del Mondiale americano in cui Tassotti colp&igrave; l&rsquo;attuale Ct delle Furie Rosse

Italia-Spagna: Usa ‘94, i Baggio e la gomitata a Luis Enrique

A quasi due mesi di distanza i ragazzi dell&rsquo;impresa di Wembley tornano a vestire la maglia azzurra. Lo fanno all&rsquo;Artemio Franchi di Firenze nel quarto turno delle qualificazioni mondiali contro la Bulgaria. Tutto questo non pu&ograve; che far tornare alla memoria al pallonaro popolo italico dolci ricordi che risalgono al 1994, quando contro i leoni dei Balcani ci giocammo nientemeno che una semifinale del mondiale americano. <h2>Il 1994 e il cammino mondiale</h2> Il nostro martoriato Paese nell&rsquo;estate del 1994 usciva da due degli anni pi&ugrave; burrascosi mai vissuti almeno dai tempi del dopoguerra. Mani Pulite aveva appena spazzato via quella che ancora oggi viene ricordata dagli storiografi come Prima Repubblica, la fiducia nel Parlamento e nelle istituzioni ha raggiunto i minimi storici e Berlusconi, per contrastare quei sondaggi che danno praticamente certa la vittoria della coalizione di centrosinistra, scende in campo in prima persona con un programma liberale, vincendo nelle elezioni di fine marzo. Ma agli occhi degli italiani si sa, per quanto importanti, la totalit&agrave; degli accadimenti politici cade pressoch&eacute; nell&rsquo;insignificanza di fronte a tre parole: Campionato del Mondo.&nbsp; Il torneo per la Nazionale guidata da Arrigo Sacchi inizia subito in salita. Complici probabilmente anche le temperature proibitive in cui si giocano spesso le partite del mondiale USA, gli azzurri faticano ad assimilare il dispendioso gioco del tecnico di Fusignano, perdendo il match d&rsquo;esordio per 1-0 contro l&rsquo;Irlanda. Nelle successive due gare l&rsquo;Italia sconfigge la Norvegia e pareggia con il Messico, legando il passaggio del turno ad un complicato incastro di differenza reti. Alla fine viene ripescata come miglior terza grazie alla goleada della Russia sul Camerun, ma le polemiche e le critiche travolgono Sacchi, reo di aver quasi perso il treno degli ottavi in un girone tutto sommato non proibitivo. Anche il turno successivo &egrave; un&rsquo;autentica agonia: gli azzurri acciuffano il pareggio in extremis dopo essere stati sotto per quasi tutto il match contro una modestissima Nigeria, prima di vincere per 2-1 nei supplementari. Con lo stesso risultato, anche se maturato nei 90 minuti, la Nazionale supera la Spagna ai quarti, grazie al gol del solito Roberto Baggio a tre minuti dal termine. <h2>Italia-Bulgaria, la vittoria di Baggio e di Pirro</h2> In semifinale ad attendere gli azzurri di Sacchi c&rsquo;&egrave; la Bulgaria, una formazione solida trascinata da una generazione di fenomeni guidati da Hristo Stoickov. La nazionale italiana, a differenza di tutte le uscite precedenti, inizia bene la gara e dopo 25 minuti &egrave; sopra di due gol grazie alle reti del solito, magnifico Divin Codino. Quasi allo scadere della prima frazione Pagliuca atterra Sirakov in area concedendo ai bulgari un tiro dal dischetto, prontamente trasformato in gol da Stoickov.&nbsp; Nella ripresa l&rsquo;11 di Sacchi si difende con diligenza e riesce a portare a casa il passaggio del turno. Nonostante l&rsquo;euforia collettiva per&ograve;, la vittoria sui bulgari si riveler&agrave; la pi&ugrave; classica delle vittorie di Pirro. Durante la seconda frazione infatti usciranno per infortunio sia Dino che Roberto Baggio, con quest&rsquo;ultimo che aveva fino ad allora rappresentato forse l&rsquo;unico spiraglio di luce nel buio della trequarti azzurra. Costacurta viene ammonito, vedendosi cos&igrave; costretto a saltare la finale, e aggiungendosi alla lista degli indisponibili. Al netto delle numerose defezioni,&nbsp; con&nbsp; Roberto Baggio e Franco Baresi a mezzo servizio, l&rsquo;Italia non riuscir&agrave; a superare il Brasile nella compianta finale di Pasadena.

        A quasi due mesi di distanza i ragazzi dell&rsquo;impresa di Wembley tornano a vestire la maglia azzurra. Lo fanno all&rsquo;Artemio Franchi di Firenze nel quarto turno delle qualificazioni mondiali contro la Bulgaria. Tutto questo non pu&ograve; che far tornare alla memoria al pallonaro popolo italico dolci ricordi che risalgono al 1994, quando contro i leoni dei Balcani ci giocammo nientemeno che una semifinale del mondiale americano.  Il 1994 e il cammino mondiale  Il nostro martoriato Paese nell&rsquo;estate del 1994 usciva da due degli anni pi&ugrave; burrascosi mai vissuti almeno dai tempi del dopoguerra. Mani Pulite aveva appena spazzato via quella che ancora oggi viene ricordata dagli storiografi come Prima Repubblica, la fiducia nel Parlamento e nelle istituzioni ha raggiunto i minimi storici e Berlusconi, per contrastare quei sondaggi che danno praticamente certa la vittoria della coalizione di centrosinistra, scende in campo in prima persona con un programma liberale, vincendo nelle elezioni di fine marzo. Ma agli occhi degli italiani si sa, per quanto importanti, la totalit&agrave; degli accadimenti politici cade pressoch&eacute; nell&rsquo;insignificanza di fronte a tre parole: Campionato del Mondo.&nbsp; Il torneo per la Nazionale guidata da Arrigo Sacchi inizia subito in salita. Complici probabilmente anche le temperature proibitive in cui si giocano spesso le partite del mondiale USA, gli azzurri faticano ad assimilare il dispendioso gioco del tecnico di Fusignano, perdendo il match d&rsquo;esordio per 1-0 contro l&rsquo;Irlanda. Nelle successive due gare l&rsquo;Italia sconfigge la Norvegia e pareggia con il Messico, legando il passaggio del turno ad un complicato incastro di differenza reti. Alla fine viene ripescata come miglior terza grazie alla goleada della Russia sul Camerun, ma le polemiche e le critiche travolgono Sacchi, reo di aver quasi perso il treno degli ottavi in un girone tutto sommato non proibitivo. Anche il turno successivo &egrave; un&rsquo;autentica agonia: gli azzurri acciuffano il pareggio in extremis dopo essere stati sotto per quasi tutto il match contro una modestissima Nigeria, prima di vincere per 2-1 nei supplementari. Con lo stesso risultato, anche se maturato nei 90 minuti, la Nazionale supera la Spagna ai quarti, grazie al gol del solito Roberto Baggio a tre minuti dal termine.  Italia-Bulgaria, la vittoria di Baggio e di Pirro  In semifinale ad attendere gli azzurri di Sacchi c&rsquo;&egrave; la Bulgaria, una formazione solida trascinata da una generazione di fenomeni guidati da Hristo Stoickov. La nazionale italiana, a differenza di tutte le uscite precedenti, inizia bene la gara e dopo 25 minuti &egrave; sopra di due gol grazie alle reti del solito, magnifico Divin Codino. Quasi allo scadere della prima frazione Pagliuca atterra Sirakov in area concedendo ai bulgari un tiro dal dischetto, prontamente trasformato in gol da Stoickov.&nbsp; Nella ripresa l&rsquo;11 di Sacchi si difende con diligenza e riesce a portare a casa il passaggio del turno. Nonostante l&rsquo;euforia collettiva per&ograve;, la vittoria sui bulgari si riveler&agrave; la pi&ugrave; classica delle vittorie di Pirro. Durante la seconda frazione infatti usciranno per infortunio sia Dino che Roberto Baggio, con quest&rsquo;ultimo che aveva fino ad allora rappresentato forse l&rsquo;unico spiraglio di luce nel buio della trequarti azzurra. Costacurta viene ammonito, vedendosi cos&igrave; costretto a saltare la finale, e aggiungendosi alla lista degli indisponibili. Al netto delle numerose defezioni,&nbsp; con&nbsp; Roberto Baggio e Franco Baresi a mezzo servizio, l&rsquo;Italia non riuscir&agrave; a superare il Brasile nella compianta finale di Pasadena.         

Nel mondiale a stelle e strisce gli azzurri vinsero la semifinale contro i leoni dei Balcani trascinati dal Divin Codino

Italia-Bulgaria USA 1994, il capolavoro di Roberto Baggio

Firenze era in subbuglio da mesi; il Conte Pontello pi&ugrave; d&rsquo;una volta s&rsquo;era trovato cortei di tifosi viola sotto casa, o meglio lungo il percorso tra la sua abitazione e i suoi cantieri. In altre occasioni gli era capitato di stare cenando in un ristorante del centro e di essere avvicinato da eleganti clienti tifosi viola i quali, con modi cortesi ma sprezzanti al tempo stesso, gli ricordavano che &egrave; inutile vantare titoli nobiliari se poi non si hanno i soldi. I soldi per fare cosa, in particolare? Per trattenere Roberto Baggio a Firenze, ovviamente; per non recidere il legame tra una citt&agrave;, con la tifoseria viola come avamposto sentimentale e volano di rivendicazione, e il suo fuoriclasse pi&ugrave; grande e rappresentativo dai tempi di Giancarlo Antognoni. <h2>Il legame con la Fiorentina e la citt&agrave;</h2> Ma Baggio cosa diceva, nel frattempo, durante una stagione quasi paradossale, con la Viola che in campionato annaspava per non essere risucchiata del tutto dalle sabbie mobili della zona retrocessione e che in Coppa Uefa invece inanellava partite sempre pi&ugrave; convincenti, tanto da arrivare a raggiungere la finale proprio contro la Juventus che stava tentando in ogni modo - e con ogni cifra - di portar via da Firenze il fantasista vicentino? In sostanza, laconicamente, Baggio ripeteva come un mantra un solo concetto: di non voler venir via da Firenze, di sentirsi legato indissolubilmente tanto alla citt&agrave; quanto alla tifoseria e che se proprio doveva accadere, altri si sarebbero poi dovuti assumere la responsabilit&agrave; di spiegare i fatti a una piazza in subbuglio pi&ugrave; o meno dal mese di gennaio del 1990, via via sempre pi&ugrave; ostile, alla fine inferocita contro una societ&agrave; che aveva intessuto e ricamato non soltanto una trattativa, ma anche una via preferenziale per Gianni Agnelli. Ci aveva provato anche il Milan, velatamente e con Berlusconi che aveva sondato in prima persona, ma i Pontello avevano sempre assicurato alla societ&agrave; pi&ugrave; detestata dai tifosi viola che avrebbero dato priorit&agrave; all&rsquo;offerta di Madama. Una doppia scaturigine di rabbia; tripla, se consideriamo l&rsquo;epilogo delle due finali Uefa contro i bianconeri, con la Fiorentina costretta a disputare il ritorno casalingo sul neutro di Avellino e con pi&ugrave; di una recriminazione per le decisioni arbitrali. Parlava poco e in modo quasi sempre sibillino Antonio Caliendo, il procuratore di Baggio, che fino al giorno dell&rsquo;annuncio della cessione, che nelle sue tasche avrebbe portato tre miliardi di lire, era sembrato poco pi&ugrave; di un turista interessato, con poche parole strategiche il cui succo era sempre il medesimo: dipende dai Pontello, dalla loro volont&agrave; o meno di trattenere il giocatore a Firenze. Alla fine la Fiorentina otterr&agrave; dalla Juventus 25 miliardi di lire pi&ugrave; il cartellino di Buso. <h2>Il risentimento dei tifosi viola</h2> In mezzo, proprio affinch&eacute; non mancasse nulla alla (apparente) complessit&agrave; della trama di una vicenda il cui finale col senno di poi appariva scontato quasi da subito, bisogna aggiungere che si era alla vigilia del campionato del mondo che si sarebbe disputato in Italia, con la Nazionale di Azeglio Vicini che si era radunata a Coverciano. Quei giorni di maggio bruciavano nella gola e negli occhi dei tifosi fiorentini tra risentimento e lacrimogeni, con Baggio costretto a raggiungere il centro d&rsquo;allenamento sdraiato in una volante della polizia. Nessuno meglio di lui, negli anni a seguire, avrebbe sintetizzato meglio quel periodo: "Ero circondato dal risentimento di quelli che avrei voluto fossero ancora i miei tifosi". <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/calcio/2020/05/05-2966031/la_guerra_per_baggio/">La guerra per Baggio</a>

        Firenze era in subbuglio da mesi; il Conte Pontello pi&ugrave; d&rsquo;una volta s&rsquo;era trovato cortei di tifosi viola sotto casa, o meglio lungo il percorso tra la sua abitazione e i suoi cantieri. In altre occasioni gli era capitato di stare cenando in un ristorante del centro e di essere avvicinato da eleganti clienti tifosi viola i quali, con modi cortesi ma sprezzanti al tempo stesso, gli ricordavano che &egrave; inutile vantare titoli nobiliari se poi non si hanno i soldi. I soldi per fare cosa, in particolare? Per trattenere Roberto Baggio a Firenze, ovviamente; per non recidere il legame tra una citt&agrave;, con la tifoseria viola come avamposto sentimentale e volano di rivendicazione, e il suo fuoriclasse pi&ugrave; grande e rappresentativo dai tempi di Giancarlo Antognoni. Il legame con la Fiorentina e la citt&agrave; Ma Baggio cosa diceva, nel frattempo, durante una stagione quasi paradossale, con la Viola che in campionato annaspava per non essere risucchiata del tutto dalle sabbie mobili della zona retrocessione e che in Coppa Uefa invece inanellava partite sempre pi&ugrave; convincenti, tanto da arrivare a raggiungere la finale proprio contro la Juventus che stava tentando in ogni modo - e con ogni cifra - di portar via da Firenze il fantasista vicentino? In sostanza, laconicamente, Baggio ripeteva come un mantra un solo concetto: di non voler venir via da Firenze, di sentirsi legato indissolubilmente tanto alla citt&agrave; quanto alla tifoseria e che se proprio doveva accadere, altri si sarebbero poi dovuti assumere la responsabilit&agrave; di spiegare i fatti a una piazza in subbuglio pi&ugrave; o meno dal mese di gennaio del 1990, via via sempre pi&ugrave; ostile, alla fine inferocita contro una societ&agrave; che aveva intessuto e ricamato non soltanto una trattativa, ma anche una via preferenziale per Gianni Agnelli. Ci aveva provato anche il Milan, velatamente e con Berlusconi che aveva sondato in prima persona, ma i Pontello avevano sempre assicurato alla societ&agrave; pi&ugrave; detestata dai tifosi viola che avrebbero dato priorit&agrave; all&rsquo;offerta di Madama. Una doppia scaturigine di rabbia; tripla, se consideriamo l&rsquo;epilogo delle due finali Uefa contro i bianconeri, con la Fiorentina costretta a disputare il ritorno casalingo sul neutro di Avellino e con pi&ugrave; di una recriminazione per le decisioni arbitrali. Parlava poco e in modo quasi sempre sibillino Antonio Caliendo, il procuratore di Baggio, che fino al giorno dell&rsquo;annuncio della cessione, che nelle sue tasche avrebbe portato tre miliardi di lire, era sembrato poco pi&ugrave; di un turista interessato, con poche parole strategiche il cui succo era sempre il medesimo: dipende dai Pontello, dalla loro volont&agrave; o meno di trattenere il giocatore a Firenze. Alla fine la Fiorentina otterr&agrave; dalla Juventus 25 miliardi di lire pi&ugrave; il cartellino di Buso.  Il risentimento dei tifosi viola  In mezzo, proprio affinch&eacute; non mancasse nulla alla (apparente) complessit&agrave; della trama di una vicenda il cui finale col senno di poi appariva scontato quasi da subito, bisogna aggiungere che si era alla vigilia del campionato del mondo che si sarebbe disputato in Italia, con la Nazionale di Azeglio Vicini che si era radunata a Coverciano. Quei giorni di maggio bruciavano nella gola e negli occhi dei tifosi fiorentini tra risentimento e lacrimogeni, con Baggio costretto a raggiungere il centro d&rsquo;allenamento sdraiato in una volante della polizia. Nessuno meglio di lui, negli anni a seguire, avrebbe sintetizzato meglio quel periodo: "Ero circondato dal risentimento di quelli che avrei voluto fossero ancora i miei tifosi". La guerra per Baggio        

Estate 1990: il fantasista passa ai bianconeri per 25 miliardi pi&ugrave; Buso tra il risentimento e le proteste dei tifosi della Fiorentina&nbsp;&nbsp;

Calciomercato: Baggio alla Juve, Firenze furiosa

Nell&rsquo;estate del &rsquo;97, il presidente del Bologna Giuseppe Gazzoni Frascara ebbe una pensata geniale che divent&ograve; realt&agrave;: perch&eacute; non andare a prendere Roberto Baggio? Tre anni prima, il Divin Codino aveva guidato la Nazionale di Sacchi fino alla finale del Mondiale americano persa ai rigori contro il Brasile, con l&rsquo;errore di Baggio che mise fine al sogno. Ma il numero 10 era nel pieno della carriera, altro che giocatore finito: fino a poche settimane prima dell&rsquo;interesse&nbsp;rossobl&ugrave; giocava nel Milan, ma sentiva che era il momento di cambiare ancora. Aveva il cappellino in testa, nel giorno della conferenza stampa, e c&rsquo;&egrave; una frase che i tifosi rossobl&ugrave; ricordano come fosse ieri anche se sono passati oltre 20 anni: &laquo;Ho scelto Bologna&raquo;. La citt&agrave; impazz&igrave;: record di abbonamenti, si vendeva soltanto la maglia numero 10. Quando and&ograve; in scena la conferenza stampa di presentazione di Baggio, il Bologna era gi&agrave; in ritiro a Sestola, sull&rsquo;Appennino emiliano. &Egrave; un comune di poco pi&ugrave; di duemila anime, in provincia di Modena: in quei giorni raddoppiarono. Per la prima amichevole del Bologna di Baggio (s&igrave;, perch&eacute; fu di Baggio pi&ugrave; che di Renzo Ulivieri, che quella squadra guidava), la piccola tribuna del campo di Sestola si riemp&igrave; ore prima dell&rsquo;inizio della partita. Aveva ancora il codino, Baggio, ma lo avrebbe tagliato a breve, tenendosi addosso soltanto il soprannome, Divin Codino: perch&eacute; quello resta. I tifosi che c&rsquo;erano raccontano come il suono del pallone fosse diverso, a seconda se il pallone lo toccasse Baggio o gli altri giocatori.&nbsp; <h2>I dettagli e la presentazione&nbsp;</h2> Il mercato di fine anni '90 aveva regole diverse rispetto a quello attuale: a luglio chiudeva, ad agosto riapriva. Cos&igrave; Baggio fu tesserato in prestito fino all&rsquo;11 agosto e poi ufficializzato a titolo definitivo. La scelta di ripartire da Bologna non fu casuale. A 30 anni, dopo la parentesi delle due stagioni milaniste con relativa trasformazione in comprimario, si ciment&ograve; nella risalita pi&ugrave; difficile della sua carriera: tornare ad essere il migliore rifinitore, per meritarsi la convocazione ai Mondiali di Francia. Niente Derby County, per evitare problemi d&rsquo;ambientamento a moglie e figli, e perch&eacute; all&rsquo;estero sarebbe stato pi&ugrave; difficile farsi notare da Cesare Maldini, anche se il club inglese in cui giocava il suo amico Eranio fino all&rsquo;ultimo non si arrese, forte di un&rsquo;offerta d&rsquo; ingaggio che sfior&ograve; i 5 miliardi l&rsquo;anno. E niente rivincita al Milan, perch&eacute; &egrave; vero che pochi giorni prima al Forum di Assago diecimila tifosi lo avevano implorato di restare, ma i primi due giorni di ritiro a Milanello gli erano bastati per sentirsi un corpo estraneo nella squadra progettata senza di lui da Capello. Non restava che Bologna, citt&agrave; propizia alle resurrezioni dei campioni scartati dagli altri. Nella conferenza stampa di presentazione, inusualmente ospitata nella sede del Milan, il suo nuovo presidente Gazzoni lo fece di nuovo l&rsquo;eroe nazionale che fu a Usa &lsquo;94. &laquo;Baggio non &egrave; un giocatore qualsiasi, rappresenta l&rsquo;italianit&agrave;, la fantasia, il bel calcio. D&agrave; lustro alla citt&agrave; e a una societ&agrave; che in teoria non poteva permetterselo, perch&eacute; appartiene ai cosiddetti club di seconda fascia. Ma il tempo del calcio padronale &egrave; finito: Baggio servir&agrave; anche per estendere la notoriet&agrave; del marchio Bologna. Sar&agrave; utile commercialmente, per sfruttare lo stadio, per avere pi&ugrave; soldi dalla pay-per-view. Dopo 35 anni da Bulgarelli torna un grande campione&raquo;.&nbsp;

        Nell&rsquo;estate del &rsquo;97, il presidente del Bologna Giuseppe Gazzoni Frascara ebbe una pensata geniale che divent&ograve; realt&agrave;: perch&eacute; non andare a prendere Roberto Baggio? Tre anni prima, il Divin Codino aveva guidato la Nazionale di Sacchi fino alla finale del Mondiale americano persa ai rigori contro il Brasile, con l&rsquo;errore di Baggio che mise fine al sogno. Ma il numero 10 era nel pieno della carriera, altro che giocatore finito: fino a poche settimane prima dell&rsquo;interesse&nbsp;rossobl&ugrave; giocava nel Milan, ma sentiva che era il momento di cambiare ancora. Aveva il cappellino in testa, nel giorno della conferenza stampa, e c&rsquo;&egrave; una frase che i tifosi rossobl&ugrave; ricordano come fosse ieri anche se sono passati oltre 20 anni: &laquo;Ho scelto Bologna&raquo;. La citt&agrave; impazz&igrave;: record di abbonamenti, si vendeva soltanto la maglia numero 10. Quando and&ograve; in scena la conferenza stampa di presentazione di Baggio, il Bologna era gi&agrave; in ritiro a Sestola, sull&rsquo;Appennino emiliano. &Egrave; un comune di poco pi&ugrave; di duemila anime, in provincia di Modena: in quei giorni raddoppiarono. Per la prima amichevole del Bologna di Baggio (s&igrave;, perch&eacute; fu di Baggio pi&ugrave; che di Renzo Ulivieri, che quella squadra guidava), la piccola tribuna del campo di Sestola si riemp&igrave; ore prima dell&rsquo;inizio della partita. Aveva ancora il codino, Baggio, ma lo avrebbe tagliato a breve, tenendosi addosso soltanto il soprannome, Divin Codino: perch&eacute; quello resta. I tifosi che c&rsquo;erano raccontano come il suono del pallone fosse diverso, a seconda se il pallone lo toccasse Baggio o gli altri giocatori.&nbsp; I dettagli e la presentazione&nbsp;  Il mercato di fine anni '90 aveva regole diverse rispetto a quello attuale: a luglio chiudeva, ad agosto riapriva. Cos&igrave; Baggio fu tesserato in prestito fino all&rsquo;11 agosto e poi ufficializzato a titolo definitivo. La scelta di ripartire da Bologna non fu casuale. A 30 anni, dopo la parentesi delle due stagioni milaniste con relativa trasformazione in comprimario, si ciment&ograve; nella risalita pi&ugrave; difficile della sua carriera: tornare ad essere il migliore rifinitore, per meritarsi la convocazione ai Mondiali di Francia. Niente Derby County, per evitare problemi d&rsquo;ambientamento a moglie e figli, e perch&eacute; all&rsquo;estero sarebbe stato pi&ugrave; difficile farsi notare da Cesare Maldini, anche se il club inglese in cui giocava il suo amico Eranio fino all&rsquo;ultimo non si arrese, forte di un&rsquo;offerta d&rsquo; ingaggio che sfior&ograve; i 5 miliardi l&rsquo;anno. E niente rivincita al Milan, perch&eacute; &egrave; vero che pochi giorni prima al Forum di Assago diecimila tifosi lo avevano implorato di restare, ma i primi due giorni di ritiro a Milanello gli erano bastati per sentirsi un corpo estraneo nella squadra progettata senza di lui da Capello. Non restava che Bologna, citt&agrave; propizia alle resurrezioni dei campioni scartati dagli altri. Nella conferenza stampa di presentazione, inusualmente ospitata nella sede del Milan, il suo nuovo presidente Gazzoni lo fece di nuovo l&rsquo;eroe nazionale che fu a Usa &lsquo;94. &laquo;Baggio non &egrave; un giocatore qualsiasi, rappresenta l&rsquo;italianit&agrave;, la fantasia, il bel calcio. D&agrave; lustro alla citt&agrave; e a una societ&agrave; che in teoria non poteva permetterselo, perch&eacute; appartiene ai cosiddetti club di seconda fascia. Ma il tempo del calcio padronale &egrave; finito: Baggio servir&agrave; anche per estendere la notoriet&agrave; del marchio Bologna. Sar&agrave; utile commercialmente, per sfruttare lo stadio, per avere pi&ugrave; soldi dalla pay-per-view. Dopo 35 anni da Bulgarelli torna un grande campione&raquo;.&nbsp;       

Nell&rsquo;estate del 1997 il presidente Gazzoni piazz&ograve; il colpo a sorpresa: l'approdo del Divin Codino mobilit&ograve; parte della tifoseria rossobl&ugrave; verso l'Appennino emiliano&nbsp;

Calciomercato: l'arrivo di Baggio a Bologna e l'invasione di Sestola

Roberto Baggio come giocatore si &egrave; ritirato nel 2004, indossando la maglia del Brescia, e da allora il suo ritorno nel mondo del calcio &egrave; stato pi&ugrave; volte auspicato, quando non addirittura invocato, dagli appassionati e dalla gente comune. Un po&rsquo; meno dagli addetti ai lavori. Allenatore, dirigente, commentatore: il Baggio attuale non &egrave; nulla di tutto questo, ma in molti hanno dimenticato che nel calcio &egrave; gi&agrave; tornato. Esattamente 10 anni fa, il 4 agosto 2010, quando Baggio viene nominato capo del Settore tecnico della FIGC. &Egrave; la la federazione presieduta da Giancarlo Abete, che ha come vice Demetrio Albertini. E che in seguito al fallimento della Nazionale di Lippi al Mondiale sudafricano, dopo avere messo sulla panchina azzurra Cesare Prandelli, si propone di rifondare il calcio italiano dalle basi: oltre a Baggio i grandi nomi sono quelli di Arrigo Sacchi, coordinatore tecnico delle nazionali giovanili, e di Gianni Rivera, presidente del settore scolastico giovanile. Una specie di dream team, con un obbiettivo comune chiarissimo: ripartire dai giovani italiani, costruire qualcosa che duri al di l&agrave; di effimere vittorie o sconfitte. Come presidente del Settore Tecnico Baggio raccoglie l&rsquo;eredit&agrave; di Azeglio Vicini, il suo allenatore al Mondiale del &rsquo;90. Da sempre questa carica ha contorni vaghi: &egrave; stata occupata a volte da allenatori, a volte da dirigenti, a volte anche da gente con competenza calcistica modesta. Mettere in quel posto Baggio significa dare un segnale di svolta, al di l&agrave; di quello che poi Baggio, che di l&igrave; a poco prender&agrave; il patentino di allenatore di base, effettivamente far&agrave;. La curiosit&agrave; &egrave; che sia Ulivieri, capo della scuola allenatori, sia Sacchi si dicono contentissimi di lavorare con Baggio, nonostante gli screzi avuti con il Baggio calciatore. Ma &egrave; acqua passata, e comunque della luce che ancora emana Baggio beneficeranno tutti.&nbsp; Il futuro &egrave; tutto da scrivere e Baggio lo scrive, proprio in senso letterale. In pochi mesi produce un piano per il rilancio del calcio italiano, della lunghezza di 900 pagine. Il titolo, &lsquo;Nuove attivit&agrave; del Settore Tecnico di Coverciano&rsquo;, non &egrave; accattivante, ma il contenuto merita di essere discusso. Baggio propone la divisione dell&rsquo;Italia in 100 distretti, ognuno con allenatori federali di riferimento ed il compito di visionare almeno 50.000 partite l&rsquo;anno in modo da non perdersi alcun talento. Inoltre mette l&rsquo;enfasi sulla raccolta capillare dei dati, ritenendo che troppi giocatori fuori dai giri giusti o dai settori giovanili importanti non abbiano vere chance di emergere. Il terzo concetto base &egrave; quello della qualit&agrave; degli istruttori giovanili, non semplici persone con molto tempo a disposizione, ma ex calciatori professionisti, anche di basso livello. L&rsquo;ultimo concetto importante del piano Baggio, o di come lo vogliamo chiamare, &egrave; il talento: si deve partire dal talento per poi procedere alla costruzione atletica del giocatore, non prendere i ragazzi pi&ugrave; robusti e poi sperare che imparino qualcosa con la palla. Non occorre troppa dietrologia per capire perch&eacute;, da Abete in gi&ugrave;, questo progetto abbia incontrato indifferenza o addirittura ostilit&agrave;. Troppo costoso, forse, di sicuro troppo rivolto al territorio italiano nel suo insieme, per certi versi &lsquo;federalista&rsquo;. Ma soprattutto visto con antipatia anche da tanti club pi&ugrave; o meno di provincia, timorosi che la FIGC si mettesse a lavorare nel loro orticello mettendosi in testa di fare come la federazione francese. Il progetto poteva anche essere sbagliato, non &egrave; che Baggio sia il detentore escludivo del sapere calcistico, ma certamente non &egrave; mai stato nemmeno discusso. E cos&igrave; Baggio, sentendosi trattato da figurina, nel gennaio 2013 ha lasciato la federcalcio ed in sostanza anche il calcio. Un mondo che ama le icone, a patto che stiano al proprio posto.

        Roberto Baggio come giocatore si &egrave; ritirato nel 2004, indossando la maglia del Brescia, e da allora il suo ritorno nel mondo del calcio &egrave; stato pi&ugrave; volte auspicato, quando non addirittura invocato, dagli appassionati e dalla gente comune. Un po&rsquo; meno dagli addetti ai lavori. Allenatore, dirigente, commentatore: il Baggio attuale non &egrave; nulla di tutto questo, ma in molti hanno dimenticato che nel calcio &egrave; gi&agrave; tornato. Esattamente 10 anni fa, il 4 agosto 2010, quando Baggio viene nominato capo del Settore tecnico della FIGC. &Egrave; la la federazione presieduta da Giancarlo Abete, che ha come vice Demetrio Albertini. E che in seguito al fallimento della Nazionale di Lippi al Mondiale sudafricano, dopo avere messo sulla panchina azzurra Cesare Prandelli, si propone di rifondare il calcio italiano dalle basi: oltre a Baggio i grandi nomi sono quelli di Arrigo Sacchi, coordinatore tecnico delle nazionali giovanili, e di Gianni Rivera, presidente del settore scolastico giovanile. Una specie di dream team, con un obbiettivo comune chiarissimo: ripartire dai giovani italiani, costruire qualcosa che duri al di l&agrave; di effimere vittorie o sconfitte. Come presidente del Settore Tecnico Baggio raccoglie l&rsquo;eredit&agrave; di Azeglio Vicini, il suo allenatore al Mondiale del &rsquo;90. Da sempre questa carica ha contorni vaghi: &egrave; stata occupata a volte da allenatori, a volte da dirigenti, a volte anche da gente con competenza calcistica modesta. Mettere in quel posto Baggio significa dare un segnale di svolta, al di l&agrave; di quello che poi Baggio, che di l&igrave; a poco prender&agrave; il patentino di allenatore di base, effettivamente far&agrave;. La curiosit&agrave; &egrave; che sia Ulivieri, capo della scuola allenatori, sia Sacchi si dicono contentissimi di lavorare con Baggio, nonostante gli screzi avuti con il Baggio calciatore. Ma &egrave; acqua passata, e comunque della luce che ancora emana Baggio beneficeranno tutti.&nbsp; Il futuro &egrave; tutto da scrivere e Baggio lo scrive, proprio in senso letterale. In pochi mesi produce un piano per il rilancio del calcio italiano, della lunghezza di 900 pagine. Il titolo, &lsquo;Nuove attivit&agrave; del Settore Tecnico di Coverciano&rsquo;, non &egrave; accattivante, ma il contenuto merita di essere discusso. Baggio propone la divisione dell&rsquo;Italia in 100 distretti, ognuno con allenatori federali di riferimento ed il compito di visionare almeno 50.000 partite l&rsquo;anno in modo da non perdersi alcun talento. Inoltre mette l&rsquo;enfasi sulla raccolta capillare dei dati, ritenendo che troppi giocatori fuori dai giri giusti o dai settori giovanili importanti non abbiano vere chance di emergere. Il terzo concetto base &egrave; quello della qualit&agrave; degli istruttori giovanili, non semplici persone con molto tempo a disposizione, ma ex calciatori professionisti, anche di basso livello. L&rsquo;ultimo concetto importante del piano Baggio, o di come lo vogliamo chiamare, &egrave; il talento: si deve partire dal talento per poi procedere alla costruzione atletica del giocatore, non prendere i ragazzi pi&ugrave; robusti e poi sperare che imparino qualcosa con la palla. Non occorre troppa dietrologia per capire perch&eacute;, da Abete in gi&ugrave;, questo progetto abbia incontrato indifferenza o addirittura ostilit&agrave;. Troppo costoso, forse, di sicuro troppo rivolto al territorio italiano nel suo insieme, per certi versi &lsquo;federalista&rsquo;. Ma soprattutto visto con antipatia anche da tanti club pi&ugrave; o meno di provincia, timorosi che la FIGC si mettesse a lavorare nel loro orticello mettendosi in testa di fare come la federazione francese. Il progetto poteva anche essere sbagliato, non &egrave; che Baggio sia il detentore escludivo del sapere calcistico, ma certamente non &egrave; mai stato nemmeno discusso. E cos&igrave; Baggio, sentendosi trattato da figurina, nel gennaio 2013 ha lasciato la federcalcio ed in sostanza anche il calcio. Un mondo che ama le icone, a patto che stiano al proprio posto.       

In tanti sognano il rientro nel calcio attivo dell'ex fuoriclasse, ma lui ci aveva gi&agrave; provato nel 2010. Con il suo progetto che nemmeno fu preso in considerazione...

Il ritorno di Baggio

Il giorno pi&ugrave; triste nella storia della Nazionale italiana non coincide con inaspettate sconfitte sul campo, che pure non sono mancate, ma con la squadra aggredita proprio a casa sua, a Coverciano, da suoi teorici tifosi. Accadde domenica 6 maggio 1990, 30 anni fa, al raduno degli azzurri di Vicini in vista del Mondiale che sarebbe iniziato un mese dopo. Migliaia di tifosi della Fiorentina non accettavano l&rsquo;ormai imminente passaggio di Baggio alla Juventus e quel pomeriggio senza un vero perch&eacute; scaricarono la loro rabbia sulla Nazionale. Che per sua sfortuna si era ritrovata pochi giorni dopo la finale di andata di Coppa UEFA fra Juventus e Fiorentina, vittoria bianconera 3-1 fra polemiche e dichiarazioni di fuoco. Ma a scatenare la rabbia di una citt&agrave;, non soltanto degli ultras, era stata soprattutto l&rsquo;operazione Baggio, in cui la poca chiarezza dei Pontello (che ancora non avevano venduto a Cecchi Gori) si somm&ograve; alle indecisioni del giocatore, che non era contrario a partire, tanto &egrave; vero che aveva un discorso aperto anche con il Milan, ma che non voleva passare per traditore. Ma se il caso Baggio a trent&rsquo;anni di distanza non &egrave; ancora stato totalmente spiegato, la realt&agrave; di quel pomeriggio a Coverciano fu evidente fin da subito. Tremila tifosi della Fiorentina, malissimo disposti, attesero per ore l&rsquo;arrivo degli azzurri e contestarono pesantemente tutti. Il pi&ugrave; astuto fu De Agostini, che arriv&ograve; insieme alla moglie alle 13.40, oltre tre ore prima dell&rsquo;appuntamento fissato per le 17, quando anche i contestatori pi&ugrave; motivati erano a pranzo. Abile anche Marocchi, che arriv&ograve; pi&ugrave; tardi ma su una Lancia Delta targata Firenze. Ma per gli altri non ci fu scampo. A partire da Schillaci, non ancora l&#39;eroe delle notti magiche, arrivato su una Lancia Thema Blu poco prima delle 16. Pochissimi poliziotti e carabinieri in giro, nonostante la guerriglia fosse ampiamente annunciata. L&rsquo;auto di Schillaci venne presa a calci, l&rsquo;attaccante della Juventus insultato e ricoperto di sputi. Insulti anche a Boniperti, capodelegazione azzurro, anche lui su una Thema, che sfruttando la sua esperienza non rispose e riusc&igrave; ad entrare nel centro sportivo azzurro senza troppi danni. And&ograve; decisamente peggio a Berti, passato dalla Fiorentina all&#39;Inter nel 1988, che due settimane prima aveva mostrato agli ultras della Fiorentina il dito medio dopo aver segnato un gol a San Siro. Berti rispose alla sua maniera ai contestatori, cos&igrave; l&rsquo;ultimo mezzo chilometro prima di Coverciano lo dovette percorrere dentro un&rsquo;auto dei Carabinieri, che lo salvarono in extremis da un pestaggio. Pi&ugrave; o meno cos&igrave; and&ograve; a tutti gli altri azzurri arrivati poco prima delle 17, anche a chi c&#39;entrava zero con la Juventus o con un&#39;operazione di mercato contestata.&nbsp; Fra uno spintone e un calcio si temette il peggio. Al punto che alle poche forze dell&rsquo;ordine presenti davanti a Coverciano si aggiunse un inutile elicottero, peggiorando un&rsquo;atmosfera gi&agrave; da guerra. Al presidente federale Matarrese i pliziotti consigliarono di non presentarsi e di rimanere nel suo albergo a Firenze, ma all&#39;ultimo decise di rischiare e piomnb&ograve; a Coverciano su un&#39;auto a sirene spiegate, scortata da tre moto della Polizia. Nessuna nazionale di un paese ospitante il Mondiale aveva mai lavorato in una situazione simile. E Baggio? Il suo arrivo fu accolto da applausi tiepidi, le sue parole (&ldquo;Speriamo che la mia storia non finisca male&rdquo;) ambigue come tutto il suo comportamento in quei giorni. Certo &egrave; che la Nazionale non c&#39;entrava niente.

Il giorno pi&ugrave; triste nella storia della Nazionale italiana non coincide con inaspettate sconfitte sul campo, che pure non sono mancate, ma con la squadra aggredita proprio a casa sua, a Coverciano, da suoi teorici tifosi. Accadde domenica 6 maggio 1990, 30 anni fa, al raduno degli azzurri di Vicini in vista del Mondiale che sarebbe iniziato un mese dopo. Migliaia di tifosi della Fiorentina non accettavano l&rsquo;ormai imminente passaggio di Baggio alla Juventus e quel pomeriggio senza un vero perch&eacute; scaricarono la loro rabbia sulla Nazionale.  Che per sua sfortuna si era ritrovata pochi giorni dopo la finale di andata di Coppa UEFA fra Juventus e Fiorentina, vittoria bianconera 3-1 fra polemiche e dichiarazioni di fuoco. Ma a scatenare la rabbia di una citt&agrave;, non soltanto degli ultras, era stata soprattutto l&rsquo;operazione Baggio, in cui la poca chiarezza dei Pontello (che ancora non avevano venduto a Cecchi Gori) si somm&ograve; alle indecisioni del giocatore, che non era contrario a partire, tanto &egrave; vero che aveva un discorso aperto anche con il Milan, ma che non voleva passare per traditore.  Ma se il caso Baggio a trent&rsquo;anni di distanza non &egrave; ancora stato totalmente spiegato, la realt&agrave; di quel pomeriggio a Coverciano fu evidente fin da subito. Tremila tifosi della Fiorentina, malissimo disposti, attesero per ore l&rsquo;arrivo degli azzurri e contestarono pesantemente tutti. Il pi&ugrave; astuto fu De Agostini, che arriv&ograve; insieme alla moglie alle 13.40, oltre tre ore prima dell&rsquo;appuntamento fissato per le 17, quando anche i contestatori pi&ugrave; motivati erano a pranzo. Abile anche Marocchi, che arriv&ograve; pi&ugrave; tardi ma su una Lancia Delta targata Firenze. Ma per gli altri non ci fu scampo.  A partire da Schillaci, non ancora l&#39;eroe delle notti magiche, arrivato su una Lancia Thema Blu poco prima delle 16. Pochissimi poliziotti e carabinieri in giro, nonostante la guerriglia fosse ampiamente annunciata. L&rsquo;auto di Schillaci venne presa a calci, l&rsquo;attaccante della Juventus insultato e ricoperto di sputi. Insulti anche a Boniperti, capodelegazione azzurro, anche lui su una Thema, che sfruttando la sua esperienza non rispose e riusc&igrave; ad entrare nel centro sportivo azzurro senza troppi danni. And&ograve; decisamente peggio a Berti, passato dalla Fiorentina all&#39;Inter nel 1988, che due settimane prima aveva mostrato agli ultras della Fiorentina il dito medio dopo aver segnato un gol a San Siro. Berti rispose alla sua maniera ai contestatori, cos&igrave; l&rsquo;ultimo mezzo chilometro prima di Coverciano lo dovette percorrere dentro un&rsquo;auto dei Carabinieri, che lo salvarono in extremis da un pestaggio. Pi&ugrave; o meno cos&igrave; and&ograve; a tutti gli altri azzurri arrivati poco prima delle 17, anche a chi c&#39;entrava zero con la Juventus o con un&#39;operazione di mercato contestata.&nbsp;  Fra uno spintone e un calcio si temette il peggio. Al punto che alle poche forze dell&rsquo;ordine presenti davanti a Coverciano si aggiunse un inutile elicottero, peggiorando un&rsquo;atmosfera gi&agrave; da guerra. Al presidente federale Matarrese i pliziotti consigliarono di non presentarsi e di rimanere nel suo albergo a Firenze, ma all&#39;ultimo decise di rischiare e piomnb&ograve; a Coverciano su un&#39;auto a sirene spiegate, scortata da tre moto della Polizia. Nessuna nazionale di un paese ospitante il Mondiale aveva mai lavorato in una situazione simile. E Baggio? Il suo arrivo fu accolto da applausi tiepidi, le sue parole (&ldquo;Speriamo che la mia storia non finisca male&rdquo;) ambigue come tutto il suo comportamento in quei giorni. Certo &egrave; che la Nazionale non c&#39;entrava niente. 

Trent&#39;anni fa il raduno della Nazionale inizi&ograve; in un clima assurdo, con alcuni tifosi della Fiorentina che insultarono e tentarono di aggredire un po&#39; tutti. Mai un paese ospitante si era avvicinato cos&igrave; ad un Mondiale...

La guerra per Baggio

I cinquant'anni compiuti da Roberto Baggio fanno pi&ugrave; impressione dei cinquant'anni di altri ex fuoriclasse, perch&eacute; lui nell'immaginario collettivo &egrave; sempre e sempre sar&agrave; un calciatore. Tolti i due anni e mezzo (dall'agosto 2010 al gennaio 2013) da presidente del settore tecnico della Federazione, peraltro isolato e non ascoltato, dopo il suo ritiro dal campo avvenuto nel 2004 Baggio &egrave; nella sostanza uscito dal calcio. Qualche mezza proposta per allenare (Inter, Bologna) mai diventata intera, molte offerte di televisioni affamate di un personaggi autorevoli e condivisi come lui, qualche viaggio da testimonial di se stesso. Insomma niente, se paragonato a ci&ograve; che &egrave; stato Baggio. Che nelle sue stagioni migliori (le ultime due alla Fiorentina e le prime tre alla Juventus, in particolare la terza), quando gli infortuni gli hanno dato tregua, &egrave; stato probabilmente il miglior calciatore italiano dell'era televisiva (tutti parliamo di Meazza e &nbsp;Piola&nbsp;per sentito dire), l'unico dei quattro italiani vincitori del pallone d'Oro (gli altri sono Rivera 1969, Paolo Rossi 1982 e Cannavaro 2006) ad essere stato celebrato senza il doping mediatico di una Coppa dei Campioni o di un Mondiale. Se ne pu&ograve; discutere, mentre non &egrave; discutibile che Baggio fra i grandi campioni italiani sia l'unico ad essere amato (o almeno non detestato) da tutti, trasversalmente rispetto all'appartenenza tifosa. Non per le tante maglie indossate (oltre a quelle viola e bianconera anche quelle di Vicenza, Milan, Bologna, Inter e Brescia) lasciando in ogni contesto un buon ricordo, ma per il fatto che Baggio non &egrave; mai stato identificato con la maglia che indossava, tranne forse con quella della Nazionale. Il fatto di non essere un leader, n&eacute; a livello verbale n&eacute; di spogliatoio, nel senso di maschio Alpha che i giornalisti danno al termine, lo ha penalizzato in certe fasi della sua carriera ma ha anche impedito di farlo considerare un 'nemico'.

I cinquant'anni compiuti da Roberto Baggio fanno pi&ugrave; impressione dei cinquant'anni di altri ex fuoriclasse, perch&eacute; lui nell'immaginario collettivo &egrave; sempre e sempre sar&agrave; un calciatore. Tolti i due anni e mezzo (dall'agosto 2010 al gennaio 2013) da presidente del settore tecnico della Federazione, peraltro isolato e non ascoltato, dopo il suo ritiro dal campo avvenuto nel 2004 Baggio &egrave; nella sostanza uscito dal calcio. Qualche mezza proposta per allenare (Inter, Bologna) mai diventata intera, molte offerte di televisioni affamate di un personaggi autorevoli e condivisi come lui, qualche viaggio da testimonial di se stesso. Insomma niente, se paragonato a ci&ograve; che &egrave; stato Baggio. Che nelle sue stagioni migliori (le ultime due alla Fiorentina e le prime tre alla Juventus, in particolare la terza), quando gli infortuni gli hanno dato tregua, &egrave; stato probabilmente il miglior calciatore italiano dell'era televisiva (tutti parliamo di Meazza e &nbsp;Piola&nbsp;per sentito dire), l'unico dei quattro italiani vincitori del pallone d'Oro (gli altri sono Rivera 1969, Paolo Rossi 1982 e Cannavaro 2006) ad essere stato celebrato senza il doping mediatico di una Coppa dei Campioni o di un Mondiale. Se ne pu&ograve; discutere, mentre non &egrave; discutibile che Baggio fra i grandi campioni italiani sia l'unico ad essere amato (o almeno non detestato) da tutti, trasversalmente rispetto all'appartenenza tifosa. Non per le tante maglie indossate (oltre a quelle viola e bianconera anche quelle di Vicenza, Milan, Bologna, Inter e Brescia) lasciando in ogni contesto un buon ricordo, ma per il fatto che Baggio non &egrave; mai stato identificato con la maglia che indossava, tranne forse con quella della Nazionale. Il fatto di non essere un leader, n&eacute; a livello verbale n&eacute; di spogliatoio, nel senso di maschio Alpha che i giornalisti danno al termine, lo ha penalizzato in certe fasi della sua carriera ma ha anche impedito di farlo considerare un 'nemico'.

Baggio mito senza bandiera

Roberto Baggio ha appena compiuto 49 anni e la cosa &egrave; soltanto un pretesto per ricordare sono pi&ugrave; di tre anni che ha abbandonato il calcio in generale e quello italiano in particolare, dopo le dimissioni da presidente del Settore Tecnico della Federcalcio, ai tempi presieduta da Abete, dovute alla scarsa considerazione per il suo piano di rilancio dell'attivit&agrave; di base e dei settori giovanili. Non &egrave; un mistero che Baggio goda della stima globale e trasversale, anche rispetto alle tifoserie, degli appassionati di calcio mentre gli addetti ai lavori sono nei suoi confronti sempre stati pi&ugrave; freddi (in particolare gli allenatori). L'aspetto che abbiamo sempre trovato straordinario di Baggio &egrave; che non abbia mai avuto bisogno di vittorie o di trofei alzati per entrare nel cuore della gente. Non &egrave; un caso che le poche volte in cui ha vinto qualcosa non l'abbia certo fatto da protagonista assoluto: dallo scudetto nel suo quinto e ultimo anno di Juventus, quando Lippi non vedeva l'ora di sostituirlo con Del Piero, allo scudetto nel suo primo anno di Milan, con Capello in panchina, dove protagonisti erano senz'altro di pi&ugrave; Weah e Savicevic. Fa eccezione la Coppa UEFA 1992-93 in maglia bianconera con Trapattoni allenatore, nella stagione che lo avrebbe portato al Pallone d'Oro. Il palmares si ferma a questo e a una Coppa Italia con la Juve. Per il resto migliaia di riconoscimenti individuali, piazzamenti (su tutti la finale del Mondiale '94) e complimenti. Il vero trofeo di Baggio &egrave; la considerazione diffusa di cui gode anche a decenni di distanza dalle sue stagioni migliori. Un miracolo, in un mondo fazioso e con scarsa memoria come il nostro. Un miracolo a cui ha contribuito anche il non essersi riciclato come opinionista, un po' per intelligenza e un po' per timidezza. Twitter @StefanoOlivari

Roberto Baggio ha appena compiuto 49 anni e la cosa &egrave; soltanto un pretesto per ricordare sono pi&ugrave; di tre anni che ha abbandonato il calcio in generale e quello italiano in particolare, dopo le dimissioni da presidente del Settore Tecnico della Federcalcio, ai tempi presieduta da Abete, dovute alla scarsa considerazione per il suo piano di rilancio dell'attivit&agrave; di base e dei settori giovanili. Non &egrave; un mistero che Baggio goda della stima globale e trasversale, anche rispetto alle tifoserie, degli appassionati di calcio mentre gli addetti ai lavori sono nei suoi confronti sempre stati pi&ugrave; freddi (in particolare gli allenatori). L'aspetto che abbiamo sempre trovato straordinario di Baggio &egrave; che non abbia mai avuto bisogno di vittorie o di trofei alzati per entrare nel cuore della gente. Non &egrave; un caso che le poche volte in cui ha vinto qualcosa non l'abbia certo fatto da protagonista assoluto: dallo scudetto nel suo quinto e ultimo anno di Juventus, quando Lippi non vedeva l'ora di sostituirlo con Del Piero, allo scudetto nel suo primo anno di Milan, con Capello in panchina, dove protagonisti erano senz'altro di pi&ugrave; Weah e Savicevic. Fa eccezione la Coppa UEFA 1992-93 in maglia bianconera con Trapattoni allenatore, nella stagione che lo avrebbe portato al Pallone d'Oro. Il palmares si ferma a questo e a una Coppa Italia con la Juve. Per il resto migliaia di riconoscimenti individuali, piazzamenti (su tutti la finale del Mondiale '94) e complimenti. Il vero trofeo di Baggio &egrave; la considerazione diffusa di cui gode anche a decenni di distanza dalle sue stagioni migliori. Un miracolo, in un mondo fazioso e con scarsa memoria come il nostro. Un miracolo a cui ha contribuito anche il non essersi riciclato come opinionista, un po' per intelligenza e un po' per timidezza.  Twitter @StefanoOlivari

Il vero trofeo di Baggio

&Egrave; solo una voce e probabilmente rimarr&agrave; tale, ma la sola idea di poter vedere il 'Chicharito' Hernandez con la maglia del Torino galvanizza e rinvigorisce il calciomercato "romantico".&nbsp;Nomi importanti&nbsp;coinvolti in&nbsp;operazioni suggestive che molte volte non hanno avuto l'effetto sperato. Alcuni a fine carriera, altri in rampa di lancio. Ma c'&egrave; anche chi, quest'esperienza, &egrave; riuscito a trasformarla in un intenso capitolo della propria carriera. Ne abbiamo selezionate 10 - pescando negli ultimi anni e tra gli attaccanti - perch&eacute; 10 era il numero di Roberto Baggio al...Brescia. La storia pi&ugrave; bella. Stagione 2002-2003, Oliver Bierhoff al Chievo. Presenze: 30. Reti: 7 <img class=" wp-image-27075 size-full aligncenter" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/1384747.jpg" alt="Oliver Bierhoff" width="594" height="490" /> Stagione 2002-2003, 2003-gen.2004, Adriano al Parma. Presenze: 44. Reti: 26 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/1868755.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27079" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/1868755.jpg" alt="Adriano of Parma celebrates scoring" width="594" height="451" /></a> Stagione 2000-2001 fino a 2003-2004, Roberto Baggio al Brescia. Presenze: 101. Reti: 46 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/3085069.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27080" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/3085069.jpg" alt="Parma v Brescia" width="594" height="398" /></a> Stagione gen.2004 a 2005, Fabrizio Ravanelli di nuovo&nbsp;al Perugia. Presenze: 42. Reti: 9 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/3466871.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27081" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/3466871.jpg" alt="Seria A: Perugia v Brescia" width="594" height="466" /></a> Stagione 2006-2007 (da gen. a giu.), Giuseppe Rossi al Parma. Presenze: 20. Reti: 9 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/73136242.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27082" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/73136242.jpg" alt="AC Milan v Parma" width="594" height="510" /></a> Stagione 2003-2004 (da gen. a giu.), 2004-2005 e 2008-2009, Diego Milito al Genoa. Presenze: 94. Reti: 60 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/82992556.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27087" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/82992556.jpg" alt="Genoa's Argentinian forward Diego Albert" width="594" height="492" /></a> Stagione 2011-2012, Adrian Mutu al Cesena. Presenze: 29. Reti: 8 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/143681686.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27088" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/143681686.jpg" alt="AC Cesena v Udinese Calcio - Serie A" width="594" height="520" /></a> Stagione 2006-2007, Marco Delvecchio all'Ascoli. Presenze: 10. Reti: 2 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/ansa91007232510213540_big.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27089" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/ansa91007232510213540_big.jpg" alt="Delvecchio" width="600" height="482" /></a> Stagione 1998-1999 (da gen. a giu.), Alvaro Recoba al Venezia. Presenze: 19. Reti: 11 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/recoba.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27090" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/recoba.jpg" alt="recoba" width="600" height="600" /></a> Stagione 2014-2015, Javier Saviola al Verona. Presenze: 16. Reti: 2 <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/saviola.jpg"><img class="aligncenter size-full wp-image-27091" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2015/08/13/saviola.jpg" alt="saviola" width="600" height="360" /></a> @damorirne

&Egrave; solo una voce e probabilmente rimarr&agrave; tale, ma la sola idea di poter vedere il 'Chicharito' Hernandez con la maglia del Torino galvanizza e rinvigorisce il calciomercato "romantico".&nbsp;Nomi importanti&nbsp;coinvolti in&nbsp;operazioni suggestive che molte volte non hanno avuto l'effetto sperato. Alcuni a fine carriera, altri in rampa di lancio. Ma c'&egrave; anche chi, quest'esperienza, &egrave; riuscito a trasformarla in un intenso capitolo della propria carriera. Ne abbiamo selezionate 10 - pescando negli ultimi anni e tra gli attaccanti - perch&eacute; 10 era il numero di Roberto Baggio al...Brescia. La storia pi&ugrave; bella.  Stagione 2002-2003, Oliver Bierhoff al Chievo. Presenze: 30. Reti: 7    Stagione 2002-2003, 2003-gen.2004, Adriano al Parma. Presenze: 44. Reti: 26    Stagione 2000-2001 fino a 2003-2004, Roberto Baggio al Brescia. Presenze: 101. Reti: 46    Stagione gen.2004 a 2005, Fabrizio Ravanelli di nuovo&nbsp;al Perugia. Presenze: 42. Reti: 9    Stagione 2006-2007 (da gen. a giu.), Giuseppe Rossi al Parma. Presenze: 20. Reti: 9    Stagione 2003-2004 (da gen. a giu.), 2004-2005 e 2008-2009, Diego Milito al Genoa. Presenze: 94. Reti: 60    Stagione 2011-2012, Adrian Mutu al Cesena. Presenze: 29. Reti: 8    Stagione 2006-2007, Marco Delvecchio all'Ascoli. Presenze: 10. Reti: 2    Stagione 1998-1999 (da gen. a giu.), Alvaro Recoba al Venezia. Presenze: 19. Reti: 11    Stagione 2014-2015, Javier Saviola al Verona. Presenze: 16. Reti: 2    @damorirne

Calciomercato romantico, le operazioni pi&ugrave; suggestive

Nuovo appuntamento settimanale con la rubrica #SlidingDoors. Avete mai pensato di poter cambiare il corso degli eventi? Noi vi daremo un tema, voi farete il resto. Commentate nello spazio riservato, le storie pi&ugrave; belle e interessanti verranno pubblicate sul sito. Preparate le penne e accendete la fantasia. Il tema di oggi &egrave;&hellip;&rdquo;Mondiale 2002, Trapattoni ha deciso: c'&egrave; anche Roberto Baggio&rdquo; Marteban: &laquo;Sarebbe stato il suo ultimo Mondiale. Avremmo vinto facilmente contro i coreani e contro Byron Moreno. Ai quarti avremmo battuto la Spagna ai rigori (quello di Baggio decisivo) e in semifinale avremmo trovato ancora una volta la Germania. Partita complicata ma con un pizzico di fortuna saremmo arrivati in finale. Quella era davvero una grande squadra. Finale contro il Brasile e purtroppo i verdeoro sarebbero diventati i campioni del mondo&raquo;.

Nuovo appuntamento settimanale con la rubrica #SlidingDoors.  Avete mai pensato di poter cambiare il corso degli eventi? Noi vi daremo un tema, voi farete il resto. Commentate nello spazio riservato, le storie pi&ugrave; belle e interessanti verranno pubblicate sul sito. Preparate le penne e accendete la fantasia.  Il tema di oggi &egrave;&hellip;&rdquo;Mondiale 2002, Trapattoni ha deciso: c'&egrave; anche Roberto Baggio&rdquo;  Marteban: &laquo;Sarebbe stato il suo ultimo Mondiale. Avremmo vinto facilmente contro i coreani e contro Byron Moreno. Ai quarti avremmo battuto la Spagna ai rigori (quello di Baggio decisivo) e in semifinale avremmo trovato ancora una volta la Germania. Partita complicata ma con un pizzico di fortuna saremmo arrivati in finale. Quella era davvero una grande squadra. Finale contro il Brasile e purtroppo i verdeoro sarebbero diventati i campioni del mondo&raquo;.

#SlidingDoors, Baggio e il Mondiale: a un passo dal sogno

La classifica del Telegraph sui giocatori pi&ugrave; sopravvalutati degli ultimi venti anni ha fatto discutere, come &egrave; normale che fosse. L&rsquo;obiettivo &egrave; stato centrato e di questo va dato atto al Telegraph, che non &egrave; uno dei soliti tabloid-spazzatura, ma un quotidiano &ldquo;serio&rdquo;, vecchio stampo e ancora in formato &ldquo;broadsheet&rdquo;. Nell&rsquo;elenco del giornale britannico, figurano molti giocatori italiani o passati per il nostro campionato: la posizione numero 1 &egrave; occupata da Mario Balotelli. E tutto sommato, vista la forma recente di Supermario, si pu&ograve; accettare. Presentato in pompa magna, per l&rsquo;ex Inter e Milan l&rsquo;ultima stagione al Liverpool &egrave; stata talmente insufficiente, che oggi non lo vuole pi&ugrave; nessuno. Anche la posizione numero 2 del brasiliano Robinho, non desta scandalo: talentuoso sicuramente, un campionissimo forse no (anche se ancora nell&rsquo;ultima Coppa America lo abbiamo visto essere annoverato tra gli attaccanti della Sele&ccedil;ao). Il podio completato da Radamel Falcao pu&ograve; starci in ottica inglese, visto che da quando &egrave; arrivato nella terra d&rsquo;Albione, il colombiano &egrave; parso spaesato e privo del fiuto del gol, che avevano caratterizzato gli anni a Oporto, Madrid e, in parte, a Monaco. Obiettivamente, anche considerando la forzata opinabilit&agrave; di certe classifiche, molti nomi grossi sembrano stonare come quelli di Wesley Sneijder (capocannoniere di un Mondiale e uno dei leader dell&rsquo;Inter del 2009-10), degli inglesi Steven Gerrard e Wayne Rooney (probabilmente i migliori prodotti del calcio inglese d&rsquo;epoca recente), o di Zlatan Ibrahimovic, uno che pesa a tal punto da guidare gli attacchi di tutte le squadre in cui ha militato. Sulla lista pesano probabilmente i successi con le nazionali o con i propri club in Europa, e Zlatan in questo &egrave; al palo. I successi internazionali sono l&rsquo;unico appiglio possibile per poter accettare il nome alla posizione numero 12: Roberto Baggio. La presenza del Codino tra i calciatori sopravvalutati da sola basta a scatenare il putiferio, per lo meno in chiave italiana. Uno dei pi&ugrave; grandi calciatori di sempre, un leader a tutto tondo, capace di farsi amare da tutta Italia unendo e non dividendo le tifoserie della Penisola. Al limite, meriterebbe di stare tra i sottovalutati, visto l&rsquo;ostracismo nei suoi confronti di fior di allenatori, come Marcello Lippi o Giovanni Trapattoni. Ad ogni modo,&nbsp; Baggio - unico Pallone d&rsquo;oro della lista - prima di Denilson o di Anelka non si pu&ograve; proprio vedere. E la conclusione &egrave; che a essere sopravvalutate siano pi&ugrave; queste classifiche che non i calciatori a cui esse mirano. Giovanni Del Bianco @g_delbianco P.S. A questo punto, per&ograve;, tanto vale giocare. E chiediamo anche a voi lettori, di indicarci quali sono secondo voi, i giocatori pi&ugrave; sopravvalutati della storia.

La classifica del Telegraph sui giocatori pi&ugrave; sopravvalutati degli ultimi venti anni ha fatto discutere, come &egrave; normale che fosse. L&rsquo;obiettivo &egrave; stato centrato e di questo va dato atto al Telegraph, che non &egrave; uno dei soliti tabloid-spazzatura, ma un quotidiano &ldquo;serio&rdquo;, vecchio stampo e ancora in formato &ldquo;broadsheet&rdquo;. Nell&rsquo;elenco del giornale britannico, figurano molti giocatori italiani o passati per il nostro campionato: la posizione numero 1 &egrave; occupata da Mario Balotelli. E tutto sommato, vista la forma recente di Supermario, si pu&ograve; accettare. Presentato in pompa magna, per l&rsquo;ex Inter e Milan l&rsquo;ultima stagione al Liverpool &egrave; stata talmente insufficiente, che oggi non lo vuole pi&ugrave; nessuno. Anche la posizione numero 2 del brasiliano Robinho, non desta scandalo: talentuoso sicuramente, un campionissimo forse no (anche se ancora nell&rsquo;ultima Coppa America lo abbiamo visto essere annoverato tra gli attaccanti della Sele&ccedil;ao). Il podio completato da Radamel Falcao pu&ograve; starci in ottica inglese, visto che da quando &egrave; arrivato nella terra d&rsquo;Albione, il colombiano &egrave; parso spaesato e privo del fiuto del gol, che avevano caratterizzato gli anni a Oporto, Madrid e, in parte, a Monaco. Obiettivamente, anche considerando la forzata opinabilit&agrave; di certe classifiche, molti nomi grossi sembrano stonare come quelli di Wesley Sneijder (capocannoniere di un Mondiale e uno dei leader dell&rsquo;Inter del 2009-10), degli inglesi Steven Gerrard e Wayne Rooney (probabilmente i migliori prodotti del calcio inglese d&rsquo;epoca recente), o di Zlatan Ibrahimovic, uno che pesa a tal punto da guidare gli attacchi di tutte le squadre in cui ha militato. Sulla lista pesano probabilmente i successi con le nazionali o con i propri club in Europa, e Zlatan in questo &egrave; al palo. I successi internazionali sono l&rsquo;unico appiglio possibile per poter accettare il nome alla posizione numero 12: Roberto Baggio. La presenza del Codino tra i calciatori sopravvalutati da sola basta a scatenare il putiferio, per lo meno in chiave italiana. Uno dei pi&ugrave; grandi calciatori di sempre, un leader a tutto tondo, capace di farsi amare da tutta Italia unendo e non dividendo le tifoserie della Penisola. Al limite, meriterebbe di stare tra i sottovalutati, visto l&rsquo;ostracismo nei suoi confronti di fior di allenatori, come Marcello Lippi o Giovanni Trapattoni. Ad ogni modo,&nbsp; Baggio - unico Pallone d&rsquo;oro della lista - prima di Denilson o di Anelka non si pu&ograve; proprio vedere. E la conclusione &egrave; che a essere sopravvalutate siano pi&ugrave; queste classifiche che non i calciatori a cui esse mirano.  Giovanni Del Bianco @g_delbianco  P.S. A questo punto, per&ograve;, tanto vale giocare. E chiediamo anche a voi lettori, di indicarci quali sono secondo voi, i giocatori pi&ugrave; sopravvalutati della storia.

Il "sopravvalutato" Baggio e le sopravvalutate classifiche del Telegraph

Dai cinque Sentimenti a Evans Kondogbia e Juan Mauri, passando per i Mazzola, i Cannavaro o i Milito. Da grande faccio quello che fa mio fratello. Con gli ultimi acquisti di Inter e Milan avremo il piacere di conoscere i loro parenti pi&ugrave; stretti. Quello del francese arriva dall'Arles-Avignon, squadra che milita in Ligue 2, e sta per firmare con il Renate in Lega Pro, quello dell'argentino naturalizzato italiano stipuler&agrave; un contratto della durata di quattro anni proprio con i rossoneri per poi venire girato in prestito in qualche serie minore. Rarissimi i casi nei quali si &egrave; assistito a un'equa spartizione del talento, pi&ugrave; frequenti, invece, quelli del campione e del fratello che ha scelto il mestiere sbagliato. Il caso pi&ugrave; celebre &egrave; quello dei Maradona, Diego e Hugo. Il 'Pibe de Oro' e il 'Flop de Oro'. Del primo sappiamo tutto, del secondo ricordiamo la triste apparizione in Italia, alla fine degli anni '80, ad Ascoli Piceno. Una manciata di presenze, il nulla e l'addio dopo un solo anno. Eddy Baggio &egrave; l'altro falso d'autore per eccellenza. Una vita vissuta, da nomade, nelle serie minori e a guardare - sbavando - le gesta del fratello in Nazionale. Come dimenticare il piccolo di casa Vieri, Max l'australiano, per qualche anno di propriet&agrave; della Juventus o il buon Federico Higuain, che da Gonzalo avr&agrave; preso soltanto l'abilit&agrave; nei calci di rigore. Chi vince la speciale classifica &egrave; Chedric Seedorf, 32 anni, sempre in viaggio a spese del fratello. Giovanili di Ajax, Real e Inter da ragazzino e Milan da giocatore adulto e (non) formato. Restando sempre in tema rossonero, si ricorda il bel quadretto Kak&aacute;-Dig&atilde;o. Mentre uno era ai vertici del calcio mondiale, l'altro faticava a Rimini o a Liegi. C'&egrave; anche chi ha tentato la strada delle telecamere. Fabio Borriello, tornato alla ribalta delle cronache e non per questioni calcistiche, anzi, fu uno dei protagonisti della fortunata trasmissione Mediaset 'Campioni, il sogno', militando nella difesa del Cervia allenato da Ciccio Graziani. O chi, mirando le sessioni di altalena del fratello, girava per la Lombardia e garantiva presenze alla Nazionale della Padania. Tornando ai giorni nostri, &egrave; doveroso citare i fratelli maggiori di Paul Pogba. Sono due gemelli, Mathias a Pescara durante l'ultima stagione e Florentin al Saint-&Eacute;tienne. E poi Socrates-Ra&iacute;, Z&eacute; Elias-Rubinho, gli Inzaghi, i Filippini, i Tedesco, i Baresi, i Burdisso, i De Boer, i Lucarelli, i Laudrup, i Ferdinand, Zico-Edu per terminare con gli Hazard, i Kroos, i Boateng, i Goetze e gli Insigne dei giorni nostri. La palla si passa in famiglia. Adriano Lo Monaco @damorirne

Dai cinque Sentimenti a Evans Kondogbia e Juan Mauri, passando per i Mazzola, i Cannavaro o i Milito. Da grande faccio quello che fa mio fratello. Con gli ultimi acquisti di Inter e Milan avremo il piacere di conoscere i loro parenti pi&ugrave; stretti. Quello del francese arriva dall'Arles-Avignon, squadra che milita in Ligue 2, e sta per firmare con il Renate in Lega Pro, quello dell'argentino naturalizzato italiano stipuler&agrave; un contratto della durata di quattro anni proprio con i rossoneri per poi venire girato in prestito in qualche serie minore. Rarissimi i casi nei quali si &egrave; assistito a un'equa spartizione del talento, pi&ugrave; frequenti, invece, quelli del campione e del fratello che ha scelto il mestiere sbagliato.  Il caso pi&ugrave; celebre &egrave; quello dei Maradona, Diego e Hugo. Il 'Pibe de Oro' e il 'Flop de Oro'. Del primo sappiamo tutto, del secondo ricordiamo la triste apparizione in Italia, alla fine degli anni '80, ad Ascoli Piceno. Una manciata di presenze, il nulla e l'addio dopo un solo anno. Eddy Baggio &egrave; l'altro falso d'autore per eccellenza. Una vita vissuta, da nomade, nelle serie minori e a guardare - sbavando - le gesta del fratello in Nazionale. Come dimenticare il piccolo di casa Vieri, Max l'australiano, per qualche anno di propriet&agrave; della Juventus o il buon Federico Higuain, che da Gonzalo avr&agrave; preso soltanto l'abilit&agrave; nei calci di rigore. Chi vince la speciale classifica &egrave; Chedric Seedorf, 32 anni, sempre in viaggio a spese del fratello. Giovanili di Ajax, Real e Inter da ragazzino e Milan da giocatore adulto e (non) formato. Restando sempre in tema rossonero, si ricorda il bel quadretto Kak&aacute;-Dig&atilde;o. Mentre uno era ai vertici del calcio mondiale, l'altro faticava a Rimini o a Liegi.  C'&egrave; anche chi ha tentato la strada delle telecamere. Fabio Borriello, tornato alla ribalta delle cronache e non per questioni calcistiche, anzi, fu uno dei protagonisti della fortunata trasmissione Mediaset 'Campioni, il sogno', militando nella difesa del Cervia allenato da Ciccio Graziani. O chi, mirando le sessioni di altalena del fratello, girava per la Lombardia e garantiva presenze alla Nazionale della Padania. Tornando ai giorni nostri, &egrave; doveroso citare i fratelli maggiori di Paul Pogba. Sono due gemelli, Mathias a Pescara durante l'ultima stagione e Florentin al Saint-&Eacute;tienne. E poi Socrates-Ra&iacute;, Z&eacute; Elias-Rubinho, gli Inzaghi, i Filippini, i Tedesco, i Baresi, i Burdisso, i De Boer, i Lucarelli, i Laudrup, i Ferdinand, Zico-Edu per terminare con gli Hazard, i Kroos, i Boateng, i Goetze e gli Insigne dei giorni nostri. La palla si passa in famiglia.  Adriano Lo Monaco @damorirne

Kondogbia e Mauri, il calcio si gioca in famiglia

Pallone ricevuto da una rimessa laterale battuta sulla sinistra, dribbling su un primo avversario che manca l&rsquo;anticipo e su un secondo che prova inutilmente un tackle, tiro dal limite dell&rsquo;area nell&rsquo;angolino lontano: e uno. Ricezione a centro area di un dolce pallonetto arrivato dalla trequarti, e tiro vincente a incrociare: e due. Inevitabilmente, la partita contro la Bulgaria, per noi italiani richiama alla mente le due perle di Roberto Baggio in semifinale ai Mondiali del &rsquo;94. Una doppietta, quella newyorchese del Codino, che spalanc&ograve; le porte del Rose Bowl di Pasadena, per l&rsquo;appuntamento finale col Brasile. Contro i bulgari, fin&igrave; 2-1: ai due gol di Baggio, il quarto e il quinto personale di Usa &rsquo;94, segu&igrave; quello Stoichkov su rigore. Curiosamente, il Pallone d&rsquo;oro in carica e quello che lo avrebbe vinto a fine anno. Ma quello di ventuno anni fa, non &egrave; l&rsquo;unico precedente tra le due squadre nei grandi tornei. In precedenza c&rsquo;era stato un 1-1 nella fase a gironi dei Mondiali del 1986 in Messico (botta di Altobelli, risposta di Sirakov). E in seguito, i destini si incroceranno in Portogallo agli Europei del 2004. Anche in quell&rsquo;occasione 2-1 azzurro, ma sar&agrave; un successo amaro: fatale il 2-2 di Svezia-Danimarca nell&rsquo;altro campo, risultato che promuove le due compagini del Nord Europa e rispedisce a casa la squadra di Trapattoni, rendendo inutili i gol di Perrotta e Cassano. Famosa l&rsquo;immagine di Fantantonio prima esultante per il gol in extremis, ignaro del punteggio delle due scandinave, e poi in lacrime, una volta appreso che per gli azzurri non c&rsquo;era pi&ugrave; scampo. Serata amara, quella di Guimar&atilde;es, anche per i nostri avversari, gi&agrave; eliminati da prima del match, e rimasti a zero punti nel girone. Da quella sera, la Bulgaria non ha pi&ugrave; assaporato una partita di una grossa manifestazione, n&eacute; di un Mondiale n&eacute; di un Europeo. Altri precedente degni di nota sono il 6-1 in amichevole dell&rsquo;undici di Fabbri nel 1966, nella prima delle diciassette sfide tra le due nazionali e il doppio confronto nelle qualificazioni agli Europei del 1968 (eliminazione diretta, in pratica i quarti di finale, con un posto nella final four europea, il torneo vero e proprio): sconfitta per 3-2 a Sofia, con un&rsquo;autorete di Penev e un gol di Pierino Prati a tenere in vita gli azzurri; vittoria per 2-0 a Napoli, con gol ancora di Prati e di Domenghini. Un totale di 4-3 che qualifica l&rsquo;Italia agli Europei, giocati proprio in casa. Sar&agrave; un&rsquo;edizione felice per Valcareggi e i suoi uomini, destinati a vincere il primo grande torneo azzurro del dopoguerra. In totale, l&rsquo;Italia ha vinto nove volte, la Bulgaria due, i pari sono stati sei. Anche nella corsa per Brasile 2014, italiani e bulgari si sono affrontati: 1-0 con gol di Gilardino a Palermo, 2-2 a Sofia, con doppietta di Osvaldo. Tradizione favorevole all&rsquo;Italia, dunque, ma non a Sofia, dove in cinque appuntamenti abbiamo collezionato due sconfitte e tre pareggi. Sta ad Antonio Conte cercare di issare la prima bandierina in terra bulgara. Giovanni Del Bianco

Pallone ricevuto da una rimessa laterale battuta sulla sinistra, dribbling su un primo avversario che manca l&rsquo;anticipo e su un secondo che prova inutilmente un tackle, tiro dal limite dell&rsquo;area nell&rsquo;angolino lontano: e uno. Ricezione a centro area di un dolce pallonetto arrivato dalla trequarti, e tiro vincente a incrociare: e due. Inevitabilmente, la partita contro la Bulgaria, per noi italiani richiama alla mente le due perle di Roberto Baggio in semifinale ai Mondiali del &rsquo;94. Una doppietta, quella newyorchese del Codino, che spalanc&ograve; le porte del Rose Bowl di Pasadena, per l&rsquo;appuntamento finale col Brasile. Contro i bulgari, fin&igrave; 2-1: ai due gol di Baggio, il quarto e il quinto personale di Usa &rsquo;94, segu&igrave; quello Stoichkov su rigore. Curiosamente, il Pallone d&rsquo;oro in carica e quello che lo avrebbe vinto a fine anno.  Ma quello di ventuno anni fa, non &egrave; l&rsquo;unico precedente tra le due squadre nei grandi tornei. In precedenza c&rsquo;era stato un 1-1 nella fase a gironi dei Mondiali del 1986 in Messico (botta di Altobelli, risposta di Sirakov). E in seguito, i destini si incroceranno in Portogallo agli Europei del 2004. Anche in quell&rsquo;occasione 2-1 azzurro, ma sar&agrave; un successo amaro: fatale il 2-2 di Svezia-Danimarca nell&rsquo;altro campo, risultato che promuove le due compagini del Nord Europa e rispedisce a casa la squadra di Trapattoni, rendendo inutili i gol di Perrotta e Cassano. Famosa l&rsquo;immagine di Fantantonio prima esultante per il gol in extremis, ignaro del punteggio delle due scandinave, e poi in lacrime, una volta appreso che per gli azzurri non c&rsquo;era pi&ugrave; scampo. Serata amara, quella di Guimar&atilde;es, anche per i nostri avversari, gi&agrave; eliminati da prima del match, e rimasti a zero punti nel girone. Da quella sera, la Bulgaria non ha pi&ugrave; assaporato una partita di una grossa manifestazione, n&eacute; di un Mondiale n&eacute; di un Europeo.  Altri precedente degni di nota sono il 6-1 in amichevole dell&rsquo;undici di Fabbri nel 1966, nella prima delle diciassette sfide tra le due nazionali e il doppio confronto nelle qualificazioni agli Europei del 1968 (eliminazione diretta, in pratica i quarti di finale, con un posto nella final four europea, il torneo vero e proprio): sconfitta per 3-2 a Sofia, con un&rsquo;autorete di Penev e un gol di Pierino Prati a tenere in vita gli azzurri; vittoria per 2-0 a Napoli, con gol ancora di Prati e di Domenghini. Un totale di 4-3 che qualifica l&rsquo;Italia agli Europei, giocati proprio in casa. Sar&agrave; un&rsquo;edizione felice per Valcareggi e i suoi uomini, destinati a vincere il primo grande torneo azzurro del dopoguerra.  In totale, l&rsquo;Italia ha vinto nove volte, la Bulgaria due, i pari sono stati sei. Anche nella corsa per Brasile 2014, italiani e bulgari si sono affrontati: 1-0 con gol di Gilardino a Palermo, 2-2 a Sofia, con doppietta di Osvaldo. Tradizione favorevole all&rsquo;Italia, dunque, ma non a Sofia, dove in cinque appuntamenti abbiamo collezionato due sconfitte e tre pareggi. Sta ad Antonio Conte cercare di issare la prima bandierina in terra bulgara.  Giovanni Del Bianco

I precedenti tra e Italia e Bulgaria: dalle perle di Baggio alle lacrime di Cassano

Il Mondiale non &egrave; ancora finito, ma Abete e Prandelli sembrano gi&agrave; appartenere a un passato remoto del calcio italiano. Anche se in realt&agrave; se ne &egrave; andato (fuggito, secondo il maestro di stile Della Valle) solo l'allenatore, mentre Abete e mantiene le cariche UEFA e CONI in attesa degli eventi. Manca un mese all'elezione del nuovo presidente della FIGC o al commissariamento ed il quadro della situazione &egrave; al momento sintetizzabile in alcuni punti. 1) Carlo Tavecchio, l'attuale presidente della Lega Nazionale Dilettanti, &egrave; l'unico ad avere i voti per vincere contro tutto e contro tutti, senza mendicare investiture o sponsorizzazioni. Il 34% dei delegati votanti che spettano alla LND pi&ugrave; quasi tutto il 17% della Lega Pro e anche quella parte di serie A che fa riferimento a Galliani e Lotito. Problema: &egrave; impresentabile, non tanto per l'et&agrave; quanto per la permanenza quasi ventennale ai vertici FIGC, fin dai tempi di Carraro. 2) La Juventus non vede di buon occhio non tanto Tavecchio, vecchio democristiano (non &egrave; un modo di dire, davvero &egrave; stato un membro importante della DC in Lombardia ai tempi della Prima Repubblica), quanto il fatto che il suo sponsor principale sia Galliani. La FIGC si occupa s&igrave; della Nazionale, ma anche di arbitri e riforme dei campionati.... Al di l&agrave; delle battute sugli ex calciatori da lanciare e delle giuste considerazioni di Macalli sulla storia d'Italia, Andrea Agnelli e i club che lo seguono (Roma e Fiorentina, fra quelli grandi) non hanno un candidato alternativo vero. Di sicuro non sono tifosi di una FIGC forte e decisionista, come del resto quasi nessuno in serie A. 3) Demetrio Albertini, astuto nello sganciarsi per tempo dalla 'vecchia' FIGC nonostante in Brasile sia stato capodelegazione (e non &egrave; che abbia brillato, con il senno di poi, raramente si &egrave; visto un gruppo cos&igrave; spaccato nemmeno in occasione di altri disastri sportivi), ha ovviamente dalla sua parte i calciatori (20%), mentre la posizione degli allenatori (10%) &egrave; ambigua visto che nel vecchio assetto politico Renzo Ulivieri (bella mossa far circolare l'ipotesi di lui traghettatore della Nazionale...) ci ha sguazzato. Albertini non ha, a quanto si sa, scheletri nell'armadio o favori da restituire, inoltre ha qualche simpatia silenziosa in A. Ma, come altri ex campioni del Milan, &egrave; detestato da Galliani e in generale non ha argomenti per convincere LND e LegaPro, se non quello di difendere i posti di lavoro dei calciatori (e quindi l'esistenza di un numero di club esagerato). 4) Nessuno dei poteri forti in campo pensa a un presidente-manager, che guadagni pi&ugrave; del rimborso spese di Abete (36mila euro all'anno). Traduzione: in nessun caso il presidente sar&agrave; un manager di valore, che venga o meno dal mondo sportivo come ad esempio Albertini, ma sar&agrave; piuttosto una figura politica circondata da dirigenti espressi secondo il manuale Cencelli. 5) Previsioni con un mese di anticipo. In questa fase bisogna vendere al pubblico un volto pulito e che sembri nuovo, quindi l'ipotesi dell'ex calciatore anche senza nessuna esperienza (Maldini, Vialli, non vogliamo nemmeno pensare a Cannavaro) rimarr&agrave; in piedi, cos&igrave; come quella del miliardario con fama di sportivo, tipo Alessandro Benetton. La quadratura del cerchio, secondo quanto ci riferiscono peones dei vari schieramenti, sarebbe quella s&igrave; dell'ex calciatore, ma slegato dall'AIC e con un'et&agrave; da padre della patria: facile dire Dino Zoff o Gianni Rivera, ma il ventre molle della federazione gradirebbe di pi&ugrave; un Gigi Riva da esibire come una Madonna pellegrina. Ma Riva, per diversi motivi, preferirebbe rimanere a casa sua. 6) Chiaramente la cosa che ci interessa di pi&ugrave; &egrave; il nome del nuovo commissario tecnico, possibilmente in sella gi&agrave; il 4 settembre a Bari per l'amichevole con l'Olanda. Tavecchio ha buttato l&igrave; l'idea dell'allenatore espressione delle FIGC, ma nei ranghi non ci sono fenomeni e alla fine gli interessa solo che arrivi qualcuno da non pagare pi&ugrave; di un milione netto l'anno. L'unico dei candidati che ha gi&agrave; fatto sapere di non puntare a un grande ingaggio &egrave; Mancini, ma con Geronzi in pensione non ha pi&ugrave; grandi sponsor. Sulla carta il favorito &egrave; Allegri, portatissimo da Galliani e Lotito (che lo avrebbe voluto anche alla Lazio), ma un nome che piace a tutti &egrave; quello di Gianluca Vialli. Relativamente giovane, 50 anni, con un ottimo passato in azzurro ma ancora la 'fame' da grande vittoria sfumata (il suo Mondiale sarebbe dovuto essere Italia Novanta), non ha nemici potenti. Come del resto non ne ha Roberto Baggio, scottato dall'esperienza al Settore Tecnico ma a 47 anni maturo per scendere di nuovo in campo. Twitter @StefanoOlivari

Il Mondiale non &egrave; ancora finito, ma Abete e Prandelli sembrano gi&agrave; appartenere a un passato remoto del calcio italiano. Anche se in realt&agrave; se ne &egrave; andato (fuggito, secondo il maestro di stile Della Valle) solo l'allenatore, mentre Abete e mantiene le cariche UEFA e CONI in attesa degli eventi. Manca un mese all'elezione del nuovo presidente della FIGC o al commissariamento ed il quadro della situazione &egrave; al momento sintetizzabile in alcuni punti.  1) Carlo Tavecchio, l'attuale presidente della Lega Nazionale Dilettanti, &egrave; l'unico ad avere i voti per vincere contro tutto e contro tutti, senza mendicare investiture o sponsorizzazioni. Il 34% dei delegati votanti che spettano alla LND pi&ugrave; quasi tutto il 17% della Lega Pro e anche quella parte di serie A che fa riferimento a Galliani e Lotito. Problema: &egrave; impresentabile, non tanto per l'et&agrave; quanto per la permanenza quasi ventennale ai vertici FIGC, fin dai tempi di Carraro.  2) La Juventus non vede di buon occhio non tanto Tavecchio, vecchio democristiano (non &egrave; un modo di dire, davvero &egrave; stato un membro importante della DC in Lombardia ai tempi della Prima Repubblica), quanto il fatto che il suo sponsor principale sia Galliani. La FIGC si occupa s&igrave; della Nazionale, ma anche di arbitri e riforme dei campionati.... Al di l&agrave; delle battute sugli ex calciatori da lanciare e delle giuste considerazioni di Macalli sulla storia d'Italia, Andrea Agnelli e i club che lo seguono (Roma e Fiorentina, fra quelli grandi) non hanno un candidato alternativo vero. Di sicuro non sono tifosi di una FIGC forte e decisionista, come del resto quasi nessuno in serie A.  3) Demetrio Albertini, astuto nello sganciarsi per tempo dalla 'vecchia' FIGC nonostante in Brasile sia stato capodelegazione (e non &egrave; che abbia brillato, con il senno di poi, raramente si &egrave; visto un gruppo cos&igrave; spaccato nemmeno in occasione di altri disastri sportivi), ha ovviamente dalla sua parte i calciatori (20%), mentre la posizione degli allenatori (10%) &egrave; ambigua visto che nel vecchio assetto politico Renzo Ulivieri (bella mossa far circolare l'ipotesi di lui traghettatore della Nazionale...) ci ha sguazzato. Albertini non ha, a quanto si sa, scheletri nell'armadio o favori da restituire, inoltre ha qualche simpatia silenziosa in A. Ma, come altri ex campioni del Milan, &egrave; detestato da Galliani e in generale non ha argomenti per convincere LND e LegaPro, se non quello di difendere i posti di lavoro dei calciatori (e quindi l'esistenza di un numero di club esagerato).  4) Nessuno dei poteri forti in campo pensa a un presidente-manager, che guadagni pi&ugrave; del rimborso spese di Abete (36mila euro all'anno). Traduzione: in nessun caso il presidente sar&agrave; un manager di valore, che venga o meno dal mondo sportivo come ad esempio Albertini, ma sar&agrave; piuttosto una figura politica circondata da dirigenti espressi secondo il manuale Cencelli.  5) Previsioni con un mese di anticipo. In questa fase bisogna vendere al pubblico un volto pulito e che sembri nuovo, quindi l'ipotesi dell'ex calciatore anche senza nessuna esperienza (Maldini, Vialli, non vogliamo nemmeno pensare a Cannavaro) rimarr&agrave; in piedi, cos&igrave; come quella del miliardario con fama di sportivo, tipo Alessandro Benetton. La quadratura del cerchio, secondo quanto ci riferiscono peones dei vari schieramenti, sarebbe quella s&igrave; dell'ex calciatore, ma slegato dall'AIC e con un'et&agrave; da padre della patria: facile dire Dino Zoff o Gianni Rivera, ma il ventre molle della federazione gradirebbe di pi&ugrave; un Gigi Riva da esibire come una Madonna pellegrina. Ma Riva, per diversi motivi, preferirebbe rimanere a casa sua.  6) Chiaramente la cosa che ci interessa di pi&ugrave; &egrave; il nome del nuovo commissario tecnico, possibilmente in sella gi&agrave; il 4 settembre a Bari per l'amichevole con l'Olanda. Tavecchio ha buttato l&igrave; l'idea dell'allenatore espressione delle FIGC, ma nei ranghi non ci sono fenomeni e alla fine gli interessa solo che arrivi qualcuno da non pagare pi&ugrave; di un milione netto l'anno. L'unico dei candidati che ha gi&agrave; fatto sapere di non puntare a un grande ingaggio &egrave; Mancini, ma con Geronzi in pensione non ha pi&ugrave; grandi sponsor. Sulla carta il favorito &egrave; Allegri, portatissimo da Galliani e Lotito (che lo avrebbe voluto anche alla Lazio), ma un nome che piace a tutti &egrave; quello di Gianluca Vialli. Relativamente giovane, 50 anni, con un ottimo passato in azzurro ma ancora la 'fame' da grande vittoria sfumata (il suo Mondiale sarebbe dovuto essere Italia Novanta), non ha nemici potenti. Come del resto non ne ha Roberto Baggio, scottato dall'esperienza al Settore Tecnico ma a 47 anni maturo per scendere di nuovo in campo.  Twitter @StefanoOlivari

Il partito di Vialli

Antonio Cassano in Nazionale! Schiavi dell'ultima, forse anche della penultima impressione, oltre che delle page view sui nostri articoli, mettiamo nero su bianco un sentimento popolare che non si notava dai tempi di Baggio. Perch&eacute; se il miglior Cassano si colloca in un piano inferiore rispetto al miglior Baggio (quello degli ultimi due anni di Fiorentina e dei primi tre di Juventus), il suo posto nell'immaginario calcistico &egrave; al pari di Baggio quello dei senza maglia e senza bandiera. E non certo per mancanza di occasioni: poco rimpianto alla Roma, al Real Madrid, alla Sampdoria, al Milan e all'Inter, nessun sistema mediatico trova conveniente in termini editoriali perorare la sua causa. Per questo Cassano raccoglie un tifo trasversale, quello che quando finalmente (per il suo bene) se ne andr&agrave; dall'Italia raccoglier&agrave; anche Balotelli e di cui godeva, anche se per motivi diversi, Baggio. I precedenti di Cassano in grandi manifestazioni li conoscono tutti: discreto Euro 2004 nella parte del 'giovane' con Trapattoni, discreto Euro 2008 come promessa solo parzialmente mantenuta proprio con il Donadoni che adesso lo allena al Parma, buonissimo Euro 2012 con Prandelli, sempre da titolare e spesso decisivo. Mai un Mondiale perch&eacute; per i 'suoi' 2 Mondiali utili l'Italia era guidata da Lippi, che non lo ha mai davvero considerato (anche se all'inizio della sua gestione lo ha qualche volta convocato). Il punto &egrave;: a 32 anni, dopo tutti i problemi fisici e quelli con qualsiasi tipo di ambiente, un giocatore-personaggio del genere pu&ograve; essere utile a Prandelli in Brasile? Usciamo dalle statistiche (11 gol e tanti passaggi illuminanti) e dall'impressione che Cassano d&agrave; in campo (quella di gestirsi, per usare un eufemismo, accendendosi solo quando lo decide): cosa potrebbe dare Cassano a una squadra comunque forte anche senza di lui? I calci piazzati li battono meglio Pirlo e Balotelli, i gol possono farli in tanti e quasi tutti pi&ugrave; giovani e tonici di lui (all'Italia le seconde punte e gli attaccanti esterni non mancano: da Cerci a Immobile a Insigne), quello del rifinitore puro non &egrave; un ruolo previsto dal c.t. che si fa trascinare in questi discorsi solo perch&eacute; lasciare una porta aperta a Totti o allo stesso Cassano porta buona stampa. Insomma, le possibilit&agrave; di vedere Cassano in Brasile non sono moltissime, ma senz'altro ci sono. Anche se va detto che chi gioca nel Parma non ha eserciti che possano combattere per lui, mentre Baggio almeno qualche giornalista fedelissimo lo aveva. Cassano &egrave; per&ograve; un colpo che Prandelli ha in canna, da uomo intelligente (anche troppo) il c.t. sa che toglierebbe pressione al resto della squadra e darebbe un'alternativa a partita in corso a lui.

Il primo Mondiale di Cassano

Roberto Baggio si &egrave; dimesso da presidente del Settore Tecnico della Figc, dopo due anni e mezzo da sopportato speciale e annunciandolo in un'intervista al Tg1. Sopportato negli ultimi mesi anche da parte del presidente federale Abete, che lo ha sempre considerato (a ragione) il miglior uomo immagine del calcio italiano nel mondo e presso il grande pubblico, quello che non discute per mesi su un fuorigioco ma sa distinguere le emozioni dal compitino. Baggio era per&ograve; sopportato soprattutto dalle persone alle quali avrebbe dovuto dare un indirizzo tecnico e per cos&igrave; dire ideologico, cio&eacute; gli allenatori italiani. La maggioranza silenziosa non accettava che in questo ruolo ci fosse un ex campione con zero esperienza in panchina (e dopo 6 anni di totale lontananza dal mondo del calcio, dopo avere chiuso con la maglia del Brescia nel 2004), uno che non a caso e con una certa caduta di stile ha preso il patentino proprio da presidente del Settore Tecnico (e dopo aver provato a farselo dare d'ufficio). Peccato che i non allenatori al vertice del Settore Tecnico non manchino sia nel passato (basti pensare a Massimo Moratti) che nel futuro (probabile che il dopo-Baggio sia Giancarlo Antognoni), quindi &egrave; evidente che l'antipatia per Baggio nasca anche da altri fattori. Prima di tutto dalla sua scarsa presenza a Coverciano, poi dal suo principale progetto di riforma del calcio italiano basato pi&ugrave; sulla formazione dei ragazzi che su quella dei tecnici. Un programma che Abete ha finto di prendere in considerazione, prima di accettare con un certo sollievo le dimissioni di Baggio. Chiudendo una vicenda in cui hanno torto un po' tutti. Ha torto la federazione perch&eacute; sapeva benissimo che Baggio era una 'figurina' nel senso paniniano del termine, di grande prestigio ma anche di zero esperienza come allenatore e a maggior ragione come formatore di allenatori. Una figurina che nell'estate 2010, dopo il fallimento degli azzurri di Lippi al Mondiale sudafricano, era per&ograve; funzionale a generare fiducia nel futuro e buona stampa nel presente. Ha torto Baggio perch&eacute; il suo dopo-calcio giocato &egrave; stato tutto incentrato sui suoi affari personali e sulla costruzione del proprio monumento, belle cose ma che mal si conciliano con un lavoro oscuro e per molti aspetti anche noioso. Voleva rientrare in qualche modo nel calcio, senza rischiare la faccia, adesso che l'ha fatto forse si sente pronto per nuove sfide. Non &egrave; improbabile che possa venire usato da qualche club, magari anche fuori dall'Italia, in cerca di un parafulmine. La comunicazione non &egrave; mai stata il suo forte, anche se il suo mito &egrave; nato anche dall'essere fuori dal 'giro', per&ograve; chi lo conosce bene giura che ha tanta voglia di allenare, come provato anche dalla mezza disponibilit&agrave; data qualche settimana fa al Vicenza. A frenarlo il fatto che mentre un giocatore, anche della Juventus, del Milan o dell'Inter, pu&ograve; in certi casi (come il suo) essere un personaggio trasversale, per stile anche fuori dal campo, l'allenatore &egrave; invece necessariamente un personaggio di parte: uno che deve dare la carica, che non deve limitarsi ai fatti suoi. E Baggio per carattere e cultura pu&ograve; accettare le sconfitte, ma non l'ostilit&agrave; preconcetta. Twitter @StefanoOlivari

Roberto Baggio si &egrave; dimesso da presidente del Settore Tecnico della Figc, dopo due anni e mezzo da sopportato speciale e annunciandolo in un'intervista al Tg1. Sopportato negli ultimi mesi anche da parte del presidente federale Abete, che lo ha sempre considerato (a ragione) il miglior uomo immagine del calcio italiano nel mondo e presso il grande pubblico, quello che non discute per mesi su un fuorigioco ma sa distinguere le emozioni dal compitino. Baggio era per&ograve; sopportato soprattutto dalle persone alle quali avrebbe dovuto dare un indirizzo tecnico e per cos&igrave; dire ideologico, cio&eacute; gli allenatori italiani. La maggioranza silenziosa non accettava che in questo ruolo ci fosse un ex campione con zero esperienza in panchina (e dopo 6 anni di totale lontananza dal mondo del calcio, dopo avere chiuso con la maglia del Brescia nel 2004), uno che non a caso e con una certa caduta di stile ha preso il patentino proprio da presidente del Settore Tecnico (e dopo aver provato a farselo dare d'ufficio). Peccato che i non allenatori al vertice del Settore Tecnico non manchino sia nel passato (basti pensare a Massimo Moratti) che nel futuro (probabile che il dopo-Baggio sia Giancarlo Antognoni), quindi &egrave; evidente che l'antipatia per Baggio nasca anche da altri fattori. Prima di tutto dalla sua scarsa presenza a Coverciano, poi dal suo principale progetto di riforma del calcio italiano basato pi&ugrave; sulla formazione dei ragazzi che su quella dei tecnici. Un programma che Abete ha finto di prendere in considerazione, prima di accettare con un certo sollievo le dimissioni di Baggio. Chiudendo una vicenda in cui hanno torto un po' tutti. Ha torto la federazione perch&eacute; sapeva benissimo che Baggio era una 'figurina' nel senso paniniano del termine, di grande prestigio ma anche di zero esperienza come allenatore e a maggior ragione come formatore di allenatori. Una figurina che nell'estate 2010, dopo il fallimento degli azzurri di Lippi al Mondiale sudafricano, era per&ograve; funzionale a generare fiducia nel futuro e buona stampa nel presente. Ha torto Baggio perch&eacute; il suo dopo-calcio giocato &egrave; stato tutto incentrato sui suoi affari personali e sulla costruzione del proprio monumento, belle cose ma che mal si conciliano con un lavoro oscuro e per molti aspetti anche noioso. Voleva rientrare in qualche modo nel calcio, senza rischiare la faccia, adesso che l'ha fatto forse si sente pronto per nuove sfide. Non &egrave; improbabile che possa venire usato da qualche club, magari anche fuori dall'Italia, in cerca di un parafulmine. La comunicazione non &egrave; mai stata il suo forte, anche se il suo mito &egrave; nato anche dall'essere fuori dal 'giro', per&ograve; chi lo conosce bene giura che ha tanta voglia di allenare, come provato anche dalla mezza disponibilit&agrave; data qualche settimana fa al Vicenza. A frenarlo il fatto che mentre un giocatore, anche della Juventus, del Milan o dell'Inter, pu&ograve; in certi casi (come il suo) essere un personaggio trasversale, per stile anche fuori dal campo, l'allenatore &egrave; invece necessariamente un personaggio di parte: uno che deve dare la carica, che non deve limitarsi ai fatti suoi. E Baggio per carattere e cultura pu&ograve; accettare le sconfitte, ma non l'ostilit&agrave; preconcetta.   Twitter @StefanoOlivari

Inutilit&agrave; di Baggio

La luna di miele fa Roberto Baggio e la Federcalcio &egrave; gi&agrave; finita? Il rischio c'&egrave; perch&eacute; l'ex campione &egrave; pronto a dimettersi dalla presidenza del settore tecnico se non verr&agrave; accolto il suo piano. Ecco come stanno le cose: di recente Baggio, con il consiglio del settore tecnico, ha approvato un progetto dal costo di sette milioni di euro e che prevede, fra l'altro, anche uno studio sui giovani. Ma spetta al settore tecnico farlo? Ci sono gi&agrave; il settore giovanile e scolastico (presidente Gianni Rivera) e il Club Italia (presidente Demetrio Albertini) che si occupano dei vivai. Lo stesso Club Italia sta facendo uno scouting sui giovani azzurri. E allora? Forse Baggio non ha ben capito quali sono i compiti del settore tecnico che dirige: formare i maestri e gli allenatori di calcio, rilanciare Coverciano (dove si fa vedere raramente: non c'era nemmeno in occasione della visita di Michel Platini). Sarebbe il caso che Renzo Ulivieri, che ha voluto fare rientrare Baggio nel mondo del calcio, gli spiegasse quali sono i suoi compiti. Ora il piano del settore tecnico &egrave; allo studio di fattibilit&agrave;, poi passer&agrave; all'esame del consiglio federale (forse gi&agrave; dopo Pasqua?): se dovesse essere bocciato (soprattutto per motivi economici), ecco che Baggio potrebbe dare le dimissioni. La sua carica (come quelle di Albertini e Rivera) d'altronde &egrave; onorifica: massimo, rimborsi spese. Ma sette milioni solo per il settore tecnico, pesano troppo sulle casse del calcio. Si vedr&agrave;. Intanto, tutto &egrave; fermo.(...) Fulvio Bianchi per Repubblica.it<a href="http://www.repubblica.it/rubriche/spycalcio/2011/04/04/news/baggio_figc-14473645/?ref=HRLS-5"> Link all'articolo completo</a>

La luna di miele fa Roberto Baggio e la Federcalcio &egrave; gi&agrave; finita? Il rischio c'&egrave; perch&eacute; l'ex campione &egrave; pronto a dimettersi dalla presidenza del settore tecnico se non verr&agrave; accolto il suo piano. Ecco come stanno le cose: di recente Baggio, con il consiglio del settore tecnico, ha approvato un progetto dal costo di sette milioni di euro e che prevede, fra l'altro, anche uno studio sui giovani. Ma spetta al settore tecnico farlo? Ci sono gi&agrave; il settore giovanile e scolastico (presidente Gianni Rivera) e il Club Italia (presidente Demetrio Albertini) che si occupano dei vivai. Lo stesso Club Italia sta facendo uno scouting sui giovani azzurri. E allora? Forse Baggio non ha ben capito quali sono i compiti del settore tecnico che dirige: formare i maestri e gli allenatori di calcio, rilanciare Coverciano (dove si fa vedere raramente: non c'era nemmeno in occasione della visita di Michel Platini). Sarebbe il caso che Renzo Ulivieri, che ha voluto fare rientrare Baggio nel mondo del calcio, gli spiegasse quali sono i suoi compiti. Ora il piano del settore tecnico &egrave; allo studio di fattibilit&agrave;, poi passer&agrave; all'esame del consiglio federale (forse gi&agrave; dopo Pasqua?): se dovesse essere bocciato (soprattutto per motivi economici), ecco che Baggio potrebbe dare le dimissioni. La sua carica (come quelle di Albertini e Rivera) d'altronde &egrave; onorifica: massimo, rimborsi spese. Ma sette milioni solo per il settore tecnico, pesano troppo sulle casse del calcio. Si vedr&agrave;. Intanto, tutto &egrave; fermo.(...) Fulvio Bianchi per Repubblica.it Link all'articolo completo

l poco presente (a Coverciano) presidente del settore tecnico ha approvato un progetto da sette milioni di euro riguardante anche i giovani, ma forse lo sponsor Ulivieri non gli ha spiegato quali sarebbero in teoria i suoi compiti. Forse &egrave; pi&ugrave; comodo diventare il centesimo ambasciatore di Moratti...

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