        La vita &egrave; strana, il calcio un po&rsquo; di pi&ugrave;, proprio perch&eacute; le assomiglia in tutto e per tutto e a volte la supera.Allora, pu&ograve; accadere che tu sia un terzino destro che ha vinto quasi tutto e in quel quasi ci siano una finale dell&rsquo;Europeo e una della Coppa del Mondo; che abbia preso per le grandi orecchie la Coppa dei Campioni partendo da sfavorito; che sia stato il componente di una coppia di terzini memorabile, con il barbuto maoista Paul Breitner giustamente collocato a sinistra; che gli anni del tuo Amburgo siano i pi&ugrave; memorabili nella storia del club; che abbia messo a segno 53 calci di rigore in Bundesliga e che&hellip; tanti altri &ldquo;che&rdquo; sulla falsariga di una carriera gloriosa come quella di Manfred Kaltz, oggi settantenne, avendo visto la luce il 6 gennaio del 1953, a Ludwigshafen am Rhein, nell&rsquo;allora Germania Ovest, nella regione della Renania. Tanto, per quanto in pochi possano vantare un simile percorso calcistico, al solo pronunciare il tuo nome tutti si ricorderanno di te come l&rsquo;ideatore del &ldquo;cross a banana&rdquo;, quella parabola particolarmente arcuata a rientrare che partiva dal lato destro, una volta che avevi guadagnato la linea di fondo.  Manfred Kaltz, le vittorie con Amburgo e Germania Ovest Fisico imponente, marcati lineamenti teutonici sotto il caschetto biondo, che sarebbero stati perfetti per una comparsa di qualche pellicola sulla Seconda Guerra mondiale; uno che si faceva sentire in fase di spinta ma che sapeva essere marcatore coriaceo, difficilmente superabile. Con la maglia dell&rsquo;Amburgo vanta la vittoria di tre Bundesliga (&lsquo;79, &lsquo;82, &lsquo;83); due Coppe di Germania (&lsquo;76 e &lsquo;87); una Coppa delle Coppe nel 1977 e soprattutto, pagina epica per il club della citt&agrave; situata dove il fiume Elba forma un estuario, la Coppa dei Campioni del 1983, vinta ai danni della strafavorita Juventus grazie alla storica e per gli juventini famigerata rete di Felix Magath. Con la Nazionale della Germania Ovest ha conquistato l&rsquo;Europeo del 1980 in Italia ed &egrave; stato finalista in quello del 1976 nella ex Federazione jugoslava, con la Germania beffata dallo storico rigore &ldquo;a cucchiaio&rdquo; del cecoslovacco Antonin Panenka. Se gli juventini lo ricordano con amarezza per quella finale di Atene del 1983, tutti gli italiani, juventini compresi, lo ricordano con gioia quando il pensiero corre alla finale della Coppa del Mondo del 1982, perch&eacute; era sempre l&igrave;, nei pressi dell&rsquo;inquadratura, in occasione delle reti azzurre di Rossi, Tardelli e Altobelli.  Dal 1971 al 1989 con l&rsquo;Amburgo, poi un anno in Francia prima con il Bordeaux e poi col Mulhouse, quindi il ritorno alla casa madre un anno dopo, per disputare con il club nel quale era calcisticamente nato e cresciuto l&rsquo;ultima stagione da professionista, quella del &lsquo;90 - &lsquo;91. 594 presenze con l&rsquo;Amburgo in Bundesliga, mettendo a segno 76 reti; 69 con la Nazionale Tedesca occidentale, realizzandone 8. Per completezza di informazioni, aggiungiamo che &ldquo;vanta&rdquo; anche il record di 6 autoreti in Bundesliga. Perch&eacute; la vita &egrave; strana, il calcio un po&rsquo; di pi&ugrave;.         

Con gli Anseatici ha vinto tutto, compresa la Coppa dei Campioni nel 1982-83 in finale contro la Juve. In Nazionale gli &egrave; mancato il Mondiale, perso in Spagna contro l&rsquo;Italia &nbsp;

Manfred Kaltz: il terzino dell’Amburgo e della Germania Ovest 

Quando dici Fritz Walter dici Kaiserslautern, ma in senso pi&ugrave; ampio quando dici Fritz Walter dici Germania. Il calciatore tedesco &egrave; stato senza alcun dubbio l&rsquo;icona del Fussball, con molta probabilit&agrave; pi&ugrave; e molto prima di Muller e Beckenbauer, anche se in maniera diversa. Perch&eacute; per quanto possa sembrare incredibile, il giocatore pi&ugrave; celebre della storia del calcio in Germania non ha mai vestito la maglia n&eacute; del Bayern Monaco, n&eacute; dell&rsquo; Amburgo, n&eacute; del Gladbach e neppure del Borussia Dortmund. Non per limiti tecnici, ne ebbe la possibilit&agrave; eccome, ma perch&eacute; decise di rimanere per tutta la carriera a casa sua, nel Palatinato, dove nacque, crebbe e gioc&ograve; a calcio per tutta la vita, sempre indossando la maglia dei Diavoli Rossi. Quella di Fritz Walter &egrave; una lunga avventura che percorre diverse tappe del secolo scorso, vivendone e superandone i momenti pi&ugrave; tragici e quelli pi&ugrave; felici. Un&rsquo;avventura che parla soprattutto di calcio, ma non solo.&nbsp;    &ldquo;Il tempo di Fritz&rdquo;  La vita di Fritz &egrave; una di quelle subito destinate ad incrociare il calcio: il pap&agrave; &egrave; un inserviente del Kaiserslautern e il giovanissimo Friedrich (vero nome di battesimo di Walter) entra nelle giovanili del club ad appena 8 anni. Ci rimarr&agrave; per tutta la vita. Che sia un calciatore eccezionale risulta evidente sin da subito: centrocampista offensivo con il vizio del gol, esordisce in prima squadra a soli 17 anni, a 20 inizia la sua avventura in nazionale e il lungo sodalizio con il Ct Sepp Herberger. Non potrebbe andare meglio per Fritz, che nella prima partita con la maglia della Germania firma addirittura una tripletta, quando l&rsquo;ombra della guerra si impadronisce dell&rsquo;Europa e della vita di milioni di giovani. Quella del calciatore del Palatinato non far&agrave; eccezione. I primi anni di conflitto, quelli in cui la Wehrmacht sembra riuscire a stravincere la guerra senza particolari intoppi, i calciatori della nazionale tedesca li vivono da privilegiati: sono tutti stanziati in Germania, lontani dal fronte, pronti per giocare ad ogni chiamata del Ct. Scendono in campo principalmente contro squadre con cui la Germania non &egrave; in guerra, riuscendo a rimanere in patria e ad allenarsi regolarmente. Nel 1942, con l&rsquo;inasprirsi del conflitto, lo Stato Maggiore decide di dare fondo a tutte le risorse umane, e anche i calciatori vengono chiamati realmente alle armi. Fritz finisce in Sardegna, dove accade un fatto che gli condizioner&agrave; per sempre la vita: sull&rsquo;isola contrae la malaria, guarisce ma rimarr&agrave; comunque insofferente al caldo e a giocare sotto il sole. In futuro infatti tutti imparareranno che il ragazzo d&agrave; il meglio di s&eacute; quando la pioggia scende copiosa e il campo &egrave; pesante, quando appunto c&rsquo;&egrave; il &ldquo;Fritz Walter-Wetter&rdquo;, il &quot;tempo di Fritz Walter&quot;.   Fritz Walter tra guerra e prigionia  Dopo qualche tempo viene spedito in Bassa Sassonia, a Jever, nei ranghi di una squadriglia di caccia della Luftwaffe. Fritz non ha nessuna esperienza di volo ovviamente, e rimane interdetto e confuso dall&rsquo;assegnazione. L&rsquo;arcano &egrave; presto svelato: lo ha voluto con se il Colonnello Graf, amico di Herberger e grandissimo appassionato di calcio. Non pu&ograve; farsi scappare Fritz, gli serve come fiore all&rsquo;occhiello della squadra di calcio che ha tirato su, e che si cimenta ogni tanto in qualche partita amichevole. La situazione per il giovane centrocampista rimane serena fino al 29 maggio del 1944: le sorti della guerra sono ormai cambiate radicalmente, gli Alleati bombardano Jever, Graf rimane ferito gravemente e la base aerea viene abbandonata in fretta e furia per trovare riparo a Rennes. Dei dodici aerei partiti ne vengono buttati gi&ugrave; sette, quello su cui viaggia Fritz Walter viene colpito e riesce a salvarsi per il rotto della cuffia con un atterraggio di emergenza ad Orleans. Friedrich sopravvive miracolosamente, ma da quel giorno non salir&agrave; mai pi&ugrave; su un aereo. Un anno dopo, a guerra praticamente terminata, finisce in un campo di prigionia americano come migliaia di altri giovani tedeschi, poi a Sighetu Marmatiei, in Romania, in attesa di essere smistato per i gulag siberiani. Una volta arrivati nelle fredde steppe dell&rsquo;estremo nord, l&rsquo;aspettativa di vita di un prigioniero &egrave; di circa cinque anni, e se si torna non lo si fa mai come prima. Questo Fritz lo sa bene, lo sanno bene anche gli dei del calcio che volgono ancora una volta lo sguardo verso il ragazzo cresciuto a sud della Renania: la sera prima dell&rsquo;appello che lo condannerebbe alla partenza in Russia, due guardie carcerarie bivaccano calciando distrattamente un pallone. Fritz si mette a palleggiare con loro, ben presto si uniscono altri e nello spiazzo antistante l&rsquo;ospedale militare parte una sorta di partita amichevole tra guardie e prigionieri. Quando tutti si rendono conto che quel giovane bruno di capelli ha una marcia in pi&ugrave; sono curiosi: Fritz esce allo scoperto e dice di giocare con la nazionale tedesca. Alcuni lo riconoscono: &ldquo;Ma si &egrave; lui, quello che fece due gol all&rsquo;Ungheria quella volta a Budapest&rdquo;. Parlano della partita tra i magiari e i tedeschi giocata il 3 maggio del 1942, in cui effettivamente Walter si rese protagonista di una prestazione maiuscola, segnando la rete del momentaneo vantaggio oltre a quella del 3-3. Alcuni carcerieri lo prendono a cuore e gli promettono che gli risparmieranno la Siberia, e cos&igrave; fanno: verso fine ottobre Fritz rientra a Kaiserslautern. Non la lascer&agrave; mai pi&ugrave;.     La rinascita e la vittoria di Fritz Walter  Qui comincia inevitabilmente una nuova fase dalla vita del giovane calciatore: il dopoguerra &egrave; durissimo in tutta Europa, in Germania pi&ugrave; che mai. Friedrich conosce una ragazza italiana, di Belluno, che parla molto bene anche il francese e lavora come interprete presso le truppe alleate di stanza nella citt&agrave; del Palatinato. Come per Kaiserslautern, decide di non lasciare mai pi&ugrave; nemmeno lei. Pian piano anche il calcio ricomincia a decollare, Fritz gioca e segna con grandissima continuit&agrave; e quando piove, e in Germania accade abbastanza spesso, si creano le condizioni climatiche del &ldquo;tempo di Fritz&rdquo; e non ce n&rsquo;&egrave; davvero per nessuno. C&rsquo;&egrave; &ldquo;il tempo di Fritz&rdquo; anche il 4 luglio del 1954 a Berna, in una delle partite pi&ugrave; importanti della storia del calcio. Nella capitale svizzera si gioca l&rsquo;atto finale del Mondiale tra la Germania Ovest e la Squadra d&rsquo;Oro, la celeberrima e temibile nazionale ungherese. Nel girone di qualificazione i magiari hanno gi&agrave; incontrato i ragazzi di Herberger rifilandogli ben otto gol. Puskas e compagni sono fenomenali, ma ad onor del vero i tedeschi si presentarono a quella sfida con una formazione rimaneggiata. In quella piovosa serata di Berna il Ct si affida a Fritz, ma la partita inizia malissimo: dopo appena 8 minuti i magiari sono avanti di due gol, firmati da Puskas e Czibor. La reazione tedesca non si fa attendere e i ragazzi di Herberger accorciano subito le distanze con Morlock e al diciottesimo agguatano il pareggio con Rahn. Da l&igrave; in avanti la Squadra D&rsquo;Oro inizia a spingere forte e assedia la porta tedesca, ma come succede spesso in questi casi &egrave; la squadra pi&ugrave; in difficolt&agrave; a segnare: lo fa di nuovo Rahn a pochi minuti dalla fine, consegnando la Coppa Rimet nelle mani di Fritz Walter: la Germania Ovest &egrave; campione del mondo. Come dir&agrave; anni dopo quella sar&agrave; la seconda partita pi&ugrave; importante della sua vita: la prima la gioc&ograve; nel campo di Sighetu Marmatiei, in Romania, ormai quasi dieci anni prima.   

A lui &egrave; intitolato lo Stadio dei Diavoli Rossi, unica squadra per la quale ha militato. Dopo la prigionia torn&ograve; a giocare portando i tedeschi sul tetto del mondo nel 1954

Il &quot;tempo di Fritz Walter&quot; tra Kaiserslautern, guerra e Germania Ovest

        Quella mattina le bandiere campeggiavano ovunque: quelle che s&rsquo;appoggiavano placide sui balconi rallegrandone l&rsquo;estetica e le altre che sventolavano sulle aste a inseguire i pi&ugrave; flebili aliti di vento. Quelle stese sui posteriori delle macchine in citt&agrave; o abbarbicate in qualche modo alle scogliere del mare. Il 12 luglio 1982 l&rsquo;Italia era un salone immenso che portava i segni di un gran ballo che voleva continuare nelle anime felici di milioni di persone. Gi&agrave; prima delle dieci le copie dei quotidiani sportivi erano scomparse dalle edicole: nell&rsquo;impossibilit&agrave; di saziare la voglia di partecipazione di un pubblico di lettori dilatato all&rsquo;eccesso, avevano trainato anche la vendita dei giornali politici. I titoli di apertura danzavano tutti intorno alla notte di Madrid: Campioni del mondo, Italia Mundial, Eroici. Celebravano, insieme agli articoli nei quali giornalisti posseduti dalla stessa estasi che aveva contagiato l&rsquo;intero Paese decantavano con toni epici le virt&ugrave; della Nazionale, la vittoria pi&ugrave; importante mai ottenuta dall&rsquo;Italia: un titolo Mondiale dal peso specifico superiore a quello dei primi due conquistati negli anni Trenta, offuscati dalle nebbie di una storia remota e discutibile, quando il calcio non aveva ancora l&rsquo;importanza dei nostri giorni. Un regalo che gli azzurri fecero a se stessi e ai loro concittadini che compensava le amarezze di migliaia di giorni, le paure e le divisioni degli anni di piombo, l&rsquo;inflazione a due cifre e i governi balneari e ballerini. Quell&rsquo;Italia che aveva battuto la Germania Ovest era un&rsquo;iniezione di fiducia che rinvigoriva un orgoglio nazionale avvilito nel tempo, che spingeva Giorgio Tosatti, nel suo editoriale sul Corriere dello Sport, a scrivere: &rdquo;Oggi &egrave; bello essere italiani. Alza quella coppa, Dino, alzala perch&eacute; il mondo la veda&hellip; Milioni di nostri emigrati non han mai visto nulla di cos&igrave; splendido&rdquo;.  L&rsquo;avversario Tutto si era compiuto il giorno precedente. Dopo la vittoria contro la Polonia, la strada verso la conquista del mondiale correva su un piano sempre pi&ugrave; inclinato. La sensazione che la mano che scrive la storia avesse ormai deciso come sarebbero dovute andare le cose era netta, a prescindere da chi sarebbe stato chiamato a recitare la parte da comprimario nell&rsquo;ultimo atto della rappresentazione. Poteva essere la Francia di Michel Platini, condottiero di una rappresentativa brillante che di l&igrave; a due anni sarebbe diventata campione d&rsquo;Europa; o la Germania Ovest di Kalle Rummenigge, quasi sempre presente quando si tratta di vincere un trofeo. L&rsquo;equivalenza delle due aspiranti finaliste venne confermata dall&rsquo;incontro pirotecnico che ebbe luogo a Siviglia poche ore dopo la conclusione di Italia-Polonia, nel quale i tedeschi recuperarono l&rsquo;1-3 col quale si trovavano in svantaggio a met&agrave; del primo tempo supplementare fino ad arrivare a eliminare i Bleuscol primo rigore ad oltranza. Una vittoria incredibile, dai connotati altamente spettacolari e dai forti contenuti emozionali, diametralmente opposti al tenore tranquillo, quasi senza sussulti che aveva caratterizzato la nostra semifinale coi polacchi.  Il pronostico di Mick Jagger Fu cos&igrave; che tocc&ograve; alla Germania Ovest provare ad opporsi alla cavalcata trionfale che gli uomini di Bearzot avevano intrapreso. Alla vigilia l&rsquo;atmosfera che si respirava nel ritiro dell&rsquo;Italia non lasciava trapelare forme di insicurezza. Impazienti di scendere nuovamente in campo, alcuni giocatori avevano cominciato ad allentare le maglie del silenzio stampa, lasciandosi sfuggire previsioni ottimistiche. &ldquo;Vinceremo!&rdquo;, aveva assicurato Collovati a chi gli chiedeva un pronostico mentre Oriali garantiva che: &ldquo;Sul piano dell&rsquo;impegno ripeteremo la partita contro il Brasile&rdquo;. Solo Zoff, come di consueto, provava a frenare gli entusiasmi di compagni che si sentivano predestinati: &rdquo;Aspettiamo, aspettiamo&rdquo;, ammoniva come un vecchio saggio. Ma il clima dentro la squadra era frizzante come quello che si percepiva in Italia, dove anche i Rolling Stones, da consumati leoni da palcoscenico, auspicavano la vittoria degli azzurri: &rdquo;Vincerete 3-1&rdquo; aveva detto Mick Jagger a Torino poche ore prima della finale, indossando la maglia della nostra nazionale durante un concerto appositamente anticipato per consentire a tutti di vedere in serata Italia-Germania Ovest. Che, come da calendario, alla fine arriv&ograve;.  La finale del Mondiale 1982 Erano le venti dell&rsquo;11 luglio 1982 a Madrid quando l&rsquo;arbitro Coelho dette inizio al match. Il Santiago Bernabeu ribolliva di italiani, accorsi a migliaia da ogni parte della penisola per sostenere le proiezioni di se stessi su quel prato verde: bandiere tricolori e striscioni delle squadre di club si mescolavano disordinatamente in un atto di presenza che dava gloria al senso di appartenenza. Nella formazione iniziale c&rsquo;&egrave; un cambio rispetto all&rsquo;undici previsto alla vigilia perch&eacute; Antognoni non &egrave; riuscito a recuperare dall&rsquo;infortunio subito in semifinale. Bearzot decide cos&igrave; di rinforzare la difesa inserendo Bergomi e chiedendo a Oriali e Tardelli di assumere qualche responsabilit&agrave; aggiuntiva in fase di costruzione del gioco. Anche la Germania propone una difesa a cinque, nella quale il sostegno alla manovra si appoggia su Stielike in mezzo e su Kaltz e Briegel sulle fasce. A centrocampo si sistemano Littbarski, Breitner e Dremmler, in attacco Fischer e Rummenigge (quest&rsquo;ultimo in precarie condizioni fisiche).  Il primo tempo non sembra essere di buon auspicio per gli azzurri. Dopo soli 7&rsquo; Graziani &egrave; costretto ad uscire per un infortunio: lo rileva Altobelli. I minuti vanno via senza sussulti particolari, condizionati dal rispetto reciproco e dalla fatica accumulata in un mese di campionato giocato spesso a temperature elevate. Il momento della svolta potrebbe arrivare al 25&rsquo;, quando Cabrini va sul dischetto per calciare un rigore concesso per un intervento di Briegel su Conti, affossato da un fallo del tedesco a pochi metri dalla porta. Il Bell&rsquo;Antonio, per&ograve;, calcia a lato. Un errore che potrebbe risultare fatale per il morale della squadra, incrinarne le certezze, dare convinzione agli avversari. Ma due episodi negativi non possono cancellare la magia che contorna gli azzurri in questo Mondiale, che vanno al riposo con la convinzione di poter domare una Germania fino a quel momento alla pari con l&rsquo;Italia. Al rientro in campo bisogna spingere sull&rsquo;acceleratore: &egrave; quello che fanno i nostri ragazzi quando al 57&rsquo;, su cross dalla destra di Gentile, Paolo Rossi anticipa compagni e avversari segnando di testa, quasi in tuffo, il gol del vantaggio. Il Bernabeu esplode, gli azzurri ci credono sempre di pi&ugrave; minando progressivamente le resistenze teutoniche. Al 69&rsquo; Bergomi e Scirea duettano in area avversaria prima di scaricare palla all&rsquo;accorrente Tardelli che con un missile sparato in scivolata inchioda il pallone alla sinistra di Schumacher. E&rsquo; un&rsquo;esplosione di gioia incontenibile, una scossa di energia purissima che dal corpo del numero quattordici si irradia ai milioni di italiani che stanno assistendo al match. Che saltano in aria, urlano senza controllo, vorrebbero volare e liberarsi del limite dei loro corpi, incapaci di contenere quell&rsquo;assaggio di felicit&agrave; eterna che nella corsa esultante del centrocampista azzurro si trasforma un&rsquo;icona pop della seconda met&agrave; del ventesimo secolo.  La Germania Ovest &egrave; ormai un pugile all&rsquo;angolo che mulina le braccia a vuoto. A una decina di minuti dalla fine &egrave; Bruno Conti a filare via per cinquanta metri con un&rsquo;azione di contropiede al termine della quale serve ad Altobelli il pallone del 3-0. Pochi secondi pi&ugrave; tardi Breitner regala ai suoi il gol della bandiera. Ma la partita ormai &egrave; finita, i tedeschi sono scappati, vinti, battuti. Dopo quarantaquattro anni l&rsquo;Italia &egrave; campione del mondo, come recita in estasi televisiva un emozionatissimo Nando Martellini ad un Paese impazzito di gioia. &nbsp;&nbsp;&nbsp; &nbsp;&nbsp; Italia-Germania Ovest 3-1 dell&rsquo;11 luglio 1982: il tabellino ITALIA: Zoff (C); Gentile, Bergomi, Scirea, Collovati, Cabrini; Conti, Tardelli, Oriali; Graziani (7&rsquo; pt Altobelli, 44&rsquo; st Causio), Rossi. A DISP.: Bordon, Galli, Baresi, Vierchowod, Dossena, Marini, Massaro, Selvaggi. CT: Enzo Bearzot GERMANIA OVEST: Schumacher; Kaltz, K. F&ouml;rster, Stielike, B.F&ouml;rster, Briegel; Littbarski, Breitner, Dremmler (17&rsquo; st Hrubesch); Fischer, Rummenigge (C) (25&rsquo; st M&uuml;ller). A DISP.: Hannes, Immel, Magath, Reinders, Allofs, Engels, Matthaus, Hieronymus, Franke. CT: Jupp Derwall. ARBITRO: Coelho (Brasile). MARCATORI: 12&rsquo; st Rossi (I), 24&rsquo; st Tardelli (I), 36&rsquo; st Altobelli (I), 38&rsquo; st Breitner (G).         

11 luglio 1982, la Nazionale di Bearzot si laurea campione del mondo al termine di una cavalcata inaspettata e irripetibile. Parte la festa degli azzurri, di Pertini e di un Paese intero

Spagna '82: Italia-Germania Ovest, a Madrid rinasce l'orgoglio di una nazione

        Con la loro cadenza quadriennale i Mondiali hanno scandito nel corso del tempo le tappe della storia del calcio. Insieme a questo sport si sono evoluti, cambiando formula e interpreti man mano che gli anni, i lustri e i decenni scorrevano inevitabilmente. Alcuni pi&ugrave; di molti altri hanno rappresentato dei crocevia importanti, sono stati il manifesto di una generazione calcistica e non solo: Brasile &rsquo;50 ha rappresentato la rinascita dopo gli orrori della guerra, Messico &rsquo;70 ha consacrato il calcio come fenomeno pop mondiale, ha mandato in pensione il pallone di cuoio marrone e la Coppa Rimet, iniziando un lento ma inesorabile percorso verso l&rsquo;era moderna del football. Corea-Giappone 2002 rappresenta un altro importantissimo step dell&rsquo;evoluzione del movimento: possiamo affermare che quel percorso iniziato negli anni &rsquo;70 &egrave; ormai arrivato al traguardo, il football &egrave; lo sport pi&ugrave; importante al mondo, seguito da miliardi di appassionati sparsi in tutto il globo. Il primo Mondiale del nuovo millennio &egrave; uno spettacolo senza precedenti: gli occhi del mondo puntano verso l&rsquo;estremo oriente, dove un&rsquo;intera generazione di fenomeni si sfida per decretare quale sia la nazionale pi&ugrave; forte. Lo spettacolo &egrave; garantito, il guadagno pure, il torneo &egrave; illuminato da un numero incredibile di stelle. Dall&rsquo;altra parte saranno numerose anche le ombre, che investiranno la Fifa e in maniera particolare Blatter, infittite anni dopo addirittura dall&rsquo;FBI, ma questa &egrave; un&rsquo;altra storia. La squadra che si aggiudicher&agrave; la vittoria in quella mirabolante edizione sar&agrave; il Brasile di Luiz Scolari, una formazione pazzesca che si candida tranquillamente come una delle compagini pi&ugrave; forti della storia del calcio.  Un Brasile fenomenale Il 30 giugno di venti anni fa all&rsquo;International Stadium di Yokohama va in scena l&rsquo;atto finale del Mondiale del 2002, che vede affrontarsi la Germania di Voeller e la sopra citata nazionale verdeoro. A dirigere il match c'&egrave; il nostro Pierluigi Collina.  La squadra di Scolari ha finora soltanto vinto, gioca un calcio entusiasmante e l&rsquo;undici titolare fa venire i brividi solamente a nominarlo: in porta gioca Marcos, che non &egrave; Gylmar ma &egrave; comunque affidabile, la difesa a tre &egrave; composta da Lucio, Edmilson e Roque Junior, aiutati in mediana da Kleberson e Gilberto Silva; sulle fasce spingono a tutto campo Cafu e Roberto Carlos, mentre davanti d&agrave; spettacolo la filastrocca delle &ldquo;tre R&rdquo;, Ronaldinho-Rivaldo-Ronaldo. Dall&rsquo;altro lato la Germania &egrave; senza dubbio un&rsquo; ottima squadra, ma ha approfittato di un tabellone piuttosto abbordabile, affrontando il Paraguay agli ottavi, gli Usa ai quarti e in semifinale la Corea trascinata da Byron Moreno e Gamal Al-Ghandour. Tra l&rsquo;altro Voeller si trova a dover affrontare la finale senza il faro del suo centrocampo, Michael Ballack, fermo per squalifica. Il trionfo di Ronaldo Il match &egrave; abbottonato almeno per i primi minuti, con la Germania che tiene il pallino del gioco e il Brasile che cerca di spingere in contropiede. I tedeschi, nonostante il maggior possesso palla, non si rendono quasi mai pericolosi dalle parti di Marcos, mentre i verdeoro danno l&rsquo;impressione di poter andare in gol in pi&ugrave; di un&rsquo;occasione. La partita si sblocca nella ripresa, quando poco dopo il ventesimo Kahn si lascia sfuggire il pallone sulla conclusione di Rivaldo, un tiro non irresistibile sul quale si getta Ronaldo e ribatte in rete. La Germania non riesce a superare la doccia fredda: una decina di minuti pi&ugrave; tardi il Fenomeno sigla la doppietta personale al termine di un&rsquo;azione splendida in seguito allo splendido velo di Rivaldo. Il Brasile &egrave; sul tetto del mondo per la quinta volta, per i tedeschi invece arriva la quarta sconfitta in una finale Mondiale. La Coppa del mondo la alza Cafu, alla sua terza finale consecutiva, un record ad oggi imbattuto. L&rsquo;ex terzino di Roma e Milan &egrave; anche il brasiliano pi&ugrave; presente di sempre con la Sele&ccedil;ao con 142 partite giocate.  Germania-Brasile 0-2 del 30 giugno 2002: il tabellino GERMANIA (3-4-1-2): Kahn; Linke, Ramelow, Metzelder; Frings, Hamann, Jeremies (33' st Ansamoah), Bode (39' st Ziege); Schneider; Klose (29' st Bierhoff), Neuville. A DISP.: Lehmann, Butt, Rehmer, Baumann, Jancker, Ricken, Kehl, Bohme. ALL.: Voeller. BRASILE (3-4-1-2): Marcos; Edmilson, Lucio, Roque Junior; Cafu, Kleberson, Gilberto Silva, Roberto Carlos; Ronaldinho (40' st Juninho Paulista); Ronaldo (45' st Denilson) Rivaldo. A DISP.: Dida, Rogerio Ceni, Ricardinho, Belletti, Anderson, Polga, Junior, Vampeta, Edilson, Luizao, Kaka. ALL.: Scolari. ARBITRO: Collina (Italia).&nbsp;MARCATORI: 22' st e 34' st Ronaldo (B).       

Vent'anni fa, nel torneo di Corea e Giappone, la Sele&ccedil;ao si aggiudicava il suo quinto titolo contro la Germania. Cammino perfetto per gli uomini di Scolari che vinsero tutte e 7 le gare

Mondiale 2002: il trionfo del Brasile dei fenomeni

        Ci ha creduto fin dal principio Miro Klose, fin da quando aveva rifiutato la chiamata della nazionale polacca perch&eacute; aspettava quella tedesca. Si era trasferito in Germania con la famiglia a 9 anni in cerca di fortuna, lo sport ce l&rsquo;ha sempre avuto nel sangue: il padre, Josef, aveva un passato da calciatore; la madre, Barbara, giocava a pallamano. Lui, un bomber strappato alla ginnastica artistica, ha mantenuto la promessa fatta ai suoi ex compagni: esultare con il salto mortale alla prima rete da professionista. Adorava Olaf Marschall, centravanti e numero 11 del Kaiserslautern. Quando Miro giocava per le riserve seguiva assiduamente la prima squadra, con tanto di abbonamento al Fritz-Walter. Finir&agrave; per prendere il posto del suo idolo, cominciando a segnare a ripetizione, sempre con la 11 sulle spalle. Quell&rsquo;esultanza &ndash; che in Germania gi&agrave; ribattezzano &ldquo;Salti Klose&rdquo; e che diventer&agrave; un marchio &ndash; cattura l&rsquo;attenzione di tutti quando Miro si presenta al mondo intero: il 1&deg; giugno del 2002.  Mondiali 2002: Germania sull&rsquo;ottovolante contro l&rsquo;Arabia Saudita &Egrave; il secondo giorno del Mondiale di Corea e Giappone. Scende in campo il gruppo E: la Germania sfida l&rsquo;Arabia Saudita. La nazionale tedesca guidata da V&ouml;ller parte strafavorita, ma il torneo nippo-coreano ha gi&agrave; regalato una vittima illustre: la Francia campione in carica &egrave; stata battuta dal Senegal all&rsquo;esordio assoluto nella manifestazione. Al Sapporo Dome di Hokkaido, per&ograve;, gli arabi non riescono a ripetere l&rsquo;impresa dei senegalesi e finiscono per essere travolti dalla Mannschaft. V&ouml;ller ha a disposizione tanti attaccanti formidabili nel gioco aereo (anche lui non era male, straordinario bomber con un importante passato alla Roma): c&rsquo;&egrave; il gigante del Bayern Jancker; c&rsquo;&egrave; Bierhoff, non pi&ugrave; il killer dei tempi di Udine e Milano ma sempre temibile; c&rsquo;&egrave; ovviamente Miro Klose. &Egrave; proprio il gioco aereo, mescolato allo strapotere fisico con cui la Germania schiaccia l&rsquo;Arabia per 90 minuti, a decretare l&rsquo;imbarazzante miss match. Il tabellino viene aperto al 20&rsquo; dal primo colpo di testa vincente di giornata: Klose mette dentro in tuffo il cross dalla sinistra di Ballack. Ma per il primo &ldquo;salto mortale Mondiale&rdquo; bisogna aspettare il 25esimo, quando l&rsquo;attaccante del Kaiserslautern segna ancora di testa, questa volta salendo in cielo per impattare il secondo assist vincente dell&rsquo;asso del Leverkusen. Un&rsquo;elevazione incredibile per un debutto da sogno. Il primo tempo regala altre due reti tedesche: quella di Ballack, sempre di testa, e quella di Jancker, che con una zampata trova gloria all&rsquo;ennesimo tentativo, festeggiando a petto nudo. La ripresa produce un parziale ancora imbarazzante. Klose rende la sua giornata indimenticabile andando in gol per la terza volta, ancora con un&rsquo;inzuccata. In quel momento forse un pensiero lo dedica ad Andy Brehme, l&rsquo;allenatore che gli ha cambiato la carriera, spostandolo dal centrocampo al centro dell&rsquo;attacco. &Egrave; anche grazie all&rsquo;intuizione dell&rsquo;ex Inter che Klose scriver&agrave; pagine di calcio indelebili. La partita con l&rsquo;Arabia regala altre tre reti: al 72esimo la capocciata di Linke; all&rsquo;84esimo c&rsquo;&egrave; gloria per Bierhoff, entrato al posto di Jancker; mentre nel recupero la punizione di Schneider chiude il tabellino sull&rsquo;8-0. Miro Klose, il pi&ugrave; grande cannoniere della storia dei Mondiali Non &egrave; un punteggio record, ma poco ci manca: l&rsquo;Ungheria inflisse a El Salvador uno storico 10-1 nel 1982. Ma pi&ugrave; che per il roboante passivo, la gara tra Germania e Arabia Saudita verr&agrave; ricordata come quella in cui il mondo ha conosciuto Miro Klose. L&rsquo;attaccante di origine polacca chiuder&agrave; con 5 marcature il torneo del 2002, dovendosi accontentare del secondo posto, battuto in finale dal Brasile di Ronaldo. Klose, per&ograve;, ha appena iniziato: di Mondiali ne giocher&agrave; altri tre, raggiungendo il record di 16 realizzazioni e diventando il miglior marcatore della nazionale tedesca (71 gol). Mai nessuno come lui. Tra l&rsquo;altro, l&rsquo;ultimo sigillo arriver&agrave; nel Mineirazo, la storica semifinale del 2014 in cui la Germania annienter&agrave; i padroni di casa verdeoro con un umiliante 7-1 (una sorta di rivincita personale per Klose). L&rsquo;ultima in Nazionale cinque giorni dopo, guidando a 36 anni l&rsquo;attacco tedesco per battere l&rsquo;Argentina e diventare campione. Miro Klose, l&rsquo;attaccante che saltando, saltando&hellip; dalla piccola Opole &egrave; atterrato in cima al mondo!  Germania-Arabia Saudita 8-0 del 1&deg; giugno 2002: il tabellino GERMANIA (3-4-1-2): Kahn (C); Linke, Ramelow, (1' st Jeremies) Metzelder; Frings, Schneider, Hamann, Ziege; Ballack; Jancker (22' st Bierhoff), Klose (32' st Neuville). A DISP.:&nbsp;Lehmann, Rehmer, Baumann, Kehl, Boehme, Ricken, Asamoah, Bode, Butt. CT: V&ouml;ller. ARABIA SAUDITA (4-4-2): Al-Deayea; Al-Dokhi, Tukar, Zubromawi, Abdulghani; Noor, Al-Dosari (1' st Suwayed), Al-Temyat, (1' st Al-Khathran) Al-Waked; Sami Al-Ja. (C), Al-Yami (32' st A Al- Dossary). A DISP.: Al-Harthi, Al-Shehri, Khojah, Zaid, Shaliya, Al-Ghamdi, Al-Thagafi, Al-Shalhoub, Al-Dosari. CT: Al Johar. ARBITRO: Aquino (Paraguay). ?MARCATORI: 20' pt, 25' pt e 24&rsquo; st Klose, 40' pt Ballack, 46' pt Jancker, 27' st Linke, 39' st Bierhoff, 47' st Schneider.?       

Il 1&deg; giugno 2002 i tedeschi debuttarono con una goleada ai sauditi. Il numero 11 inizi&ograve; a scrivere il suo record con tre reti: diventer&agrave; il cannoniere assoluto della Coppa del Mondo

Klose e l'esordio Mondiale con la Germania: che tripletta all'Arabia!

        &Egrave; l&rsquo;estate in cui il calcio ritorna a casa quella del &rsquo;96. L&rsquo;Europeo inglese porta Italia e Germania a scontrarsi nell&rsquo;ultima partita del girone: agli azzurri serve una vittoria per passare il turno. La splendida cornice dell&rsquo;incontro &egrave; il Theatre of Dreams, dove per l&rsquo;ennesima volta verr&agrave; scritta una grande pagina della storia del calcio, &egrave; il 19 giugno del 1996. Dopo appena 8 minuti Casiraghi approfitta di una colossale dormita di Sammer, si avvia in solitaria verso K&ouml;pke che lo atterra e guadagna calcio di rigore. Il portiere tedesco ipnotizza Gianfranco Zola e para, trattenendo addirittura la sfera. &Egrave; solamente l&rsquo;inizio, l&rsquo;estremo difensore teutonico si dimostrer&agrave; insuperabile per tutta la partita, opponendosi alle numerosissime conclusioni della Nazionale azzurra. Fuser, Carboni, Donadoni e Casiraghi si infrangono a turno contro il muro innalzato da K&ouml;pke, che non ne fa passare neanche una. La partita finisce 0-0, l&rsquo;Italia &egrave; fuori e l&rsquo;estremo difensore tedesco viene eletto man of the match. Per tutto il torneo K&ouml;pke inanella una prestazione superlativa dopo l&rsquo;altra, vero e proprio punto cardine di quella formazione che salir&agrave; sul tetto d&rsquo;Europa. In semifinale para l&rsquo;ultimo rigore decisivo a Gareth Southgate, fa finire il sogno dei sudditi di Sua Maest&agrave; e spedisce in soffitta il tormentone &ldquo;Football is coming Home&rdquo;. Alla fine del torneo verr&agrave; anche premiato come miglior portiere dell&rsquo;anno dall&rsquo;IFFHS, a ulteriore testimonianza delle ottime qualit&agrave; del numero uno in maglia turchese e calzettoni bianchi.&nbsp; Dalle Notti Magiche al Marsiglia passando per Norimberga Eppure l&rsquo;Europeo del 1996 non &egrave; il primo trofeo internazionale di Andreas K&ouml;pke, e nemmeno il pi&ugrave; prestigioso. Faceva infatti parte di quella spedizione tedesca che in Italia vinse il Mondiale nel 1990. Ovviamente lo vinse da portiere di riserva di Illgner non scendendo mai in campo, ma lo vinse comunque. Il suo viaggio nel mondo del calcio comincia per&ograve; molti anni prima, quando nella prima met&agrave; degli anni &rsquo;80 si mette in mostra allo Charlottenburg e poi all&rsquo;Hertha, prima di trovare la squadra di club a cui legher&agrave; pi&ugrave; di ogni altra il suo nome: il Norimberga. Sulle sponde del Pegnitz rimarr&agrave; dal 1986 al 1994 prima di spostarsi all&rsquo;Eintracht di Francoforte. Dopo due stagioni che culminano proprio con l&rsquo;Europeo inglese passa al Marsiglia, dove rimane per due anni prima di tornare laddove era stato per tanti anni, ovvero a Norimberga. Nel 2001 appende i guanti al chiodo e qualche anno dopo, nel 2004, diventa il preparatore dei portieri della nazionale tedesca, ruolo che ricopre ancora oggi.&nbsp;       

Il portiere annovera nel suo palmares anche il successo al Mondiale 1990, vinto come riserva

Andreas Köpke, l’eroe tedesco di Euro '96

        &Egrave; il 7 luglio del 1974. All&rsquo;Olympiastadion di Monaco di Baviera si gioca l&rsquo;atto finale del mondiale tedesco che vede da un lato i padroni di casa della Germania Ovest e dall&rsquo;altro la formidabile Arancia Meccanica, l'Olanda di Rinus Michels e Johan Cruijff. Gli Oranje hanno rivoluzionato il modo di giocare a calcio in quel torneo, con la loro manovra brillante che verr&agrave; ribattezzata nel tempo con la celebre perifrasi del calcio totale. Consapevoli della loro forza, gli Oranje partono in quarta: dopo appena due minuti Cruijff semina Vogts, viene atterrato in area da Hoeness e si procura un calcio di rigore. Dal dischetto Neeskens porta in vantaggio i suoi con un potentissimo tiro centrale. Il duello tra Vogts e Cruijff Questo &egrave; l&rsquo;inizio, oltre che della partita, del duello personale tra Berti Vogts e Johan Cruijff, che durer&agrave; per tutto il match. In questo frangente il difensore tedesco si fa cogliere impreparato, ma per il resto della sfida non sbaglier&agrave; pi&ugrave; nulla. La sua marcatura a uomo sul numero 14 olandese riesce a far scemare pian piano l&rsquo;aggressivit&agrave; della formazione di Michels. Vogts pressa con sempre maggiore intensit&agrave;, costringendo Cruijff a indietreggiare fino alla linea della difesa per prendere il pallone. Senza il suo faro, la manovra Oranje inizia a perdere lucidit&agrave; e gli olandesi cominciano a vacillare. I tedeschi alla fine della ripresa hanno gi&agrave; ribaltato il risultato, grazie ai gol di Breitner (rigore) e M&uuml;ller. Il secondo tempo &egrave; un vero capolavoro difensivo: Vogts continua a non dare tregua al Pel&eacute; bianco fino al 90&rsquo; con un pressing asfissiante. La partita termina 2-1 e la Germania Ovest si laurea campione del mondo. Quella nazionale verr&agrave; ricordata da molti come quella di M&uuml;ller e Beckenbauer, ma la vittoria finale si deve in grandissima parte a un campione silenzioso, un difensore piccolo di statura ma dalle grandissime capacit&agrave; atletiche e dall&rsquo;ineguagliabile spirito di sacrificio: Berti Vogs. Vogts, una carriera tra Moenchengladbach e nazionale tedesca Nato Hans Hubert Vogs a B&uuml;ttgen, nel cuore della Vestfalia, viene prelevato giovanissimo dal Borussia Moenchengladbach, con cui rester&agrave; per l&rsquo;intera carriera. Sar&agrave; il simbolo di quella squadra che durante gli anni &rsquo;70 accender&agrave; con il Bayern Monaco una delle rivalit&agrave; calcistiche pi&ugrave; belle dello scorso secolo. Con i Die Fohlen vince cinque campionati tedeschi, una coppa di Germania e due volte la Coppa UEFA, nel 1974-75 e nel 1978-79. Vero e proprio mastino difensivo, Vogts &egrave; un marcatore destro, uno degli interpreti migliori del ruolo, celebre per il suo tempismo perfetto nell&rsquo;anticipo e nel tackle in scivolata. Giocatore estremamente roccioso ma allo stesso tempo leale e corretto, ha partecipato attivamente a tutte le grandi vittorie della Germania Ovest e del Gladbach durante il corso degli anni &rsquo;70. Campione d&rsquo;Europa nel 1972 oltre che del mondo nel 1974, come abbiamo raccontato poco sopra, si ritira dal calcio giocato nel 1979 prima di intraprendere la carriera di allenatore. Vice di Beckenbauer nella fortunata spedizione di Italia &rsquo;90, da allenatore vince anche Euro &rsquo;96, diventando l&rsquo;unico nella storia del calcio a essere riuscito a conquistare un campionato Europeo sia da calciatore che da allenatore.        

Colonna del Moenchengladbach e della nazionale tedesca occidentale degli anni &lsquo;70, &egrave; l'unico ad aver vinto un Europeo sia da calciatore che da allenatore

Berti Vogts, il campione silenzioso che annullò Cruijff nel Mondiale 1974

        28 luglio 1962. &Egrave; questo il Day One, o per dirlo alla tedesca l&rsquo;erster tag, della Bundesliga, la massima serie professionistica del campionato tedesco di calcio. Il progetto ottenne il definitivo lasciapassare al Westfalenhalle di Dortmund esattamente 59 anni fa, prevedendo contestualmente una sorta di professionismo, con una larghissima maggioranza: 103 delegati favorevoli contro 23 contrari. Un passo necessario che sub&igrave; un'accelerazione dopo l'eliminazione della Germania, che gi&agrave; aveva conquistato il primo alloro iridato nel 1954, ai quarti di finale del Mondiale in Cile contro la Jugoslavia. Facendo un passo indietro, il calcio tedesco inizi&ograve; a muovere i suoi primi passi con la formula dei tornei regionali: i vincitori di ciascun raggruppamento accedevano alla fase finale nazionale per contendersi il titolo. La prima stagione a essere disputata con la nuova formula e la nuova denominazione &egrave; quella 1963-64. Si parte il 24 agosto 1963, e il primo gol della Bundesliga lo segna Timo Konietzka del Borussia Dortmund dopo meno di un minuto dall'inizio della partita contro il Werder Brema. Al termine della stagione, a fare festa &egrave; il Colonia, che si aggiudica cos&igrave; il suo secondo titolo, il primo della storia della Bundesliga. Quando la Bundesliga era una questione tra Bayern Monaco e Borussia M&ouml;nchengladbach  La stagione successiva segna l&rsquo;esordio nel campionato di due squadre destinate a diventare delle vere e proprie corazzate in territorio nazionale e internazionale: si tratta del Bayern Monaco, tra le cui fila inizia a muovere i primi passi un certo Gerd M&uuml;ller, icona del calcio tedesco, e il Borussia M&ouml;nchengladbach. Ben presto le due compagini si ritroveranno a scambiarsi il posto sul gradino pi&ugrave; alto del podio. Inizia, infatti, un vero e proprio duopolio che vede le due formazioni trionfare per nove stagioni consecutive: quattro affermazioni per i bavaresi e cinque per i Puledri. Nel 1971-72 il Bayern Monaco mette a segno 101 reti, record che resiste ancora oggi, permettendo a Beckenbauer di vincere il suo primo Pallone d&rsquo;Oro e a Gerd M&uuml;ller di salire sul trono dei marcatori con 40 reti stagionali, record battuto da Lewandowski nella stagione 2020-21 (41 gol). Anche il massimo riconoscimento individuale del calcio, il Pallone d&rsquo;Oro, diventa una questione del campionato tedesco. Dopo Beckenbauer, infatti, trionfa nel 1977 il danese del M&ouml;nchengladbach Simonsen e nei due anni successivi l&rsquo;inglese dell&rsquo;Amburgo Kevin Keegan. L&rsquo;egemonia di Bayern e Borussia si spezza nel 1978, quando a trionfare &egrave; il Colonia, che arriva comunque a pari punti con il M&ouml;nchengladbach ma vince per la differenza reti. A nulla serve il successo per 12-0 dei Puledri contro il Borussia Dortmund all&rsquo;ultima giornata, se non per aggiornare il libro dei record: si tratta, infatti, della vittoria pi&ugrave; larga nella storia della Bundesliga. A laurearsi capocannoniere per la settima e ultima volta &egrave; Gerd M&uuml;ller, ma insieme a lui c&rsquo;&egrave; l&rsquo;omonimo Dieter, unico calciatore del campionato tedesco in grado di mettere a segno sei gol in una sola partita. La Bundesliga e il dominio del Bayern Monaco  Con il passare degli anni il divario tra il Bayern Monaco e le altre squadre &egrave; diventato sempre maggiore, tanto che i bavaresi comandano l&rsquo;albo d&rsquo;oro del campionato tedesco (si contano quindi anche le vittorie prima dell&rsquo;istituzione della Bundesliga) con 31 trionfi, staccando il Norimberga, secondo a quota 9. Con la retrocessione dell'Amburgo nel 2018 (celebre l&rsquo;orologio dello stadio che ricordava la permanenza in Bundesliga), nessuna squadra pu&ograve; vantare il prestigioso record di aver preso parte a tutte le edizioni fin qui disputate.       

L&rsquo;eliminazione della Germania dal Mondiale in Cile fu decisiva per la creazione del nuovo campionato. Dal duopolio Bayern-M&ouml;nchengladbach al dominio dei bavaresi: la storia della massima lega tedesca

Il 28 luglio 1962 nasceva la Bundesliga

        Una rivalit&agrave; quella tra Inghilterra e Germania che va ben oltre il calcio, ma che anche sul rettangolo verde ha scritto pagine epiche. Calcisticamente parlando, tutto parte nel 1966 quando le due selezioni si giocano a Wembley la Coppa del Mondo. Sono passati 55 anni e quel gol fantasma di Geoff Hurst non &egrave; ancora andato gi&ugrave; ai tedeschi (all&rsquo;epoca e fino al 1990 Germania Ovest), con Bobby Moore ad alzare la coppa davanti alla regina. Da l&igrave; al 26 giugno &rsquo;96 &ndash; giorno in cui la Germania torna a giocare a Wembley in una fase finale di una grande competizione internazionale &ndash; la musica &egrave; cambiata totalmente: la storia, o se preferite la sorte, ha voltato le spalle agli inglesi. Fatti fuori nei quarti dei Mondiali di Mexico &rsquo;70 e nella doppia sfida valida per andarsi a giocare la semifinale di Euro &rsquo;72; fermati sullo 0-0 nel secondo girone dei Mondiali &rsquo;82 che port&ograve; poi la Germania Ovest in semifinale; battuti ancora nella semifinale delle Notti Magiche. Partite epiche, spesso preludio al successo dei tedeschi, che dopo quel &rsquo;66, sotto la bandiera dell&rsquo;Ovest hanno saputo mettere in fila una quantit&agrave; di trionfi incredibile, che li ha portati a essere sempre, o quasi, la squadra da battere.&nbsp;Le premesse non sono queste il 26 giugno &lsquo;96, quando l&rsquo;Inghilterra oltre al vantaggio di giocare in casa, ha uno squadrone, mentre la Germania schiera una formazione totalmente cambiata rispetto all&rsquo;ultimo trionfo risalente al Mondiale &rsquo;90. La semifinale di Euro &lsquo;96 &nbsp; Wembley &egrave; gremito in ogni ordine di posto, l&rsquo;Inghilterra scende in campo con una fantastica divisa grigia e si fionda subito all&rsquo;attacco. Kopke respinge in angolo la bomba dalla distanza di Paul Ince e dal corner successivo arriva il gol del vantaggio. Sono passati solo 3&rsquo; quando Alan Shearer insacca sulla spizzata di Adams, mettendo a segno il quinto gol del suo fantastico Europeo (chiuder&agrave; capocannoniere). I tifosi inglesi esplodono, ma la Germania non si fa intimorire, reagisce e pareggia 13 minuti pi&ugrave; tardi. &Egrave; una bella giocata del difensore Thomas Helmer, trovatosi in un&rsquo;insolita posizione di esterno sinistro, a regalare a Stefan Kuntz un assist perfetto. Se l&rsquo;inizio di gara offre spettacolo, il resto del primo tempo mostra un match durissimo, con gli inglesi che cercano di metterla sull&rsquo;agonismo: vanno vicino al sorpasso, prima con Sheringham e poi con Shearer, controllando le sortite offensive di Moller e Scholl. Tanti gli scontri duri in mezzo al campo anche nella ripresa: Gascoigne e Pearce sembrano tarantolati e non perdono occasione per randellare. Gazza prova anche a scardinare la linea difensiva ospite con accelerazioni improvvise, ma i suoi tentativi vengono sventati. Tra la fine dei regolamentari e l&rsquo;inizio dei supplementari il ct tedesco Berti Vogts effettua tutti i cambi (fuori Scholl, Helmer e Freund, dentro Hassler, Bode e Strunz), mentre Venables finisce la partita con gli 11 iniziali. Un palo clamoroso colpito a porta vuota da Anderton, una rete sfiorata da Gascoigne e un gol annullato alla Germania su azione d&rsquo;angolo, rendono spettacolare il primo supplementare. La ripresa invece scivola via, con un monumentale Matthias Sammer a chiudere sull&rsquo;ultimo disperato affondo inglese: si va ai calci di rigore.&nbsp;  L&rsquo;errore di Soutghate condanna gli inglesi &nbsp;&nbsp; Lo spettacolo offerto in campo continua con la lotteria dei rigori. Dieci esecuzioni perfette (Shearer, Platt, Pearce, Gascoigne e Sheringham per gli inglesi; Hassler, Strunz, Reuter, Ziege e Kuntz per i tedeschi), accompagnate con alternanza dall&rsquo;incitamento e dai fischi del pubblico di Wembley, portano a oltranza. Il sesto inglese a calciare &egrave; l&rsquo;attuale ct dei Tre Leoni, Gareth Southgate: &egrave; proprio lui a condannare l&rsquo;Inghilterra. La parata di Kopke precede il penalty trasformato da uno dei migliori in campo, Andreas Moller, che porta la Germania in finale. Sono passati tre decenni dal Mondiale &rsquo;66, ma sembra lontano anni luce: ancora una volta la Mannschaft ha sconfitto la nazionale dei Tre Leoni. &ldquo;Il calcio &egrave; un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e alla fine la Germania vince&rdquo;. La frase pronunciata da Gary Lineker in occasione dei Mondiali di Italia &rsquo;90 non passa mai di moda.        

Le due nazionali si sfidarono in semifinale a Wembley, furono ancora una volta i tedeschi ad avere la meglio grazie al penalty fallito dall'attuale ct inglese

Inghilterra-Germania Euro '96, l'errore di Southgate condanna i Tre Leoni

Nell'edizione '96 la nazionale tedesca conquistò il terzo Europeo grazie al Golden gol di Bierhoff, fu il primo titolo dopo la riunificazione delle due Germanie

PODCAST - Europei 1996: la Germania trionfa in terra inglese

        Quarantuno anni fa si giocava l&rsquo;atto finale di Euro &rsquo;80, competizione organizzata nel nostro Paese di cui si parla pochissimo. Arrivato durante un periodo di clima sociale teso in cui anche il calcio sembrava essere finito lontano dal sentire comune degli italiani, non lasci&ograve; ricordi particolarmente felici. Anche perch&eacute; a vincerlo furono i tedeschi dell&rsquo;ovest.&nbsp;  L&rsquo;Italia alle prese col Totonero  L&rsquo;ambiente non &egrave; dei migliori nell&rsquo;Italia del pallone del 1980. La Nazionale di Bearzot arriva alla manifestazione da padrona di casa e con il macigno del Totonero sulle spalle. Il CT friulano si presenta ai nastri di partenza senza Paolo Rossi e Bruno Giordano, in un contesto di iniziale indifferenza per una competizione che sembra non volere nessuno. Gli Azzurri otterranno solo il secondo posto nel girone, arrivato nonostante lo stesso punteggio del Belgio per via della differenza reti, e quindi il diritto di giocare la finalina contro la Cecoslovacchia. La Nazionale dopo l&rsquo;1-1 maturato durante i tempi regolamentari verr&agrave; sconfitta ai tiri di rigore.&nbsp;  Il cammino della Germania Ovest verso la vittoria  Euro &rsquo;80 prevede due gironi da quattro, dai quali vengono fuori le due finaliste. La nazionale tedesca dell&rsquo;Ovest nel Gruppo A supera in sequenza la Cecoslovacchia nella prima gara, che &egrave; anche la rivincita di Euro &rsquo;76, con una rete di Rummenigge; sconfigge per 3-2 nella seconda gara l&rsquo;Olanda di Rep, Krol e van de Kerkhof grazie a una tripletta di Klaus Allofs, pu&ograve; permettersi di pareggiare con la Grecia. In finale gli uomini del CT Jupp Derwall trovano il coriaceo Belgio dei Ceulemans, Van Moer, Vandenbergh. All&rsquo;Olimpico tocca allo stagionato Horst Hrubesch firmare la doppietta che, con l&rsquo;intermezzo del rigore belga di Vandereycken, consegna alla Germania il suo secondo torneo continentale. In assoluto, la stella pi&ugrave; brillante dei tedeschi d&rsquo;occidente &egrave; il giovane Schuster, dispensatore di assist, trequartista sopraffino.&nbsp;       

Il 22 giugno di 41 anni fa i tedeschi occidentali superarono il Belgio allo Stadio Olimpico&nbsp;

1980, l’Europeo italiano vinto dalla Germania Ovest

        Carlo Magno &egrave; riconosciuto come uno dei pi&ugrave; importanti progenitori dell&rsquo;Europa e, tra l&rsquo;VIII e il IX secolo d.C., unific&ograve; il continente da Barcellona ad Amburgo, per la prima volta dopo le invasioni barbariche e il crollo dell&rsquo;Impero Romano d&rsquo;Occidente. Dedic&ograve; gran parte del suo regno a combattere i Sassoni e a fortificare i confini del Sacro Romano Impero sempre nella prospettiva della conquista dei territori oltre il Reno. Da allora, la tensione tra i franchi e i popoli germanici &egrave; cresciuta fino alle guerre napoleoniche, ma fu nel 1870, con la guerra franco-prussiana, che deflagr&ograve;. Napoleone III perse la battaglia di Sedan, sconfitta che pose fine al secondo impero francese e diede inizio all&rsquo;impero tedesco. La conflittualit&agrave; tra le due nazioni non scomparve, anzi, fu uno dei principali fronti della Prima guerra mondiale. All&rsquo;esplosione del secondo conflitto planetario, la Germania annient&ograve; l&rsquo;esercito francese, costringendo gli alleati inglesi alla precipitosa fuga di Dunkerque. La croce uncinata sventol&ograve; sulla Tour Eiffel, i blindati tedeschi sfilarono sugli Champs-&Eacute;lys&eacute;es. Per fortuna sappiamo tutti come &egrave; andata a finire e gli orrori del 1939-1945 sono stati la premessa della salda alleanza franco-tedesca del nostro tempo, pilastro dell&rsquo;Unione Europea, ma la rivalit&agrave; tra i due popoli non &egrave; terminata, anzi, si &egrave; solo trasferita in un altro ambito, sicuramente pi&ugrave; ludico e divertente: il calcio. Francia-Germania &egrave; una sfida dal sapore unico tra due scuole agli antipodi: il calcio champagne francese contro la solidit&agrave; tedesca, Platini contro Beckenbauer, fantasia contro il fisico, anche se, negli ultimi due decenni, il football teutonico ha fatto notevoli passi avanti anche dal punto di vista del bel gioco, culminato con il titolo mondiale del 2014. Mondiali 1958  Il bilancio tra le due nazioni &egrave; a favore della Francia con 14 successi contro i 9 tedeschi, ma non &egrave; il totale di 31 incontri a interessare, ma alcune sfide che hanno rappresentato delle pietre miliari del calcio mondiale. Nel 1958 Francia e Germania Ovest sono le protagoniste della finalina per il terzo posto nei Mondiali svedesi. Sono entrambe uscite deluse dalle semifinali: i transalpini hanno perso 5-2 contro il Brasile della meraviglia Pel&egrave; (tripletta per lui) e i tedeschi soccombere contro i padroni di casa capitanati da Liedholm. Quella era la Francia del leggendario Just Fontaine, che concluse il torneo scandinavo con il record, tutt&rsquo;ora imbattuto, di 13 reti in una fase finale del Mondiale, sigl&ograve; quattro gol nella finale per il gradino pi&ugrave; basso del podio, a sancire un posto d&rsquo;onore nel cuore della rivalit&agrave; che risorgeva dalle ceneri della Seconda guerra mondiale. La battaglia di Siviglia  Salto in avanti nel tempo, 1982, Mondiali di Spagna cos&igrave; cari a noi italiani. Mentre nella prima semifinale Paolo Rossi regola con una doppietta la Polonia di Boniek, la sera di quell&rsquo;8 luglio va in scena &ldquo;La Battaglia di Siviglia&rdquo;: &ldquo;l&rsquo;esercito francese&rdquo; &egrave; guidato dal generale d&rsquo;armata Michel Hidalgo e schiera tra le sue fila Tresor, Giresse, Tigana e soprattutto Platini; la Germania Ovest &egrave; guidata dal feldmaresciallo Jupp Derwall, affiancato da Stielike, Briegel, Breitner, Littbarsky, Magath e il Panzer per eccellenza Karl-Heinz Rummenigge. &Egrave; una sfida che ha fatto epoca e, come capita quando c&rsquo;&egrave; di mezzo la Germania Ovest, dei tempi supplementari epici. Apre le marcature il funambolico numero 7 in maglia bianca, Littbarski, al 17&rsquo; del primo tempo. Pareggia dopo 9 minuti Platini su rigore. Al 52&rsquo; si verifica un episodio che segner&agrave; i rapporti franco-tedeschi nei giorni a seguire: pennellata sopraffina di Platini che libera Battiston solo davanti a Schumacher, il portiere tedesco esce a valanga, travolgendo l&rsquo;avversario mentre il pallone sfila a lato del palo. Battiston rester&agrave; in coma alcuni giorni, perder&agrave; due denti e i problemi al collo lo perseguiteranno per il resto della sua vita. Il difensore di origine veneta &egrave; nato in Lorena, storica regione contesa tra Francia e Germania. L&rsquo;arbitro Corver non prende alcun provvedimento, oggi sarebbe stato quanto meno rigore e cartellino giallo. Sull&rsquo;1-1 si va ai supplementari. La Francia segna due volte con Tresor e Giresse, ma l&rsquo;irriducibile Germania Ovest risorge grazie proprio a Rummenigge, che, subentrato al minuto 97, segna il 2-3. Poi arriva il 3-3, siglato in rovesciata da Fischer. Si va ai rigori, dove sar&agrave; decisivo l&rsquo;errore di Bossis (nella foto). Per Platini fu &ldquo;la partita pi&ugrave; bella della mia intera carriera calcistica&rdquo;; in un sondaggio, i tifosi transalpini affermarono che odiavano pi&ugrave; il portiere Schumacher che Hitler. Quattro anni dopo si replica. C&rsquo;&egrave; sempre Platini, ma la Germania Ovest fatica meno: 2-0 con reti di Brehme e Voeller. C&rsquo;&egrave; un altro incrocio nei quarti di finale del Mondiale 2014. Vincono ancora i tedeschi con gol di Hummels. Sembra un&rsquo;altra Sedan, la Francia non riesce a liberarsi del complesso teutonico. Sar&agrave; il generale Deschamps a liberare il Paese da questa maledizione. Europei 2016  Fu il primo confronto tra Francia e Germania nella massima competizione continentale. Siamo a Marsiglia, il 7 luglio e a suonare la Marsigliese &egrave; &ldquo;le petit diable&rdquo;, Griezmann, che con due reti abbatte la Germania (stavolta unificata) campione del mondo. Sar&agrave; il Portogallo a risvegliare la Francia nella finale di Saint-Denis, ma intanto il conflitto franco-tedesco sembra aver preso una nuova direzione. &nbsp; &nbsp;       

Una rivalit&agrave; che affonda le sue radici nel Medioevo, che dai campi di battaglia si &egrave; trasferita su quelli da calcio: ecco i quattro match pi&ugrave; significativi

Francia-Germania, da Carlo Magno a Euro 2020

Nell'edizione 1980 giocata in Italia, i tedeschi bissarono il successo ottenuto nel '72 grazie alla nuova generazione di talenti guidati da Jupp Derwall

PODCAST - Europei 1980: il secondo titolo della Germania Ovest

Lo squadrone tedesco trascinato dal Kaiser Beckenbauer e dai gol di Gerd Muller si aggiudicò l'edizione giocata in Belgio battendo in finale l'URSS

PODCAST - Europei 1972: la prima volta della Germania Ovest

Il trentennale della caduta del Muro di Berlino pu&ograve; essere ricordato in mille modi diversi, ma per noi &egrave; doveroso scegliere quello calcistico. Perch&eacute; nella Germania Est il calcio non era certo lo sport su cui si puntava (assegna una medaglia olimpica sola, per quanto importante), ma di sicuro le squadre di club delle DDR e la sua nazionale erano sempre avversarie difficili, non fosse altro che per i loro standard fisici elevatissimi e non sempre genuini.&nbsp;  Con i club italiani gli incroci sono stati tantissimi, dalla finale di Coppa delle Coppe vinta dal Magdeburgo sul Milan di Rivera alla rimonta del Carl Zeiss Jena sulla Roma di Falc&atilde;o, mentre a livello di nazionali le sfide incrociate sono state soltanto 4 nei 38 anni di vita, dal 1952 al 1990, della rappresentativa della Repubblica Democratica Tedesca. 4 partite davvero facili da ricordare, perch&eacute; 2 riguardarono le qualificazioni ai Mondiali di Messico 1970 e 2 amichevoli pre Mondiali 1982 della squadra di Bearzot.  La Nazionale di Valcareggi, fresca campione d&rsquo;Europa 1968, affront&ograve; il suo girone di qualificazione mondiale da netta favorita. Nel suo girone a quattro si qualificava soltanto la prima classificata e subito le quattro squadre diventarono tre, per il ritiro dell&rsquo;Islanda: Galles, Italia e appunto Germania Est. Dopo la vittoria in Galles gli azzurri affrontarono i tedeschi a Berlino Est il 29 marzo 1969 e soltanto grazie alla classe di Gigi Riva riuscirono ad agguantare il 2-2 a una decina di minuti dalla fine. Un gol contestatissimo per la posizione di fuorigioco del bomber del Cagliari, ma anche una buonissima Italia che ebbe tante occasioni con la formula Mazzola-Rivera pi&ugrave; due punte (il partner di Riva era nell&#39;occasione Prati).  Una curiosit&agrave; &egrave; che si gioc&ograve; al Walter Ulbricht Stadion. Con Walter Ulbricht che non era un ex calciatore o un personaggio storico defunto da tempo, ma il presidente del consiglio in carica, oltre che segretario del partito. Filosovietico come era obbligatorio esserlo, Ulbricht era stato nel 1961 anche la mente politica della costruzione del Muro di Berlino.  Tornando a quelle qualificazioni mondiali, sia Italia sia Germania Est batterono il Galles nelle altre partite e cos&igrave; si presentarono a pari punti all&rsquo;ultima partita del girone, il 22 novembre. A Napoli quindi scontro diretto, senza dimenticare il regolamento: in caso di pareggio e quindi di parit&agrave; di punti in classifica non sarebbe passata la squadra con la miglior differenza reti, ma si sarebbe dovuti ricorrere ad uno spareggio in campo neutro. Uno spareggio con eventuali tempi supplementari e soltanto in caso di ulteriore parit&agrave; sarebbe contata la differenza reti, premiando quindi l&rsquo;Italia.  Quel sabato pomeriggio il San Paolo si aspettava di vedere schierato Juliano, ma Valcareggi non fece geopolitica (poi Juliano era forte davvero, ma &egrave; un altro discorso) e lo mise in campo solo nel secondo posto al posto di Cera. Il c.t. fu anche coraggioso a lanciare Chiarugi, all&rsquo;esordio azzurro, che lo ripag&ograve; con una gran partita. Non ci fu comunque bisogno troppi calcoli, perch&eacute; la Germania Est molto tonica della prima sfida si present&ograve; a Napoli quasi svuotata e fu travolta da una delle migliori versioni dell&rsquo;Italia di Valcareggi: gol di Mazzola, Domenghini e Riva, biglietto per il Messico prenotato.  Per ritrovare la Germania Est avremmo dovuto attendere quasi 12 anni e un&rsquo;amichevole a Udine, il 19 aprile 1981, in cui Bearzot schier&ograve; un&rsquo;Italia non sperimentale ma certo un po&rsquo; diversa da quella che aveva in mente per il Mondiale: Zoff, Gentile Cabrini, Tardelli, Vierchowod, Scirea, Bagni, Dossena, Graziani, Antognoni, Selvaggi. Uno 0-0 con una discreta prova degli azzurri e soprattutto di Dossena, ma la Nazionale venne lo stesso fischiata come accadeva in quasi tutta Italia tranne che a Torino. Anzi, a Udine con gli insulti si and&ograve; anche oltre e il friulano Bearzot rimase doppiamente deluso.    L&rsquo;Italia comunque si sarebbe qualificata al Mondiale 1982 senza brillare e in maniera abbastanza inspiegabile il 14 aprile proprio del 1982 fu organizzata un&rsquo;altra amichevole con i tedeschi orientali, questa volta a Lipsia. In quell&rsquo;occasione Bearzot schier&ograve; Zoff, Gentile, Marangon, Tardelli, Collovati, Scirea, Conti, Dossena, Graziani, Antognoni e Massaro. Era un&rsquo;amichevole, certo, ma arrivava un mese e mezzo dopo una batosta contro la Francia al Parco dei Principi e si sperava almeno di non perderla: invece l&rsquo;Italia formula Dossena-Antognoni, che intrigava Bearzot, era troppo leggera a centrocampo e fu travolta al di l&agrave; di quello che disse l&rsquo;1-0 finale con gol di Hause, visto che Zoff e nel secondo tempo Bordon fecero grandi parate e che Pommerenke prese anche una traversa. Fu in quell&rsquo;occasione che inizi&ograve; la storia azzurra del diciottenne Bergomi, entrato a mezzora dalla fine per Marangon. E fu anche l&rsquo;ultima volta in cui l&rsquo;Italia incroci&ograve; la Germania Est: davvero altri tempi, e al netto della nostalgia non &egrave; un complimento per quei tempi. 

Nel trentennale della caduta del Muro di Berlino ricordiamo le quattro partite che l&#39;Italia ha nella sua storia giocato contro la nazionale della DDR. Tutte a loro modo storiche...

La nostra Germania Est

La Germania ospiter&agrave; la fase finale dell&rsquo;Europeo 2024, l&rsquo;ha annunciato la UEFA e la notizia &egrave; stata tutto tranne che sorprendente, visto che l&rsquo;unico altro paese in corsa era la Turchia. Per la Germania una bella vittoria politica, dopo il disastro sportivo e umano (non solo per il caso Ozil) di Russia 2018, per la UEFA una significativa marcia indietro rispetto all&rsquo;Europeo itinerante del 2020: buona idea per soddisfare tanti appetiti, ma senza la magia del grande evento che paralizza un paese e lo fa sentire unico per quelle poche settimane: che senso ha disputare le partite dello stesso girone a Roma e a Baku?  L&rsquo;Esecutivo FIFA (17 votanti sui 20 aventi diritto: si sono astenuti il tedesco e il turco, era assente lo svedese) ha quindi scelto con un maggioranza schiacciante (12 voti a 4, un astenuto) la candidatura che aveva come uomo immagine Philipp Lahm, il capitano del vittorioso Mondiale 2014: la fase finale con le 24 squadre, introdotte da Francia 2016, sar&agrave; disputata in dieci citt&agrave;. Berlino, Dortmund, Monaco, Colonia, Francoforte, Dusseldorf, Gelsenkirchen, Amburgo, Lipsia e Stoccarda hanno tutte impianti gi&agrave; pronti, fra l&rsquo;onda lunga del Mondiale 2006 e la normalit&agrave; della Bundesliga, le infrastrutture sono&hellip; tedesche e il successo &egrave; annunciato. La UEFA ha quindi preferito andare sul sicuro per una manifestazione che in prospettiva potrebbe fare concorrenza al Mondiale, che con 16 europee su 48 partecipanti (dal 2026, ma non &egrave; stata ancora scongiurata l&rsquo;ipotesi 2022) ha deciso di suicidarsi nel nome di un &lsquo;uno vale uno&rsquo; che nello sport ha ancora meno senso che nella vita normale.  La Germania ha organizzato la fase finale dell&rsquo;Europeo soltanto una volta, nel 1988, quando ancora non era avvenuta la riunificazione fra Ovest ed Est, mentre con il Mondiale &egrave; a quota due (1974 e 2006) e con i Giochi Olimpici a tre (Giochi Estivi a Berlino 1936 e Monaco 1972, Invernali a Garmisch 1936). La vituperata Italia ha invece organizzato due edizioni degli Europei (1968 e 1980, mentre non sapremmo come classificare il 2020), due dei Mondiali (1934 e 1990) e tre Giochi Olimpici (Estivi di Roma 1960, Invernali di Cortina 1956 e Torino 2006). Insomma, non siamo da questo punto di vista un paese inferiore. Certo &egrave; che la linea politica-sportiva attuale, quella cio&egrave; di non gravare troppo sulla finanze del paese ospitante, favorisce in questo tipo di competizioni i paesi che le strutture ce le hanno gi&agrave; pronte.  Non bisogna sfuggire per&ograve; al discorso Turchia, paese che per lo sport i soldi li sa trovare ma dove i diritti umani non sono di casa. &Egrave; la quarta volta che si trova in corsa per l&rsquo;Europeo, dopo il 2008, il 2012 e il 2016, ed &egrave; la quarta volta che perde. Ma questa &egrave; indubbiamente la sconfitta pi&ugrave; amara, contro quella Germania piena di residenti e di calciatori turchi o tedesco-turchi che sta iniziando a riconsiderare la sua politica di apertura nei confronti di chi tanto aperto non &egrave;. Una singola partita, come la finale di Champions League (Istanbul 2005, Liverpool-Milan, ma l&igrave; si giocher&agrave; anche nel 2020), &egrave; una cosa, una intera manifestazione un&rsquo;altra. Come a dire: anche nel calcio siete europei ma non troppo. 

La candidatura tedesca ha avuto la meglio nella corsa a Euro 2024, grazie a considerazioni organizzative e anche strettamente politiche. Di sicuro il testimonial della manifestazione non sar&agrave; Ozil...

Germania pi&ugrave; europea della Turchia

Stanno per tornare le nazionali e le grandi deluse del Mondiale sono ancora l&igrave; ad analizzare i perch&eacute; del loro fallimento, secondo il famoso teorema di Julio Velasco (&ldquo;Chi vince festeggia, chi perde spiega&rdquo;). La pi&ugrave; delusa di tutte &egrave; probabilmente la Germania, che in Russia ha mostrato la sua peggiore versione di sempre non solo in base ai risultati (questo &egrave; oggettivo: mai era stata eliminata nel girone iniziale del torneo) ma anche a quanto trasmesso all&rsquo;esterno. Insomma, tutto tranne una squadra. Per questo la lettura della vicenda data dopo due mesi da Joachim L&ouml;w &egrave; stata deludente come il Mondiale.  Il commissario tecnico della nazionale tedesca, in carica dal 2006, campione nel 2014 e riconfermato fino al 2022, presentando la ripartenza della sua squadra (da brividi, contro la Francia in Nations League) ha quasi sorvolato sui tanti casi e si &egrave; preso buona parte delle colpe, affermando che &egrave; stato un errore puntare troppo sul possesso palla. Ricordando le tre partite in Russia il principale problema non sembra certo il possesso palla, ma semmai proprio il contrario: l&rsquo;incapacit&agrave; di trovare un equilibrio nonostante un 4-2-3-1 abbastanza&nbsp; classico e al tempo stesso la poca pericolosit&agrave; dei giocatori offensivi. Deludentissimi Werner e Ozil, anonimi quando sono stati impiegati M&uuml;ller, Reus, Draxler e Goretzka...  Non ci ricordavamo invece i dati esatti sul possesso palla e siamo allora andati a controllare: contro Il Messico, nella prima partita, persa 1-0, 60% a 40 per tedeschi (18-10 i tiri, 8-1 i corner), contro la Svezia, partita vinta all&rsquo;ultimo secondo con la punzione di Kroos, 71% a 29 (10 a 6 i tiri, 8 a 3 i corner), contro la Corea del Sud 69% a 31 (17-10 i tiri, 9-3 i corner) nella sconfitta per 2-0. Insomma, la Germania non ha avuto certo un atteggiamento tattico sbagliato e la rosa non era tanto peggio di quella del 2014 anche se Lahm, Schweinsteiger e Klose erano giocatori importanti.  Il problema, quasi ignorato di L&ouml;w anche a posteriori, &egrave; stato la coesione del gruppo e il recente scoop di Stern sulla divisione dello spogliatoio fra tedeschi per cos&igrave; dire veri e tedeschi per cos&igrave; dire acquisiti ha solo confermato l&rsquo;evidenza. Una squadra spaccata in due, dove nessuno di un gruppo (n&eacute; tantomeno degli &lsquo;indipendenti&rsquo;) ha fatto quei piccoli sacrifici che potevano mettere in buona luce qualcuno dell&rsquo;altro gruppo. Il c.t. rifiuta questa lettura, ma guarda caso nella sua prima uscita post-Mondiale non ci saranno n&eacute; Ozil, che si &egrave; tirato fuori da solo e adesso potr&agrave; farsi fotografare con Erdogan tutte le volte che vorr&agrave;, n&eacute; Khedira per il quale L&ouml;w ha parlato di decisione concordata. Il basso profilo tenuto dall&rsquo;allenatore &egrave; comprensibile: non vuole che la Germania, intesa come squadra di calcio sia strumentalizzata politicamente, come emblema positivo o negativo (a seconda delle proprie idee) del multiculturalismo. Ma non avere creato uno spogliatoio unito &egrave; soprattutto una colpa strettamente calcistica dell&rsquo;allenatore e il possesso palla non c&rsquo;entra. Difficile voltare davvero pagina, anche se con i giovani campioni Kehrer (madre del Burundi) e Havertz (tedesco al 100%) ci si prova. 

A due mesi dal disastro in Russia il commissario tecnico L&ouml;w non ha trovato di meglio che dare la colpa del risultato all&#39;eccesso di possesso palla. Poche parole su uno spogliatoio spaccato e giocatori senza qualit&agrave; o invecchiati male...

La peggiore Germania di sempre

Pensare alla Germania eliminata nella prima fase del Mondiale, dopo miliardi di articoli e servizi sulla grandezza del modello tedesco, sembrava un&rsquo;ipotesi da bar. E invece anche la nazionale di L&ouml;w ha avuto la sua Corea, perdendo contro una squadra virtualmente gi&agrave; eliminata ma che ha onorato il torneo con una prova eccezionale, sfiorando una quantit&agrave; industriale di gol in contropiede e vincendo per 2-0 grazie ai gol di Kim e Son nei minuti di recupero. Per la terza volta nelle ultime tre edizioni la squadra&nbsp; campione in carica viene buttata fuori subito e non &egrave; soltanto un curiosit&agrave; che coinvolge anche Italia e Spagna, ma gi&agrave; una parziale spiegazione del tracollo: il &lsquo;vecchio&rsquo; gruppo &egrave; senza stimoli (come due settimane fa aveva osservato con preoccupazione Oliver Bierhoff) e i nuovi non sono all&rsquo;altezza del recente passato, accontentandosi di eseguire il compitino.  Sembrava assurdo che dopo essere usciti miracolosamente vivi dalla partita con la Svezia, grazie alla prodezza di Kroos all&#39;ultimo respiro, i tedeschi si lasciassero sfuggire l&rsquo;occasione per passare il turno e magari finire nella mitica parte bassa del tabellone. E invece sono fuori dalle prime 16 del mondo per la prima volta nella loro storia (hanno partecipato a 19 edizioni su 21, considerando quella Ovest la vera Germania) e dalle prime 8 soltanto per la seconda. La squadra assemblata da L&ouml;w iniettando anche un po&rsquo; del sangue fresco della scorsa Confederations Cup, quello dei Goretzka e dei Werner, dei Kimmich e degli Hector, ha continuato con il suo tran tran convinta come tutti gli spettatori e gli scommettitori (la quota era 1,16) del mondo che alla fine il golletto necessario sarebbe arrivato per motivi di censo, di status, di vicinanza agli dei del calcio (o all&rsquo;Adidas). La palla giusta &egrave; capitata sulla testa di Hummels, ma lui l&#39;ha presa di spalla: fine.  L&rsquo;allenatore aveva provato a dare una scossa escludendo dall&rsquo;undici titolare Thomas M&uuml;ller, riciclando Khedira dopo la frattura al setto nasale per Rudy e puntando sulle invenzioni di Ozil, ma nessuno &egrave; sembrato rendersi conto della gravit&agrave; della situazione. Tutti a fare possesso palla e a giochicchiare, a volte anche rifiutando (plateale Ozil in pi&ugrave; occasioni) tiri per riaprire il gioco alla tedesca, come abbiamo visto fare milioni di volte da interpreti a volte pi&ugrave; bravi e sempre pi&ugrave; motivati. Va detto che un normale attaccante in forma sarebbe bastato a risolvere una partita del genere, ma ancora una volta Werner ha dimostrato di essere a un livello pi&ugrave; basso rispetto allo standard della Germania, mentre uscendo dalla panchina M&uuml;ller e Gomez hanno combinato poco.  Gli effetti di un Mondiale sono devastanti, a volte fanno perdere la ragione. Il fatto che la Svezia abbia buttato fuori Olanda, Italia e Germania non significa che il suo movimento sia superiore a quelli dei tre paesi citati, in particolare a quello tedesco dove il sistema di produzione di calciatori funziona a meraviglia ed ha formato una solida classe media. Insomma, la Germania non &egrave; finita contro gli uomini di Shin ma certo &egrave; che a questo Mondiale si &egrave; presentata con atteggiamento impiegatizio. Colpa anche di L&ouml;w, visto che la qualit&agrave; della rosa faceva comunque della sua squadra una delle favorite del torneo: ha rimescolato formazioni e tenuto sulla corda tutti, con il senno di poi la sua rivoluzione avrebbe dovuto essere ancora pi&ugrave; radicale, presentando la stessa Germania che port&ograve; in Russia l&rsquo;anno scorso. Senno di poi sempre discutibile, visto che l&#39;unico innesto a livelli di decenza &egrave; stato Kimmich. L&ouml;w ha gi&agrave; un accordo con la federazione fino al 2022, in pochi lo discuteranno dopo tutto ci&ograve; che ha fatto come risultati ma anche a livello filosofico. Dopo 16 anni da capo-allenatore (pi&ugrave; i 2 da vice di Klinsmann) e 165 partite il primo a non avere stimoli &egrave; per&ograve; forse lui.&nbsp; 

La pi&ugrave; spenta Germania di sempre non &egrave; riuscita per la prima volta nella sua storia ed entrare fra le prime 16 di un Mondiale. Costruire una solida classe media non significa avere 11 giocatori con il fuoco dentro...

Una Corea anche per i tedeschi

Che Mondiale sarebbe senza una Germania che riesce a ribaltare una situazione disperata? La punizione di Toni Kroos al quinto minuto di recupero contro la Svezia ha salvato i tedeschi da un&rsquo;eliminazione probabilissima ed &egrave; arrivata al termine di un secondo tempo alla tedesca, con scarsa ispirazione ma tanta voglia di perforare il blindatissimo 4-4-2 di Janne Anderssson che ha buttato fuori dal torneo Olanda e Italia. Di certo l&rsquo;attuale Germania non &egrave; nemmeno parente di quella che quattro anni fa ha il Mondiale l&rsquo;ha vinto, pur essendo a livello di nomi mezza squadra la stessa. E si &egrave; salvata anche grazie alla fortuna, alle parate del ritrovato Neuer (almeno due clamorose) e uno strano errore di Marciniak, che non ha concesso un evidente rigore su Berg (dormiva anche il VAR). Quando non si sa spiegare un fenomeno si tira in ballo il DNA, come se Neuer fosse in qualche modo ispirato da Maier, Kroos da Netzer, M&uuml;ller da Rummenigge, Gomez da Seeler: stupidaggini, forse, ma nel calcio identitario delle nazionali sono un po&rsquo; meno stupidaggini che in quello mercenario dei club.  La rimonta contro la Svezia sar&agrave; in prospettiva storica ricordata in base a quanta strada la Germania far&agrave; in questo Mondiale, ma come dinamica non &egrave; tanto diversa da altre grandi imprese nella manifestazione. La pi&ugrave; grande di tutte nella finale del 1954 a Berna, quella del miracolo: sotto di due gol contro la grande Ungheria di Puskas (azzoppato) e Hidegkuti e rimonta con Morlock pi&ugrave; doppietta di Rahn. In un ideale podio metteremmo anche la semifinale del 1982 a Siviglia contro la Francia di Platini, sotto di 3-1 ai supplementari (di Rummenigge e Fischer i gol della rimonta) e poi vittoria a i rigori dopo il 3-3, e il quarto di finale del 1970 a Leon contro l&rsquo;Inghilterra campione del mondo, che sul 2-0 si illuse di avere chiuso la partita ma poi vide i gol di Beckenbauer, Seeler e nei supplementari di Gerd M&uuml;ller.  Teniamo fuori altre pietre miliari delle rimonte mondiali come la finale 1974, con l&rsquo;Olanda per&ograve; avanti solo di un gol e la rimonta perfezionata gi&agrave; nel primo tempo dal rigore di Breitner e da Gerd M&uuml;ller, una partita dimenticata ma bellissima come quella con la Svezia nel girone di semifinale sempre nel 1974 (scandinavi in vantaggio, poi 2-2 dopo i gol di Overath e Bonhof, infine 4-2 sotto i colpi di Grabowski e Hoeness), gli ottavi del 1998 contro il Messico (Klinsmann e Bierhoff) e quelli del 2006 contro l&rsquo;Argentina (Klose). Non contiamo le imprese sfiorate, su tutte la semifinale del 1970 contro gli azzurri di Valcareggi con il famoso gol di Schnellinger e la finale del 1986 con l&rsquo;Argentina (2-2 raggiunto da Rummenigge e V&ouml;ller, prima della stoccata di Burruchaga lanciato da Maradona). Fino al 1990 bisogna doverosamente scrivere Ovest a fianco di Germania, ma ci siamo capiti. Insomma, nessuna grande nazionale, nemmeno quelle con pi&ugrave; titoli mondiali come Brasile e Italia, ha avuto questa capacit&agrave; di reagire alle situazioni negative che ha invece sempre avuto la Germania con squadre di generazioni e livello tecnico molto differenti. Non lo vogliamo chiamare DNA? Allora troviamo un&#39;altra parola. Dal miracolo di Berna a quello di Sochi, &egrave; sempre Germania. 

Contro la Svezia la Germania di L&ouml;w ha salvato la pelle al 95&#39; grazie alla punizione di Kroos, ma va detto che questo tipo di fortuna i tedeschi se lo vanno sempre a cercare. A prescindere dalle epoche storiche e dal valore dei singoli...

Dal miracolo di Berna a quello di Sochi

Il Telstar 18 in comune con lo storico Telstar della Coppa del mondo del 1970 ha pochissimo, dal punto di vista dei materiali. Per&ograve; la nostalgia &egrave; uno strumento di marketing potentissimo ed &egrave; per questo che il pallone ufficiale del Mondiale in Russia, al di l&agrave; del marchio (l&rsquo;eterno Adidas, architrave della FIFA fin dai tempi di Stanley Rous, che proprio dall&rsquo;Adidas di Horst Dassler fu defenestrato nel 1974 in favore di Havelange) ha lo stesso nome di quello usato da Domenghini e Clodoaldo. Il Telstar originale aveva un suo perch&eacute;, visto che il suo design con i pentagoni bianchi e neri aveva lo scopo di far vedere bene il pallone sui televisori, appunto in bianco e nero, che ai tempi erano la quasi totalit&agrave; dei televisori nel mondo. Il Telstar 18 &egrave; dal punto di vista tecnologico un&rsquo;evoluzione del Brazuca usato in Brasile, con tanto di chip, ma come design riprende un po&#39; quell&rsquo;emozionante bianco e nero, pur con un effetto grafico diverso: &egrave; in ogni caso qualcosa di nuovo.  La storia mondiale dei palloni pu&ograve; essere facilmente divisa in prima e dopo il Telstar, per non dire prima e dopo l&rsquo;Adidas. Prima, cio&egrave; fino a Inghilterra 1966 con gli Slazenger (nome che ai pi&ugrave; giovani evoca solo il tennis), i palloni erano scelti dal comitato organizzatore e quasi sempre premiavano un&rsquo;azienda locale, da Messico 1970 e soprattutto dall&rsquo;edizione successiva il rapporto si &egrave; invertito: lo sponsor tecnico (cio&egrave; Adidas), in virt&ugrave; dei soldi che pagava e paga ha imposto il suo modello senza una vera discussione (difficile contraddire chi ti paga). Quella del 1970 fu l&rsquo;edizione di transizione, perch&eacute; il Telstar con i suoi 32 pannelli era s&igrave; il pallone ufficiale, ma non fu usato in tutte le partite (nei famosi supplementari di Italia-Germania Ovest si gioc&ograve; con il Telstar, ma provate a guardare su You Tube con quale pallone Boninsegna segn&ograve; il primo gol&hellip;) , anche perch&eacute; l&rsquo;azienda aveva fornito in totale soltanto 20 palloni&hellip; Il Telstar e le sue varianti erano scesi in campo gi&agrave; nell&rsquo;Europeo vinto dall&rsquo;Italia nel 1968 e con piccole modifiche sarebbero arrivati fino all&rsquo;Europeo 1976: poi i vari Tango, Azteca, Etrusco, eccetera, avrebbero ogni quattro anni aggiunto (secondo le cartelle stampa) qualcosa al prodotto. 

Il pallone ufficiale del Mondiale russo riprende nel nome e in parte anche nel design quello famosissimo di Messico 1970 e di Germania 1974, quando alla FIFA inizi&ograve; l&#39;era Adidas...

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