Dalle vie polverose di Kinshasa ai quartieri pi&ugrave; eleganti di capitali come Madrid, Londra e Parigi, la strada &egrave; lunga. Claude Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; l&rsquo;ha percorsa a modo suo, con quell&rsquo;ampia dose di capacit&agrave; di sacrificio e desiderio disperato di salvarsi da un destino sfortunato che contraddistingue chi lascia il proprio Paese. Cosa che la famiglia di Claude fa quando lui ha appena quattro anni, destinazione Parigi. La vita nei sobborghi non &egrave; semplice: farsi accettare dai locali, sostenere il tenore di vita che richiede la grande citt&agrave;. Arriva cos&igrave; un altro trasferimento: a Brest, citt&agrave; portuale nell&rsquo;estremo occidente francese. A Parigi torner&agrave; vent&rsquo;anni dopo, da campione affermato, quando le barriere dell&rsquo;indifferenza saranno state abbattute dall&rsquo;accondiscendenza che accompagna il successo. <h2>Claude Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, gli inizi al Brest e il passaggio al Nantes</h2> A Brest Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; approccia il calcio vero. Sono gli osservatori del Nantes ad accorgersi di lui e a portarlo a vestire la maglia dei canarini, coi quali arriva a vincere il campionato nella stagione 1994-95. &Eacute; il primo successo importante di un giocatore che si distingue sin dall&rsquo;inizio della carriera per l&rsquo;impressionante numero di chilometri che percorre: nato come esterno alto, si sposta presto in mezzo al campo, dove le sue capacit&agrave; aerobiche riescono a trovare la massima espressione. Nel periodo speso a Nantes riesce a esordire in nazionale. Prova a far parte del gruppo che nel 1998 vincer&agrave; il Mondiale ma la non brillante stagione vissuta a Marsiglia &egrave; decisiva nelle scelte del CT Jacquet, che lo lascia a casa. <h2>Dal Celta Vigo al Real Madrid dei Galacticos: gli anni spagnoli di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;</h2> C&rsquo;&egrave; bisogno di una svolta nella carriera di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, che a 25 anni decide di trasferirsi in Galizia per aprire un nuovo capitolo della sua vita professionale. Il Celta Vigo non &egrave; un top club (&egrave; arrivato sesto nella stagione precedente) ma &egrave; una squadra nella quale riesce a mettere definitivamente in mostra le sue doti migliori: dinamismo, senso tattico, capacit&agrave; di contrasto. Negli spazi che si estendono da un&rsquo;area di rigore all&rsquo;altra lui &egrave; ovunque, in verticale e in orizzontale, a rubar palloni e ad appoggiarli al compagno pi&ugrave; vicino. Non velocissimo, recupera spesso le distanze con scivolate dure, talvolta al limite del regolamento, ma efficaci. La sua bravura nell&rsquo;andare a contrasto &egrave; da insegnare nelle scuole calcio, con quell&rsquo;abilit&agrave; che sembra innata nel porsi sempre a met&agrave; tra l&rsquo;avversario e il pallone in modo da recuperarne o mantenerne il possesso. &Egrave; impossibile da spostare, non per via delle dimensioni fisiche ma per la forza scultorea che sanno sprigionare le sue gambe in costante movimento. &Egrave; il giocatore che sa dare concretezza al gioco disegnato dagli esteti: &egrave; il motivo per cui, nell&rsquo;estate del 2000, il Real Madrid lo chiama alle sue dipendenze. Fa il suo ingresso nella Casa Blanca insieme a <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/happyfootball/2022/11/04-5869583/luis_figo_l_artista_del_dribbling_che_incanto_e_tradi_barcellona">Luis Figo</a>, fiore all&rsquo;occhiello della campagna acquisti di quell&rsquo;anno, che va ad aggiungersi alle altre stelle di una compagine che, paradossalmente, ha pi&ugrave; bisogno di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; che del portoghese per poter funzionare come squadra. In una costellazione di archistar com&rsquo;&egrave; il Real tocca a lui legare le due fasi del gioco, avvicinare la linea difensiva ai progetti di calcio sopraffino che esprime il talento dell&rsquo;attacco dei Blancos. &Eacute; l&rsquo;<a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/happyfootball/2022/11/25-5935228/da_cruijff_al_mundial_82_le_corse_a_perdifiato_di_lele_oriali">Oriali</a> degli anni Duemila, al quale Ligabue, se fosse stato tifoso delle Merengues, avrebbe dedicato una canzone. Per capirlo pu&ograve; essere sufficiente dare un&rsquo;occhiata alla formazione che scende in campo a Glasgow <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/accadde-oggi/2022/05/15-5387271/bayer_leverkusen-real_madrid_quando_zidane_incanto_l_europa">il 15 maggio 2002 nella finale di Champions League</a>: Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; &egrave; l&rsquo;unico anello di congiunzione tra i quattro difensori (Salgado, Hierro, Helguera e Roberto Carlos), i &ldquo;centrocampisti&rdquo; dalle spiccatissime attitudini offensive (Figo, Zidane e Solari) e gli attaccanti (Raul e Morientes). &Egrave; una formula che funziona: nei tre anni passati a Madrid, il Real vince quella finale di Champions e, in sequenza, Supercoppa Uefa e Coppa Intercontinentale, mentre a livello domestico si aggiudica due campionati e due Supercoppe. Gi&agrave;, solo tre anni. Perch&eacute; nell&rsquo;estate del 2003, quando si affronta la questione del rinnovo del contratto, il centrocampista sarebbe felice di prolungare la sua permanenza ma le sue istanze si scontrano con l&rsquo;incompetenza tecnica di chi il calcio lo vede solo come un riverbero di lustrini e paillettes: Florentino Perez. Le richieste di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; vengono respinte: per il presidente &ldquo;ha una tecnica mediocre, gli manca il talento e la velocit&agrave; per recuperare la palla&rdquo;. Affermazioni che lasciano trasparire, con vent&rsquo;anni di anticipo, la concezione parziale del calcio del promotore pi&ugrave; estremo del progetto odierno della Superlega: solo uno sport declassato a mero divertimento, un&rsquo;industria fonte di guadagno da far girare su regimi di fatturato ogni anno pi&ugrave; elevati. In questa prospettiva non c&rsquo;&egrave; posto per i calciatori di fatica. Apprezzatissimi, al contrario, proprio da chi in campo riempie le pupille di avidi magnati come Perez. &Egrave; <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/happyfootball/2022/06/22-5508083/zinedine_zidane_il_berbero_francese_che_ha_conquistato_il_mondo">Zinedine Zidane</a>, infatti, dinanzi all&rsquo;addio di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; e al contemporaneo arrivo a Madrid di un ennesimo cesellatore, David Beckam, a formulare un paragone quanto mai critico della combinazione di quelle due operazioni di mercato: &rdquo;un&rsquo;ulteriore mano di vernice dorata ad una Bentley senza motore&rdquo;. In aggiunta <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/happyfootball/2022/02/11-5142630/steve_mcmanaman_l_ala_destra_di_liverpool_e_real_icona_degli_anni_90">Steve McManaman</a> sosterr&agrave; che Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; &ldquo;era il giocatore&nbsp;pi&ugrave; importante&nbsp;del Real e il meno riconosciuto&rdquo;. Anche il campo dar&agrave; ragione ai calciatori: dopo la sua partenza le Merengues dovranno attendere l&rsquo;arrivo di Capello (nel 2007) per rivincere la Liga mentre per sollevare al cielo la Champions (l&rsquo;agognata decima) passeranno altri undici anni. <h2>Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, le vittorie col Chelsea di Mourinho e il finale di carriera al PSG</h2> Nel frattempo la carriera di Claude continua ai massimi livelli perch&eacute; dopo Madrid riesce a trovare casa a Londra, Chelsea per la precisione. Prima con Ranieri, poi con Mourinho, il suo modo di giocare rimane determinante per gli equilibri della squadra e ben riconoscibile dai tifosi inglesi, che grazie a lui scoprono il Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; Role. Con il tecnico portoghese fa ulteriore incetta di trofei: due campionati, due Coppe di Lega, una FA Cup e un Community Shield. Nel 2008 perde la finale di Champions League solo ai rigori: ha trentacinque anni e capisce che &egrave; il momento di tornare a casa. Le ultime tre stagioni le disputa col PSG, vincendo anche l&rsquo;ultimo titolo: la Coppa di Francia nel 2010. L&rsquo;anno successivo &egrave; l&rsquo;ultimo prima del ritiro, dopo oltre 800 partite ufficiali con squadre di club che, approssimativamente, hanno significato 8000 chilometri di corsa su e gi&ugrave; per il campo (l&rsquo;equivalente di 190 maratone) e 15 trofei. Non male per un giocatore di tecnica mediocre e con poco talento...&nbsp; &nbsp;&nbsp;

        Dalle vie polverose di Kinshasa ai quartieri pi&ugrave; eleganti di capitali come Madrid, Londra e Parigi, la strada &egrave; lunga. Claude Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; l&rsquo;ha percorsa a modo suo, con quell&rsquo;ampia dose di capacit&agrave; di sacrificio e desiderio disperato di salvarsi da un destino sfortunato che contraddistingue chi lascia il proprio Paese. Cosa che la famiglia di Claude fa quando lui ha appena quattro anni, destinazione Parigi. La vita nei sobborghi non &egrave; semplice: farsi accettare dai locali, sostenere il tenore di vita che richiede la grande citt&agrave;. Arriva cos&igrave; un altro trasferimento: a Brest, citt&agrave; portuale nell&rsquo;estremo occidente francese. A Parigi torner&agrave; vent&rsquo;anni dopo, da campione affermato, quando le barriere dell&rsquo;indifferenza saranno state abbattute dall&rsquo;accondiscendenza che accompagna il successo.  Claude Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, gli inizi al Brest e il passaggio al Nantes A Brest Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; approccia il calcio vero. Sono gli osservatori del Nantes ad accorgersi di lui e a portarlo a vestire la maglia dei canarini, coi quali arriva a vincere il campionato nella stagione 1994-95. &Eacute; il primo successo importante di un giocatore che si distingue sin dall&rsquo;inizio della carriera per l&rsquo;impressionante numero di chilometri che percorre: nato come esterno alto, si sposta presto in mezzo al campo, dove le sue capacit&agrave; aerobiche riescono a trovare la massima espressione. Nel periodo speso a Nantes riesce a esordire in nazionale. Prova a far parte del gruppo che nel 1998 vincer&agrave; il Mondiale ma la non brillante stagione vissuta a Marsiglia &egrave; decisiva nelle scelte del CT Jacquet, che lo lascia a casa.  Dal Celta Vigo al Real Madrid dei Galacticos: gli anni spagnoli di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; C&rsquo;&egrave; bisogno di una svolta nella carriera di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, che a 25 anni decide di trasferirsi in Galizia per aprire un nuovo capitolo della sua vita professionale. Il Celta Vigo non &egrave; un top club (&egrave; arrivato sesto nella stagione precedente) ma &egrave; una squadra nella quale riesce a mettere definitivamente in mostra le sue doti migliori: dinamismo, senso tattico, capacit&agrave; di contrasto. Negli spazi che si estendono da un&rsquo;area di rigore all&rsquo;altra lui &egrave; ovunque, in verticale e in orizzontale, a rubar palloni e ad appoggiarli al compagno pi&ugrave; vicino. Non velocissimo, recupera spesso le distanze con scivolate dure, talvolta al limite del regolamento, ma efficaci. La sua bravura nell&rsquo;andare a contrasto &egrave; da insegnare nelle scuole calcio, con quell&rsquo;abilit&agrave; che sembra innata nel porsi sempre a met&agrave; tra l&rsquo;avversario e il pallone in modo da recuperarne o mantenerne il possesso. &Egrave; impossibile da spostare, non per via delle dimensioni fisiche ma per la forza scultorea che sanno sprigionare le sue gambe in costante movimento. &Egrave; il giocatore che sa dare concretezza al gioco disegnato dagli esteti: &egrave; il motivo per cui, nell&rsquo;estate del 2000, il Real Madrid lo chiama alle sue dipendenze. Fa il suo ingresso nella Casa Blanca insieme a Luis Figo, fiore all&rsquo;occhiello della campagna acquisti di quell&rsquo;anno, che va ad aggiungersi alle altre stelle di una compagine che, paradossalmente, ha pi&ugrave; bisogno di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; che del portoghese per poter funzionare come squadra. In una costellazione di archistar com&rsquo;&egrave; il Real tocca a lui legare le due fasi del gioco, avvicinare la linea difensiva ai progetti di calcio sopraffino che esprime il talento dell&rsquo;attacco dei Blancos. &Eacute; l&rsquo;Oriali degli anni Duemila, al quale Ligabue, se fosse stato tifoso delle Merengues, avrebbe dedicato una canzone. Per capirlo pu&ograve; essere sufficiente dare un&rsquo;occhiata alla formazione che scende in campo a Glasgow il 15 maggio 2002 nella finale di Champions League: Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; &egrave; l&rsquo;unico anello di congiunzione tra i quattro difensori (Salgado, Hierro, Helguera e Roberto Carlos), i &ldquo;centrocampisti&rdquo; dalle spiccatissime attitudini offensive (Figo, Zidane e Solari) e gli attaccanti (Raul e Morientes). &Egrave; una formula che funziona: nei tre anni passati a Madrid, il Real vince quella finale di Champions e, in sequenza, Supercoppa Uefa e Coppa Intercontinentale, mentre a livello domestico si aggiudica due campionati e due Supercoppe.  Gi&agrave;, solo tre anni. Perch&eacute; nell&rsquo;estate del 2003, quando si affronta la questione del rinnovo del contratto, il centrocampista sarebbe felice di prolungare la sua permanenza ma le sue istanze si scontrano con l&rsquo;incompetenza tecnica di chi il calcio lo vede solo come un riverbero di lustrini e paillettes: Florentino Perez. Le richieste di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; vengono respinte: per il presidente &ldquo;ha una tecnica mediocre, gli manca il talento e la velocit&agrave; per recuperare la palla&rdquo;. Affermazioni che lasciano trasparire, con vent&rsquo;anni di anticipo, la concezione parziale del calcio del promotore pi&ugrave; estremo del progetto odierno della Superlega: solo uno sport declassato a mero divertimento, un&rsquo;industria fonte di guadagno da far girare su regimi di fatturato ogni anno pi&ugrave; elevati. In questa prospettiva non c&rsquo;&egrave; posto per i calciatori di fatica. Apprezzatissimi, al contrario, proprio da chi in campo riempie le pupille di avidi magnati come Perez. &Egrave; Zinedine Zidane, infatti, dinanzi all&rsquo;addio di Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; e al contemporaneo arrivo a Madrid di un ennesimo cesellatore, David Beckam, a formulare un paragone quanto mai critico della combinazione di quelle due operazioni di mercato: &rdquo;un&rsquo;ulteriore mano di vernice dorata ad una Bentley senza motore&rdquo;. In aggiunta Steve McManaman sosterr&agrave; che Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; &ldquo;era il giocatore&nbsp;pi&ugrave; importante&nbsp;del Real e il meno riconosciuto&rdquo;. Anche il campo dar&agrave; ragione ai calciatori: dopo la sua partenza le Merengues dovranno attendere l&rsquo;arrivo di Capello (nel 2007) per rivincere la Liga mentre per sollevare al cielo la Champions (l&rsquo;agognata decima) passeranno altri undici anni.  Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, le vittorie col Chelsea di Mourinho e il finale di carriera al PSG Nel frattempo la carriera di Claude continua ai massimi livelli perch&eacute; dopo Madrid riesce a trovare casa a Londra, Chelsea per la precisione. Prima con Ranieri, poi con Mourinho, il suo modo di giocare rimane determinante per gli equilibri della squadra e ben riconoscibile dai tifosi inglesi, che grazie a lui scoprono il Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; Role. Con il tecnico portoghese fa ulteriore incetta di trofei: due campionati, due Coppe di Lega, una FA Cup e un Community Shield. Nel 2008 perde la finale di Champions League solo ai rigori: ha trentacinque anni e capisce che &egrave; il momento di tornare a casa. Le ultime tre stagioni le disputa col PSG, vincendo anche l&rsquo;ultimo titolo: la Coppa di Francia nel 2010. L&rsquo;anno successivo &egrave; l&rsquo;ultimo prima del ritiro, dopo oltre 800 partite ufficiali con squadre di club che, approssimativamente, hanno significato 8000 chilometri di corsa su e gi&ugrave; per il campo (l&rsquo;equivalente di 190 maratone) e 15 trofei. Non male per un giocatore di tecnica mediocre e con poco talento...&nbsp; &nbsp;&nbsp;         

Il centrocampista francese fu il perno della mediana dei Galacticos, del Chelsea e del PSG nei primi anni Duemila. La sua storia dagli esordi col Nantes ai successi con Mourinho

Makélélé, il maratoneta: rincorse e contrasti tra Madrid, Londra e Parigi

Petr Cech nasce a Plzen il 20 maggio 1982 e muove i primi passi da calciatore proprio nella squadra della sua citt&agrave;, il Viktoria Plzen. A 17 anni esordisce come professionista nel Chmel Blsany, dove resta due anni, per poi passare, secondo le previsioni, nella compagine pi&ugrave; forte del paese, lo Sparta Praga. L&igrave; rimane un solo anno (2001-02) ma riuscir&agrave; lo stesso ad entrare nella storia, restando immacolato in 17 incontri (su 27 disputati) e stabilendo il nuovo primato d&rsquo;imbattibilit&agrave; con 855 minuti.&nbsp;Prima di approdare nella sua nuova squadra, il Rennes - che era riuscita ad anticipare gli appetiti delle big europee, con una spesa minima di 5 milioni di euro &ndash; dovette disputare l&rsquo;Europeo Under-21 in Svizzera. Dopo aver passato il girone dietro la favorita Francia, i cechi si ritrovarono in semifinale contro l&rsquo;altra favorita, l&rsquo;Italia; tuttavia ai supplementari il gol di Pospisil elimin&ograve; gli azzurri. In finale fu nuovamente Francia- Repubblica Ceca, ma questa volta gli attacchi dei Bleus si infransero contro la diga alzata da Cech, che ai rigori divent&ograve; indiscusso protagonista respingendo i tiri di Frau ed Escud&eacute;, consegnando per la prima volta il trofeo alla &ldquo;giovane&rdquo; Repubblica Ceca. Il numero uno fu anche nominato miglior giocatore della competizione. <h2></h2> <h2>L&rsquo;epopea con il Chelsea</h2> Grazie alle prestazioni con il Rennes venne acquistato dall&rsquo;ambizioso Chelsea di Mourinho e Abramovic per 13 milioni di euro, diventando in quel momento il goalkeeper pi&ugrave; caro nella storia dei Blues.&nbsp;L&rsquo;arrivo in Inghilterra venne preceduto di nuovo da un Europeo; questa volta per&ograve; si trattava della competizione maggiore, in cui Cech, per la prima volta si trov&ograve; a confrontarsi con il gotha del ruolo: Buffon, Van der Sar, Casillas, Kahn. La Repubblica Ceca fermer&agrave; la sua corsa solamente in semifinale contro l&rsquo;incredibile Grecia (che poi vincer&agrave; il titolo) e Petr venne premiato dall&rsquo;Uefa nel top 11 dell&rsquo;Europeo.&nbsp;All&rsquo;inizio della prima annata Oltremanica (2004-05) il titolare era &ldquo;il nostro&rdquo; Carlo Cudicini, ormai diventato un&rsquo;istituzione da quelle parti; un infortunio per&ograve; lo costrinse ai box e da quel momento il guardiano ceco non lasci&ograve; pi&ugrave; il suo posto da titolare. In quella Premier&nbsp;stabil&igrave; un nuovo record di 1025 minuti senza subire gol, dal 12 dicembre 2004 al 5 marzo 2005. Al termine della stagione vinse il primo campionato inglese e la prima&nbsp;Football League Cup. L&rsquo;anno successivo ci fu un altro campionato vinto e il primo Community Shield. <h2>Petr Cech, il portiere con il caschetto</h2> Il destino cerc&ograve; per&ograve; di frapporsi a questa carriera vincente: il 14 maggio 2006 nella gara contro il Reading, dopo appena 16 secondi di gioco, arriv&ograve; una palla lunga, apparentemente innocua, il numero uno usc&igrave; fino quasi al limite dell&rsquo;area per abbrancare la sfera quando Hunt, non arrestando la sua corsa, diede una ginocchiata alla tempia a Cech che perse i sensi rischiando non solo la carriera, ma anche la vita. Petr rientr&ograve; in campo dopo 98 giorni dall&rsquo;infortunio contro il Liverpool e da quel momento indoss&ograve; per sempre un casco protettivo, simile agli amati portieri di hockey su ghiaccio (in Repubblica Ceca l&rsquo;hockey &egrave; una vera e propria passione collettiva).&nbsp; <h2></h2> <h2>Il ritorno, la Champions League e l'addio</h2> Nella stagione 2007-08 venne nominato miglior portiere della Champions League, tornando ai livelli precedenti all&rsquo;infortunio. Nel 2009, grazie alle sue parate dal dischetto, permise ai Blues di conquistare un altro Community Shield contro lo United.&nbsp;Il suo anno di grazia, per&ograve;, fu il 2011-12 quando nella finale di Champions League, nei supplementari, blocc&ograve; il tiro dagli 11 metri di Robben e nella sequenza finale respinse quelli di Olic e Schweinsteiger.&nbsp;Dopo altre vittorie, tra cui l&rsquo;Europa League nel 2012-13, il tecnico Mourinho decise di puntare sul giovane belga Thibaut Courtois e Petr rimase per un&rsquo;altra stagione a fargli da chioccia. Alla fine dell&rsquo;anno, accett&ograve; l&rsquo;offerta dell&rsquo;Arsenal e lasci&ograve; i Blues con cui aveva disputato ben 494 match, vincendo 15 trofei. <h2>Un nuovo inizio con l&rsquo;Arsenal</h2> Il Community Shield 2015 fu la sua prima partita con i Gunners che, ironia della sorte, lo contrappose al suo passato. Il match fu vinto dall&rsquo;Arsenal, grazie soprattutto ai miracoli dell&rsquo;uomo con il caschetto, che si dimostr&ograve; ancora una volta un interprete di livello mondiale.&nbsp;L'11 marzo 2018, dopo aver parato un rigore a&nbsp;Troy Deeney&nbsp;del&nbsp;Watford, divenne il primo portiere della Premier League a mantenere per 200 volte la porta imbattuta.&nbsp;La sua ultima stagione fu il 2018-19 in cui, dopo l&rsquo;inizio da titolare, perse il posto a seguito di un infortunio, a favore di Bernd Leno. Il suo ultimo match disputato fu la finale di Europa League contro la compagine che lo aveva fatto conoscere al mondo: il Chelsea. La partita non ebbe storia con i Gunners sconfitti 4-1, ma Cech chiuse simbolicamente il cerchio della sua carriera, venendo anche premiato come miglior portiere della competizione.&nbsp; Attualmente &egrave; un apprezzato dirigente sportivo, consulente tecnico del Chelsea. &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp;

        Petr Cech nasce a Plzen il 20 maggio 1982 e muove i primi passi da calciatore proprio nella squadra della sua citt&agrave;, il Viktoria Plzen. A 17 anni esordisce come professionista nel Chmel Blsany, dove resta due anni, per poi passare, secondo le previsioni, nella compagine pi&ugrave; forte del paese, lo Sparta Praga. L&igrave; rimane un solo anno (2001-02) ma riuscir&agrave; lo stesso ad entrare nella storia, restando immacolato in 17 incontri (su 27 disputati) e stabilendo il nuovo primato d&rsquo;imbattibilit&agrave; con 855 minuti.&nbsp;Prima di approdare nella sua nuova squadra, il Rennes - che era riuscita ad anticipare gli appetiti delle big europee, con una spesa minima di 5 milioni di euro &ndash; dovette disputare l&rsquo;Europeo Under-21 in Svizzera. Dopo aver passato il girone dietro la favorita Francia, i cechi si ritrovarono in semifinale contro l&rsquo;altra favorita, l&rsquo;Italia; tuttavia ai supplementari il gol di Pospisil elimin&ograve; gli azzurri. In finale fu nuovamente Francia- Repubblica Ceca, ma questa volta gli attacchi dei Bleus si infransero contro la diga alzata da Cech, che ai rigori divent&ograve; indiscusso protagonista respingendo i tiri di Frau ed Escud&eacute;, consegnando per la prima volta il trofeo alla &ldquo;giovane&rdquo; Repubblica Ceca. Il numero uno fu anche nominato miglior giocatore della competizione.  L&rsquo;epopea con il Chelsea Grazie alle prestazioni con il Rennes venne acquistato dall&rsquo;ambizioso Chelsea di Mourinho e Abramovic per 13 milioni di euro, diventando in quel momento il goalkeeper pi&ugrave; caro nella storia dei Blues.&nbsp;L&rsquo;arrivo in Inghilterra venne preceduto di nuovo da un Europeo; questa volta per&ograve; si trattava della competizione maggiore, in cui Cech, per la prima volta si trov&ograve; a confrontarsi con il gotha del ruolo: Buffon, Van der Sar, Casillas, Kahn. La Repubblica Ceca fermer&agrave; la sua corsa solamente in semifinale contro l&rsquo;incredibile Grecia (che poi vincer&agrave; il titolo) e Petr venne premiato dall&rsquo;Uefa nel top 11 dell&rsquo;Europeo.&nbsp;All&rsquo;inizio della prima annata Oltremanica (2004-05) il titolare era &ldquo;il nostro&rdquo; Carlo Cudicini, ormai diventato un&rsquo;istituzione da quelle parti; un infortunio per&ograve; lo costrinse ai box e da quel momento il guardiano ceco non lasci&ograve; pi&ugrave; il suo posto da titolare. In quella Premier&nbsp;stabil&igrave; un nuovo record di 1025 minuti senza subire gol, dal 12 dicembre 2004 al 5 marzo 2005. Al termine della stagione vinse il primo campionato inglese e la prima&nbsp;Football League Cup. L&rsquo;anno successivo ci fu un altro campionato vinto e il primo Community Shield.  Petr Cech, il portiere con il caschetto Il destino cerc&ograve; per&ograve; di frapporsi a questa carriera vincente: il 14 maggio 2006 nella gara contro il Reading, dopo appena 16 secondi di gioco, arriv&ograve; una palla lunga, apparentemente innocua, il numero uno usc&igrave; fino quasi al limite dell&rsquo;area per abbrancare la sfera quando Hunt, non arrestando la sua corsa, diede una ginocchiata alla tempia a Cech che perse i sensi rischiando non solo la carriera, ma anche la vita. Petr rientr&ograve; in campo dopo 98 giorni dall&rsquo;infortunio contro il Liverpool e da quel momento indoss&ograve; per sempre un casco protettivo, simile agli amati portieri di hockey su ghiaccio (in Repubblica Ceca l&rsquo;hockey &egrave; una vera e propria passione collettiva).&nbsp;  Il ritorno, la Champions League e l'addio Nella stagione 2007-08 venne nominato miglior portiere della Champions League, tornando ai livelli precedenti all&rsquo;infortunio. Nel 2009, grazie alle sue parate dal dischetto, permise ai Blues di conquistare un altro Community Shield contro lo United.&nbsp;Il suo anno di grazia, per&ograve;, fu il 2011-12 quando nella finale di Champions League, nei supplementari, blocc&ograve; il tiro dagli 11 metri di Robben e nella sequenza finale respinse quelli di Olic e Schweinsteiger.&nbsp;Dopo altre vittorie, tra cui l&rsquo;Europa League nel 2012-13, il tecnico Mourinho decise di puntare sul giovane belga Thibaut Courtois e Petr rimase per un&rsquo;altra stagione a fargli da chioccia. Alla fine dell&rsquo;anno, accett&ograve; l&rsquo;offerta dell&rsquo;Arsenal e lasci&ograve; i Blues con cui aveva disputato ben 494 match, vincendo 15 trofei.  Un nuovo inizio con l&rsquo;Arsenal Il Community Shield 2015 fu la sua prima partita con i Gunners che, ironia della sorte, lo contrappose al suo passato. Il match fu vinto dall&rsquo;Arsenal, grazie soprattutto ai miracoli dell&rsquo;uomo con il caschetto, che si dimostr&ograve; ancora una volta un interprete di livello mondiale.&nbsp;L'11 marzo 2018, dopo aver parato un rigore a&nbsp;Troy Deeney&nbsp;del&nbsp;Watford, divenne il primo portiere della Premier League a mantenere per 200 volte la porta imbattuta.&nbsp;La sua ultima stagione fu il 2018-19 in cui, dopo l&rsquo;inizio da titolare, perse il posto a seguito di un infortunio, a favore di Bernd Leno. Il suo ultimo match disputato fu la finale di Europa League contro la compagine che lo aveva fatto conoscere al mondo: il Chelsea. La partita non ebbe storia con i Gunners sconfitti 4-1, ma Cech chiuse simbolicamente il cerchio della sua carriera, venendo anche premiato come miglior portiere della competizione.&nbsp; Attualmente &egrave; un apprezzato dirigente sportivo, consulente tecnico del Chelsea. &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp;       

Nato il 20 maggio 1982, l&rsquo;estremo difensore ceco nel 2006 ha rischiato di dover dire addio alla sua carriera ma &egrave; tornato pi&ugrave; forte di prima

Londra, il Chelsea e le due vite di Petr Cech

Chelsea e Real Madrid, due club con un passato totalmente differente che nel calcio moderno lottano ormai costantemente ai massimi livelli, entrambi praticamente sempre presenti in Champions League. Si sono contesi un trofeo in una sola occasione &ndash;<a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/2021/05/05-4205960/coppa_delle_coppe_1971_il_trionfo_del_chelsea_sul_real_madrid"> la Coppa delle Coppe 1971 vinta dai Blues</a> &ndash;, che &egrave; anche il primo storico precedente ufficiale. Nonostante l&rsquo;epilogo, all&rsquo;epoca si trovavano in due dimensioni opposte, con gli spagnoli in leggero calo rispetto all&rsquo;epopea delle cinque Coppe Campioni consecutive, ma ugualmente sempre presenti nei palcoscenici pi&ugrave; importanti. Forse in pochi sanno che Ferenc Puskas, calciatore fenomenale e tra gli attori principi nel ciclo d&rsquo;oro del Grande Real, &egrave; il protagonista di un curioso aneddoto legato proprio al Chelsea. <h2>Ferenc Puskas a Stamford Bridge</h2> Siamo nel novembre del 1966, la leggenda ungherese ha appeso gli scarpini al chiodo dopo aver vinto l&rsquo;ultima Coppa dei Campioni con le Merengues. &Egrave; in corso la pausa per le nazionali, con gli azzurri attesi dal debutto contro la Romania nelle qualificazioni per<a href="https://www.guerinsportivo.it/video/il-cuoio/2021/05/27-4299524/podcast_-_europei_1968_l_italia_e_sul_tetto_d_europa"> l&rsquo;Europeo che si disputer&agrave; in Italia nel &rsquo;68 e che la Nazionale non si far&agrave; sfuggire</a>... Nel frattempo Chelsea e Real Madrid ne approfittano per organizzare una partita di beneficenza a Stamford Bridge. Nonostante abbia smesso &ndash;&nbsp; come si pu&ograve; notare dall&rsquo;immagine di copertina in cui saluta il pubblico londinese visibilmente appesantito &ndash; partecipa anche Ferenc Puskas. Il motivo &egrave; interpretabile sfogliando l&rsquo;edizione del Corriere dello Sport datata 23 novembre 1966 &ndash; giorno dopo la gara di beneficenza &ndash; che titola cos&igrave; un trafiletto: &ldquo;Clamoroso: Puskas guider&agrave; il Chelsea&rdquo;. L&rsquo;ungherese &egrave; promesso sposo dei Blues, ma in Inghilterra non allener&agrave; mai. <h2>Puskas: le dichiarazioni a Londra, tra ricordi e profezie</h2> A Londra il &ldquo;sinistro proibito&rdquo; diede spettacolo 13 anni prima, quando con la collaborazione del<a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/ultimo-dribbling/2022/03/03-5190703/nandor_hidegkuti_il_centenario_del_primo_falso_nueve_"> fenomenale Hidegkuti</a> &ndash; autore di una tripletta &ndash; e di tutta la &ldquo;Squadra d&rsquo;oro&rdquo; ungherese umili&ograve; l&rsquo;Inghilterra a Wembley (3-6). Gli inglesi ancora se lo ricordano e nelle interviste a cornice dell&rsquo;evento Puskas ammette che quell&rsquo;Ungheria del &rsquo;53 avrebbe potuto battere anche l&rsquo;Inghilterra fresca campione del mondo. Ma, soprattutto, tocca temi rivoluzionari che potrebbero essere addirittura attuali: &ldquo;Il gioco sta tornando indietro. Oggi &egrave; soltanto difesa, difesa e ancora difesa, e se il calcio deve rimanere uno spettacolo &egrave; necessario cambiare, tornando ai tempi in cui lo scopo principale era quello di segnare dei gol. Come la nazionale ungherese del 1953: avevamo una buona difesa, avevamo anche dei buoni attaccanti e dei buoni mediani&hellip; segnavamo molti gol e davamo veramente spettacolo&rdquo;. E ancora: &ldquo;Presto qualcuno si accorger&agrave; che le rivoluzioni tattiche conducono fatalmente alle controrivoluzioni. Sono certo che tra non molto accadr&agrave; qualche cosa nel calcio che ci far&agrave; apparire dei superati. Il nuovo verbo non verr&agrave; per&ograve; dai Paesi che si consumano con il professionismo: verr&agrave; ancora dall&rsquo;Ungheria e dalla Cecoslovacchia, dove i giocatori sono ancora dilettanti e gli allenatori hanno ancora il tempo di pensare&rdquo;. Leggendo queste ultime parole a 56 anni di distanza &egrave; elementare sottolineare quanto Puskas si sia effettivamente soltanto sbagliato di un migliaio di chilometri: il nuovo verbo arriver&agrave; da Amsterdam, dove sta gi&agrave; nascendo il Calcio Totale dell&rsquo;Ajax di Rinus Michels. &nbsp;

        Chelsea e Real Madrid, due club con un passato totalmente differente che nel calcio moderno lottano ormai costantemente ai massimi livelli, entrambi praticamente sempre presenti in Champions League. Si sono contesi un trofeo in una sola occasione &ndash; la Coppa delle Coppe 1971 vinta dai Blues &ndash;, che &egrave; anche il primo storico precedente ufficiale. Nonostante l&rsquo;epilogo, all&rsquo;epoca si trovavano in due dimensioni opposte, con gli spagnoli in leggero calo rispetto all&rsquo;epopea delle cinque Coppe Campioni consecutive, ma ugualmente sempre presenti nei palcoscenici pi&ugrave; importanti. Forse in pochi sanno che Ferenc Puskas, calciatore fenomenale e tra gli attori principi nel ciclo d&rsquo;oro del Grande Real, &egrave; il protagonista di un curioso aneddoto legato proprio al Chelsea. Ferenc Puskas a Stamford Bridge Siamo nel novembre del 1966, la leggenda ungherese ha appeso gli scarpini al chiodo dopo aver vinto l&rsquo;ultima Coppa dei Campioni con le Merengues. &Egrave; in corso la pausa per le nazionali, con gli azzurri attesi dal debutto contro la Romania nelle qualificazioni per l&rsquo;Europeo che si disputer&agrave; in Italia nel &rsquo;68 e che la Nazionale non si far&agrave; sfuggire... Nel frattempo Chelsea e Real Madrid ne approfittano per organizzare una partita di beneficenza a Stamford Bridge. Nonostante abbia smesso &ndash;&nbsp; come si pu&ograve; notare dall&rsquo;immagine di copertina in cui saluta il pubblico londinese visibilmente appesantito &ndash; partecipa anche Ferenc Puskas. Il motivo &egrave; interpretabile sfogliando l&rsquo;edizione del Corriere dello Sport datata 23 novembre 1966 &ndash; giorno dopo la gara di beneficenza &ndash; che titola cos&igrave; un trafiletto: &ldquo;Clamoroso: Puskas guider&agrave; il Chelsea&rdquo;. L&rsquo;ungherese &egrave; promesso sposo dei Blues, ma in Inghilterra non allener&agrave; mai. Puskas: le dichiarazioni a Londra, tra ricordi e profezie A Londra il &ldquo;sinistro proibito&rdquo; diede spettacolo 13 anni prima, quando con la collaborazione del fenomenale Hidegkuti &ndash; autore di una tripletta &ndash; e di tutta la &ldquo;Squadra d&rsquo;oro&rdquo; ungherese umili&ograve; l&rsquo;Inghilterra a Wembley (3-6). Gli inglesi ancora se lo ricordano e nelle interviste a cornice dell&rsquo;evento Puskas ammette che quell&rsquo;Ungheria del &rsquo;53 avrebbe potuto battere anche l&rsquo;Inghilterra fresca campione del mondo. Ma, soprattutto, tocca temi rivoluzionari che potrebbero essere addirittura attuali: &ldquo;Il gioco sta tornando indietro. Oggi &egrave; soltanto difesa, difesa e ancora difesa, e se il calcio deve rimanere uno spettacolo &egrave; necessario cambiare, tornando ai tempi in cui lo scopo principale era quello di segnare dei gol. Come la nazionale ungherese del 1953: avevamo una buona difesa, avevamo anche dei buoni attaccanti e dei buoni mediani&hellip; segnavamo molti gol e davamo veramente spettacolo&rdquo;. E ancora: &ldquo;Presto qualcuno si accorger&agrave; che le rivoluzioni tattiche conducono fatalmente alle controrivoluzioni. Sono certo che tra non molto accadr&agrave; qualche cosa nel calcio che ci far&agrave; apparire dei superati. Il nuovo verbo non verr&agrave; per&ograve; dai Paesi che si consumano con il professionismo: verr&agrave; ancora dall&rsquo;Ungheria e dalla Cecoslovacchia, dove i giocatori sono ancora dilettanti e gli allenatori hanno ancora il tempo di pensare&rdquo;. Leggendo queste ultime parole a 56 anni di distanza &egrave; elementare sottolineare quanto Puskas si sia effettivamente soltanto sbagliato di un migliaio di chilometri: il nuovo verbo arriver&agrave; da Amsterdam, dove sta gi&agrave; nascendo il Calcio Totale dell&rsquo;Ajax di Rinus Michels. &nbsp;       

Ormai ex calciatore, l&rsquo;ungherese sarebbe dovuto diventare il nuovo manager del club inglese e venne organizzata un&rsquo;amichevole a Stamford Bridge contro le Merengues il 22 novembre 1966

Chelsea-Real Madrid: quando Puskas doveva essere l‘allenatore dei Blues

La storia di Jimmy Floyd Hasselbaink, scritta principalmente sui campi europei, inizia molto lontano, sotto il sole cocente del Suriname. &Egrave; l&igrave; che l&rsquo;attaccante &egrave; nato il 27 marzo del 1972, quando quel fazzoletto di terra che affaccia sull&rsquo;Oceano Atlantico, era ancora una colonia olandese. <o:p></o:p> <h2>I primi anni<o:p></o:p></h2> Arriva molto piccolo nei Paesi Bassi, dove si mette in luce nelle giovanili del Telstar e si guadagna la chiamata dell&rsquo;AZ Alkmaar. Qui muove i primi passi nel professionismo, rimanendo per tre stagioni prima di vivere una strana battuta d&rsquo;arresto: i Kaaskoppennon gli rinnovano il contratto, il PSV e il PEC Zwolle, inizialmente interessati, si tirano indietro e Hasselbaink si trova senza squadra a 21 anni, nonostante le oltre 40 presenze collezionate in Eredivisie. &Egrave; un momento drammatico: il giovane calciatore si ritrova tra i dilettanti, prima di strappare un contratto in Portogallo, alla Campomaiorense. In terra lusitana rimane per due stagioni, l&rsquo;ultima delle quali in forza al Boavista, e comincia a segnare senza pi&ugrave; fermarsi. <o:p></o:p> <h2>La maturit&agrave; tra Inghilterra e Spagna<o:p></o:p></h2> Hasselbaink dimostra di essere un attaccante con la A maiuscola. Dotato di una velocit&agrave; fuori dal comune, semina il panico nelle difese avversarie ed ha un ottimo rapporto con il gol. Nel 1997 gli si aprono le porte del calcio che conta davvero, quando viene ingaggiato dal Leeds United. Il club &egrave; a cavallo di due periodi storici molto distanti, quello in linea con i fasti del passato che lo continua a vedere protagonista in Inghilterra e in Europa, e quello del tracollo societario che arriver&agrave; di l&igrave; a poco. I due anni che Hasselbaink passa a Elland Road sono fantastici e iniziano subito nel migliore dei modi: il 9 agosto i Whites ospitano i Gunners di Bergkamp, Overmars e Petit, che si portano in vantaggio con Ian Wright. Pochi minuti dopo Hasselbaink bagna la prima presenza con il Leeds con un gran gol in diagonale e diventa subito il beniamino dei Peacocks. Nella prima stagione segna 16 reti, mentre nella seconda arriva a 18, laureandosi capocannoniere della Premier League a pari merito con Michael Owen e Dwight Yorke. Purtroppo, come capita spesso, la storia d&rsquo;amore con &ldquo;il maledetto United&rdquo; non finisce bene: questioni mai risolte con la dirigenza lo portano in Spagna, all&rsquo;Atletico Madrid. Con i Colchoneros continua a segnare con una frequenza incredibile. Tra campionato e coppe gonfia la rete ben 34 volte, che non bastano ad evitare la retrocessione della squadra madrilena. L&rsquo;attaccante olandese decide dunque di tornare in Inghilterra, dove scriver&agrave; un&rsquo;altra grande pagina di storia della Premier, questa volta con i Blues di Londra. A Stamford Bridge rimane per 4 stagioni, segna 87 reti e vince di nuovo la classifica cannonieri nella stagione 2000/2001. Con il Chelsea alza anche l&rsquo;unico trofeo inglese della sua carriera, la Community Shield del 13 agosto del 2000, vinta a Wembley contro il Manchester United anche grazie ad una sua rete. Chiuso ormai dai pi&ugrave; giovani Crespo e Mutu, decide di dire addio ai Blues e accasarsi al Middlesbrough, dove si rende protagonista di due grandi stagioni. Con il Boro vive una seconda giovinezza, trascinando la squadra fino alla finale di Coppa Uefa 2005-06,persa per 4-0 contro il Siviglia. Prima di appendere gli scarpini al chiodo vive due brevi esperienze al Charlton e al Cardiff, dopo le quali intraprende la carriera di allenatore. Oggi &egrave; il tecnico del Burton Albion FC, club che milita nella terza divisione inglese. <o:p></o:p>

        La storia di Jimmy Floyd Hasselbaink, scritta principalmente sui campi europei, inizia molto lontano, sotto il sole cocente del Suriname. &Egrave; l&igrave; che l&rsquo;attaccante &egrave; nato il 27 marzo del 1972, quando quel fazzoletto di terra che affaccia sull&rsquo;Oceano Atlantico, era ancora una colonia olandese.  I primi anni Arriva molto piccolo nei Paesi Bassi, dove si mette in luce nelle giovanili del Telstar e si guadagna la chiamata dell&rsquo;AZ Alkmaar. Qui muove i primi passi nel professionismo, rimanendo per tre stagioni prima di vivere una strana battuta d&rsquo;arresto: i Kaaskoppennon gli rinnovano il contratto, il PSV e il PEC Zwolle, inizialmente interessati, si tirano indietro e Hasselbaink si trova senza squadra a 21 anni, nonostante le oltre 40 presenze collezionate in Eredivisie. &Egrave; un momento drammatico: il giovane calciatore si ritrova tra i dilettanti, prima di strappare un contratto in Portogallo, alla Campomaiorense. In terra lusitana rimane per due stagioni, l&rsquo;ultima delle quali in forza al Boavista, e comincia a segnare senza pi&ugrave; fermarsi.  La maturit&agrave; tra Inghilterra e Spagna Hasselbaink dimostra di essere un attaccante con la A maiuscola. Dotato di una velocit&agrave; fuori dal comune, semina il panico nelle difese avversarie ed ha un ottimo rapporto con il gol. Nel 1997 gli si aprono le porte del calcio che conta davvero, quando viene ingaggiato dal Leeds United. Il club &egrave; a cavallo di due periodi storici molto distanti, quello in linea con i fasti del passato che lo continua a vedere protagonista in Inghilterra e in Europa, e quello del tracollo societario che arriver&agrave; di l&igrave; a poco. I due anni che Hasselbaink passa a Elland Road sono fantastici e iniziano subito nel migliore dei modi: il 9 agosto i Whites ospitano i Gunners di Bergkamp, Overmars e Petit, che si portano in vantaggio con Ian Wright. Pochi minuti dopo Hasselbaink bagna la prima presenza con il Leeds con un gran gol in diagonale e diventa subito il beniamino dei Peacocks. Nella prima stagione segna 16 reti, mentre nella seconda arriva a 18, laureandosi capocannoniere della Premier League a pari merito con Michael Owen e Dwight Yorke. Purtroppo, come capita spesso, la storia d&rsquo;amore con &ldquo;il maledetto United&rdquo; non finisce bene: questioni mai risolte con la dirigenza lo portano in Spagna, all&rsquo;Atletico Madrid. Con i Colchoneros continua a segnare con una frequenza incredibile. Tra campionato e coppe gonfia la rete ben 34 volte, che non bastano ad evitare la retrocessione della squadra madrilena. L&rsquo;attaccante olandese decide dunque di tornare in Inghilterra, dove scriver&agrave; un&rsquo;altra grande pagina di storia della Premier, questa volta con i Blues di Londra. A Stamford Bridge rimane per 4 stagioni, segna 87 reti e vince di nuovo la classifica cannonieri nella stagione 2000/2001. Con il Chelsea alza anche l&rsquo;unico trofeo inglese della sua carriera, la Community Shield del 13 agosto del 2000, vinta a Wembley contro il Manchester United anche grazie ad una sua rete. Chiuso ormai dai pi&ugrave; giovani Crespo e Mutu, decide di dire addio ai Blues e accasarsi al Middlesbrough, dove si rende protagonista di due grandi stagioni. Con il Boro vive una seconda giovinezza, trascinando la squadra fino alla finale di Coppa Uefa 2005-06,persa per 4-0 contro il Siviglia. Prima di appendere gli scarpini al chiodo vive due brevi esperienze al Charlton e al Cardiff, dopo le quali intraprende la carriera di allenatore. Oggi &egrave; il tecnico del Burton Albion FC, club che milita nella terza divisione inglese.        

Nato in Suriname e cresciuto in Olanda, l&rsquo;attaccante &egrave; stato due volte capocannoniere del campionato inglese dove ha militato con Leeds, Chelsea, Middlesbrough e Charlton

Jimmy Floyd Hasselbaink: incompreso in patria, grande in Premier League

A volte pu&ograve; capitare di essere la persona giusta nel frangente storico sbagliato. Cos&igrave; l&rsquo;esperienza di Claudio Ranieri sulla panchina del Chelsea, pi&ugrave; che positiva se si considera la storia del club fino a quel momento, ha la sfortuna di collocarsi tra le due gestioni vincenti di Gianluca Vialli e di Jos&eacute; Mourinho, nonch&eacute; prima dell&rsquo;avvento di Roman Abramovich, vero spartiacque nella storia dei Blues. Non va per&ograve; dimenticato che sar&agrave; lui a gettare le basi del Chelsea vincente del XXI secolo. La prima apparizione del tecnico romano a Stamford Bridge &egrave; datata 1&deg; ottobre 2000 contro il Liverpool. <h2>Un Chelsea italiano</h2> L&rsquo;inizio in Premier League non &egrave; esaltante, con una vittoria e due pareggi nelle prime quattro giornate. Vialli, reduce da ottimi risultati, viene esonerato a causa del deteriorarsi dei rapporti con lo spogliatoio. Viene scelto Ranieri, da poco un allenatore di caratura &ldquo;internazionale&rdquo; grazie alla discreta esperienza a Valencia e quella assai meno gloriosa con l&rsquo;Atletico Madrid. &Egrave; un Chelsea a forti tinte tricolori, quello preso in mano dal futuro King Claudio. Oltre a Christian Panucci, Roberto Di Matteo e Gianfranco Zola, la rosa annovera il portiere Carlo Cudicini e i centrocampisti Gabriele Ambrosetti e Samuele Dalla Bona. C&rsquo;&egrave; poi un ventenne, figlio di un imprenditore bergamasco, prelevato anni prima dal settore giovanile dell&rsquo;Atalanta insieme a Dalla Bona. Con il Chelsea metter&agrave; insieme solo due presenze e la sua carriera calcistica avr&agrave; vita breve. Si chiama Luca Percassi e dieci anni pi&ugrave; tardi diventer&agrave; amministratore delegato degli orobici, dopo l&rsquo;acquisto del club da parte di suo padre Antonio. <h2>La sfida al Liverpool di Houllier</h2> Ranieri schiera un 3-4-3 che punta sull&rsquo;assortimento della coppia di centrocampo Dalla Bona-Wise, con il secondo pi&ugrave; trequartista, e sull&rsquo;estro del tridente offensivo Zola-Hasselbaink-Gudjohnsen, alla prima presenza da titolare. Il dirimpettaio &egrave; il Liverpool di G&eacute;rard Houllier che in campionato stenta, ma che concluder&agrave; la stagione con una Coppa Uefa, le due coppe nazionali e un terzo posto in classifica. Contro avversari come Steven Gerrard e Michael Owen non si prospetta una partita facile. Eppure la gara viene subito indirizzata sui binari giusti quando il portiere dei Reds Sander Westerveld, sugli sviluppi di un corner, butta il pallone nella propria porta, cercando di coprire il suo errore protestando per un fallo subito. Non passa neanche un minuto e i tre davanti combinano alla perfezione, portando al raddoppio di Hasselbaink. Nel secondo tempo la difesa del Liverpool d&agrave; ancora una mano al Chelsea. Retropassaggio sbagliato, palla sui piedi di Gudjohnsen che dribbla Westerveld e segna a porta vuota il 3-0 finale. <h2>Ranieri al Chelsea</h2> Il bilancio di Ranieri sulla panchina dei Blues &egrave; di due sesti posti, un quarto e un secondo posto, una finale di FA Cup e una semifinale di Champions League. Dopodich&eacute; Abramovich decider&agrave; che &egrave; arrivato il momento del salto di qualit&agrave; e ingagger&agrave; Mourinho, che anni dopo rinfaccer&agrave; al collega il motivo di tale scelta: &laquo;Nel 2004, dopo essere arrivato al Chelsea e aver chiesto perch&eacute; stavano cambiando Ranieri, mi hanno risposto che volevano vincere e con lui non sarebbe mai capitato&raquo;. Il 2016 far&agrave; cambiare idea a molti.

        A volte pu&ograve; capitare di essere la persona giusta nel frangente storico sbagliato. Cos&igrave; l&rsquo;esperienza di Claudio Ranieri sulla panchina del Chelsea, pi&ugrave; che positiva se si considera la storia del club fino a quel momento, ha la sfortuna di collocarsi tra le due gestioni vincenti di Gianluca Vialli e di Jos&eacute; Mourinho, nonch&eacute; prima dell&rsquo;avvento di Roman Abramovich, vero spartiacque nella storia dei Blues. Non va per&ograve; dimenticato che sar&agrave; lui a gettare le basi del Chelsea vincente del XXI secolo. La prima apparizione del tecnico romano a Stamford Bridge &egrave; datata 1&deg; ottobre 2000 contro il Liverpool. Un Chelsea italiano L&rsquo;inizio in Premier League non &egrave; esaltante, con una vittoria e due pareggi nelle prime quattro giornate. Vialli, reduce da ottimi risultati, viene esonerato a causa del deteriorarsi dei rapporti con lo spogliatoio. Viene scelto Ranieri, da poco un allenatore di caratura &ldquo;internazionale&rdquo; grazie alla discreta esperienza a Valencia e quella assai meno gloriosa con l&rsquo;Atletico Madrid. &Egrave; un Chelsea a forti tinte tricolori, quello preso in mano dal futuro King Claudio. Oltre a Christian Panucci, Roberto Di Matteo e Gianfranco Zola, la rosa annovera il portiere Carlo Cudicini e i centrocampisti Gabriele Ambrosetti e Samuele Dalla Bona. C&rsquo;&egrave; poi un ventenne, figlio di un imprenditore bergamasco, prelevato anni prima dal settore giovanile dell&rsquo;Atalanta insieme a Dalla Bona. Con il Chelsea metter&agrave; insieme solo due presenze e la sua carriera calcistica avr&agrave; vita breve. Si chiama Luca Percassi e dieci anni pi&ugrave; tardi diventer&agrave; amministratore delegato degli orobici, dopo l&rsquo;acquisto del club da parte di suo padre Antonio.  La sfida al Liverpool di Houllier Ranieri schiera un 3-4-3 che punta sull&rsquo;assortimento della coppia di centrocampo Dalla Bona-Wise, con il secondo pi&ugrave; trequartista, e sull&rsquo;estro del tridente offensivo Zola-Hasselbaink-Gudjohnsen, alla prima presenza da titolare. Il dirimpettaio &egrave; il Liverpool di G&eacute;rard Houllier che in campionato stenta, ma che concluder&agrave; la stagione con una Coppa Uefa, le due coppe nazionali e un terzo posto in classifica. Contro avversari come Steven Gerrard e Michael Owen non si prospetta una partita facile. Eppure la gara viene subito indirizzata sui binari giusti quando il portiere dei Reds Sander Westerveld, sugli sviluppi di un corner, butta il pallone nella propria porta, cercando di coprire il suo errore protestando per un fallo subito. Non passa neanche un minuto e i tre davanti combinano alla perfezione, portando al raddoppio di Hasselbaink. Nel secondo tempo la difesa del Liverpool d&agrave; ancora una mano al Chelsea. Retropassaggio sbagliato, palla sui piedi di Gudjohnsen che dribbla Westerveld e segna a porta vuota il 3-0 finale.  Ranieri al Chelsea Il bilancio di Ranieri sulla panchina dei Blues &egrave; di due sesti posti, un quarto e un secondo posto, una finale di FA Cup e una semifinale di Champions League. Dopodich&eacute; Abramovich decider&agrave; che &egrave; arrivato il momento del salto di qualit&agrave; e ingagger&agrave; Mourinho, che anni dopo rinfaccer&agrave; al collega il motivo di tale scelta: &laquo;Nel 2004, dopo essere arrivato al Chelsea e aver chiesto perch&eacute; stavano cambiando Ranieri, mi hanno risposto che volevano vincere e con lui non sarebbe mai capitato&raquo;. Il 2016 far&agrave; cambiare idea a molti.       

Il 1&deg; ottobre 2000, una vittoria contro i Reds guidati da Houllier diede il via all&rsquo;esperienza dell'allenatore italiano sulla panchina dei Blues

Chelsea-Liverpool 3-0, la prima volta di Claudio Ranieri a Stamford Bridge

Nella seconda met&agrave; degli anni &rsquo;90 tanti talenti del nostro calcio si trasferiscono in Premier League. A partire dal &lsquo;96 al Chelsea nasce una vera e propria colonia italiana. I Blues non sono ancora la corazzata che conosciamo oggi, bens&igrave; un club che ha vinto l&rsquo;ultimo trofeo nel lontano 1971 (la Coppa delle Coppe) e che naviga nella mediocrit&agrave; del football Oltremanica. La stagione 1996-97 rappresenta uno spartiacque nella storia del club londinese. Il presidente Ken Bates, dopo anni di anonimato, decide di mettere mani al portafogli per pescare dalla Serie A. Se in estate porta a Londra calciatori del calibro di Vialli (svincolato dalla Juve) e Di Matteo (versando circa 5 milioni di sterline nelle casse della Lazio), il colpo che cambia drasticamente il destino del Chelsea &egrave; l&rsquo;acquisto di Gianfranco Zola. <h2>16 novembre 1996, il debutto di Zola con la maglia del Chelsea</h2> Il fantasista sardo sbarca in Inghilterra l&rsquo;8 novembre 1996, grazie ai 12 miliardi e mezzo versati nelle casse del Parma. Il 16 novembre successivo debutta a Ewood Park contro il Blackburn, posizionato dall&rsquo;allenatore-giocatore Ruud Gullit sulla trequarti, alle spalle della coppia d&rsquo;attacco composta da Mark Hughes e dal connazionale Gianluca Vialli. Anche se non segna, si mette subito in evidenza. &ldquo;Zola, giocate da baronetto&rdquo;, titoler&agrave; il Corriere dello Sport-Stadio nella pagina dedicata al fantasista. Il Blackburn &egrave; il fanalino di coda del campionato, per questo il risultato finale di 1-1 non pu&ograve; soddisfare i Blues. Dal canto suo, il numero 25 d&agrave; subito prova del suo immenso talento, dimostrando adattamento immediato al nuovo campionato. Le cose migliori le regala nella ripresa, quando Gullit decide di scendere in campo al posto di Wise. Dall&rsquo;intesa mostrata tra i due pare che giochino insieme da sempre. Sono proprio loro a confezionare l&rsquo;azione pi&ugrave; bella della partita: sul cross dell&rsquo;olandese, Zola colpisce al volo sfiorando il gol del sorpasso a pochi minuti dal termine.&nbsp;&ldquo;All&rsquo;inizio della gara ho stentato a trovare i ritmi giusti, l&rsquo;intesa con i compagni. Nel secondo tempo invece ho migliorato il mio gioco, ho preso pi&ugrave; confidenza anche con i compagni. Per essere un esordio, lo giudico senz&rsquo;altro positivo. Sono stanco morto, ho faticato parecchio, ma non vedo l&rsquo;ora che arrivi il prossimo sabato per giocare di nuovo&rdquo;. Nonostante il risultato, &egrave; comunque una partita storica: la prima danza con la maglia del Chelsea per quello che di l&igrave; a poco verr&agrave; rinominato &ldquo;The Magic Box&rdquo; (la scatola magica), per via delle fantastiche giocate regalate alla platea di Stamford Bridge. <h2>Gianfranco Zola, il simbolo della rinascita del Chelsea</h2> L&rsquo;impatto del fuoriclasse sardo in Premier League sar&agrave; devastante: verr&agrave; premiato come giocatore del mese di dicembre &ndash; periodo in cui metter&agrave; a segno 5 reti in 6 gare &ndash;, mentre a fine &lsquo;97 gli verr&agrave; riconosciuto l&rsquo;FWA Footballer of the Year, premio che incorona il miglior giocatore dell&rsquo;anno in Premier League, unico calciatore italiano a essere stato insignito con tale riconoscimento. I trofei torneranno a Stamford Bridge dopo quasi 30 anni: due Coppe d&rsquo;Inghilterra, una Coppa di Lega, un Charity Shield, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Uefa. Zola sar&agrave; il trascinatore assoluto del Chelsea per gli anni a venire. Magic Box diventer&agrave; il calciatore italiano pi&ugrave; presente nella storia della Premier League con 229 apparizioni condite da ben 59 reti, nonch&eacute; uno degli stranieri pi&ugrave; amati di sempre. Ma oltre agli apprezzamenti universali sul rettangolo verde, ne ricever&agrave; uno dal valore enorme che va ben oltre il calcio, direttamente da Elisabetta II: quello di &ldquo;Member of the British Empire&rdquo;, l&rsquo;onorificenza che la Regina assegna ai cittadini pi&ugrave; stimati del Regno Unito. Un amore ricevuto e ricambiato come lo stesso Zola dichiarer&agrave; una volta terminata l&rsquo;avventura inglese: &ldquo;Quando sono arrivato a Londra mi sentivo un po&rsquo; spaesato, ma ce l&rsquo;ho messa tutta, ho lavorato duramente, &egrave; stata un&rsquo;esperienza che mi ha arricchito tantissimo e ho ricevuto pi&ugrave; stima ed affetto di quanto mi sarei aspettato.&nbsp;Se non fosse stato per il richiamo della Sardegna, la mia terra, sarei rimasto a vivere in Inghilterra per sempre&nbsp;perch&eacute; l&igrave; ormai mi sentivo a casa mia, come un cittadino britannico&rdquo;. Per aiutare il Cagliari a tornare in Serie A, nel 2003 rifiuter&agrave; il facoltoso rinnovo offertogli dal neo presidente Abramovich all&rsquo;et&agrave; di 36 anni. Ma se negli ultimi anni il Chelsea del magnate russo &egrave; diventato uno dei club pi&ugrave; vincenti al mondo, probabilmente molto lo deve a Gianfranco Zola: un baronetto fenomenale che con le sue magie ha funto da collante tra due epoche del tutto divergenti. &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp;

        Nella seconda met&agrave; degli anni &rsquo;90 tanti talenti del nostro calcio si trasferiscono in Premier League. A partire dal &lsquo;96 al Chelsea nasce una vera e propria colonia italiana. I Blues non sono ancora la corazzata che conosciamo oggi, bens&igrave; un club che ha vinto l&rsquo;ultimo trofeo nel lontano 1971 (la Coppa delle Coppe) e che naviga nella mediocrit&agrave; del football Oltremanica. La stagione 1996-97 rappresenta uno spartiacque nella storia del club londinese. Il presidente Ken Bates, dopo anni di anonimato, decide di mettere mani al portafogli per pescare dalla Serie A. Se in estate porta a Londra calciatori del calibro di Vialli (svincolato dalla Juve) e Di Matteo (versando circa 5 milioni di sterline nelle casse della Lazio), il colpo che cambia drasticamente il destino del Chelsea &egrave; l&rsquo;acquisto di Gianfranco Zola. 16 novembre 1996, il debutto di Zola con la maglia del Chelsea Il fantasista sardo sbarca in Inghilterra l&rsquo;8 novembre 1996, grazie ai 12 miliardi e mezzo versati nelle casse del Parma. Il 16 novembre successivo debutta a Ewood Park contro il Blackburn, posizionato dall&rsquo;allenatore-giocatore Ruud Gullit sulla trequarti, alle spalle della coppia d&rsquo;attacco composta da Mark Hughes e dal connazionale Gianluca Vialli. Anche se non segna, si mette subito in evidenza. &ldquo;Zola, giocate da baronetto&rdquo;, titoler&agrave; il Corriere dello Sport-Stadio nella pagina dedicata al fantasista. Il Blackburn &egrave; il fanalino di coda del campionato, per questo il risultato finale di 1-1 non pu&ograve; soddisfare i Blues. Dal canto suo, il numero 25 d&agrave; subito prova del suo immenso talento, dimostrando adattamento immediato al nuovo campionato. Le cose migliori le regala nella ripresa, quando Gullit decide di scendere in campo al posto di Wise. Dall&rsquo;intesa mostrata tra i due pare che giochino insieme da sempre. Sono proprio loro a confezionare l&rsquo;azione pi&ugrave; bella della partita: sul cross dell&rsquo;olandese, Zola colpisce al volo sfiorando il gol del sorpasso a pochi minuti dal termine.&nbsp;&ldquo;All&rsquo;inizio della gara ho stentato a trovare i ritmi giusti, l&rsquo;intesa con i compagni. Nel secondo tempo invece ho migliorato il mio gioco, ho preso pi&ugrave; confidenza anche con i compagni. Per essere un esordio, lo giudico senz&rsquo;altro positivo. Sono stanco morto, ho faticato parecchio, ma non vedo l&rsquo;ora che arrivi il prossimo sabato per giocare di nuovo&rdquo;. Nonostante il risultato, &egrave; comunque una partita storica: la prima danza con la maglia del Chelsea per quello che di l&igrave; a poco verr&agrave; rinominato &ldquo;The Magic Box&rdquo; (la scatola magica), per via delle fantastiche giocate regalate alla platea di Stamford Bridge. Gianfranco Zola, il simbolo della rinascita del Chelsea L&rsquo;impatto del fuoriclasse sardo in Premier League sar&agrave; devastante: verr&agrave; premiato come giocatore del mese di dicembre &ndash; periodo in cui metter&agrave; a segno 5 reti in 6 gare &ndash;, mentre a fine &lsquo;97 gli verr&agrave; riconosciuto l&rsquo;FWA Footballer of the Year, premio che incorona il miglior giocatore dell&rsquo;anno in Premier League, unico calciatore italiano a essere stato insignito con tale riconoscimento. I trofei torneranno a Stamford Bridge dopo quasi 30 anni: due Coppe d&rsquo;Inghilterra, una Coppa di Lega, un Charity Shield, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Uefa. Zola sar&agrave; il trascinatore assoluto del Chelsea per gli anni a venire. Magic Box diventer&agrave; il calciatore italiano pi&ugrave; presente nella storia della Premier League con 229 apparizioni condite da ben 59 reti, nonch&eacute; uno degli stranieri pi&ugrave; amati di sempre. Ma oltre agli apprezzamenti universali sul rettangolo verde, ne ricever&agrave; uno dal valore enorme che va ben oltre il calcio, direttamente da Elisabetta II: quello di &ldquo;Member of the British Empire&rdquo;, l&rsquo;onorificenza che la Regina assegna ai cittadini pi&ugrave; stimati del Regno Unito. Un amore ricevuto e ricambiato come lo stesso Zola dichiarer&agrave; una volta terminata l&rsquo;avventura inglese: &ldquo;Quando sono arrivato a Londra mi sentivo un po&rsquo; spaesato, ma ce l&rsquo;ho messa tutta, ho lavorato duramente, &egrave; stata un&rsquo;esperienza che mi ha arricchito tantissimo e ho ricevuto pi&ugrave; stima ed affetto di quanto mi sarei aspettato.&nbsp;Se non fosse stato per il richiamo della Sardegna, la mia terra, sarei rimasto a vivere in Inghilterra per sempre&nbsp;perch&eacute; l&igrave; ormai mi sentivo a casa mia, come un cittadino britannico&rdquo;. Per aiutare il Cagliari a tornare in Serie A, nel 2003 rifiuter&agrave; il facoltoso rinnovo offertogli dal neo presidente Abramovich all&rsquo;et&agrave; di 36 anni. Ma se negli ultimi anni il Chelsea del magnate russo &egrave; diventato uno dei club pi&ugrave; vincenti al mondo, probabilmente molto lo deve a Gianfranco Zola: un baronetto fenomenale che con le sue magie ha funto da collante tra due epoche del tutto divergenti.  &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp;       

Il 16 novembre 1996 contro il Blackburn il debutto di Magic Box con i Blues. Simbolo della rinascita del club, &egrave; stato decisivo nel riportare trofei a Stamford Bridge prima dell&rsquo;era Abramovich

Gianfranco Zola, molto più di un calciatore per il Chelsea

Londra &egrave; da sempre la citt&agrave; del football: decine di club che militano nei maggiori campionati, impianti da sogno, senza contare il fatto che si tratta del luogo dove alcuni ragazzi di Eton cominciano a correre con una sfera tra i piedi nel &ldquo;dribbling game&rdquo; verso la met&agrave; diciannovesimo secolo. La capitale inglese, di conseguenza, ha dato i natali a schiere di calciatori nel corso degli ultimi 150 anni. Uno dei pi&ugrave; talentuosi &egrave; Joe Cole, nato all&rsquo;ombra di Wembley l&rsquo;8 novembre di 40 anni fa.&nbsp; <o:p></o:p> <h2>Gli Esordi al West Ham e il passaggio al Chelsea<o:p></o:p></h2> Giocatore dal talento cristallino, Joe &egrave; londinese come la Pie and Mash o come un film di Guy Ritchie. A 8 anni entra nelle giovanili del West Ham e ci resta fino ad esordire in prima squadra appena maggiorenne. Di quel gruppo diventa ben presto la stella: trequartista con un estro fuori dal comune, fa innamorare migliaia di tifosi che ogni sabato accorrono ad ammirarne le magie a Boleyn Ground. Migliaia di tifosi che purtroppo, come spesso accade nel calcio moderno, verranno sedotti e abbandonati. Nella stagione 2002/2003 infatti, anno in cui diventa capitano degli Hammers a soli 21 anni, non riesce a salvare la squadra che retrocede in Championship. Cole &egrave; in quel momento forse il giovane calciatore pi&ugrave; desiderato d&rsquo;Inghilterra e alla porta si presenta Roman Abramovich, fresco nuovo proprietario dei rivali del Chelsea, che lo porta via. Per i tifosi degli Irons &egrave; un vero e proprio tradimento. <o:p></o:p> <h2>Gli anni a Stamford Bridge con Mourinho<o:p></o:p></h2> &ldquo;Prima il Chelsea era una squadra simpatica, poi &egrave; arrivato Mourinho e ci ha fatto diventare cattivi&rdquo; dir&agrave; tempo dopo parlando dei suoi anni alla corte dello Special One. Dopo un primo periodo con Claudio Ranieri, arriva sulla panchina dei Blues l&rsquo;allenatore portoghese e rivoluziona totalmente l&rsquo;ambiente. Il cambiamento investe anche Joe, che da trequartista puro viene spostato sulla fascia sinistra. Per molti addetti ai lavori &egrave; un delitto sprecare l&rsquo;estro di Cole. Estro talmente grande da non riuscire a essere sfogato esclusivamente all&rsquo;interno del rettangolo verde e che lo rende protagonista di qualche notte brava finita sui sempre attenti tabloid d&rsquo;Oltremanica. Celebre la sua fuga in perfetto stile Casanova dalla finestra della signorina Keeley Hazell, procace pagina 3 del Sun, per sfuggire dalle grinfie del di lei fidanzato.&nbsp;<o:p></o:p>Tornando al campo, alla fine avr&agrave; ragione Mou. Sulla fascia e alla corte dello Special One il numero 10 vivr&agrave; gli anni della sua maturit&agrave;, alzando ben 6 trofei e segnando molti gol. <o:p></o:p> <h2>Il Liverpool e gli ultimi anni<o:p></o:p></h2> Nel 2010 decide di salutare Londra per la prima volta nella sua vita, direzione Liverpool. &ldquo;Messi pu&ograve; fare cose incredibili, ma tutto ci&ograve; che fa lo pu&ograve; fare anche Joe, se non meglio&rdquo; dir&agrave; il capitano Steven Gerrard all&rsquo;arrivo di Cole, a testimoniare la grandissima validit&agrave; tecnica del fantasista londinese. Purtroppo il talento di Joe, assopito dopo anni a cercare di far bene un ruolo non totalmente suo, comincia a latitare per non tornare mai pi&ugrave;. Quantomeno non con la brillantezza dei primi anni. La parabola discendente lo porter&agrave; prima all&rsquo;Aston Villa e poi al Coventry City nella terza divisione inglese. Il giocatore che ammaliava l&rsquo;Inghilterra nel Mondiale del 2006 con uno splendido gol da fuori contro la Svezia non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;, come &egrave; inevitabile che sia. D&rsquo;altronde si pu&ograve; anche raggiungere la cima dell&rsquo;Everest, ma non ci si pu&ograve; di certo rimanere a viverci. Dopo una breve parentesi negli States appende gli scarpini al chiodo e torna in patria dove dal 2019 &egrave; assistente tecnico nell&rsquo;Academy del Chelsea. Un lungo viaggio da Londra a Londra, capitale del football e casa di Joe Cole, uno dei suoi figli pi&ugrave; talentuosi. <o:p></o:p>

        Londra &egrave; da sempre la citt&agrave; del football: decine di club che militano nei maggiori campionati, impianti da sogno, senza contare il fatto che si tratta del luogo dove alcuni ragazzi di Eton cominciano a correre con una sfera tra i piedi nel &ldquo;dribbling game&rdquo; verso la met&agrave; diciannovesimo secolo. La capitale inglese, di conseguenza, ha dato i natali a schiere di calciatori nel corso degli ultimi 150 anni. Uno dei pi&ugrave; talentuosi &egrave; Joe Cole, nato all&rsquo;ombra di Wembley l&rsquo;8 novembre di 40 anni fa.&nbsp;  Gli Esordi al West Ham e il passaggio al Chelsea Giocatore dal talento cristallino, Joe &egrave; londinese come la Pie and Mash o come un film di Guy Ritchie. A 8 anni entra nelle giovanili del West Ham e ci resta fino ad esordire in prima squadra appena maggiorenne. Di quel gruppo diventa ben presto la stella: trequartista con un estro fuori dal comune, fa innamorare migliaia di tifosi che ogni sabato accorrono ad ammirarne le magie a Boleyn Ground. Migliaia di tifosi che purtroppo, come spesso accade nel calcio moderno, verranno sedotti e abbandonati. Nella stagione 2002/2003 infatti, anno in cui diventa capitano degli Hammers a soli 21 anni, non riesce a salvare la squadra che retrocede in Championship. Cole &egrave; in quel momento forse il giovane calciatore pi&ugrave; desiderato d&rsquo;Inghilterra e alla porta si presenta Roman Abramovich, fresco nuovo proprietario dei rivali del Chelsea, che lo porta via. Per i tifosi degli Irons &egrave; un vero e proprio tradimento.  Gli anni a Stamford Bridge con Mourinho &ldquo;Prima il Chelsea era una squadra simpatica, poi &egrave; arrivato Mourinho e ci ha fatto diventare cattivi&rdquo; dir&agrave; tempo dopo parlando dei suoi anni alla corte dello Special One. Dopo un primo periodo con Claudio Ranieri, arriva sulla panchina dei Blues l&rsquo;allenatore portoghese e rivoluziona totalmente l&rsquo;ambiente. Il cambiamento investe anche Joe, che da trequartista puro viene spostato sulla fascia sinistra. Per molti addetti ai lavori &egrave; un delitto sprecare l&rsquo;estro di Cole. Estro talmente grande da non riuscire a essere sfogato esclusivamente all&rsquo;interno del rettangolo verde e che lo rende protagonista di qualche notte brava finita sui sempre attenti tabloid d&rsquo;Oltremanica. Celebre la sua fuga in perfetto stile Casanova dalla finestra della signorina Keeley Hazell, procace pagina 3 del Sun, per sfuggire dalle grinfie del di lei fidanzato.&nbsp;Tornando al campo, alla fine avr&agrave; ragione Mou. Sulla fascia e alla corte dello Special One il numero 10 vivr&agrave; gli anni della sua maturit&agrave;, alzando ben 6 trofei e segnando molti gol.  Il Liverpool e gli ultimi anni Nel 2010 decide di salutare Londra per la prima volta nella sua vita, direzione Liverpool. &ldquo;Messi pu&ograve; fare cose incredibili, ma tutto ci&ograve; che fa lo pu&ograve; fare anche Joe, se non meglio&rdquo; dir&agrave; il capitano Steven Gerrard all&rsquo;arrivo di Cole, a testimoniare la grandissima validit&agrave; tecnica del fantasista londinese. Purtroppo il talento di Joe, assopito dopo anni a cercare di far bene un ruolo non totalmente suo, comincia a latitare per non tornare mai pi&ugrave;. Quantomeno non con la brillantezza dei primi anni. La parabola discendente lo porter&agrave; prima all&rsquo;Aston Villa e poi al Coventry City nella terza divisione inglese. Il giocatore che ammaliava l&rsquo;Inghilterra nel Mondiale del 2006 con uno splendido gol da fuori contro la Svezia non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;, come &egrave; inevitabile che sia. D&rsquo;altronde si pu&ograve; anche raggiungere la cima dell&rsquo;Everest, ma non ci si pu&ograve; di certo rimanere a viverci. Dopo una breve parentesi negli States appende gli scarpini al chiodo e torna in patria dove dal 2019 &egrave; assistente tecnico nell&rsquo;Academy del Chelsea. Un lungo viaggio da Londra a Londra, capitale del football e casa di Joe Cole, uno dei suoi figli pi&ugrave; talentuosi.        

Cresciuto nell&rsquo;Academy degli Hammers, &egrave; stato uno dei calciatori pi&ugrave; forti della sua generazione. Con Mourinho raggiunse la maturit&agrave; calcistica

Joe Cole, il talento inglese di West Ham, Chelsea e Liverpool

Olivier Giroud al Milan, l'ennesimo rinforzo di mercato per i rossoneri dal Chelsea. Da Samuele Dalla Bona a Ti&eacute;mou&eacute; Bakayoko sono, al momento, 10 i calciatori arrivati al Milan dai Blues. Tra questi, presenze non indimenticabili (Van Ginkel, Essien), un talento sbocciato altrove (Mario Pasalic ora all'Atalanta) e tre grandi attaccanti, tra i pi&ugrave; apprezzati nel calcio europeo del nuovo millennio.&nbsp; <h2>Hernan Crespo, che rimpianto a Istanbul</h2> Estate 2004. Il Milan, reduce dalla vittoria dello Scudetto, decide di rinforzarsi ulteriormente per tentare un nuovo assalto alla Champions. Su richiesta di Ancelotti, Galliani convince il Chelsea a cedere in prestito Hernan Crespo. L'argentino stenta in avvio poi sale in cattedra nella seconda parte della stagione. Suoi i due gol contro il Manchester United nel doppio 1-0 tra andata e ritorno negli ottavi di Champions primo passo verso l'approdo alla finale di Istanbul contro il Liverpool. All'Ataturk, Crespo segna una doppietta nel primo tempo chiuso dai rossoneri sul 3-0. Nella ripresa, la memorabile rimonta dei Reds completata con il trionfo ai rigori. Due settimane prima di quella tragica finale, il Milan aveva perso lo Scudetto nello scontro diretto con la Juve a San Siro alla quartultima giornata. A fine stagione, Crespo non sar&agrave; riscattato, torna al Chelsea e lascia un Milan pieno di campioni ma senza vittorie. <h2>Andrij Shevchenko, un inglorioso ritorno &nbsp;</h2> Due stagioni al Chelsea non certo indimenticabili per Andrij Shevchenko, lontano dal rendimento e dagli score realizzativi del Milan. Tra infortuni e scarso feeling con l'ambiente, l'esperienza londinese di Sheva non decolla e si conclude con la finale di Champions persa a Mosca, ai rigori, contro il Manchester United di Ronaldo. Relegato in panchina da Grant, Sheva si rifiuta di andare a ritirare la medaglia per gli sconfitti. &Egrave; la rottura definitiva con il Chelsea. Il Milan ne approfitta e lo riporta in rossonero nell'estate 2008 ancora con Ancelotti in panchina. Sar&agrave; una stagione da dimenticare con poche presenze da titolare, tanti spezzoni di partita e due soli gol allo Zurigo in Europa League e alla Lazio in Coppa Italia. Nessuna rete in campionato. Di Shevchenko, poi ceduto alla Dinamo Kiev dal Chelsea, i tifosi del Milan conservano ben altri ricordi. <h2>Fernando Torres, un gran gol a Empoli e l'addio immediato</h2> Un classico blitz alla Galliani nell'estate 2014. Dopo la cessione di Balotelli al Liverpool, l'allora amministratore delegato rossonero preleva Fernando Torres in prestito biennale dal Chelsea. El Nino arriva in rossonero dopo aver vinto tutto con la nazionale spagnolo (un Mondiale nel 2010 e due Europei nel 2008 e nel 2012) e con i Blues (Champions League 2012 ed Europa League 2013. C'&egrave; Pippo Inzaghi sulla panchina del Milan. Alla quarta giornata, la prima da titolare a Empoli. Sotto 2-0, i rossoneri avviano la rimonta per il pareggio con una splendida incornata dell'attaccante iberico. Uno spiovente meraviglioso sul secondo palo che non lascia scampo a Sepe. Sar&agrave; l'unico lampo di Torres in rossonero. A fine dicembre, dopo solo 10 presenze, viene annunciato il suo ritorno all'Atletico Madrid. Al suo posto, dai Colchoneros, Galliani ingaggia un suo pupillo, Alessio Cerci. I risultati non saranno migliori...

        Olivier Giroud al Milan, l'ennesimo rinforzo di mercato per i rossoneri dal Chelsea. Da Samuele Dalla Bona a Ti&eacute;mou&eacute; Bakayoko sono, al momento, 10 i calciatori arrivati al Milan dai Blues. Tra questi, presenze non indimenticabili (Van Ginkel, Essien), un talento sbocciato altrove (Mario Pasalic ora all'Atalanta) e tre grandi attaccanti, tra i pi&ugrave; apprezzati nel calcio europeo del nuovo millennio.&nbsp; Hernan Crespo, che rimpianto a Istanbul  Estate 2004. Il Milan, reduce dalla vittoria dello Scudetto, decide di rinforzarsi ulteriormente per tentare un nuovo assalto alla Champions. Su richiesta di Ancelotti, Galliani convince il Chelsea a cedere in prestito Hernan Crespo. L'argentino stenta in avvio poi sale in cattedra nella seconda parte della stagione. Suoi i due gol contro il Manchester United nel doppio 1-0 tra andata e ritorno negli ottavi di Champions primo passo verso l'approdo alla finale di Istanbul contro il Liverpool. All'Ataturk, Crespo segna una doppietta nel primo tempo chiuso dai rossoneri sul 3-0. Nella ripresa, la memorabile rimonta dei Reds completata con il trionfo ai rigori. Due settimane prima di quella tragica finale, il Milan aveva perso lo Scudetto nello scontro diretto con la Juve a San Siro alla quartultima giornata. A fine stagione, Crespo non sar&agrave; riscattato, torna al Chelsea e lascia un Milan pieno di campioni ma senza vittorie. Andrij Shevchenko, un inglorioso ritorno &nbsp;  Due stagioni al Chelsea non certo indimenticabili per Andrij Shevchenko, lontano dal rendimento e dagli score realizzativi del Milan. Tra infortuni e scarso feeling con l'ambiente, l'esperienza londinese di Sheva non decolla e si conclude con la finale di Champions persa a Mosca, ai rigori, contro il Manchester United di Ronaldo. Relegato in panchina da Grant, Sheva si rifiuta di andare a ritirare la medaglia per gli sconfitti. &Egrave; la rottura definitiva con il Chelsea. Il Milan ne approfitta e lo riporta in rossonero nell'estate 2008 ancora con Ancelotti in panchina. Sar&agrave; una stagione da dimenticare con poche presenze da titolare, tanti spezzoni di partita e due soli gol allo Zurigo in Europa League e alla Lazio in Coppa Italia. Nessuna rete in campionato. Di Shevchenko, poi ceduto alla Dinamo Kiev dal Chelsea, i tifosi del Milan conservano ben altri ricordi. Fernando Torres, un gran gol a Empoli e l'addio immediato  Un classico blitz alla Galliani nell'estate 2014. Dopo la cessione di Balotelli al Liverpool, l'allora amministratore delegato rossonero preleva Fernando Torres in prestito biennale dal Chelsea. El Nino arriva in rossonero dopo aver vinto tutto con la nazionale spagnolo (un Mondiale nel 2010 e due Europei nel 2008 e nel 2012) e con i Blues (Champions League 2012 ed Europa League 2013. C'&egrave; Pippo Inzaghi sulla panchina del Milan. Alla quarta giornata, la prima da titolare a Empoli. Sotto 2-0, i rossoneri avviano la rimonta per il pareggio con una splendida incornata dell'attaccante iberico. Uno spiovente meraviglioso sul secondo palo che non lascia scampo a Sepe. Sar&agrave; l'unico lampo di Torres in rossonero. A fine dicembre, dopo solo 10 presenze, viene annunciato il suo ritorno all'Atletico Madrid. Al suo posto, dai Colchoneros, Galliani ingaggia un suo pupillo, Alessio Cerci. I risultati non saranno migliori...       

Il francese non &egrave; il primo rinforzo arrivato dai Blues in rossonero. Non tutti hanno lasciato il segno&nbsp;

Olivier Giroud e gli altri: i grandi attaccanti passati dal Chelsea al Milan

Questa sera andr&agrave; in scena allo Stadio do Dragao di Porto la finale della competizione per club pi&ugrave; importante del mondo: la Champions League. L&rsquo;ultimo atto della stagione, che rappresenta uno scontro inedito per quanto riguarda l&rsquo;assegnazione della coppa delle grandi orecchie, vedr&agrave; contrapporsi Manchester City e Chelsea. La sfida, sebbene sia un grande classico del calcio d&rsquo;Oltremanica, non ha mai assegnato un titolo cos&igrave; importante, almeno se parliamo del piano meramente calcistico. Perch&eacute; per quanto possa sembrare assurdo, City-Chelsea negli anni &rsquo;90 voleva dire Oasis vs Blur.&nbsp; <h2>Il Britpop e gli anni &lsquo;90</h2> Siamo nell&rsquo;ultima decade del XX secolo. Da sempre, o almeno dai favolosi &rsquo;60 con i Beatles, la terra d&rsquo;Albione ha giganteggiato a livello mondiale per quanto riguarda successi musicali, band e classifiche. Ora per&ograve; la scena Grunge americana, capitanata dai Nirvana, minaccia di eclissare la musica britannica, almeno fino al 1994, quando i Blur catturano l&rsquo;attenzione del pubblico con l&rsquo;album Parklife e gli Oasis esordiscono con Definitely Maybe. Spinti anche probabilmente dai media, i fratelli Gallagher, soprattutto nella persona di Liam, accendono una forte rivalit&agrave; con il frontman dei Blur, Damon Albarn. In palio c&rsquo;&egrave; la supremazia musicale in Inghilterra ma non solo. Oasis contro Blur vuol dire nord contro sud, proletari contro borghesi, provincialotti contro figli di pap&agrave; londinesi, ma soprattutto vuol dire Manchester City contro Chelsea. I fratelli Gallagher sono infatti grandi fan degli Sky Blues, mentre Albarn tifa Chelsea fin da bambino. <h2>Citizens contro Blues</h2> In quegli anni le due squadre non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle di oggi. Qualsiasi tifoso dei Citizens e dei Blues non immaginerebbe neanche nei suoi sogni pi&ugrave; fantasiosi di poter giocare una finale di Champions League. Il Manchester City vive molto probabilmente la fase pi&ugrave; buia di una storia che, a parte pochissimi successi, non ha mai brillato. Il Chelsea dal canto suo vede la luce in fondo al tunnel: non vince un trofeo dal 1971, ma grazie a Ken Bates e Ruud Gullit sta iniziando un processo di rinnovamento importante. <h2>Lo scontro musicale e non solo</h2> Siamo nel 1995. Ogni suddito di Sua Maest&agrave; attende con trepidazione i nuovi album di entrambe le band, previsti per l&rsquo;autunno.&nbsp;Quell&rsquo;estate erano gi&agrave; programmati due singoli, Damon Albarn decide cos&igrave; di spostare l&rsquo;uscita del suo Country House lo stesso giorno di Roll With It degli Oasis. &Egrave; il 14 agosto del 1995. In primavera, ad un evento organizzato dall&rsquo;etichetta dei fratelli Gallagher, Liam prende a parolacce il frontman dei Blur umiliandolo pubblicamente. Da l&igrave; in avanti &egrave; guerra, le due band vanno avanti a sfidarsi a vicenda, sia per il titolo di miglior band del pop britannico, sia con le vendite dei dischi e i concerti. Alla lunga non c&rsquo;&egrave; mai stato un vero e proprio vincitore, gli Oasis sono diventati dei giganti a livello internazionale, i Blur si sono allontanati dal Britpop, esplorando nuovi stili mentre Albarn si &egrave; gettato nel progetto Gorillaz. Quello che &egrave; sicuro &egrave; che, a differenza della rivalit&agrave; musicale, tra Manchester City e Chelsea questa sera ci sar&agrave; solamente un vincitore.&nbsp;

        Questa sera andr&agrave; in scena allo Stadio do Dragao di Porto la finale della competizione per club pi&ugrave; importante del mondo: la Champions League. L&rsquo;ultimo atto della stagione, che rappresenta uno scontro inedito per quanto riguarda l&rsquo;assegnazione della coppa delle grandi orecchie, vedr&agrave; contrapporsi Manchester City e Chelsea. La sfida, sebbene sia un grande classico del calcio d&rsquo;Oltremanica, non ha mai assegnato un titolo cos&igrave; importante, almeno se parliamo del piano meramente calcistico. Perch&eacute; per quanto possa sembrare assurdo, City-Chelsea negli anni &rsquo;90 voleva dire Oasis vs Blur.&nbsp; Il Britpop e gli anni &lsquo;90  Siamo nell&rsquo;ultima decade del XX secolo. Da sempre, o almeno dai favolosi &rsquo;60 con i Beatles, la terra d&rsquo;Albione ha giganteggiato a livello mondiale per quanto riguarda successi musicali, band e classifiche. Ora per&ograve; la scena Grunge americana, capitanata dai Nirvana, minaccia di eclissare la musica britannica, almeno fino al 1994, quando i Blur catturano l&rsquo;attenzione del pubblico con l&rsquo;album Parklife e gli Oasis esordiscono con Definitely Maybe. Spinti anche probabilmente dai media, i fratelli Gallagher, soprattutto nella persona di Liam, accendono una forte rivalit&agrave; con il frontman dei Blur, Damon Albarn. In palio c&rsquo;&egrave; la supremazia musicale in Inghilterra ma non solo. Oasis contro Blur vuol dire nord contro sud, proletari contro borghesi, provincialotti contro figli di pap&agrave; londinesi, ma soprattutto vuol dire Manchester City contro Chelsea. I fratelli Gallagher sono infatti grandi fan degli Sky Blues, mentre Albarn tifa Chelsea fin da bambino. Citizens contro Blues  In quegli anni le due squadre non sono neanche lontanamente paragonabili a quelle di oggi. Qualsiasi tifoso dei Citizens e dei Blues non immaginerebbe neanche nei suoi sogni pi&ugrave; fantasiosi di poter giocare una finale di Champions League. Il Manchester City vive molto probabilmente la fase pi&ugrave; buia di una storia che, a parte pochissimi successi, non ha mai brillato. Il Chelsea dal canto suo vede la luce in fondo al tunnel: non vince un trofeo dal 1971, ma grazie a Ken Bates e Ruud Gullit sta iniziando un processo di rinnovamento importante. Lo scontro musicale e non solo  Siamo nel 1995. Ogni suddito di Sua Maest&agrave; attende con trepidazione i nuovi album di entrambe le band, previsti per l&rsquo;autunno.&nbsp;Quell&rsquo;estate erano gi&agrave; programmati due singoli, Damon Albarn decide cos&igrave; di spostare l&rsquo;uscita del suo Country House lo stesso giorno di Roll With It degli Oasis. &Egrave; il 14 agosto del 1995. In primavera, ad un evento organizzato dall&rsquo;etichetta dei fratelli Gallagher, Liam prende a parolacce il frontman dei Blur umiliandolo pubblicamente. Da l&igrave; in avanti &egrave; guerra, le due band vanno avanti a sfidarsi a vicenda, sia per il titolo di miglior band del pop britannico, sia con le vendite dei dischi e i concerti. Alla lunga non c&rsquo;&egrave; mai stato un vero e proprio vincitore, gli Oasis sono diventati dei giganti a livello internazionale, i Blur si sono allontanati dal Britpop, esplorando nuovi stili mentre Albarn si &egrave; gettato nel progetto Gorillaz. Quello che &egrave; sicuro &egrave; che, a differenza della rivalit&agrave; musicale, tra Manchester City e Chelsea questa sera ci sar&agrave; solamente un vincitore.&nbsp;       

La finale di Champions League rispolvera la vecchia rivalit&agrave; tra i fratelli Gallagher e Damon Albarn

Manchester City-Chelsea, negli anni ’90 era Oasis vs Blur

Quando si dice un vizietto di famiglia&hellip; un detto che calza alla perfezione per questa incredibile storia. Allo Stadio do Dragao di Oporto, il Chelsea sfida il Manchester City nella finale di Champions League. Sar&agrave; un giorno particolarissimo per il terzino dei Blues Marcos Alonso: l&rsquo;ex difensore della Fiorentina &egrave; il terzo della sua dinastia a raggiungere questo traguardo. Prima di lui sia il pap&agrave;, Marcos Alonso Pena, che il nonno, Marcos Alonso Imaz, meglio conosciuto come Marquitos, avevano infatti preso parte all&rsquo;ultimo atto della coppa dalle grandi orecchie. <h2>L&rsquo;inizio della dinastia col Grande Real</h2> &Egrave; appunto lo storico difensore del Real Madrid Marquitos il primo a disputare e vincere la Coppa dei Campioni in casa Alonso. L&rsquo;ex difensore scomparso nel 2012 resta anche, per ora, l&rsquo;unico della famiglia ad aver trionfato. Fece parte della leggendaria squadra trascinata dal tridente delle meraviglie composto da Gento, Di Stefano e Rial che si assicur&ograve; la prima storica edizione nel 1955-56. In quella finale, disputata a Parigi il 13 giugno, Marquitos segn&ograve; il gol del momentaneo 3-3, prima della firma di Rial che chiuse il confronto sul 4-3. Dopo quel trionfo il presidente Santiago Bernabeu acquist&ograve; anche la stella degli avversari Raimond Kopa.&nbsp;Il Grande Real port&ograve; a casa poi le successive quattro edizioni, con Marquitos che salt&ograve; solo l&rsquo;ultimo atto del 1957-58. &nbsp;&nbsp; <h2>Di padre in figlio</h2> &nbsp; Anche suo figlio, Marcos Alonso Pena, attaccante cresciuto proprio nel vivaio del Real, raggiunse la finale di Coppa dei Campioni nel pieno degli anni &rsquo;80, ma con la maglia del Barcellona. A differenza del padre fu protagonista in negativo. L&rsquo;ultimo atto di quell&rsquo;edizione si gioc&ograve; a Siviglia il 7 maggio 1986, e vide contrapporsi il Bar&ccedil;a e la sorprendente Steaua Bucarest. In seguito allo 0-0 maturato nei 120&rsquo; di gioco, furono fatali per i catalani i tiri dal dischetto. Una serie di rigori incredibile, che vide solo due trasformazioni su otto esecuzioni. Il Barcellona sbagli&ograve; tutti e quattro i penalty, con Marcos Alonso Pena che fall&igrave; l&rsquo;ultimo decisivo tiro. L&rsquo;eroe della leggendaria affermazione dei romeni &ndash; prima squadra dell&rsquo;Est Europa a vincere la prestigiosa coppa &ndash; fu il portiere Helmuth Duckadam, che oltre al rigore di Alonso, par&ograve; anche i tiri di Alexanko, Pedraza e Pichi Alonso, portando a casa un memorabile quattro su quattro.&nbsp;Il terzino del Chelsea Marcos Alonso pu&ograve; riportare a casa la Champions League a distanza di 61 anni, per farlo, per&ograve;, dovr&agrave; avere la meglio sul Manchester City di Guardiola. Comunque vada lo storico record &egrave; stato scritto: nessun&rsquo;altra famiglia ha regalato al calcio tre atleti protagonisti in una finale di Coppa dei Campioni/Champions League. &nbsp; &nbsp; &nbsp;

        Quando si dice un vizietto di famiglia&hellip; un detto che calza alla perfezione per questa incredibile storia. Allo Stadio do Dragao di Oporto, il Chelsea sfida il Manchester City nella finale di Champions League. Sar&agrave; un giorno particolarissimo per il terzino dei Blues Marcos Alonso: l&rsquo;ex difensore della Fiorentina &egrave; il terzo della sua dinastia a raggiungere questo traguardo. Prima di lui sia il pap&agrave;, Marcos Alonso Pena, che il nonno, Marcos Alonso Imaz, meglio conosciuto come Marquitos, avevano infatti preso parte all&rsquo;ultimo atto della coppa dalle grandi orecchie. L&rsquo;inizio della dinastia col Grande Real  &Egrave; appunto lo storico difensore del Real Madrid Marquitos il primo a disputare e vincere la Coppa dei Campioni in casa Alonso. L&rsquo;ex difensore scomparso nel 2012 resta anche, per ora, l&rsquo;unico della famiglia ad aver trionfato. Fece parte della leggendaria squadra trascinata dal tridente delle meraviglie composto da Gento, Di Stefano e Rial che si assicur&ograve; la prima storica edizione nel 1955-56. In quella finale, disputata a Parigi il 13 giugno, Marquitos segn&ograve; il gol del momentaneo 3-3, prima della firma di Rial che chiuse il confronto sul 4-3. Dopo quel trionfo il presidente Santiago Bernabeu acquist&ograve; anche la stella degli avversari Raimond Kopa.&nbsp;Il Grande Real port&ograve; a casa poi le successive quattro edizioni, con Marquitos che salt&ograve; solo l&rsquo;ultimo atto del 1957-58. &nbsp;&nbsp; Di padre in figlio &nbsp; Anche suo figlio, Marcos Alonso Pena, attaccante cresciuto proprio nel vivaio del Real, raggiunse la finale di Coppa dei Campioni nel pieno degli anni &rsquo;80, ma con la maglia del Barcellona. A differenza del padre fu protagonista in negativo. L&rsquo;ultimo atto di quell&rsquo;edizione si gioc&ograve; a Siviglia il 7 maggio 1986, e vide contrapporsi il Bar&ccedil;a e la sorprendente Steaua Bucarest. In seguito allo 0-0 maturato nei 120&rsquo; di gioco, furono fatali per i catalani i tiri dal dischetto. Una serie di rigori incredibile, che vide solo due trasformazioni su otto esecuzioni. Il Barcellona sbagli&ograve; tutti e quattro i penalty, con Marcos Alonso Pena che fall&igrave; l&rsquo;ultimo decisivo tiro. L&rsquo;eroe della leggendaria affermazione dei romeni &ndash; prima squadra dell&rsquo;Est Europa a vincere la prestigiosa coppa &ndash; fu il portiere Helmuth Duckadam, che oltre al rigore di Alonso, par&ograve; anche i tiri di Alexanko, Pedraza e Pichi Alonso, portando a casa un memorabile quattro su quattro.&nbsp;Il terzino del Chelsea Marcos Alonso pu&ograve; riportare a casa la Champions League a distanza di 61 anni, per farlo, per&ograve;, dovr&agrave; avere la meglio sul Manchester City di Guardiola. Comunque vada lo storico record &egrave; stato scritto: nessun&rsquo;altra famiglia ha regalato al calcio tre atleti protagonisti in una finale di Coppa dei Campioni/Champions League. &nbsp; &nbsp; &nbsp;       

Il terzino del Chelsea &egrave; il terzo componente della dinastia spagnola a disputare l'ultimo atto della pi&ugrave; importante competizione per club

Dopo il nonno e il papà, un altro Marcos Alonso in finale di Champions

Siamo nel 1971. Il mondo si &egrave; definitivamente messo alle spalle i favolosi anni &rsquo;60, la corsa alla Luna &egrave; ormai roba vecchia, le donne in minigonna non fanno pi&ugrave; notizia, e persino i Beatles, allontanati l&rsquo;un l&rsquo;altro da Yoko Ono, prendono strade diverse finendo in tribunale per dirimere le questioni legate al patrimonio. Anche il mondo del calcio si appresta a vivere un&rsquo;era di grandi cambiamenti, traghettato nel futuro da un ragazzo olandese di nome Johan Cruijff e dal suo Ajax stellare. A dire il vero l&rsquo;anno non &egrave; cominciato nel migliore dei modi per i fan del football: il 2 gennaio infatti, all&rsquo;Ibrox Stadium di Glasgow, nei minuti finali dell&rsquo;Old Firm, sugli spalti si produce una ressa che porta alla morte di 66 persone. Le cause dell&rsquo;incidente non verranno mai chiarite completamente. <o:p></o:p> <o:p>&nbsp;</o:p> <h2 class="Corpo">La finale: Davide contro Golia<o:p></o:p></h2> <o:p>&nbsp;</o:p> Mentre dunque i ragazzi terribili di Cruijff si apprestano a iniziare un grande ciclo vincendo la loro prima Coppa dei Campioni, il 19 maggio va in scena un&rsquo;altra finale europea, quella di Coppa delle Coppe tra Chelsea e Real Madrid. Teatro della sfida &egrave; il Georgios Karaiskakis al Pireo, stadio riqualificato nel 1964, nonch&eacute; uno degli impianti pi&ugrave; moderni d&rsquo;Europa. Le forze in campo, almeno sulla carta, non si direbbero equilibrate: i Blues di Londra, nonostante il processo di miglioramento che il club sta vivendo da circa 20 anni, non sono neanche lontanamente la corazzata che conosciamo oggi. Dall&rsquo;altra parte, invece, le Merengues sono gi&agrave; la squadra pi&ugrave; titolata al mondo con sei Coppe dei Campioni in bacheca e Paco Gento, l&rsquo;ala che correva i 100 metri in 11 secondi, sulla fascia sinistra.&nbsp; <o:p></o:p> <o:p>&nbsp;</o:p> <h2 class="Corpo">La grande illusione<o:p></o:p></h2> <o:p>&nbsp;</o:p> I ragazzi di Dave Sexton scendono in campo senza paura e, dopo un primo tempo dalle poche emozioni, passano addirittura in vantaggio al 56&rsquo;, grazie ad un gran tiro rasoterra di Peter Osgood. I Blancos di Madrid si gettano in avanti e, proprio quando sembrava fatta per gli inglesi, Zoco sfrutta una mischia in area e pareggia a 30 secondi dalla fine. I tempi supplementari si concludono con un nulla di fatto, si dovr&agrave; rigiocare.<o:p></o:p> <h2 class="Corpo">Il primo trofeo europeo <o:p></o:p></h2> <o:p>&nbsp;</o:p> In un&rsquo;epoca in cui non esistono i tiri di rigore, in una competizione a eliminazione diretta, la partita viene rigiocata, in caso di parit&agrave;. Le due formazioni si presentano in campo due giorni dopo, nello stesso stadio e con lo stesso direttore di gara. I Blues questa volta, scottati dal pareggio in extremis del Madrid, partono in quarta e al 40&rsquo; sono gi&agrave; in vantaggio per due reti a zero grazie a John Dempsey e al solito cannoniere di Windsor, Peter Osgood. I Blancos provano di nuovo ad agguantare il pareggio, ma riescono solo ad accorciare le distanze con Fleitas a 15&rsquo; dalla fine. Il Chelsea si aggiudica la vittoria, portando cos&igrave; a Fulham Road il loro primo, storico trofeo europeo. <o:p></o:p> <o:p>&nbsp;</o:p> <o:p>&nbsp;</o:p>

        Siamo nel 1971. Il mondo si &egrave; definitivamente messo alle spalle i favolosi anni &rsquo;60, la corsa alla Luna &egrave; ormai roba vecchia, le donne in minigonna non fanno pi&ugrave; notizia, e persino i Beatles, allontanati l&rsquo;un l&rsquo;altro da Yoko Ono, prendono strade diverse finendo in tribunale per dirimere le questioni legate al patrimonio. Anche il mondo del calcio si appresta a vivere un&rsquo;era di grandi cambiamenti, traghettato nel futuro da un ragazzo olandese di nome Johan Cruijff e dal suo Ajax stellare. A dire il vero l&rsquo;anno non &egrave; cominciato nel migliore dei modi per i fan del football: il 2 gennaio infatti, all&rsquo;Ibrox Stadium di Glasgow, nei minuti finali dell&rsquo;Old Firm, sugli spalti si produce una ressa che porta alla morte di 66 persone. Le cause dell&rsquo;incidente non verranno mai chiarite completamente.  &nbsp; La finale: Davide contro Golia &nbsp; Mentre dunque i ragazzi terribili di Cruijff si apprestano a iniziare un grande ciclo vincendo la loro prima Coppa dei Campioni, il 19 maggio va in scena un&rsquo;altra finale europea, quella di Coppa delle Coppe tra Chelsea e Real Madrid. Teatro della sfida &egrave; il Georgios Karaiskakis al Pireo, stadio riqualificato nel 1964, nonch&eacute; uno degli impianti pi&ugrave; moderni d&rsquo;Europa. Le forze in campo, almeno sulla carta, non si direbbero equilibrate: i Blues di Londra, nonostante il processo di miglioramento che il club sta vivendo da circa 20 anni, non sono neanche lontanamente la corazzata che conosciamo oggi. Dall&rsquo;altra parte, invece, le Merengues sono gi&agrave; la squadra pi&ugrave; titolata al mondo con sei Coppe dei Campioni in bacheca e Paco Gento, l&rsquo;ala che correva i 100 metri in 11 secondi, sulla fascia sinistra.&nbsp;  &nbsp; La grande illusione &nbsp; I ragazzi di Dave Sexton scendono in campo senza paura e, dopo un primo tempo dalle poche emozioni, passano addirittura in vantaggio al 56&rsquo;, grazie ad un gran tiro rasoterra di Peter Osgood. I Blancos di Madrid si gettano in avanti e, proprio quando sembrava fatta per gli inglesi, Zoco sfrutta una mischia in area e pareggia a 30 secondi dalla fine. I tempi supplementari si concludono con un nulla di fatto, si dovr&agrave; rigiocare.  Il primo trofeo europeo  &nbsp; In un&rsquo;epoca in cui non esistono i tiri di rigore, in una competizione a eliminazione diretta, la partita viene rigiocata, in caso di parit&agrave;. Le due formazioni si presentano in campo due giorni dopo, nello stesso stadio e con lo stesso direttore di gara. I Blues questa volta, scottati dal pareggio in extremis del Madrid, partono in quarta e al 40&rsquo; sono gi&agrave; in vantaggio per due reti a zero grazie a John Dempsey e al solito cannoniere di Windsor, Peter Osgood. I Blancos provano di nuovo ad agguantare il pareggio, ma riescono solo ad accorciare le distanze con Fleitas a 15&rsquo; dalla fine. Il Chelsea si aggiudica la vittoria, portando cos&igrave; a Fulham Road il loro primo, storico trofeo europeo.  &nbsp; &nbsp;       

Il 19 maggio di 50 anni fa i Blues e le Merengues si resero protagonisti di una doppia finale entusiasmante

Coppa delle Coppe 1971, il trionfo del Chelsea sul Real Madrid

Tra i doppi ex della semifinale di Champions League tra Real Madrid e Chelsea, spicca un nome su tutti: Claude Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;. Il centrocampista nato in Zaire e cresciuto in Francia fu tra i primi acquisti dell'era Abramovich, iniziata nel 2003 con una campagna trasferimenti faraonica. "Perch&eacute; mettere un altro strato di vernice dorata sulla Bentley quando le togli l'intero motore?", cos&igrave; Zinedine Zidane, attuale tecnico del Real Madrid, comment&ograve; il passaggio dell'allora compagno Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; al Chelsea per lasciare spazio a David Beckham. Un attestato di stima che certifica l'importanza di un equilibratore come il francese in un organico come quello dei Galacticos, zeppo di campioni dotati di una tecnica superiore. E pensare che i suoi primi calci al pallone li diede da esterno offensivo. Ben presto, per&ograve;, cap&igrave; che il suo posto era un altro, in mezzo al campo, a sradicare la sfera dai piedi degli avversari per darla a chi era in grado di disegnare calcio sul rettangolo verde. <h2>Con il Real Madrid</h2> &Egrave; l'alba del nuovo Millennio quando Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; passa al Real Madrid dopo essersi messo in mostra con le maglie di Brest, Nantes, Marsiglia e Celta Vigo. Qui incontra il suo angelo custode, Vicente Del Bosque. "Da lui mi sentivo molto apprezzato. Conosceva la mia posizione e sapeva che ero un elemento chiave per l'equilibrio della squadra", dir&agrave; Claude. Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; si ritrova a ricoprire il ruolo di un certo Fernando Redondo, una sorta di semidio dalle parti del Santiago Bernabeu, e dopo una prima fase complicata diventa il motore della mediana dei Galacticos. Lui corre, gli altri inventano. E cos&igrave; arrivano trofei in quantit&agrave; industriale. L'idillio dura fino all'estate del 2003, quando la societ&agrave; gli fa capire che &egrave; tempo dei saluti. Lui prova fino all'ultimo a convincerli. Il club e il suo presidente Florentino Perez, che dopo la sua cessione dir&agrave; "arriveranno calciatori che lo faranno dimenticare", si svegliano tardi, quando &egrave; pronto per salire la scaletta dell'aereo che lo porta a Londra, al Chelsea di Abramovich e Claudio Ranieri. <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/calcio/calcio-internazionale/2021/04/13-4115887/florentino_perez_sulla_strada_di_bernabeu/">Florentino Perez sulla strada di Bernabeu</a> <h2>Al Chelsea</h2> Con il tecnico italiano vive una stagione di alti e bassi prima di tornare a vincere con l'approdo al timone dei Blues di Mourinho nella stagione 2004-05. Il suo compito &egrave; sempre lo stesso, corsa e legna in mezzo al campo, qualit&agrave; che gli valgono il soprannome di The Octopus. Il rapporto con il tecnico portoghese, per&ograve;, inizia a incrinarsi tanto che Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, una volta appesi gli scarpini al chiodo, dir&agrave;: "Mourinho ha distrutto tutto, mettendo ai margini gli elementi chiave di quel gruppo e trattando altri giocatori come stelle&rdquo;. Parole forti, come lui, che del suo nome di battesimo, Claude Sinda Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, che in dialetto singala significa "il rumoroso", ne ha fatto una nemesi pur agendo nell'ombra, al servizio degli altri, ma restando comunque il motore senza il quale la squadra non sarebbe stata nemmeno in grado di iniziare a camminare. <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/calcio/calcio-internazionale/2021/04/21-4153941/l_ultimo_mourinho/">L'ultimo Mourinho</a>

        Tra i doppi ex della semifinale di Champions League tra Real Madrid e Chelsea, spicca un nome su tutti: Claude Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;. Il centrocampista nato in Zaire e cresciuto in Francia fu tra i primi acquisti dell'era Abramovich, iniziata nel 2003 con una campagna trasferimenti faraonica. "Perch&eacute; mettere un altro strato di vernice dorata sulla Bentley quando le togli l'intero motore?", cos&igrave; Zinedine Zidane, attuale tecnico del Real Madrid, comment&ograve; il passaggio dell'allora compagno Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; al Chelsea per lasciare spazio a David Beckham. Un attestato di stima che certifica l'importanza di un equilibratore come il francese in un organico come quello dei Galacticos, zeppo di campioni dotati di una tecnica superiore. E pensare che i suoi primi calci al pallone li diede da esterno offensivo. Ben presto, per&ograve;, cap&igrave; che il suo posto era un altro, in mezzo al campo, a sradicare la sfera dai piedi degli avversari per darla a chi era in grado di disegnare calcio sul rettangolo verde. Con il Real Madrid &Egrave; l'alba del nuovo Millennio quando Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; passa al Real Madrid dopo essersi messo in mostra con le maglie di Brest, Nantes, Marsiglia e Celta Vigo. Qui incontra il suo angelo custode, Vicente Del Bosque. "Da lui mi sentivo molto apprezzato. Conosceva la mia posizione e sapeva che ero un elemento chiave per l'equilibrio della squadra", dir&agrave; Claude. Mak&eacute;l&eacute;l&eacute; si ritrova a ricoprire il ruolo di un certo Fernando Redondo, una sorta di semidio dalle parti del Santiago Bernabeu, e dopo una prima fase complicata diventa il motore della mediana dei Galacticos. Lui corre, gli altri inventano. E cos&igrave; arrivano trofei in quantit&agrave; industriale. L'idillio dura fino all'estate del 2003, quando la societ&agrave; gli fa capire che &egrave; tempo dei saluti. Lui prova fino all'ultimo a convincerli. Il club e il suo presidente Florentino Perez, che dopo la sua cessione dir&agrave; "arriveranno calciatori che lo faranno dimenticare", si svegliano tardi, quando &egrave; pronto per salire la scaletta dell'aereo che lo porta a Londra, al Chelsea di Abramovich e Claudio Ranieri. Florentino Perez sulla strada di Bernabeu  Al Chelsea Con il tecnico italiano vive una stagione di alti e bassi prima di tornare a vincere con l'approdo al timone dei Blues di Mourinho nella stagione 2004-05. Il suo compito &egrave; sempre lo stesso, corsa e legna in mezzo al campo, qualit&agrave; che gli valgono il soprannome di The Octopus. Il rapporto con il tecnico portoghese, per&ograve;, inizia a incrinarsi tanto che Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, una volta appesi gli scarpini al chiodo, dir&agrave;: "Mourinho ha distrutto tutto, mettendo ai margini gli elementi chiave di quel gruppo e trattando altri giocatori come stelle&rdquo;. Parole forti, come lui, che del suo nome di battesimo, Claude Sinda Mak&eacute;l&eacute;l&eacute;, che in dialetto singala significa "il rumoroso", ne ha fatto una nemesi pur agendo nell'ombra, al servizio degli altri, ma restando comunque il motore senza il quale la squadra non sarebbe stata nemmeno in grado di iniziare a camminare. L'ultimo Mourinho       

Storia di un equilibratore e dei suoi trionfi: il centrocampista francese nato a Kinshasa &egrave; il doppio ex della prima semifinale di Champions League

Makélélé, dal Real Madrid dei Galacticos al Chelsea di Abramovich

Dalla paura di restare senza lavoro alla certezza di essere diventato l&#39;eroe di Istanbul per aver parato il rigore decisivo. Il calcio non &egrave; nuovo nel regalare emozioni, e cos&igrave; fa testo la finale di Supercoppa Europea, disputata mercoled&igrave; 14 Agosto nella capitale turca, e che ha visto al termine di una sfida piuttosto equilibrata tra Liverpool e Chelsea i Reds guidati da Jurgen Klopp alzare la coppa messa in palio tra i vincitori della Champions League e quella di Europa League dopo aver battuto per 7-6 ai calci di rigore (1-1 dopo i tempi regolamentari; 2-2 alla fine dei supplementari) i Blues di Frank Lampard. Una vittoria decisa dal 32enne portiere spagnolo Adrian che riesce a parare il quinto e ultimo rigore calciato dall&#39;attaccante del Chelsea Abraham. Un rigore che, volendo esser fiscali, doveva essere ribattuto da parte del 22enne attaccante di origini nigeriane in quanto al momento di battere il penalty il portiere dei Reds aveva i piedi fuori dalla linea di porta (cosa che le nuove regole stabilite lo scorso maggio dall&#39;International Board e dalla Fifa non consentono), ma che non scalfisce in nessuna maniera il contributo determinante di Adrian nella vittoria del Liverpool in Supercoppa. Una storia nella storia, quella del 32enne portiere originario di Siviglia se teniamo conto che dopo sei stagioni disputate nel West Ham Adrian dopo aver perso il posto di titolare la scorsa stagione per via dell&#39;ingaggio di Fabianski aveva lasciato gli Hammers alla scadenza del contratto senza una squadra. Solamente lo scorso 5 Agosto &egrave; arrivata la proposta del Liverpool come vice Alisson che Adrian accetta subito, senza pensare che neanche cinque giorni dopo in seguito all&#39;infortunio patito dal brasiliano nella gara inaugurale della Premier vinta in casa dai Reds contro il Norwich, sar&agrave; proprio lui a prendere il comando della difesa, confermato non solo ieri in Supercoppa ma anche per le prossime giornate di campionato in vista del rientro di Alisson. Se da una parte Adrian verr&agrave; ricordato nella storia del Liverpool come l&#39;eroe della Supercoppa vinta a Istanbul (in quella stessa citt&agrave; che vide il 25 Maggio 2005 presso lo stadio Olimpico Atat&uuml;rk i Reds allora guidati da Rafael Benitez prima rimontare tra primo e secondo tempo uno svantaggio di tre reti, e poi battere ai rigori il Milan di Carlo Ancelotti nella finale di Champions League), dall&#39;altra bisogna anche dire che il Liverpool visto in campo mercoled&igrave; sera solo in alcuni frangenti ha mostrato quel gioco tipico della formazione di Klopp alla base ad esempio della decisiva rimonta ai danni del Barcellona nella semifinale di ritorno di Champions League giocata in casa lo scorso 7 Maggio all&#39;Old Trafford. Se in parte pu&ograve; aver sicuramente inciso il caldo, dall&#39;altra anche la scelta di Klopp di inserire nella formazione titolare Oxlade-Chamberlain al posto di Firmino ha avuto le sue conseguenze sopratutto nei primi 45 minuti, con l&#39;inglese apparso piuttosto in difficolt&agrave;. Con l&#39;ingresso in campo ad inizio della ripresa del brasiliano al posto di Oxlade-Chamberlain, i Reds hanno sicuramente ritrovato un punto di riferimento in avanti con Man&egrave; (autore sia del pareggio che del momentaneo vantaggio del Liverpool) e Salah tornati ad essere incisivi, ma solo in alcuni frangenti. Merito anche dell&#39;interessante disposizione tattica del Chelsea che ha dimostrato una volta di pi&ugrave; sotto la gestione Lampard di essere una squadra che fa gioco, e che nella finale di Supercoppa di mercoled&igrave; sera ha trovato in Kant&egrave; e in Giroud (partiti titolari al contrario dell&#39;esordio in Premier contro il Manchester United di Solskjaer) degli autentici punti di riferimento. Una squadra, il Chelsea, che alla vigilia della partita veniva data abbondantemente sfavorita dai pronostici, e che alla fine invece se l&#39;&egrave; giocata a viso aperto contro i vincitori della Champions riuscendo a mantenere la calma anche dopo essere passata in svantaggio grazie alla doppietta di Man&egrave;, e trovando il pareggio su un calcio di rigore piuttosto discusso (per un presunto contatto tra il portiere dei Reds Adrian e il giovane attaccante dei Blues Abraham, entrato al 74&deg; al posto di Giroud), che Jorginho non sbaglia, portando i suoi ai rigori. Tra i protagonisti della partita in casa Chelsea, da sottolineare la consueta generosa prova di Emerson Palmieri (tra i migliori nella disfatta di Manchester di domenica scorsa), che, seppur con un fastidio agli adduttori nella parte finale di gara non esita a battere uno dei rigori segnandolo, cos&igrave; come merita di essere segnalata la gara del giovane Mason Mount (subentrato al 74&deg; al posto di Pulisic, autore di un bellissimo goal, annullato dal guardalinee per fuorigioco), che gi&agrave; domenica scorsa all&#39;Old Trafford aveva ben impressionato e che in Supercoppa riesce anche a trovare la via del goal, annullato anche in questo caso per fuorigioco. L&#39;unico aspetto su cui Frank Lampard dovr&agrave; lavorare non poco in vista delle prossime gare &egrave; sicuramente la difesa, che anche mercoled&igrave; sera &egrave; sembrata ballare non poco. Essendo il Chelsea bloccato sul mercato fino al Giugno 2020 per via di alcune violazioni punite dalla FIFA relative al trasferimento di 29 giocatori minori di 18 anni, ai Blues non resta che aspettare il ritorno in difesa di Antonio R&uuml;diger per ritrovare una ulteriore solidit&agrave; difensiva. La finale di Supercoppa Europea, infine, ci regala l&#39;ottima prova della terna femminile guidata dall&#39;arbitro francese Virginie Frappart e delle sue assistenti (l&#39;italiana Manuela Nicolosi che da quindici anni vive in Francia, e l&#39;irlandese Michelle O&#39;Neill). Se la Frappart ha adottato uno stile di arbitraggio tipicamente inglese fischiando solamente quando era necessario e con la massima autorit&agrave; guadagnandosi il massimo rispetto da parte dei giocatori in campo, altrettanto valida &egrave; stata la prestazione delle due guardalinee, abili a rilevare con la massima precisione dei fuorigioco che presumibilmente sarebbero sfuggiti a tanti colleghi maschi. Uno su tutti il fuorigioco sul goal di Pulisic, difficile da trovare inizialmente, ma che le immagini televisive hanno confermato implacabilmente. L&#39;augurio veramente sincero &egrave; quello di poter rivedere questa stessa terna arbitrale femminile in qualche gara di Champions e/o Europa League: sarebbe il miglior messaggio possibile da parte dell&#39;Uefa che quella di mercoled&igrave; sera non &egrave; stata solo una passerella promozionale, ma l&#39;inizio di una nuova era nel mondo del calcio in cui per dirigere una partita ad alto livello non &egrave; importante il genere maschile o femminile quanto la reale bravura in campo.

Dalla paura di restare senza lavoro alla certezza di essere diventato l&#39;eroe di Istanbul per aver parato il rigore decisivo. Il calcio non &egrave; nuovo nel regalare emozioni, e cos&igrave; fa testo la finale di Supercoppa Europea, disputata mercoled&igrave; 14 Agosto nella capitale turca, e che ha visto al termine di una sfida piuttosto equilibrata tra Liverpool e Chelsea i Reds guidati da Jurgen Klopp alzare la coppa messa in palio tra i vincitori della Champions League e quella di Europa League dopo aver battuto per 7-6 ai calci di rigore (1-1 dopo i tempi regolamentari; 2-2 alla fine dei supplementari) i Blues di Frank Lampard. Una vittoria decisa dal 32enne portiere spagnolo Adrian che riesce a parare il quinto e ultimo rigore calciato dall&#39;attaccante del Chelsea Abraham. Un rigore che, volendo esser fiscali, doveva essere ribattuto da parte del 22enne attaccante di origini nigeriane in quanto al momento di battere il penalty il portiere dei Reds aveva i piedi fuori dalla linea di porta (cosa che le nuove regole stabilite lo scorso maggio dall&#39;International Board e dalla Fifa non consentono), ma che non scalfisce in nessuna maniera il contributo determinante di Adrian nella vittoria del Liverpool in Supercoppa.  Una storia nella storia, quella del 32enne portiere originario di Siviglia se teniamo conto che dopo sei stagioni disputate nel West Ham Adrian dopo aver perso il posto di titolare la scorsa stagione per via dell&#39;ingaggio di Fabianski aveva lasciato gli Hammers alla scadenza del contratto senza una squadra. Solamente lo scorso 5 Agosto &egrave; arrivata la proposta del Liverpool come vice Alisson che Adrian accetta subito, senza pensare che neanche cinque giorni dopo in seguito all&#39;infortunio patito dal brasiliano nella gara inaugurale della Premier vinta in casa dai Reds contro il Norwich, sar&agrave; proprio lui a prendere il comando della difesa, confermato non solo ieri in Supercoppa ma anche per le prossime giornate di campionato in vista del rientro di Alisson.  Se da una parte Adrian verr&agrave; ricordato nella storia del Liverpool come l&#39;eroe della Supercoppa vinta a Istanbul (in quella stessa citt&agrave; che vide il 25 Maggio 2005 presso lo stadio Olimpico Atat&uuml;rk i Reds allora guidati da Rafael Benitez prima rimontare tra primo e secondo tempo uno svantaggio di tre reti, e poi battere ai rigori il Milan di Carlo Ancelotti nella finale di Champions League), dall&#39;altra bisogna anche dire che il Liverpool visto in campo mercoled&igrave; sera solo in alcuni frangenti ha mostrato quel gioco tipico della formazione di Klopp alla base ad esempio della decisiva rimonta ai danni del Barcellona nella semifinale di ritorno di Champions League giocata in casa lo scorso 7 Maggio all&#39;Old Trafford. Se in parte pu&ograve; aver sicuramente inciso il caldo, dall&#39;altra anche la scelta di Klopp di inserire nella formazione titolare Oxlade-Chamberlain al posto di Firmino ha avuto le sue conseguenze sopratutto nei primi 45 minuti, con l&#39;inglese apparso piuttosto in difficolt&agrave;. Con l&#39;ingresso in campo ad inizio della ripresa del brasiliano al posto di Oxlade-Chamberlain, i Reds hanno sicuramente ritrovato un punto di riferimento in avanti con Man&egrave; (autore sia del pareggio che del momentaneo vantaggio del Liverpool) e Salah tornati ad essere incisivi, ma solo in alcuni frangenti.  Merito anche dell&#39;interessante disposizione tattica del Chelsea che ha dimostrato una volta di pi&ugrave; sotto la gestione Lampard di essere una squadra che fa gioco, e che nella finale di Supercoppa di mercoled&igrave; sera ha trovato in Kant&egrave; e in Giroud (partiti titolari al contrario dell&#39;esordio in Premier contro il Manchester United di Solskjaer) degli autentici punti di riferimento. Una squadra, il Chelsea, che alla vigilia della partita veniva data abbondantemente sfavorita dai pronostici, e che alla fine invece se l&#39;&egrave; giocata a viso aperto contro i vincitori della Champions riuscendo a mantenere la calma anche dopo essere passata in svantaggio grazie alla doppietta di Man&egrave;, e trovando il pareggio su un calcio di rigore piuttosto discusso (per un presunto contatto tra il portiere dei Reds Adrian e il giovane attaccante dei Blues Abraham, entrato al 74&deg; al posto di Giroud), che Jorginho non sbaglia, portando i suoi ai rigori. Tra i protagonisti della partita in casa Chelsea, da sottolineare la consueta generosa prova di Emerson Palmieri (tra i migliori nella disfatta di Manchester di domenica scorsa), che, seppur con un fastidio agli adduttori nella parte finale di gara non esita a battere uno dei rigori segnandolo, cos&igrave; come merita di essere segnalata la gara del giovane Mason Mount (subentrato al 74&deg; al posto di Pulisic, autore di un bellissimo goal, annullato dal guardalinee per fuorigioco), che gi&agrave; domenica scorsa all&#39;Old Trafford aveva ben impressionato e che in Supercoppa riesce anche a trovare la via del goal, annullato anche in questo caso per fuorigioco. L&#39;unico aspetto su cui Frank Lampard dovr&agrave; lavorare non poco in vista delle prossime gare &egrave; sicuramente la difesa, che anche mercoled&igrave; sera &egrave; sembrata ballare non poco. Essendo il Chelsea bloccato sul mercato fino al Giugno 2020 per via di alcune violazioni punite dalla FIFA relative al trasferimento di 29 giocatori minori di 18 anni, ai Blues non resta che aspettare il ritorno in difesa di Antonio R&uuml;diger per ritrovare una ulteriore solidit&agrave; difensiva.  La finale di Supercoppa Europea, infine, ci regala l&#39;ottima prova della terna femminile guidata dall&#39;arbitro francese Virginie Frappart e delle sue assistenti (l&#39;italiana Manuela Nicolosi che da quindici anni vive in Francia, e l&#39;irlandese Michelle O&#39;Neill). Se la Frappart ha adottato uno stile di arbitraggio tipicamente inglese fischiando solamente quando era necessario e con la massima autorit&agrave; guadagnandosi il massimo rispetto da parte dei giocatori in campo, altrettanto valida &egrave; stata la prestazione delle due guardalinee, abili a rilevare con la massima precisione dei fuorigioco che presumibilmente sarebbero sfuggiti a tanti colleghi maschi. Uno su tutti il fuorigioco sul goal di Pulisic, difficile da trovare inizialmente, ma che le immagini televisive hanno confermato implacabilmente. L&#39;augurio veramente sincero &egrave; quello di poter rivedere questa stessa terna arbitrale femminile in qualche gara di Champions e/o Europa League: sarebbe il miglior messaggio possibile da parte dell&#39;Uefa che quella di mercoled&igrave; sera non &egrave; stata solo una passerella promozionale, ma l&#39;inizio di una nuova era nel mondo del calcio in cui per dirigere una partita ad alto livello non &egrave; importante il genere maschile o femminile quanto la reale bravura in campo. 

Il 32enne portiere spagnolo senza lavoro fino a pochi giorni fa &egrave; stato decisivo nella conquista della Supercoppa Europea da parte del Liverpool al termine di una partita che ha visto il Chelsea in crescita rispetto all&#39;esordio in campionato. Promossa l&#39;arbitro francese Stephanie Frappart.

La rivincita di Adrian e la vittoria del Liverpool in Supercoppa Europea

Tra le emozioni che regala il calcio in quanto sport di squadra c&rsquo;&egrave; sicuramente la soddisfacente, rassicurante, stimolante complicit&agrave; che nasce dall&rsquo;intesa. Un portiere migliora il proprio rendimento quando, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita affina le proprie capacit&agrave; di ordinare i movimenti della linea difensiva. A un attaccante pu&ograve; bastare un&rsquo;occhiata, un gesto nascosto per dettare un passaggio al compagno che lo deve lanciare. A volte nemmeno quello &egrave; necessario se i due stanno insieme da pi&ugrave; stagioni e hanno assimilato movimenti, abitudini e preferenze di gioco reciproche. Le dinamiche tra difensori centrali e centrocampisti di regia possono essere pi&ugrave; articolate per la particolare importanza che assumono sugli esiti di un incontro i meccanismi della zona mediana del campo, quella nella quale la squadra che fa meno errori probabilmente vince la partita. Alzare il raggio dell&rsquo;azione di dieci o venti metri mantenendo le distanze o, viceversa, garantendo la copertura delle avanzate offensive del compagno comportano attenzione, dialogo, intuito e capacit&agrave; di applicare gli schemi al meglio. Dinamiche, equilibri, alchimie che nel calcio moderno sono andate sempre pi&ugrave; sofisticandosi anche in ragione dell&rsquo;incremento dell&rsquo;impatto fisico sul gioco e della scemata necessit&agrave; di ricorrere ai fondamentali della tecnica di base. JOHN E FRANK. Di questa forma di collaborazione portata ai migliori livelli di sviluppo sono stati a lungo interpreti straordinari John Terry e Frank Lampard, rispettivamente capitano e vice del Chelsea nei primi tre lustri degli anni Duemila, pi&ugrave; precisamente dal 2001 al 2014, anno in cui Lampard lasci&ograve; la formazione londinese trasferendosi al Manchester City dell&rsquo;allora manager Manuel Pellegrini. Terry, invece, nel Chelsea milit&ograve; altre tre stagioni, prima di chiudere col calcio giocato nelle fila dell&rsquo;Aston Villa. Insieme, nel club di Stamford Bridge, hanno giocato centinaia di partite: alla fine 717 per John e 648 per Frank. Uno davanti all&rsquo;altro, a dare solidit&agrave; e sostanza all&rsquo;asse mediano della squadra, quello che deve garantire forza ed equilibrio, muscoli e cervello. John, in mezzo all&rsquo;area, spiccava col suo metro e ottantasette centimetri utilizzati per eccellere nel gioco aereo; Frank, con tre centimetri in meno, era pi&ugrave; dinamico e sapeva andare su e gi&ugrave; da un&rsquo;area di rigore all&rsquo;altra. &laquo;So tirare, fare tackle e segnare da centrocampo&raquo;, disse per sintetizzare le sue qualit&agrave;. E di certo sapeva essere efficace come dimostrano le 211 reti alla fine della sua esperienza a Stamford Bridge che ne fanno il miglior marcatore del Chelsea di tutti i tempi. I SUCCESSI INSIEME. Terry e Lampard hanno scritto pagine memorabili della storia dei Blues: insieme hanno vinto tre Premier League, quattro Coppe d&rsquo;Inghilterra, due coppe di Lega, due Community Shield, una Champions e un&rsquo;Europa League. Anche in nazionale hanno giocato tanto insieme, raccogliendo pi&ugrave; presenze che onori, buggerati dalla cronica incapacit&agrave; dell&rsquo;Inghilterra di vincere, magari incidentalmente, le competizioni alle quali partecipa. Con la maglia della Nazionale Terry ha chiuso nel 2012 con 78 presenze mentre Lampard ha salutato i Tre Leoni ai Mondiali 2014 dopo aver collezionato 106 presenze. &Egrave; nel Chelsea, per&ograve;, che pi&ugrave; si sono conosciuti e divertiti, il posto nel quale sono cresciuti. Il luogo dove hanno sviluppato una complicit&agrave; in campo che, in qualche modo, &egrave; sfociata nell&rsquo;amicizia: si intuisce da quello che Frank ha voluto scrivere nella sua autobiografia in merito al patron dei Blues, Roman Abramovich: &laquo;Vede il Chelsea come la sua famiglia, e John e io ne siamo senior members&raquo;. &Egrave; anche grazie a questa intesa, costruita sugli allenamenti e le partite ufficiali, le vittorie e le sconfitte, la fatica e le soddisfazioni, che John e Frank hanno imparato ai massimi livelli cosa significa il calcio. OGGI. Un know-how che, unito alla leadership di cui entrambi sono dotati, li ha portati a non avere dubbi sul ruolo da svolgere appena chiusa per l&rsquo;ultima volta la porta dello spogliatoio: entrambi sono oggi allenatori, anche se Lampard &egrave; gi&agrave; il manager del Derby County mentre Terry &egrave; il vice di Dean Smith all&rsquo;Aston Villa. E anche se &egrave; difficile pensare che un giorno torneranno a lavorare insieme, a Stamford Bridge John e Frankie resteranno sempre i Blues Brothers. &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp;

        Tra le emozioni che regala il calcio in quanto sport di squadra c&rsquo;&egrave; sicuramente la soddisfacente, rassicurante, stimolante complicit&agrave; che nasce dall&rsquo;intesa. Un portiere migliora il proprio rendimento quando, allenamento dopo allenamento, partita dopo partita affina le proprie capacit&agrave; di ordinare i movimenti della linea difensiva. A un attaccante pu&ograve; bastare un&rsquo;occhiata, un gesto nascosto per dettare un passaggio al compagno che lo deve lanciare. A volte nemmeno quello &egrave; necessario se i due stanno insieme da pi&ugrave; stagioni e hanno assimilato movimenti, abitudini e preferenze di gioco reciproche. Le dinamiche tra difensori centrali e centrocampisti di regia possono essere pi&ugrave; articolate per la particolare importanza che assumono sugli esiti di un incontro i meccanismi della zona mediana del campo, quella nella quale la squadra che fa meno errori probabilmente vince la partita. Alzare il raggio dell&rsquo;azione di dieci o venti metri mantenendo le distanze o, viceversa, garantendo la copertura delle avanzate offensive del compagno comportano attenzione, dialogo, intuito e capacit&agrave; di applicare gli schemi al meglio. Dinamiche, equilibri, alchimie che nel calcio moderno sono andate sempre pi&ugrave; sofisticandosi anche in ragione dell&rsquo;incremento dell&rsquo;impatto fisico sul gioco e della scemata necessit&agrave; di ricorrere ai fondamentali della tecnica di base. JOHN E FRANK. Di questa forma di collaborazione portata ai migliori livelli di sviluppo sono stati a lungo interpreti straordinari John Terry e Frank Lampard, rispettivamente capitano e vice del Chelsea nei primi tre lustri degli anni Duemila, pi&ugrave; precisamente dal 2001 al 2014, anno in cui Lampard lasci&ograve; la formazione londinese trasferendosi al Manchester City dell&rsquo;allora manager Manuel Pellegrini. Terry, invece, nel Chelsea milit&ograve; altre tre stagioni, prima di chiudere col calcio giocato nelle fila dell&rsquo;Aston Villa. Insieme, nel club di Stamford Bridge, hanno giocato centinaia di partite: alla fine 717 per John e 648 per Frank. Uno davanti all&rsquo;altro, a dare solidit&agrave; e sostanza all&rsquo;asse mediano della squadra, quello che deve garantire forza ed equilibrio, muscoli e cervello. John, in mezzo all&rsquo;area, spiccava col suo metro e ottantasette centimetri utilizzati per eccellere nel gioco aereo; Frank, con tre centimetri in meno, era pi&ugrave; dinamico e sapeva andare su e gi&ugrave; da un&rsquo;area di rigore all&rsquo;altra. &laquo;So tirare, fare tackle e segnare da centrocampo&raquo;, disse per sintetizzare le sue qualit&agrave;. E di certo sapeva essere efficace come dimostrano le 211 reti alla fine della sua esperienza a Stamford Bridge che ne fanno il miglior marcatore del Chelsea di tutti i tempi.  I SUCCESSI INSIEME. Terry e Lampard hanno scritto pagine memorabili della storia dei Blues: insieme hanno vinto tre Premier League, quattro Coppe d&rsquo;Inghilterra, due coppe di Lega, due Community Shield, una Champions e un&rsquo;Europa League. Anche in nazionale hanno giocato tanto insieme, raccogliendo pi&ugrave; presenze che onori, buggerati dalla cronica incapacit&agrave; dell&rsquo;Inghilterra di vincere, magari incidentalmente, le competizioni alle quali partecipa. Con la maglia della Nazionale Terry ha chiuso nel 2012 con 78 presenze mentre Lampard ha salutato i Tre Leoni ai Mondiali 2014 dopo aver collezionato 106 presenze. &Egrave; nel Chelsea, per&ograve;, che pi&ugrave; si sono conosciuti e divertiti, il posto nel quale sono cresciuti. Il luogo dove hanno sviluppato una complicit&agrave; in campo che, in qualche modo, &egrave; sfociata nell&rsquo;amicizia: si intuisce da quello che Frank ha voluto scrivere nella sua autobiografia in merito al patron dei Blues, Roman Abramovich: &laquo;Vede il Chelsea come la sua famiglia, e John e io ne siamo senior members&raquo;. &Egrave; anche grazie a questa intesa, costruita sugli allenamenti e le partite ufficiali, le vittorie e le sconfitte, la fatica e le soddisfazioni, che John e Frank hanno imparato ai massimi livelli cosa significa il calcio. OGGI. Un know-how che, unito alla leadership di cui entrambi sono dotati, li ha portati a non avere dubbi sul ruolo da svolgere appena chiusa per l&rsquo;ultima volta la porta dello spogliatoio: entrambi sono oggi allenatori, anche se Lampard &egrave; gi&agrave; il manager del Derby County mentre Terry &egrave; il vice di Dean Smith all&rsquo;Aston Villa. E anche se &egrave; difficile pensare che un giorno torneranno a lavorare insieme, a Stamford Bridge John e Frankie resteranno sempre i Blues Brothers. &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp; &nbsp;       

John e Frank hanno scritto insieme pagine indelebili della storia del Chelsea. A lungo compagni anche in nazionale, sono oggi promettenti allenatori pronti a trasmettere alle loro squadre un know-how calcistico di primissima qualit&agrave;

Terry e Lampard, i Blues Brothers di Stamford Bridge

Un pareggio con rissa sfiorata nel finale. C&#39;era grande attesa in Premier League per il big match che vedeva contrapposte Chelsea e Manchester Utd. Da una parte i Blues allenati da Maurizio Sarri, autori fino a questo momento di un ottimo cammino in Premier che li vede in testa in coabitazione con Manchester City e Liverpool. Dall&#39;altra i Red Devils&nbsp;guidati da Jose Mourinho, autori di un cammino in campionato decisamente sotto tono, e con una difesa fino a questo momento piuttosto ballerina (solo una, alla vigilia di questo big match, la partita in Premier finita senza subire reti). In mezzo le concezioni tattiche dei due allenatori, accomunati dallo stesso schema (il 4-3-3), ma ognuno con una sua diversa impostazione: pi&ugrave; offensiva quello di Sarri, pi&ugrave; difensiva quello di Mourinho. C&#39;erano quindi tutti gli ingredienti, oggi, per vedere una grande partita a Stamford Bridge, e cos&igrave; alla fine &egrave; stato con Chelsea e Manchester United che pareggiano per 2-2 al termine di una gara che per&ograve; &egrave; da considerare in chiaro scuro, con elementi positivi e negativi per entrambe le squadre. Andando ad analizzare con attenzione la partita, non si pu&ograve; non negare che il primo tempo e i primi dieci minuti della ripresa siano stati sostanzialmente ad appannaggio del Chelsea. Mourinho aveva provato a dire il vero a limitare il motore di gioco dei Blues rappresentato da Jorginho mettendogli a fianco Mata, ma almeno per il primo tempo non si sono visti in tal senso dei risultati significativi, con il centrocampista ex Napoli risultato pi&ugrave; volte decisivo nel fornire palle goal ai suoi compagni di squadra, con un Hazard risultato pi&ugrave; volte efficace in zona d&#39;attacco, senza per&ograve; riuscire a battere il portiere dello United, De Gea. Non solo: se la presenza fin dal 1&deg; minuto tra gli altri di Martial, Lukaku e Rushdord oltre a Pogba e al gi&agrave; citato Mata poteva far pensare a uno United a trazione anteriore, la realt&agrave; dei fatti non &egrave; sembrata andare in questa direzione, con un gioco in difesa troppo basso, e troppi lanci aerei in avanti in direzione delle punte. Una strategia di gioco che, se escludiamo un tiro di Mata in area su calcio di punizione battuto da Rushford superata la mezz&#39;ora di gioco, non ha mai realmente intimorito la difesa dei Blues,abili invece a passare in vantaggio al 21&deg; del primo tempo sugli sviluppi di un calcio d&#39;angolo battuto da Willan, con R&uuml;diger pronto ad approfittare di una maglia della difesa dello United troppo larga a causa dell&#39;eccessivo spazio lasciato in marcatura da Shaw, e a battere cos&igrave; il portiere De Gea. Nella ripresa i primi dieci minuti sembrano quasi ricalcare quanto visto nel corso del primo tempo con i Blues che sfiorano il raddoppio prima con un sinistro piuttosto debole di Morata, e poi con David Luiz, ma, come dice una regola non scritta nel mondo del calcio, pi&ugrave; si sbagliano occasioni da goal, pi&ugrave; c&#39;&egrave; il rischio che il tuo avversario segni. Ed &egrave; quello che puntualmente avviene, con uno United che al 55&deg; trova il pareggio con Martial, con il portiere del Chelsea Kepa (autore pochi minuti prima di un&#39;ottima parata su Mata) incolpevolmente battuto. 1-1. Il goal del pareggio segnato dal 22enne giocatore francese nativo di Lione ma di origini guadalupesi di fatto cambia l&#39;inerzia del match, con il Chelsea (autore fino a quel momento di un&#39;ottima partita) che comincia sempre pi&ugrave; a mostrare delle gravi crepe difensive, e con lo United che sembra giocare con un altro spirito in campo, con Pogba e Mata tornati improvvisamente a fare la differenza in mezzo al terreno di gioco, e con la difesa che finalmente comincia a giocare a terra. La sensazione &egrave; che i Red Devils&nbsp;possano da un momento all&#39;altro segnare il goal del sorpasso, ed &egrave; quello che puntualmente avviene al 73&deg;, con Mata che supera David Luiz, passa la palla a Rushford, il quale a sua volta smarca Martial, il quale batte per la seconda volta Kepa. I Red Devils&nbsp;e Mourinho cominciano a presagire la possibilit&agrave; di tornare a vincere a Stamford Bridge (per Mourinho sarebbe la prima vittoria da avversario dei Blues; per i Red Devils&nbsp;l&#39;ultima vittoria&nbsp; sul campo del Chelsea risale, infatti, al 28 Ottobre 2012 (3-2) con Alex Ferguson in panchina),ma, a sorpresa, al 96&deg; il Chelsea con la forza della disperazione riesce a trovare il goal del pareggio grazie a Barkley (schierato al 69&deg; da Sarri al posto di Kovacic), il quale batte De Gea dopo che il portiere dello United aveva ribattuto un tiro di R&uuml;diger, il quale si era a sua volta avventato su un tiro di David Luiz che aveva battuto sul palo della porta dei Reds. Un pareggio, quello del Chelsea, inaspettato ma al contempo meritato per quanto visto nel corso dell&#39;intera gara, che non solo ha visto la forte esultanza da parte di Sarri, ma che ha rischiato di generare una rissa con protagonista Mourinho innescata da alcune dichiarazioni pronunciate al suo indirizzo da un membro dello staff del Chelsea (Marco Ianni), e subito placata dagli steward e da alcuni giocatori. Episodio poi chiarito al termine della gara, con Sarri e il suo staff pronti a chiedere scusa al portoghese. La partita si conclude cos&igrave; sul punteggio di 2-2, con elementi in chiaro scuro come dicevamo per entrambe le squadre. Se da una parte i Blues di Sarri mantengono al momento la testa della classifica (in attesa di capire cosa faranno Manch.City e Liverpool), dall&#39;altra non c&#39;&egrave; dubbio come questo pareggio sia da considerare quasi un passo indietro sopratutto in difesa rispetto alle gare precedentemente giocate. Per quanto riguarda il Manchester United, se da una parte &egrave; da elogiare l&#39;ottimo secondo tempo degli uomini di Mourinho, dall&#39;altra non si pu&ograve; non rilevare ancora una volta gli evidenti errori difensivi commessi nel corso del primo tempo, gi&agrave; evidenziati anche nelle prime gare ed evidentemente non ancora del tutto risolti. Errori che il tecnico portoghese dovr&agrave; risolvere in vista della doppia sfida in Champions contro la Juventus, e in vista delle prossime sfide in Premier League che lo vedranno sfidare Everton, Bournemouth e il Manch.City per cercare di rimanere sulla panchina dei Red Devils.

Un pareggio con rissa sfiorata nel finale. C&#39;era grande attesa in Premier League per il big match che vedeva contrapposte Chelsea e Manchester Utd. Da una parte i Blues allenati da Maurizio Sarri, autori fino a questo momento di un ottimo cammino in Premier che li vede in testa in coabitazione con Manchester City e Liverpool. Dall&#39;altra i Red Devils&nbsp;guidati da Jose Mourinho, autori di un cammino in campionato decisamente sotto tono, e con una difesa fino a questo momento piuttosto ballerina (solo una, alla vigilia di questo big match, la partita in Premier finita senza subire reti). In mezzo le concezioni tattiche dei due allenatori, accomunati dallo stesso schema (il 4-3-3), ma ognuno con una sua diversa impostazione: pi&ugrave; offensiva quello di Sarri, pi&ugrave; difensiva quello di Mourinho. C&#39;erano quindi tutti gli ingredienti, oggi, per vedere una grande partita a Stamford Bridge, e cos&igrave; alla fine &egrave; stato con Chelsea e Manchester United che pareggiano per 2-2 al termine di una gara che per&ograve; &egrave; da considerare in chiaro scuro, con elementi positivi e negativi per entrambe le squadre.  Andando ad analizzare con attenzione la partita, non si pu&ograve; non negare che il primo tempo e i primi dieci minuti della ripresa siano stati sostanzialmente ad appannaggio del Chelsea. Mourinho aveva provato a dire il vero a limitare il motore di gioco dei Blues rappresentato da Jorginho mettendogli a fianco Mata, ma almeno per il primo tempo non si sono visti in tal senso dei risultati significativi, con il centrocampista ex Napoli risultato pi&ugrave; volte decisivo nel fornire palle goal ai suoi compagni di squadra, con un Hazard risultato pi&ugrave; volte efficace in zona d&#39;attacco, senza per&ograve; riuscire a battere il portiere dello United, De Gea. Non solo: se la presenza fin dal 1&deg; minuto tra gli altri di Martial, Lukaku e Rushdord oltre a Pogba e al gi&agrave; citato Mata poteva far pensare a uno United a trazione anteriore, la realt&agrave; dei fatti non &egrave; sembrata andare in questa direzione, con un gioco in difesa troppo basso, e troppi lanci aerei in avanti in direzione delle punte. Una strategia di gioco che, se escludiamo un tiro di Mata in area su calcio di punizione battuto da Rushford superata la mezz&#39;ora di gioco, non ha mai realmente intimorito la difesa dei Blues,abili invece a passare in vantaggio al 21&deg; del primo tempo sugli sviluppi di un calcio d&#39;angolo battuto da Willan, con R&uuml;diger pronto ad approfittare di una maglia della difesa dello United troppo larga a causa dell&#39;eccessivo spazio lasciato in marcatura da Shaw, e a battere cos&igrave; il portiere De Gea.  Nella ripresa i primi dieci minuti sembrano quasi ricalcare quanto visto nel corso del primo tempo con i Blues che sfiorano il raddoppio prima con un sinistro piuttosto debole di Morata, e poi con David Luiz, ma, come dice una regola non scritta nel mondo del calcio, pi&ugrave; si sbagliano occasioni da goal, pi&ugrave; c&#39;&egrave; il rischio che il tuo avversario segni. Ed &egrave; quello che puntualmente avviene, con uno United che al 55&deg; trova il pareggio con Martial, con il portiere del Chelsea Kepa (autore pochi minuti prima di un&#39;ottima parata su Mata) incolpevolmente battuto. 1-1.  Il goal del pareggio segnato dal 22enne giocatore francese nativo di Lione ma di origini guadalupesi di fatto cambia l&#39;inerzia del match, con il Chelsea (autore fino a quel momento di un&#39;ottima partita) che comincia sempre pi&ugrave; a mostrare delle gravi crepe difensive, e con lo United che sembra giocare con un altro spirito in campo, con Pogba e Mata tornati improvvisamente a fare la differenza in mezzo al terreno di gioco, e con la difesa che finalmente comincia a giocare a terra. La sensazione &egrave; che i Red Devils&nbsp;possano da un momento all&#39;altro segnare il goal del sorpasso, ed &egrave; quello che puntualmente avviene al 73&deg;, con Mata che supera David Luiz, passa la palla a Rushford, il quale a sua volta smarca Martial, il quale batte per la seconda volta Kepa. I Red Devils&nbsp;e Mourinho cominciano a presagire la possibilit&agrave; di tornare a vincere a Stamford Bridge (per Mourinho sarebbe la prima vittoria da avversario dei Blues; per i Red Devils&nbsp;l&#39;ultima vittoria&nbsp; sul campo del Chelsea risale, infatti, al 28 Ottobre 2012 (3-2) con Alex Ferguson in panchina),ma, a sorpresa, al 96&deg; il Chelsea con la forza della disperazione riesce a trovare il goal del pareggio grazie a Barkley (schierato al 69&deg; da Sarri al posto di Kovacic), il quale batte De Gea dopo che il portiere dello United aveva ribattuto un tiro di R&uuml;diger, il quale si era a sua volta avventato su un tiro di David Luiz che aveva battuto sul palo della porta dei Reds.  Un pareggio, quello del Chelsea, inaspettato ma al contempo meritato per quanto visto nel corso dell&#39;intera gara, che non solo ha visto la forte esultanza da parte di Sarri, ma che ha rischiato di generare una rissa con protagonista Mourinho innescata da alcune dichiarazioni pronunciate al suo indirizzo da un membro dello staff del Chelsea (Marco Ianni), e subito placata dagli steward e da alcuni giocatori. Episodio poi chiarito al termine della gara, con Sarri e il suo staff pronti a chiedere scusa al portoghese.  La partita si conclude cos&igrave; sul punteggio di 2-2, con elementi in chiaro scuro come dicevamo per entrambe le squadre. Se da una parte i Blues di Sarri mantengono al momento la testa della classifica (in attesa di capire cosa faranno Manch.City e Liverpool), dall&#39;altra non c&#39;&egrave; dubbio come questo pareggio sia da considerare quasi un passo indietro sopratutto in difesa rispetto alle gare precedentemente giocate. Per quanto riguarda il Manchester United, se da una parte &egrave; da elogiare l&#39;ottimo secondo tempo degli uomini di Mourinho, dall&#39;altra non si pu&ograve; non rilevare ancora una volta gli evidenti errori difensivi commessi nel corso del primo tempo, gi&agrave; evidenziati anche nelle prime gare ed evidentemente non ancora del tutto risolti. Errori che il tecnico portoghese dovr&agrave; risolvere in vista della doppia sfida in Champions contro la Juventus, e in vista delle prossime sfide in Premier League che lo vedranno sfidare Everton, Bournemouth e il Manch.City per cercare di rimanere sulla panchina dei Red Devils. 

Chelsea e Manchester Utd pareggiano una partita in chiaro scuro per entrambe le formazioni.

Chelsea-Manchester Utd, pari con emozioni a Stamford Bridge

La festa dei Blues per la vittoria sul Liverpool: Giroud lascia aperta la porta per la Champions

Chelsea, Conte continua a sognare

Al minuti 75 della sua nona sfida contro i Blues in Champions League, il numero 10 del Barcellona &egrave; apparso nel tabellino dei marcatori. Ora sono solo 6 su 37&nbsp;le squadre nella competizione europea a cui Messi non ha mai fatto gol:&nbsp;Atletico Madrid, Benfica, Inter, Liverpool, Rubin Kazan e Udinese.

Messi, un gol al Chelsea: non c'era mai riuscito

L&#39;ultima fu indimenticabile: 3-2 al Manchester United e settimo posto consolidato in classifica. Era il 10 maggio 2016, il West Ham&nbsp;dopo quella partita non avrebbe pi&ugrave; giocato al Boleyn Ground, pi&ugrave; conosciuto&nbsp;come Upton Park, storica casa degli Hammers per pi&ugrave; di cento anni. La societ&agrave; aveva un&nbsp;progetto&nbsp;piuttosto ambizioso: risanare il bilancio del club con la vendita dello stadio e spostarsi&nbsp;all&rsquo;Olympic Stadium, costruito per le Olimpiadi di Londra nel 2012 e successivamente ristrutturato per renderlo adatto a&nbsp;ospitare una squadra di calcio. <blockquote class="twitter-video" data-lang="it"> Here it comes again... <a href="https://twitter.com/hashtag/snowday?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw">#snowday</a> <a href="https://t.co/0FmtOW8zwx">pic.twitter.com/0FmtOW8zwx</a> &mdash; London Stadium (@LondonStadium) <a href="https://twitter.com/LondonStadium/status/940210050047643648?ref_src=twsrc%5Etfw">11 dicembre 2017</a></blockquote> <script async src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script> Lasciare la propria casa per i tifosi del West Ham &egrave; stato un trauma. La passeggiata lungo Green Street, le birre al &quot;Queens&quot;, l&#39;omaggio alla gloriosa statua di Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peters, campioni Irons che contribuirono&nbsp;alla vittoria della Coppa del Mondo del 1966, abitudini difficili a cui rinunciare. L&#39;inno &quot;I&#39;m forever blowing bubbles&quot; e le bolle a inizio partita ci sono ancora, ma sul campo come sta andando? Nell&#39;ultima stagione al Boleyn Ground il West Ham &egrave; arrivato&nbsp;settimo in Premier League con 62 punti: 9 vittorie, 7 pareggi e solo 3 sconfitte, il ruolino di marcia casalingo. L&#39;anno dopo, il primo al London Stadium (nuovo nome per l&#39;Olympic), non &egrave; andato meglio: undicesimo posto in classifica con 45 punti, 7 vittorie, 4&nbsp;pareggi e 8 sconfitte casalinghe. Nella stagione in corso le cose stanno andando ancora peggio: il West Ham &egrave; penultimo in classifica dopo 17 giornate, nonostante la prestigiosa vittoria di misura sul Chelsea e il pareggio a reti bianche con l&#39;Arsenal, entrambe in casa nel giro di quattro giorni. Da dove arrivano tutte queste difficolt&agrave; casalinghe? Le prime sono state di tipo logistico, con tifosi e staff che ci hanno messo un po&#39; ad abituarsi ai nuovi mezzi di trasporto e ai nuovi parcheggi. Un altro problema, all&#39;inizio sottovaluto, riguarda una questione ambientale &quot;cromatica&quot;: intorno al rettangolo di gioco insiste una pavimentazione color verde che disorienta i calciatori, di fatto aumentando la percezione di distanza dagli spalti. Un problema che il West Ham vorrebbe risolvere intervenendo con dei lavori. Ma chi &egrave; il proprietario&nbsp;dello stadio? Qui entriamo nel terzo e (forse) pi&ugrave; grave problema. La struttura appartiene al Comune di Londra e&nbsp;l&#39;accordo strappato dal club con la precedente amministrazione di&nbsp;Boris Johnson&nbsp;&egrave; davvero conveniente (per gli Hammers): solo 2,5 milioni di sterline all&#39;anno per 25 eventi.&nbsp;Il 1&deg; dicembre scorso per&ograve; l&#39;attuale&nbsp;sindaco di Londra,&nbsp;Sadiq Khan, ha annunciato di aver preso il controllo sulla gestione dello stadio che secondo uno studio dell&#39;agenzia &quot;Moore Stephens&quot; ha perdite economiche in procinto di superare i 24 milioni di sterline nella stagione sportiva in corso. Un deficit dovuto a un piano aziendale che si starebbe rivelando inadeguato. Nonostante gli oltre 50 mila abbonati, c&#39;&egrave; qualcosa che non torna.&nbsp;Mark Walker, presidente dell&#39;Associazione dei sostenitori indipendenti del West Ham, dice che i tifosi non riescono ad abituarsi al nuovo stadio, ma questo dipende anche dalle mancate promesse del club: &laquo;Sentiamo di non essere all&#39;altezza. L&#39;idea era quella di avere uno stadio pi&ugrave; grande per attirare pi&ugrave; fan, ma se non arrivano i risultati sportivi &egrave; difficile&raquo;. Le vittorie non ci sono, e da quel che sembra nemmeno il feeling e quella vecchia atmosfera british che tanto successo ha avuto al cinema e nella letteratura sportiva (vi consigliamo il film&nbsp;&quot;Green Street Hooligans&quot; di Lexi Alexander e il libro &quot;Congratulations, You Have Just Met the I.C.F.&quot; dello storico capotifoso Cass Pennant). Cosa accadr&agrave; se il sindaco di Londra dovesse decidere di rivedere gli accordi? Il West Ham avrebbe la forza per sostenere una spesa maggiore? L&#39;unica certezza &egrave; che indietro non si pu&ograve; pi&ugrave; tornare. Boleyn Ground non esiste pi&ugrave;, al suo posto solo tanti ricordi sepolti dalle macerie.

L&#39;ultima fu indimenticabile: 3-2 al Manchester United e settimo posto consolidato in classifica. Era il 10 maggio 2016, il West Ham&nbsp;dopo quella partita non avrebbe pi&ugrave; giocato al Boleyn Ground, pi&ugrave; conosciuto&nbsp;come Upton Park, storica casa degli Hammers per pi&ugrave; di cento anni. La societ&agrave; aveva un&nbsp;progetto&nbsp;piuttosto ambizioso: risanare il bilancio del club con la vendita dello stadio e spostarsi&nbsp;all&rsquo;Olympic Stadium, costruito per le Olimpiadi di Londra nel 2012 e successivamente ristrutturato per renderlo adatto a&nbsp;ospitare una squadra di calcio.   Here it comes again... #snowday pic.twitter.com/0FmtOW8zwx &mdash; London Stadium (@LondonStadium) 11 dicembre 2017   Lasciare la propria casa per i tifosi del West Ham &egrave; stato un trauma. La passeggiata lungo Green Street, le birre al &quot;Queens&quot;, l&#39;omaggio alla gloriosa statua di Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peters, campioni Irons che contribuirono&nbsp;alla vittoria della Coppa del Mondo del 1966, abitudini difficili a cui rinunciare. L&#39;inno &quot;I&#39;m forever blowing bubbles&quot; e le bolle a inizio partita ci sono ancora, ma sul campo come sta andando? Nell&#39;ultima stagione al Boleyn Ground il West Ham &egrave; arrivato&nbsp;settimo in Premier League con 62 punti: 9 vittorie, 7 pareggi e solo 3 sconfitte, il ruolino di marcia casalingo. L&#39;anno dopo, il primo al London Stadium (nuovo nome per l&#39;Olympic), non &egrave; andato meglio: undicesimo posto in classifica con 45 punti, 7 vittorie, 4&nbsp;pareggi e 8 sconfitte casalinghe. Nella stagione in corso le cose stanno andando ancora peggio: il West Ham &egrave; penultimo in classifica dopo 17 giornate, nonostante la prestigiosa vittoria di misura sul Chelsea e il pareggio a reti bianche con l&#39;Arsenal, entrambe in casa nel giro di quattro giorni.    Da dove arrivano tutte queste difficolt&agrave; casalinghe? Le prime sono state di tipo logistico, con tifosi e staff che ci hanno messo un po&#39; ad abituarsi ai nuovi mezzi di trasporto e ai nuovi parcheggi. Un altro problema, all&#39;inizio sottovaluto, riguarda una questione ambientale &quot;cromatica&quot;: intorno al rettangolo di gioco insiste una pavimentazione color verde che disorienta i calciatori, di fatto aumentando la percezione di distanza dagli spalti. Un problema che il West Ham vorrebbe risolvere intervenendo con dei lavori. Ma chi &egrave; il proprietario&nbsp;dello stadio? Qui entriamo nel terzo e (forse) pi&ugrave; grave problema. La struttura appartiene al Comune di Londra e&nbsp;l&#39;accordo strappato dal club con la precedente amministrazione di&nbsp;Boris Johnson&nbsp;&egrave; davvero conveniente (per gli Hammers): solo 2,5 milioni di sterline all&#39;anno per 25 eventi.&nbsp;Il 1&deg; dicembre scorso per&ograve; l&#39;attuale&nbsp;sindaco di Londra,&nbsp;Sadiq Khan, ha annunciato di aver preso il controllo sulla gestione dello stadio che secondo uno studio dell&#39;agenzia &quot;Moore Stephens&quot; ha perdite economiche in procinto di superare i 24 milioni di sterline nella stagione sportiva in corso. Un deficit dovuto a un piano aziendale che si starebbe rivelando inadeguato.    Nonostante gli oltre 50 mila abbonati, c&#39;&egrave; qualcosa che non torna.&nbsp;Mark Walker, presidente dell&#39;Associazione dei sostenitori indipendenti del West Ham, dice che i tifosi non riescono ad abituarsi al nuovo stadio, ma questo dipende anche dalle mancate promesse del club: &laquo;Sentiamo di non essere all&#39;altezza. L&#39;idea era quella di avere uno stadio pi&ugrave; grande per attirare pi&ugrave; fan, ma se non arrivano i risultati sportivi &egrave; difficile&raquo;. Le vittorie non ci sono, e da quel che sembra nemmeno il feeling e quella vecchia atmosfera british che tanto successo ha avuto al cinema e nella letteratura sportiva (vi consigliamo il film&nbsp;&quot;Green Street Hooligans&quot; di Lexi Alexander e il libro &quot;Congratulations, You Have Just Met the I.C.F.&quot; dello storico capotifoso Cass Pennant). Cosa accadr&agrave; se il sindaco di Londra dovesse decidere di rivedere gli accordi? Il West Ham avrebbe la forza per sostenere una spesa maggiore? L&#39;unica certezza &egrave; che indietro non si pu&ograve; pi&ugrave; tornare. Boleyn Ground non esiste pi&ugrave;, al suo posto solo tanti ricordi sepolti dalle macerie. 

Il West Ham cerca casa a Londra

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Conte cala il poker

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