Le spy story del calciomercato: Roberto Baggio alla Juventus

Le spy story del calciomercato: Roberto Baggio alla Juventus

Estate 1990, tra la Fiorentina e i bianconeri va in scena un intreccio di mercato che infiamma la città e spezza il rapporto con i Pontello

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«Una volta scendevano in piazza per protestare contro la Fiat, oggi perché Baggio non vada alla Juve. Direi che il Paese è migliorato». Dichiara così, Gianni Agnelli, per farsi beffe della marea viola che non sa capacitarsi del rischio di perdere il proprio idolo. Già dal 18 febbraio 1990 la gente di Firenze è in strada a sputare rabbia e lanciare uova sotto casa della proprietà viola, spaventando la contessa Simonetta – moglie del conte Flavio Pontello, patron di una squadra bella e mai vincente – e “sotto lo sguardo terrorizzato della cameriera filippina”. “La Repubblica” dixit.

“Solo noi, solo noi, Roberto Baggio ce l'abbiamo noi!” cantano i tifosi al loro idolo, convinti che per osmosi il loro amore per la maglia lo contagi.

Baggio, dal canto suo, fa il Baggio. In campo dipinge le sue giocate jazz, estemporanee, impreviste e fuori spartito. Magia in movimento. Fuori fa lo scontroso, si sente in lotta con il mondo – solo contro tutto e tutti – attira l'amore delle folle dichiarandosi viola e solo viola e poi, con ritrosia, scappa rifiutando ulteriori dichiarazioni. Addossa tutto ai Pontello, tanta è la sofferenza che alberga nel suo cuore. Nell'ombra è il suo agente, Antonio Caliendo gran visir di tutti i procuratori, a tramare con la Juve. E forse pure con il Milan.

I Pontello sotto sotto lo trovano irritante, ma dopo averlo aspettato due anni dopo l'infortunio, quando avevano battuto la concorrenza di tutti comprandolo ancora ragazzino per due miliardi e otto dal Vicenza, non vedono l'ora di ricavarci un bel gruzzolo.

 

Una stagione difficile

 

Il Comunale è chiuso, funestato come tutti gli stadi d'Italia dai lavori infiniti e dispendiosissimi in vista del Mondiale, e la Fiorentina è costretta a giocare la stagione 1989-90 tra Pistoia e Perugia, venendo risucchiata nella lotta per non retrocedere. In estate è stato ceduto al Milan Borgonovo, che con Baggio formava una coppia d'amici più che di attaccanti, e i rimpiazzi non sono all'altezza. Baggio segna diciassette gol in A, il suo record fino a quel momento, ma intorno a lui è il diluvio.

Solo in Uefa la Fiorentina ha dei sussulti, arrivando in finale nonostante soffra a ogni turno e Baggio segni appena un gol, per giunta su rigore. Più che le sue prestazioni, è sempre l'interessamento della Juve a provocare pruriti nella tifoseria e in chi scrive di calcio. E non passa settimana senza smentite e rilanci circa la sua futura destinazione e senza polemiche e cori contro la proprietà o suppliche nei suoi confronti.

«Baggio è nostro al 51%» dichiara criptico l'Avvocato. «Se non vuole venire da noi, peggio per lui» pungola Boniperti, ribattendo a chi racconta di un Robi amletico, tormentato e infelice di fronte alla prospettiva del trasferimento a Torino. «Sta a Firenze come Rivera stava al Milan e Mazzola all'Inter» si scrive, ma la bandiera del futuro “Divin codino” sventola solo nell'immaginario di una grande Fiorentina, che i Pontello non sembrano più aver voglia di costruire.

In città è il caos, tra chi prova ad aggredire il conte e chi lo apostrofa al tavolo da pranzo dei ristoranti di lusso dicendogli che se non ha soldi non ha senso dichiararsi nobile. C'è pure chi telefona all'Ansa minacciando bombe nelle varie sedi della Finanziaria di famiglia. Poi, sfortuna vuole che Fiorentina e Juventus finiscano per scontrarsi nella finale di coppa Uefa, l'ultima spiaggia per la tormentata stagione viola, e a quel punto la tensione tracima nel parossismo.

La Fiorentina perde 3-1 la gara d'andata a Torino e Baggio fa poco: dopotutto è dato per partente certo. La sfida di ritorno si giocherà addirittura al Partenio di Avellino, oltre cinquecento chilometri da Firenze in fiamme, perché il Comunale – ultimato in tempo per la gara – è stato squalificato per un'invasione di campo nella semifinale giocata a Perugia contro il Werder Brema. I bianconeri sono in maggioranza e dagli spalti urlano: “Roberto Baggio! Roberto Baggio!” in spregio ai rivali. Ormai più nessuno crede alla rimonta, né che i Pontello tratterranno l'idolo di casa, che si dice disposto a firmare un contratto in bianco. Caliendo, d'altro canto, sembra molto meno propenso all'eventualità e per accertarsi che nulla vada storto con la Juve si piazza in un albergo di super lusso alla periferia sud di Avellino per marcare stretto il suo assistito. La contemporanea presenza di Galliani fa montare altre voci, ma per il Condor non è aria.

 

E se Cecchi Gori?

 

Cecchi Gori, che sta trattando per l'acquisto della viola, ha messo Baggio al centro del suo progetto futuro e pretenderebbe dal conte la sua conferma. Ma quello gioca su due tavoli e fa promesse sia al produttore di Fantozzi alla riscossa che al Megadirettore Fiat: il finale è scontato. «Io quello me lo mangio» aveva scherzato il conte a proposito del futuro signor Marini.

Tra l'incazzatura generale, e con la delusione della partita di ritorno finita 0-0 ancora calda, Caliendo convoca una conferenza stampa nella sede della società e conferma l'avvenuta cessione di Baggio alla Juve – c'è chi dice per venticinque, chi per sedici miliardi, ma cambia poco – e mentre parla un pietrone spacca un vetro e vetri di bottiglia esplodono un po' di qua e un po' di là.

Baggio chiede un atto di contrizione dei Pontello: devono dichiararsi colpevoli della sua cessione. Quelli gli danno del bugiardo: c'è chi lo definisce addirittura “subdolo”. Gli juventini gonfiano il petto: “Roberto, vincere ti piacerà”. E i fiorentini? Ormai etichettati come “perdenti”, fanno danni in giro per la città ma la città stessa li appoggia, lanciando “vasi di fiori e pietre dalle finestre” sui poliziotti che tentano di fermare la marea ultras. Va avanti così sino al raduno degli Azzurri a Coverciano a fine maggio, quando ancora si urla, si spacca tutto e si fischiano i Pontello, gli juventini e il destino cinico e baro. Che ancora una volta ha schiacciato il romanticismo sotto i piedi in onore dell'unica divinità riverita da tutti: il denaro. Baggio non voleva andare, forse, ma che importanza ha?

 

 

 

 

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