Pavel Nedved: campione con la Lazio e leggenda della Juventus

Pavel Nedved: campione con la Lazio e leggenda della Juventus

La carriera del fenomenale centrocampista ceco nato a Cheb il 30 agosto 1972. Sbocciato a Euro '96, è salito alla ribalta in Serie A ed è stato insignito con il Pallone d'Oro nel 2003 

Jacopo Pascone/Edipress

29.08.2022 21:53

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Nella lingua ceca "medved" significa "orso". La corporatura di Pavel non ricorda certamente quella del grande onnivoro, ma il carattere sì: brontolone, riservato, poco appariscente e, per i più, antipatico. Il centrocampista ceco si è costruito questa taccia negli anni vissuti in campo – calciatore combattivo fino all’inverosimile - e in quelli da dirigente prima e vicepresidente poi della Juventus, squadra più tifata, ma allo stesso tempo, calcisticamente parlando, anche più odiata in Italia. "Sì è vero, ero un provocatore. Davo molto fastidio, perché ero forte, avevano paura di me e parlavano". Alla Continassa Nedved è una leggenda; la sua Stella nel Walk of Fame è una delle più lucenti proprio perché brilla dei valori che da sempre caratterizzano il club. Quei valori trasmessi con affetto dal papà Vaclav nella vecchia Cecoslovacchia, a Cheb, dove quel ragazzo biondo con gli occhi azzurri è diventato uomo: “Mi è stato insegnato che i risultati si ottengono lavorando e soffrendo, in questo mi sento molto ceco”. Nella Boemia occidentale al confine con la Germania il piccolo Pavel è cresciuto, ha studiato e si è diplomato. Ovviamente ha anche giocato, per tante, infinite ore: alla scuola calcio – fin dai 5 anni – e nel garage di casa, a battimuro, mentre scorrevano via i rigidi pomeriggi boemi.

Una storia italiana (ormai) quella di Pavel Nedved da Cheb, che continua a essere scritta a Torino e che inizia nel lontano 1996, quando un ragazzo con gli occhi di ghiaccio approda nel nostro campionato per giocare con la Lazio.

È costato 9 miliardi, arriva dallo Sparta Praga. Ha talento, grinta e tanta voglia di imparare. Il palcoscenico che gli ha permesso il salto è quello degli Europei inglesi, dove si è messo in luce con la sua Nazionale, che da ormai tre anni è l’indipendente Repubblica Ceca.

PODCAST - La Repubblica Ceca a Euro '96

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Il racconto del cammino della sorprendente nazionale guidata da Dusan Uhrin nella manifestazione continentale giocata in Inghilterra. La selezione ceca sfoggiò talenti purissimi, tra tutti Pavel Nedved e Karel Poborsky

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Lo stesso Paese d’origine del primo allenatore che trova in Italia. Zdenek Zeman ci aveva visto lungo, visionando e caldeggiando l’acquisto di Nedved già prima dell’Europeo (vetrina che ne ha lievitato il prezzo e allungato la lista delle contendenti). Pavel approda nel posto giusto, in un club che sta per raggiungere il punto più alto della sua esistenza. Viene schierato come terzo di centrocampo sulla sinistra, sacrificato – potrebbe agire anche nel tridente – ma comunque collocato in una posizione che gli permette di inserirsi e accentrarsi per calciare di destro o crossare di sinistro. Una costante nella carriera del ceco è stata quest’imprevedibilità dovuta ai continui cambi di direzione: era difficile capire dove potesse andare a parare. Nedved nasce mancino, ma grazie al maniacale allenamento si è presto trasformato in un formidabile ambidestro, tra i migliori che si ricordino. Ai tempi di Praga i compagni lo chiamavano il “Matto” per le tante ulteriori ore di esercizio individuale alle quali si sottoponeva.

Le premesse per un grande torneo ci sono tutte, la Lazio però parte male: alla 19esima c’è il cambio in panchina, al boemo subentra Zoff. Problemi che – inaspettatamente, visto il feeling con Zeman che cercherà addirittura di portarselo alla Roma – non riguardano Pavel: da novellino salterà appena 2 gare in campionato partendo sempre tra i titolari. Apre il conto in Serie A (saranno 73 a fine carriera) il 20 ottobre con un siluro di destro dai 30 metri al Cagliari. Una bomba che infiamma l’Olimpico e che segue la rasoiata di sinistro al Tenerife in Coppa Uefa (suo primo gol con la Lazio cinque giorni prima). Il ceco segnerà anche al ritorno, ancora con una micidiale conclusione dalla lunga distanza che non servirà a evitare l’eliminazione.

Il suo rendimento, come quello di tutta la squadra, sale nel girone di ritorno. Chiude il primo campionato italiano al quarto posto, con 7 reti e tante giocate importanti. Le belle speranze in lui riposte sono ormai realtà: la Lazio ha la sua “Furia Ceca”.

Il triennio d’oro della Lazio di Eriksson

Nella stagione successiva Cragnotti inizia a costruire sogni. Ecco Eriksson, che dalla Samp – in attesa di Mihajlovic che arriverà un anno dopo – si porta dietro Mancini. L’approdo del Mancio accende una miccia che esploderà in un grande addio: Beppe Signori lascerà nella finestra invernale di mercato. Lo svedese chiede e ottiene Jugovic, altro fenomenale tuttocampista già allenato a Genova bicampione d’Europa con Stella Rossa e Juve. Dal Siviglia approda in biancoceleste il grintoso Almeyda. Una mediana che può usufruire per l’ultimo anno di un Diego Fuser al top della forma, in attesa di essere rinforzata nell’estate successiva con gli arrivi di Stankovic, Conceicao e De la Pena; e divinamente puntellata nel ’99 con Veron, Sensini e Simeone. In questo ricco carnevale prevalentemente sudamericano, Nedved rappresenterà la concretezza: l’uomo più performante e continuo del centrocampo stellare a disposizione di Eriksson. Quello che non molla mai.

Nel 1997-98 i biancocelesti lottano su tre fronti. Il 31 marzo “Mezzasquadra” Jugovic decide la semifinale d’andata della Coppa Uefa al Calderon contro l’Atletico Madrid (0-1). In quel momento la Lazio è a un passo dalla sua prima finale europea, terza in campionato (-2 dalla Juve capolista) e in procinto di disputare la finale di Coppa Italia. La Furia Ceca ha fatto cose straordinarie, da ricordare i 2 gol nei quattro derby stagionali vinti contro i cugini giallorossi: un guizzo fulmineo seguito da un tocco morbido a scavalcare Konsel a firmare il momentaneo 3-0 nella prima sfida - Delvecchio nel recupero segnerà il gol della bandiera per la squadra proprio di Zeman -; un sinistro da posizione impossibile a sancire il 2-0 del quarto atto.

Vinta la Coppa Italia, persa la Uefa con l’Inter di Ronaldo e chiuso il campionato al 7° posto – crollo dovuto al cumulo di impegni nello sprint finale –, si riparte dalla Supercoppa del Delle Alpi contro la Juve. È Nedved ad aprire la contesa: preciso esterno destro in seguito allo straordinario assist di tacco del Mancio. Una rete di Conceicao nel recupero regala poi il trionfo alla Lazio (2-1), ma la terza stagione romana del ceco sarà complicata, segnata da un infortunio che ne comprometterà il rendimento. Le magie le tiene comunque in caldo per l’Europa. Porta la sua firma uno dei gol più belli e importanti della storia del club: quello che decide la finale di Coppa delle Coppe, primo storico trofeo continentale alzato da Alessandro Nesta al cielo di Birmingham il 19 maggio 1999. Lo scudetto invece sfumerà sul più bello, con la Lazio trascinata dalla nuova fenomenale coppia gol Vieri-Salas e dominatrice per quasi tutto il campionato beffata alla penultima dal sorpasso milanista.

Un tricolore restituito dalla sorte dodici mesi più tardi sotto “l’Acquasanta” di Perugia. Nel 1999-2000 ancora un gol in un derby vinto per la Furia Ceca, quello di ritorno, anche se forse la prova più significativa resta quella del 9 gennaio, giorno del centenario del club. Traversa colpita che consente a Salas il facile tap-in del vantaggio e gol vittoria di testa a coronare una prestazione magnifica in una di quelle giornate che sembravano maledette, in cui la squadra non girava. Una partita in cui non si fa mancare proprio nulla, uscendo dal campo tarantolato per il doppio giallo rimediato a 5 dal termine. Nel frattempo ci è passata di mente un’altra “coppetta” conquistata da Nedved e compagni, che ormai quasi un anno prima avevano battuto il Manchester United nella Supercoppa Europea giocata a Montecarlo.

Nedved, dalla Lazio alla Juve per 85 miliardi

Nel 2000 la Lazio si porta a casa il “Triplete Nazionale” (scudetto, Coppa Italia e Supercoppa), Nedved ha ormai 28 anni ed è universalmente riconosciuto come uno dei centrocampisti più forti al mondo. Gioca un’altra stagione da campione prima di trasferirsi – voluto da mezza Europa – alla Juventus. Indimenticabile l’ultima prova del ceco contro la sua futura squadra: doppietta in una notte magica all’Olimpico (4-1). L’istantanea finale ricordata dai tifosi laziali resta invece quella del derby di ritorno, quando riapre la sfida con un bolide da fuori prima del pareggio in pieno recupero di Castroman.

Gli stessi tifosi che si sentono traditi quando lo vedono passare in bianconero. Un “tradimento” che brucia ancor di più pensando al sostituto del ceco: Gaizka Mendieta, pagato da Cragnotti 90 miliardi, 5 in più di quelli incassati per Nedved. 

Quando arriva alla Juventus Pavel non è più quel ragazzo timido e sconosciuto dai capelli pettinati con cura; è un uomo dai polmoni d’acciaio e dai piedi fatati, mentre in testa regna una folta chioma bionda temuta e rispettata da tutti. Un signore del centrocampo chiamato a sostituire un altro campione come Zinedine Zidane.

"Avevo già l’accordo con Cragnotti, però Pavel non lo sapeva. Mi disse di voler restare alla Lazio, era innamorato del verde e dei campi da golf dell’Olgiata. Lasciai passare un paio di settimane e gli telefonai a Praga: gli spiegai che i campi da golf, bellissimi, c’erano anche al parco della Mandria, dove risiedeva il dottor Umberto Agnelli, e l’invitai almeno a visitarli in segreto, per poi decidere con tranquillità il suo futuro. Accettò per cortesia e organizzai un volo privato, però non mantenni il segreto: sparsi la voce tra i giornalisti, all’aeroporto c’erano fotografi e telecamere, a Roma si venne a sapere del blitz. Qualche tifoso la prese anche male, alla fine fu più semplice ottenere il sì. Sono felice di aver contribuito, anche attraverso quel sotterfugio, quella trappola, a costruire l’avvenire di un ragazzo eccezionale". (Luciano Moggi)

La prima Juventus di Pavel ritrova dopo due anni Marcello Lippi. L’obiettivo è quello di rivivere i fasti degli anni ’90, tornare a dominare in Italia e in Europa. Trasformato ormai in un centrocampista totale, nel 2001-02 il ceco vive il suo upgrade tattico: viene spostato al centro, dove agirà sulla trequarti alle spalle di Del Piero e Trezeguet.
Ci mette un pochino a interpretare al meglio la nuova posizione, zona del campo in cui è più libero di svariare e che probabilmente gli ha allungato la carriera. Giusto il tempo di adattarsi ed ecco che, come a Roma, anche a Torino Pavel diventa presto il valore aggiunto di Marcello Lippi. Prende per mano la Signora e la porta fino al trionfo, uno dei più indimenticabili della storia bianconera, che si concretizza il celebre 5 maggio. Due gol e otto assist nel girone di ritorno, tra cui il meraviglioso sinistro che stende il Piacenza a tempo scaduto nel giorno in cui l’Inter viene fermata a Verona.

Il 2003 di Pavel Nedved, gioie e dolori

Se vogliamo l’unico difetto del Pavel Nedved calciatore dimora in quella foga eccessiva trasmessa in tutte le giocate, fino all’ultimo pallone. I calciatori che non si risparmiano ricadono spesso in sanzioni. È un attimo: quando l’acido lattico si tramuta in fatica per i chilometri percorsi e la concentrazione cala fisiologicamente. Come all’82esimo della semifinale di ritorno di Champions League, quando Pavel sgambetta il più fresco – perché appena entrato – Steve McManaman. Un cartellino giallo che lo costringe a saltare la finale tutta italiana contro il Milan. Chissà come sarebbe finita con lui in campo, è questo il rimpianto di Pavel e di tutti i tifosi juventini.

"L’ultimo capolavoro di Lippi consegna alla storia del calcio il trionfo di un gruppo che Alessandro Del Piero, David Trezeguet, Pavel Nedved e Gianluigi Buffon hanno guidato con la classe dei migliori, la stessa di Zidane, l’ultimo madridista ad arrendersi, come dimostra il suo gol d’autore. Peccato che per una vera, incommensurabile jattura, un’ammonizione impedirà a Nedved di giocare a Manchester: se c’è un campione che più di ogni altro ha meritato la finale questi è il ceco per il quale il Pallone d’Oro non è un premio, ma un diritto. Le lacrime di Nedved sono le lacrime di un fuoriclasse e di un uomo vero, di un calciatore unico nel suo genere" (Da “Le lacrime di Nedved” editoriale di Xavier Jacobelli sulla prima del Corriere dello Sport-Stadio 15/05/03)

Riassumendo la stagione 2002-03 della Furia Ceca in numeri: sono 9 gol in 29 gare di campionato; 5 in 15 di Champions; uno scudetto e una Supercoppa a livello di trofei. Il Pallone d’Oro gli viene consegnato con 190 punti: 62 più del secondo Thierry Henry, 67 più del terzo Paolo Maldini. È il secondo calciatore ceco ad essere insignito di tale riconoscimento dopo Josef Masopust, eccezionale centrocampista del Dukla Praga (squadra dove Nedved ha mosso i primi passi da pro) e secondo con la Cecoslovacchia ai Mondiali del 1962

Seguono altre due stagioni ad altissimo livello con Lippi e Capello. Il tecnico di Pieris sostituisce il viareggino diventato nuovo Ct azzurro. Due campionati dominati ma stravolti dalle note vicende di Calciopoli nell’estate 2006 che retrocederanno la Juve in B (il titolo 2004-05 verrà revocato, quello del 2006 assegnato all’Inter terza sul campo).

Mentre l’Italia colora d’azzurro il tetto del mondo, Nedved si toglie la soddisfazione di giocare il suo primo e unico Mondiale con la Repubblica Ceca. Ovviamente lo fa da capitano di una Nazionale che lascerà dopo la rassegna tedesca, con 91 presenze e 18 reti all’attivo.

Ma il 2006 è soprattutto l’anno che lo legherà per sempre alla Juventus. Decide di restare anche in Serie B, come gli altri senatori Buffon, Del Piero e Trezeguet.

Per sempre bandiera della Juventus

L’inferno dura una sola stagione: la Juve torna subito in A per ricostruire. Con Ranieri e Ferrara arrivano un terzo e un secondo posto. L’ultima recita di Nedved a Torino il 31 maggio 2009 proprio contro la Lazio. Quel giorno Alex Del Piero gli cede la fascia, tutta la squadra lo accoglie in campo con la maglia numero 11 e l’Olimpico gli dedica la festa.

“Sono orgoglioso di avere giocato con Pavel Nedved (anche perché me lo ricordo da avversario, e vi assicuro che è molto meglio averlo dalla propria parte). Sono orgoglioso di avergli messo al braccio la fascia che indosso da tanti anni. Mi legano a lui tanti ricordi, tante vittorie, qualche sconfitta, la scelta di restare alla Juventus anche in Serie B per ritornare in alto, insieme. Ma soprattutto mi legano a Pavel tutti quei momenti, anche apparentemente insignificanti, quegli attimi vissuti insieme in questi otto anni, che per me rappresentano la grandezza non solo del calciatore, ma anche dell'uomo, dell'amico”

Parole al miele di Alex Del Piero per un campione che ha incarnato lo spirito Juve più di chiunque altro. Un uomo che ha reso il Pallone d’Oro un premio di contorno: per lui sono sempre importati il gruppo e i risultati ottenuti insieme grazie al duro lavoro. Anche quando entrato di diritto tra i centrocampisti più forti in circolazione, la mattina si alzava all’alba per andare a correre da solo prima dell’allenamento. 

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