Quando si parla di Johnny Rep si potrebbero interpellare i pi&ugrave; datati tifosi della Juventus, che sicuramente non hanno dimenticato quel ragazzino olandese che infranse i loro sogni europei in una notte di quasi cinquant&rsquo;anni fa. Il 30 maggio 1973, nella finale della Coppa dei Campioni giocata a Belgrado tra Ajax e Juve, fu proprio il biondo numero 16 a decidere la contesa: sulla palombella alzata dal vertice dell&rsquo;area dal difensore tedesco Horst Blankenburg, Rep salt&ograve; in testa al terzino bianconero Longobucco e scavalc&ograve; Zoff con una traiettoria beffarda. &ldquo;Non avevamo dormito per niente, sotto il nostro albergo a Belgrado c&rsquo;era il delirio. Avremmo dovuto essere nervosi solo che eravamo abituati a vincere&rdquo;.&nbsp;A 21 anni Rep mise il sigillo sulla terza coppa consecutiva vinta dal leggendario Ajax. Come da lui stesso ricordato, una squadra abituata a vincere e della quale &ndash; al pari di campioni come Cruijff, Krol e Neeskens &ndash; &egrave; stato assoluto protagonista.&nbsp; <h2>Le vittorie all&rsquo;Ajax</h2> Rep era gi&agrave; aggregato alla rosa dalla stagione precedente, quando gioc&ograve; un paio di gare in Coppa Campioni e una manciata in Eredivisie. Nel 1972-73 la consacrazione, come dimostrano i 17 centri in sole 25 presenze di campionato. Segna come una punta ma &egrave; un&rsquo;ala destra naturale, veloce e abile nel dribbling, caratteristiche alle quali unisce un tiro potente. Visti i suoi notevoli centimetri (187) non disdegna il gioco aereo, specialit&agrave; con la quale andr&agrave; a segno svariate volte in carriera. Abbonato a gol importanti &ndash; oltre alla rete nella finale con la Juve marchia il suo debutto in nazionale contro la Spagna, va a segno nella finale di andata della Supercoppa Uefa e si presenta anche nel ritorno della Coppa Intercontinentale, punendo con una doppietta l&rsquo;Independiente &ndash;, si dimostra un habitu&eacute; delle marcature multiple: saranno ben sette al termine della stagione. L&rsquo;asse con Cruijff funziona alla perfezione: il Profeta ispira, Rep segna. Nel 1972-73 l&rsquo;Ajax lascia per strada solo la coppa nazionale. &Egrave; per&ograve; l&rsquo;ultima stagione passata ad Amsterdam dal leggendario numero 14 (che poi torner&agrave; nel biennio 1981-83). Nell&rsquo;annata successiva, in cui i Lancieri centrano la Supercoppa Uefa, il De Meer si appresta a salutare anche Neskeens. Rep resta per un altro campionato prima di raggiungere i due ex compagni nella Liga. A differenza loro, che si sono accasati a Barcellona, per vestire la maglia del Valencia.&nbsp; <h2>La seconda parte di carriera e il titolo al Saint-&Eacute;tienne&nbsp;</h2> Al biennio con i Pipistrelli, ne segue un altro nel campionato francese, dove Rep gioca con il Bastia. Tutto questo prima di trasferirsi al Saint-&Eacute;tienne. Qui trova un&rsquo;altra leggenda del calcio: Michel Platini. Arriva in biancoverde dopo essersi distinto con ottime prestazioni individuali che non hanno per&ograve; portato titoli a livello collettivo. Se la prima annata termina con un terzo posto, quella successiva riporta in dote a Saint-&Eacute;tienne il titolo dopo cinque anni. Sono 14 le reti messe a segno dall&rsquo;olandese, divise in 12 gare che vedono i biancoverdi sempre uscire vittoriosi. Quello del 1980-81 &egrave; il decimo titolo per la squadra francese e resta oggi, a quarant&rsquo;anni di distanza, l&rsquo;ultimo storico campionato conquistato. Rimane a Saint-&Eacute;tienne fino al 1983, per poi tornare in Olanda dove chiuder&agrave; la carriera con un solo grande rimpianto: &ldquo;So con certezza di aver avuto la palla che poteva cambiare il destino e di averla mancata. E so che dopo aver sbagliato quel gol non mi sono preoccupato. Eravamo certi di poter cambiare risultato in qualsiasi momento&rdquo;. Riferito alla finale Mondiale persa contro la Germania Ovest nel 1974.

        Quando si parla di Johnny Rep si potrebbero interpellare i pi&ugrave; datati tifosi della Juventus, che sicuramente non hanno dimenticato quel ragazzino olandese che infranse i loro sogni europei in una notte di quasi cinquant&rsquo;anni fa. Il 30 maggio 1973, nella finale della Coppa dei Campioni giocata a Belgrado tra Ajax e Juve, fu proprio il biondo numero 16 a decidere la contesa: sulla palombella alzata dal vertice dell&rsquo;area dal difensore tedesco Horst Blankenburg, Rep salt&ograve; in testa al terzino bianconero Longobucco e scavalc&ograve; Zoff con una traiettoria beffarda. &ldquo;Non avevamo dormito per niente, sotto il nostro albergo a Belgrado c&rsquo;era il delirio. Avremmo dovuto essere nervosi solo che eravamo abituati a vincere&rdquo;.&nbsp;A 21 anni Rep mise il sigillo sulla terza coppa consecutiva vinta dal leggendario Ajax. Come da lui stesso ricordato, una squadra abituata a vincere e della quale &ndash; al pari di campioni come Cruijff, Krol e Neeskens &ndash; &egrave; stato assoluto protagonista.&nbsp; Le vittorie all&rsquo;Ajax Rep era gi&agrave; aggregato alla rosa dalla stagione precedente, quando gioc&ograve; un paio di gare in Coppa Campioni e una manciata in Eredivisie. Nel 1972-73 la consacrazione, come dimostrano i 17 centri in sole 25 presenze di campionato. Segna come una punta ma &egrave; un&rsquo;ala destra naturale, veloce e abile nel dribbling, caratteristiche alle quali unisce un tiro potente. Visti i suoi notevoli centimetri (187) non disdegna il gioco aereo, specialit&agrave; con la quale andr&agrave; a segno svariate volte in carriera. Abbonato a gol importanti &ndash; oltre alla rete nella finale con la Juve marchia il suo debutto in nazionale contro la Spagna, va a segno nella finale di andata della Supercoppa Uefa e si presenta anche nel ritorno della Coppa Intercontinentale, punendo con una doppietta l&rsquo;Independiente &ndash;, si dimostra un habitu&eacute; delle marcature multiple: saranno ben sette al termine della stagione. L&rsquo;asse con Cruijff funziona alla perfezione: il Profeta ispira, Rep segna. Nel 1972-73 l&rsquo;Ajax lascia per strada solo la coppa nazionale. &Egrave; per&ograve; l&rsquo;ultima stagione passata ad Amsterdam dal leggendario numero 14 (che poi torner&agrave; nel biennio 1981-83). Nell&rsquo;annata successiva, in cui i Lancieri centrano la Supercoppa Uefa, il De Meer si appresta a salutare anche Neskeens. Rep resta per un altro campionato prima di raggiungere i due ex compagni nella Liga. A differenza loro, che si sono accasati a Barcellona, per vestire la maglia del Valencia.&nbsp; La seconda parte di carriera e il titolo al Saint-&Eacute;tienne&nbsp; Al biennio con i Pipistrelli, ne segue un altro nel campionato francese, dove Rep gioca con il Bastia. Tutto questo prima di trasferirsi al Saint-&Eacute;tienne. Qui trova un&rsquo;altra leggenda del calcio: Michel Platini. Arriva in biancoverde dopo essersi distinto con ottime prestazioni individuali che non hanno per&ograve; portato titoli a livello collettivo. Se la prima annata termina con un terzo posto, quella successiva riporta in dote a Saint-&Eacute;tienne il titolo dopo cinque anni. Sono 14 le reti messe a segno dall&rsquo;olandese, divise in 12 gare che vedono i biancoverdi sempre uscire vittoriosi. Quello del 1980-81 &egrave; il decimo titolo per la squadra francese e resta oggi, a quarant&rsquo;anni di distanza, l&rsquo;ultimo storico campionato conquistato. Rimane a Saint-&Eacute;tienne fino al 1983, per poi tornare in Olanda dove chiuder&agrave; la carriera con un solo grande rimpianto: &ldquo;So con certezza di aver avuto la palla che poteva cambiare il destino e di averla mancata. E so che dopo aver sbagliato quel gol non mi sono preoccupato. Eravamo certi di poter cambiare risultato in qualsiasi momento&rdquo;. Riferito alla finale Mondiale persa contro la Germania Ovest nel 1974.       

Nato il 25 novembre di 70 anni fa, vinse con l&rsquo;Ajax del calcio totale prima di vivere una seconda parte di carriera in giro per l&rsquo;Europa. C&rsquo;&egrave; anche la sua firma sull&rsquo;ultimo storico titolo del Saint-&Eacute;tienne

Johnny Rep, la fenomenale ala olandese che giocò sia con Cruijff che con Platini

Mezzo secolo esatto &egrave; passato da quando l&rsquo;Ajax vinse la sua prima Coppa dei Campioni, contro il Panathinaikos al vecchio stadio di Wembley: un 2-0 firmato da Van Dijk (nessuna parentela con l&rsquo;attuale difensore del Liverpool) e Arie Haan, centrocampista che ai Mondiali del 1978 segner&agrave; a Dino Zoff uno dei due gol dell&rsquo;Olanda all&rsquo;Italia. Il 2 giugno del 1971, per&ograve;, l&rsquo;Ajax per la prima volta si mette sulla mappa del calcio europeo. &Egrave; la seconda squadra olandese a riuscirci dopo il Feyenoord l&rsquo;anno precedente, a conferma di un periodo d&rsquo;oro per il calcio oranje, iniziato proprio con l&rsquo;Ajax.&nbsp; <h2>La sconfitta contro il Milan e l&rsquo;arrivo di Cruijff</h2> Nel 1969, infatti, i Lancieri avevano subito una ripassata epocale dal Milan di Gianni Rivera in campo e Nereo Rocco in panchina nella finale del Santiago Bernabeu di Madrid: 4-1, con tripletta di Prati, mai come in quel caso &ldquo;Pierino la Peste&rdquo;. Per&ograve; gi&agrave; si vedevano i germogli di una squadra che non solo a livello di club, ma anche di nazionale, avrebbe dettato legge negli Anni Settanta. Tra la finale del 1969 e quella di Wembley cambiano cinque titolari su undici, mentre rimangono gli altri sei: Suurbier, Hulshoff, Vasovic, Swart, Keizer. &Egrave; ancora l&igrave;, ha solo modificato il numero di maglia, dalla 10 alla 14, la stella dell&rsquo;Ajax e di tutto il calcio olandese: il figlio con i piedi piatti della verduraia che lavorava vicino allo stadio dei Lancieri, Johan Cruijff. &Egrave; attorno a lui, al &ldquo;profeta del gol&rdquo;, che si snoda ogni manovra. &Egrave; su Cruijff che Rinus Michels, l&rsquo;allenatore che gi&agrave; c&rsquo;era nel 1969, ha impostato i suoi concetti di totaalvoetbal, di &ldquo;calcio totale&rdquo;, con i giocatori in grado di cambiare ruolo in campo automaticamente.&nbsp; <h2>La finale contro il Panathinaikos e il trionfo</h2> C&rsquo;&egrave; una marea verde a Londra quel 2 giugno. L&rsquo;avversario dell&rsquo;Ajax, infatti, &egrave; il Panathinaikos, rivelazione assoluta di quell&rsquo;edizione della Coppa Campioni: in campo nessuna vera stella, in panchina una leggenda come l&rsquo;ungherese Ferenc Puskas, che grazie a quell&rsquo;impresa verr&agrave; ricompensato dal Regime dei Colonnelli in Grecia con una montagna di bonus in denaro. Per&ograve; c&rsquo;&egrave; poco da fare contro una squadra che sfiora la perfezione, come l&rsquo;Ajax di Cruijff e di un ragazzino non ancora ventenne, che in quella finale gioca da terzino destro, ma che diventer&agrave; grandissimo da &ldquo;tuttocampista&rdquo;: Johan Neeskens. Uno che se la caverebbe bene anche nel baseball, sport abbastanza diffuso in Olanda, e che ha fatto addirittura uno stage negli Usa, ai Chicago Cubs, squadra professionista: poi per&ograve; sceglie il calcio semplicemente perch&eacute; gli piace di pi&ugrave;. Non c&rsquo;&egrave; bisogno dell&rsquo;apporto di Neeskens, comunque, contro il Pana: minuto 5, cross di Keizer da sinistra e incornata di Van Dijk, mentre nel secondo tempo magia di Cruijff per la corsa di Haan, che in scivolata segna il raddoppio. Un 2-0 che sta perfino stretto all&rsquo;Ajax, visto che i greci quasi non vedono palla. &Egrave; il primo trionfo europeo degli olandesi, che vinceranno anche le successive due edizioni, nelle finali contro Inter e Juventus. Rinus Michels, poi, andr&agrave; ad allenare la nazionale olandese, trasformandola in &ldquo;Arancia Meccanica&rdquo;. &nbsp;

        Mezzo secolo esatto &egrave; passato da quando l&rsquo;Ajax vinse la sua prima Coppa dei Campioni, contro il Panathinaikos al vecchio stadio di Wembley: un 2-0 firmato da Van Dijk (nessuna parentela con l&rsquo;attuale difensore del Liverpool) e Arie Haan, centrocampista che ai Mondiali del 1978 segner&agrave; a Dino Zoff uno dei due gol dell&rsquo;Olanda all&rsquo;Italia. Il 2 giugno del 1971, per&ograve;, l&rsquo;Ajax per la prima volta si mette sulla mappa del calcio europeo. &Egrave; la seconda squadra olandese a riuscirci dopo il Feyenoord l&rsquo;anno precedente, a conferma di un periodo d&rsquo;oro per il calcio oranje, iniziato proprio con l&rsquo;Ajax.&nbsp; La sconfitta contro il Milan e l&rsquo;arrivo di Cruijff  Nel 1969, infatti, i Lancieri avevano subito una ripassata epocale dal Milan di Gianni Rivera in campo e Nereo Rocco in panchina nella finale del Santiago Bernabeu di Madrid: 4-1, con tripletta di Prati, mai come in quel caso &ldquo;Pierino la Peste&rdquo;. Per&ograve; gi&agrave; si vedevano i germogli di una squadra che non solo a livello di club, ma anche di nazionale, avrebbe dettato legge negli Anni Settanta. Tra la finale del 1969 e quella di Wembley cambiano cinque titolari su undici, mentre rimangono gli altri sei: Suurbier, Hulshoff, Vasovic, Swart, Keizer. &Egrave; ancora l&igrave;, ha solo modificato il numero di maglia, dalla 10 alla 14, la stella dell&rsquo;Ajax e di tutto il calcio olandese: il figlio con i piedi piatti della verduraia che lavorava vicino allo stadio dei Lancieri, Johan Cruijff. &Egrave; attorno a lui, al &ldquo;profeta del gol&rdquo;, che si snoda ogni manovra. &Egrave; su Cruijff che Rinus Michels, l&rsquo;allenatore che gi&agrave; c&rsquo;era nel 1969, ha impostato i suoi concetti di totaalvoetbal, di &ldquo;calcio totale&rdquo;, con i giocatori in grado di cambiare ruolo in campo automaticamente.&nbsp; La finale contro il Panathinaikos e il trionfo  C&rsquo;&egrave; una marea verde a Londra quel 2 giugno. L&rsquo;avversario dell&rsquo;Ajax, infatti, &egrave; il Panathinaikos, rivelazione assoluta di quell&rsquo;edizione della Coppa Campioni: in campo nessuna vera stella, in panchina una leggenda come l&rsquo;ungherese Ferenc Puskas, che grazie a quell&rsquo;impresa verr&agrave; ricompensato dal Regime dei Colonnelli in Grecia con una montagna di bonus in denaro. Per&ograve; c&rsquo;&egrave; poco da fare contro una squadra che sfiora la perfezione, come l&rsquo;Ajax di Cruijff e di un ragazzino non ancora ventenne, che in quella finale gioca da terzino destro, ma che diventer&agrave; grandissimo da &ldquo;tuttocampista&rdquo;: Johan Neeskens. Uno che se la caverebbe bene anche nel baseball, sport abbastanza diffuso in Olanda, e che ha fatto addirittura uno stage negli Usa, ai Chicago Cubs, squadra professionista: poi per&ograve; sceglie il calcio semplicemente perch&eacute; gli piace di pi&ugrave;. Non c&rsquo;&egrave; bisogno dell&rsquo;apporto di Neeskens, comunque, contro il Pana: minuto 5, cross di Keizer da sinistra e incornata di Van Dijk, mentre nel secondo tempo magia di Cruijff per la corsa di Haan, che in scivolata segna il raddoppio. Un 2-0 che sta perfino stretto all&rsquo;Ajax, visto che i greci quasi non vedono palla. &Egrave; il primo trionfo europeo degli olandesi, che vinceranno anche le successive due edizioni, nelle finali contro Inter e Juventus. Rinus Michels, poi, andr&agrave; ad allenare la nazionale olandese, trasformandola in &ldquo;Arancia Meccanica&rdquo;. &nbsp;       

Nel 1971, a Wembley contro il Panathinaikos, la prima vittoria europea dei Lancieri trascinati da Johan Cruijff: ne arriveranno altre due consecutive

Ajax, 50 anni fa il primo storico trionfo in Coppa dei Campioni

Ventidue anni e poco pi&ugrave; di 70 presenze in Serie B con la sua Hellas Verona. Ma pure l&rsquo;oro nell&rsquo;Europeo Under 21 e gli occhi di tante big su un campionato che all&rsquo;epoca sfornava piccoli campioni. Si presenta sottovoce Damiano Tommasi nella calda estate del 1996 in una Roma stravolta dall&rsquo;arrivo di Bianchi e col caso Totti pi&ugrave; bollente che mai. Con la faccia pulita, poche parole e tanti ricci in testa. Quasi una mosca bianca nel circo del calcio. Si &egrave; preso sonori fischi, forti applausi e uno scudetto da assoluto protagonista. Ha convinto Zeman, Capello e Spalletti. &Egrave; diventato un&rsquo;icona del calcio pulito tanto da ridursi l&rsquo;ingaggio a 1500 euro al mese dopo un pauroso crack nel 2004 in cui si ruppe tutto ci&ograve; che un calciatore si poteva rompere: crociato anteriore, crociato posteriore, collaterale mediale esterno e interno, due menischi, i condili e il piatto tibiale. Ha rifiutato altre maglie italiane e concluso la carriera tra Spagna, Inghilterra e Cina. Oggi ha 46 anni, sei figli, una scuola, tante passioni e un libro da pubblicare proprio sulla storia della Roma. Ha lasciato la poltrona di presidente dell&rsquo;Associazione Calciatori, ma non l&rsquo;amore per il calcio. E a sentirlo parlare il calcio avrebbe di nuovo bisogno di lui. Partiamo dalla scuola, come procede? &quot;Pochi giorni fa abbiamo festeggiato i 20 anni della sua costituzione (il progetto educativo bilingue &egrave; su bambiebimbi.it). Tre dei miei figli ne avevano frequentato una simile in Spagna, a Valencia, dove io giocavo nel Levante. Abbiamo asilo nido, scuola dell&rsquo;infanzia, primaria e media. Trecentoquindici iscritti e centinaia di richieste di iscrizione. Da laureato sono dirigente scolastico. Ma mica faccio solo quello&quot;. Parliamone. &quot;Sono presidente e giocatore del Sant&rsquo;Anna in seconda categoria anche se il campionato &egrave; fermo per il Covid e devo dire che mi manca maledettamente indossare i pantaloncini. Poi c&rsquo;&egrave; il tamburello, la produzione di vini veneti, sto attento a ci&ograve; che accadr&agrave; alle prossime elezioni. E infine la mia carriera da scrittore (ride, ndr)&quot;. Di che si tratta? &quot;Dall&rsquo;editore Gribaudo per Feltrinelli mi hanno chiesto di raccontare 50 campioni della Roma, un po&rsquo; come ha fatto anche Demetrio Albertini per il Milan. Il libro uscir&agrave; il 29 aprile, quindi ci siamo. Ci sono tanti aneddoti personali e alcuni spunti che credo interessanti. Non &egrave; la prima opera che scrivo&quot;. Cinquanta campioni, molti li ha vissuti da vicino. Quale &egrave; stato quello a cui &egrave; ancora oggi pi&ugrave; legato? &quot;Ho conosciuto persone meravigliose come Aldair o Cafu, ma quelli con cui ho legato di pi&ugrave; anche dopo la fine della carriera sono stati senza dubbio Delvecchio e Perrotta. Con Simone ho condiviso pi&ugrave; dopo la Roma che durante. Cassano &egrave; quello che mi ha fatto pi&ugrave; arrabbiare, poteva fare sempre la differenza. Sempre. Poi ora ho capito che &egrave; un errore provare a cambiarlo&quot;. E quello di epoche prima della sua e anche dopo con cui avrebbe voluto giocare? &quot;Mi sarebbe piaciuto giocare nella Roma di Liedholm, per la filosofia e per il modo in cui si viveva il calcio. E poi avrei voluto avere l&rsquo;onore di affiancare Giacomo Losi che &egrave; stato uno dei fondatori dell&rsquo;Associazione Calciatori e un grande giocatore. Ci ho parlato spesso a Trigoria&quot;. <a href="https://www.guerinsportivo.it/news/il-cuoio/2021/03/30-4071204/quando_giacomino_losi_divenne_core_de_roma_/">Quando Giacomino Losi divenne &ldquo;Core de Roma&rdquo;</a> Si gioca Roma-Ajax. Nel 1997 era solo un&rsquo;amichevole ma cambi&ograve; parte del destino giallorosso. Ci ricorda lei perch&eacute;? &quot;Perch&eacute; segnai di rovesciata nell&rsquo;altra partita del triangolare contro il Borussia M&ouml;nchengladbach e poi perch&eacute; conservai la maglia numero 14 dell&rsquo;Ajax senza nome che &egrave; messa bene in primo piano nel mio ufficio. Quando sono andato ad Amsterdam anni dopo in Champions capii ancora meglio il mito di Cruijff&quot;. Ok, e poi? &quot;Scherzo ovviamente. Quello era provino per Totti anche se fa sorridere chiamarlo cos&igrave;. Segn&ograve; due grandi gol e tutto si mise a tacere. Era il mio primo anno a Roma, venivo dalla B e non conoscevo bene le dinamiche che avevano portato a quello scontro con Carlos Bianchi. Ricordo che non era una sera normale e che si parlava di Litmanen al suo posto. Da quel giorno in poi &egrave; cambiato tutto e mi &egrave; toccato correre per lui per 10 anni&quot;. Poi Zeman e Capello, come ha fatto a convincerli entrambi? &quot;Col boemo fu facile. Mi voleva gi&agrave; quando era alla Lazio e mi r trov&ograve; alla Roma. Il mio modo di giocare sposava il suo credo e a lui sono rimasto sempre molto affezionato. Con Capello &egrave; stato un altro percorso, forse non ero l&rsquo;ideale per lui come centrocampista, ma l&rsquo;ho avuto per 5 anni e per me fu una sfida avvincente. Ho giocato in quella posizione e in una Roma piena di campioni. Un esame importante&quot;. Nel 2001 la consacrazione. Capello disse che era stato pi&ugrave; decisivo di Batistuta o Totti. &quot;Eravamo rimasti solo in due a centrocampo a inizio stagione visti gli infortuni ad Emerson e Assuncao. Tocc&ograve; a me e Zanetti e alla fine non and&ograve; male dai. Lo scudetto ancora me lo ricordano quando torno a Roma, vuol dire purtroppo che si &egrave; vinto poco dopo, ma i Friedkin mi pare abbiano le idee chiare&quot;. Nel 2004 fu l&rsquo;unico calciatore di Serie A a guadagnare 1500 euro al mese. &quot;L&rsquo;infortunio che avevo rimediato con lo Stoke City fu terribile. Dopo aver avuto l&rsquo;ok medico volevoprovare a tornare a essere un calciatore. Non avrei voluto far correre rischi economici alla Roma. Quindi mi sono deciso di fare il contratto, lasciando perdere il discorso economico&quot;. A proposito di semifinali. Ha visto sfumare due volte quella Uefa. Ha bruciato di pi&ugrave; l&rsquo;eliminazione nel &rsquo;98 con l&rsquo;Atletico o quella col Liverpool nel 2001, visti gli arbitraggi? &quot;Vincere ad Anfield e non passare il turno ha bruciato molto, potevamo vincerla quella coppa. E fu una delle poche volte che mi arrabbiai con un arbitro (Garcia Aranda, ndr), l&rsquo;altra volta fu con Moreno al Mondiale di Corea-Giappone. Ma io vedo il lato positivo: come per l&rsquo;Inter quest&rsquo;anno anche quella Roma una volta uscita dalle coppe si &egrave; potuta concentrare solo sul campionato e l&rsquo;ha vinto. Con l&rsquo;Atletico qualche episodio ci ha penalizzato ma tutto sommato avevano meritato&quot;. Dieci anni di Roma e c&rsquo;&egrave; stato anche il periodo in cui veniva fischiato. &quot;&Egrave; stato un periodo abbastanzaclungo a dire il vero. Non ero apprezzato, ma un professionista deve concentrarsi su quello che sa fare e basta. Non si pu&ograve; piacere a tutti anche se a volte andrebbero moderati i termini. C&rsquo;&egrave; chi &egrave; abituato a tapparsi le orecchie, chi trova la carica, chi ci resta male. Non so quale sia la pi&ugrave; giusta&quot;. Oggi gli insulti arrivano soprattutto via social. &quot;Bisogna educare digitalmente i ragazzi. In questo siamo indietro. Io collaboro con una NoProfit che si occupa di sensibilizzazione sui social. Da genitori vogliamo che i nostri figli si comportino bene quando escono di casa, oggi si esce virtualmente sui social e l&igrave; &egrave; pi&ugrave; difficile controllarli. Ma bisogna avere la stessa attenzione, perch&eacute; quello spazio &egrave; ancora pi&ugrave; grande e pericoloso&quot;.

Ventidue anni e poco pi&ugrave; di 70 presenze in Serie B con la sua Hellas Verona. Ma pure l&rsquo;oro nell&rsquo;Europeo Under 21 e gli occhi di tante big su un campionato che all&rsquo;epoca sfornava piccoli campioni. Si presenta sottovoce Damiano Tommasi nella calda estate del 1996 in una Roma stravolta dall&rsquo;arrivo di Bianchi e col caso Totti pi&ugrave; bollente che mai. Con la faccia pulita, poche parole e tanti ricci in testa. Quasi una mosca bianca nel circo del calcio. Si &egrave; preso sonori fischi, forti applausi e uno scudetto da assoluto protagonista. Ha convinto Zeman, Capello e Spalletti. &Egrave; diventato un&rsquo;icona del calcio pulito tanto da ridursi l&rsquo;ingaggio a 1500 euro al mese dopo un pauroso crack nel 2004 in cui si ruppe tutto ci&ograve; che un calciatore si poteva rompere: crociato anteriore, crociato posteriore, collaterale mediale esterno e interno, due menischi, i condili e il piatto tibiale. Ha rifiutato altre maglie italiane e concluso la carriera tra Spagna, Inghilterra e Cina. Oggi ha 46 anni, sei figli, una scuola, tante passioni e un libro da pubblicare proprio sulla storia della Roma. Ha lasciato la poltrona di presidente dell&rsquo;Associazione Calciatori, ma non l&rsquo;amore per il calcio. E a sentirlo parlare il calcio avrebbe di nuovo bisogno di lui.  Partiamo dalla scuola, come procede?  &quot;Pochi giorni fa abbiamo festeggiato i 20 anni della sua costituzione (il progetto educativo bilingue &egrave; su bambiebimbi.it). Tre dei miei figli ne avevano frequentato una simile in Spagna, a Valencia, dove io giocavo nel Levante. Abbiamo asilo nido, scuola dell&rsquo;infanzia, primaria e media. Trecentoquindici iscritti e centinaia di richieste di iscrizione. Da laureato sono dirigente scolastico. Ma mica faccio solo quello&quot;.  Parliamone.  &quot;Sono presidente e giocatore del Sant&rsquo;Anna in seconda categoria anche se il campionato &egrave; fermo per il Covid e devo dire che mi manca maledettamente indossare i pantaloncini. Poi c&rsquo;&egrave; il tamburello, la produzione di vini veneti, sto attento a ci&ograve; che accadr&agrave; alle prossime elezioni. E infine la mia carriera da scrittore (ride, ndr)&quot;.  Di che si tratta?  &quot;Dall&rsquo;editore Gribaudo per Feltrinelli mi hanno chiesto di raccontare 50 campioni della Roma, un po&rsquo; come ha fatto anche Demetrio Albertini per il Milan. Il libro uscir&agrave; il 29 aprile, quindi ci siamo. Ci sono tanti aneddoti personali e alcuni spunti che credo interessanti. Non &egrave; la prima opera che scrivo&quot;.  Cinquanta campioni, molti li ha vissuti da vicino. Quale &egrave; stato quello a cui &egrave; ancora oggi pi&ugrave; legato?  &quot;Ho conosciuto persone meravigliose come Aldair o Cafu, ma quelli con cui ho legato di pi&ugrave; anche dopo la fine della carriera sono stati senza dubbio Delvecchio e Perrotta. Con Simone ho condiviso pi&ugrave; dopo la Roma che durante. Cassano &egrave; quello che mi ha fatto pi&ugrave; arrabbiare, poteva fare sempre la differenza. Sempre. Poi ora ho capito che &egrave; un errore provare a cambiarlo&quot;.  E quello di epoche prima della sua e anche dopo con cui avrebbe voluto giocare?  &quot;Mi sarebbe piaciuto giocare nella Roma di Liedholm, per la filosofia e per il modo in cui si viveva il calcio. E poi avrei voluto avere l&rsquo;onore di affiancare Giacomo Losi che &egrave; stato uno dei fondatori dell&rsquo;Associazione Calciatori e un grande giocatore. Ci ho parlato spesso a Trigoria&quot;.  Quando Giacomino Losi divenne &ldquo;Core de Roma&rdquo;  Si gioca Roma-Ajax. Nel 1997 era solo un&rsquo;amichevole ma cambi&ograve; parte del destino giallorosso. Ci ricorda lei perch&eacute;?  &quot;Perch&eacute; segnai di rovesciata nell&rsquo;altra partita del triangolare contro il Borussia M&ouml;nchengladbach e poi perch&eacute; conservai la maglia numero 14 dell&rsquo;Ajax senza nome che &egrave; messa bene in primo piano nel mio ufficio. Quando sono andato ad Amsterdam anni dopo in Champions capii ancora meglio il mito di Cruijff&quot;.  Ok, e poi?  &quot;Scherzo ovviamente. Quello era provino per Totti anche se fa sorridere chiamarlo cos&igrave;. Segn&ograve; due grandi gol e tutto si mise a tacere. Era il mio primo anno a Roma, venivo dalla B e non conoscevo bene le dinamiche che avevano portato a quello scontro con Carlos Bianchi. Ricordo che non era una sera normale e che si parlava di Litmanen al suo posto. Da quel giorno in poi &egrave; cambiato tutto e mi &egrave; toccato correre per lui per 10 anni&quot;.  Poi Zeman e Capello, come ha fatto a convincerli entrambi?  &quot;Col boemo fu facile. Mi voleva gi&agrave; quando era alla Lazio e mi r trov&ograve; alla Roma. Il mio modo di giocare sposava il suo credo e a lui sono rimasto sempre molto affezionato. Con Capello &egrave; stato un altro percorso, forse non ero l&rsquo;ideale per lui come centrocampista, ma l&rsquo;ho avuto per 5 anni e per me fu una sfida avvincente. Ho giocato in quella posizione e in una Roma piena di campioni. Un esame importante&quot;.  Nel 2001 la consacrazione. Capello disse che era stato pi&ugrave; decisivo di Batistuta o Totti.  &quot;Eravamo rimasti solo in due a centrocampo a inizio stagione visti gli infortuni ad Emerson e Assuncao. Tocc&ograve; a me e Zanetti e alla fine non and&ograve; male dai. Lo scudetto ancora me lo ricordano quando torno a Roma, vuol dire purtroppo che si &egrave; vinto poco dopo, ma i Friedkin mi pare abbiano le idee chiare&quot;.  Nel 2004 fu l&rsquo;unico calciatore di Serie A a guadagnare 1500 euro al mese.  &quot;L&rsquo;infortunio che avevo rimediato con lo Stoke City fu terribile. Dopo aver avuto l&rsquo;ok medico volevoprovare a tornare a essere un calciatore. Non avrei voluto far correre rischi economici alla Roma. Quindi mi sono deciso di fare il contratto, lasciando perdere il discorso economico&quot;.  A proposito di semifinali. Ha visto sfumare due volte quella Uefa. Ha bruciato di pi&ugrave; l&rsquo;eliminazione nel &rsquo;98 con l&rsquo;Atletico o quella col Liverpool nel 2001, visti gli arbitraggi?  &quot;Vincere ad Anfield e non passare il turno ha bruciato molto, potevamo vincerla quella coppa. E fu una delle poche volte che mi arrabbiai con un arbitro (Garcia Aranda, ndr), l&rsquo;altra volta fu con Moreno al Mondiale di Corea-Giappone. Ma io vedo il lato positivo: come per l&rsquo;Inter quest&rsquo;anno anche quella Roma una volta uscita dalle coppe si &egrave; potuta concentrare solo sul campionato e l&rsquo;ha vinto. Con l&rsquo;Atletico qualche episodio ci ha penalizzato ma tutto sommato avevano meritato&quot;.  Dieci anni di Roma e c&rsquo;&egrave; stato anche il periodo in cui veniva fischiato.  &quot;&Egrave; stato un periodo abbastanzaclungo a dire il vero. Non ero apprezzato, ma un professionista deve concentrarsi su quello che sa fare e basta. Non si pu&ograve; piacere a tutti anche se a volte andrebbero moderati i termini. C&rsquo;&egrave; chi &egrave; abituato a tapparsi le orecchie, chi trova la carica, chi ci resta male. Non so quale sia la pi&ugrave; giusta&quot;.  Oggi gli insulti arrivano soprattutto via social.  &quot;Bisogna educare digitalmente i ragazzi. In questo siamo indietro. Io collaboro con una NoProfit che si occupa di sensibilizzazione sui social. Da genitori vogliamo che i nostri figli si comportino bene quando escono di casa, oggi si esce virtualmente sui social e l&igrave; &egrave; pi&ugrave; difficile controllarli. Ma bisogna avere la stessa attenzione, perch&eacute; quello spazio &egrave; ancora pi&ugrave; grande e pericoloso&quot;.   

Parla l&#39;Anima Candida giallorossa: &quot;Per 10 anni ho corso per Totti. Che delusioni contro Atletico Madrid e Liverpool&quot;

La Roma da sogno di Damiano Tommasi

Ecco l'intervista all'ex centrocampista giallorosso

Roma, Tommasi: "Nel mio ufficio conservo la 14 dell'Ajax" - Ascolta il podcast

L&rsquo;Ajax &egrave; diventato campione d&rsquo;Olanda a pochi giorni dal suicidio in Champions League contro il Tottenham. Per vincere questo titolo la squadra di Amsterdam ha dovuto battere in trasferta il De Graafschap all&rsquo;ultima giornata, in una partita che ha avuto anche momenti di tensione, terminando a pari punti con il PSV Eindhoven ma superandolo grazie a una clamorosa differenza reti: alla fine pi&ugrave; 87 contro il pi&ugrave; 72 del PSV, con 119 gol segnati che significano esattamente 3,5 gol a partita. Tantissimo, anche per gli standard dell&rsquo;Eredivisie. Si chiude quindi con questo trionfo l&rsquo;era di Frenkie de Jong, iniziata 4 anni fa con il suo acquisto dal Willem II per un milione di euro e conclusa con il suo passaggio al Barcellona per 75 (di cui 7,5, il 10%, andranno proprio al Willem II secondo gli accordi del 2015). Al di l&agrave; delle tante cose che si sono dette di una squadra che ha incantato l&rsquo;Europa con tre quarti dei giocatori cresciuti in casa o presi giovanissimi (come De Jong, a 18 anni), troviamo notevole il fatto che l&rsquo;Ajax sia tornato a vincere il campionato olandese dopo cinque anni. Forse l&rsquo;Eredivisie non &egrave; cos&igrave; modesta come pensiamo anche noi che la seguiamo, o forse si lascia ai giovani il tempo di crescere. Se pensiamo all&rsquo;Ajax campione 2013-14, allenato da Frank De Boer (che chiuse nel 2016 con una Eredivisie clamorosamente sfuggita all&#39;ultima giornata), fra i titolari dei giocatori attuali troviamo solo Daley Blind (che quell&rsquo;estate sarebbe passato al Manchester United, da cui &egrave; tornato l&rsquo;anno scorso) e Lasse Sch&ouml;ne. Insomma, totalmente un&rsquo;altra squadra, anche nei rincalzi. Era la squadra dei Klaassen, dei Van Rhijn, dei Poulsen, dei Sigborsson, dei Cillessen, dei Serero, dei Fischer: non esattamente giocatori in cima alla lista dei desideri dei top club, anche se Klaassen (ora al Werder Brema dopo un anno all&rsquo;Everton) prometteva di pi&ugrave; e Cillessen &egrave; s&igrave; nel Barcellona ma da riserva. In sostanza il sistema Ajax, dal reclutamento alla formazione, &egrave; lo stesso da decenni mentre ad essere diversi sono i prodotti finali. I De Jong, i De Ligt e i Van de Beek non si possono programmare: magari fuori dal mondo Ajax saranno ridimensionati, ma al momento sembrano essere giocatori che segneranno un&rsquo;epoca della nazionale olandese. E quindi? Il dovere di una societ&agrave; seria, come &egrave; l&rsquo;Ajax, in un calcio giusto (come non &egrave; quello della Champions League, tendente all&rsquo;oligopolio), sarebbe quello di costruirsi in casa la sua classe media aspettando il campione che ogni tanto statisticamente arriva.

L&rsquo;Ajax &egrave; diventato campione d&rsquo;Olanda a pochi giorni dal suicidio in Champions League contro il Tottenham. Per vincere questo titolo la squadra di Amsterdam ha dovuto battere in trasferta il De Graafschap all&rsquo;ultima giornata, in una partita che ha avuto anche momenti di tensione, terminando a pari punti con il PSV Eindhoven ma superandolo grazie a una clamorosa differenza reti: alla fine pi&ugrave; 87 contro il pi&ugrave; 72 del PSV, con 119 gol segnati che significano esattamente 3,5 gol a partita. Tantissimo, anche per gli standard dell&rsquo;Eredivisie. Si chiude quindi con questo trionfo l&rsquo;era di Frenkie de Jong, iniziata 4 anni fa con il suo acquisto dal Willem II per un milione di euro e conclusa con il suo passaggio al Barcellona per 75 (di cui 7,5, il 10%, andranno proprio al Willem II secondo gli accordi del 2015).  Al di l&agrave; delle tante cose che si sono dette di una squadra che ha incantato l&rsquo;Europa con tre quarti dei giocatori cresciuti in casa o presi giovanissimi (come De Jong, a 18 anni), troviamo notevole il fatto che l&rsquo;Ajax sia tornato a vincere il campionato olandese dopo cinque anni. Forse l&rsquo;Eredivisie non &egrave; cos&igrave; modesta come pensiamo anche noi che la seguiamo, o forse si lascia ai giovani il tempo di crescere. Se pensiamo all&rsquo;Ajax campione 2013-14, allenato da Frank De Boer (che chiuse nel 2016 con una Eredivisie clamorosamente sfuggita all&#39;ultima giornata), fra i titolari dei giocatori attuali troviamo solo Daley Blind (che quell&rsquo;estate sarebbe passato al Manchester United, da cui &egrave; tornato l&rsquo;anno scorso) e Lasse Sch&ouml;ne. Insomma, totalmente un&rsquo;altra squadra, anche nei rincalzi. Era la squadra dei Klaassen, dei Van Rhijn, dei Poulsen, dei Sigborsson, dei Cillessen, dei Serero, dei Fischer: non esattamente giocatori in cima alla lista dei desideri dei top club, anche se Klaassen (ora al Werder Brema dopo un anno all&rsquo;Everton) prometteva di pi&ugrave; e Cillessen &egrave; s&igrave; nel Barcellona ma da riserva.  In sostanza il sistema Ajax, dal reclutamento alla formazione, &egrave; lo stesso da decenni mentre ad essere diversi sono i prodotti finali. I De Jong, i De Ligt e i Van de Beek non si possono programmare: magari fuori dal mondo Ajax saranno ridimensionati, ma al momento sembrano essere giocatori che segneranno un&rsquo;epoca della nazionale olandese. E quindi? Il dovere di una societ&agrave; seria, come &egrave; l&rsquo;Ajax, in un calcio giusto (come non &egrave; quello della Champions League, tendente all&rsquo;oligopolio), sarebbe quello di costruirsi in casa la sua classe media aspettando il campione che ogni tanto statisticamente arriva. 

Dopo il suicidio nelle semifinali di Champions League l&#39;Ajax ha conquistato un titolo olandese che gli mancava dal 2014. Un campionato che sar&agrave; ricordato come l&#39;ultimo dei suoi giovani fenomeni tutti insieme...

L&#39;ultima Eredivisie di Frenkie de Jong

Dopo avere eliminato Real Madrid e Juventus dalla Champions League l&rsquo;Ajax &egrave; la squadra del momento, ispirando confronti storici forse esagerati per un gruppo di giocatori che l&rsquo;anno scorso nemmeno ha vinto l&rsquo;Eredivisie e che quest&rsquo;anno se la sta giocando punto a punto con il PSV. La vera domanda &egrave; per&ograve; questa: si pu&ograve; parlare di progetto Ajax? Vediamo chi c&rsquo;era in campo a Torino contro la Juventus. In porta Andr&eacute; Onana, che da ragazzino promettente pass&ograve; dal Camerun alle giovanili del Barcellona e che nell&rsquo;Ajax ci &egrave; arrivato a 18 anni, diventando titolare nell&rsquo;Ajax vero due anni dopo, nel 2016, sotto la gestione di Peter Bosz. Non un purissimo prodotto del vivaio, ma certo un giovane che l&rsquo;Ajax ha avuto il merito di lanciare. Sulla fascia destra ha giocato Jo&euml;l Veltman, del quale a 27 anni si pu&ograve; dire che non sia un fenomeno ma che conosce bene i meccanismi dell&rsquo;Ajax e che soprattutto veste ininterrottamente questa maglia dal 2001, cio&egrave; da quando aveva 9 anni. Una storia iniziata prima di quella di Totti alla Roma&hellip; Anche Matthijs De Ligt &egrave; entrato nel settore giovanile dell&rsquo;Ajax a 9 anni: adesso ne ha quasi 20 ed &egrave; uno dei migliori difensori centrali del mondo, gi&agrave; punto fermo della nazionale maggiore guidata da Ronald Koeman. Ancora pi&ugrave; precoce il figlio d&rsquo;arte Daley Blind, che nell&rsquo;Ajax &egrave; arrivato ad 8 anni. Tornato a casa dopo un quadriennio di luci e ombre al Manchester United, non ha dimenticato certe lezioni. A completare la difesa titolare vista all&rsquo;Allianz Stadium il marocchino, ma olandese di nascita, Noussair Mazraoui: anche lui, come Veltman e De Ligt, nell&rsquo;Ajax ci &egrave; entrato a 9 anni (nel 2006). Per trovare il primo non lanciato da ragazzo dall&rsquo;Ajax bisogna arrivare al danese Lasse Sch&ouml;ne e a centrocampo, mentre il compagno di reparto Frenkie De Jong &egrave; un prodotto del sistema giovanile del Willem II ma &egrave; stato lanciato nel calcio che conta dall&rsquo;Ajax a 19 anni, tre stagioni fa. Sembra un veterano ed il prezzo &egrave; comunque da stella: 75 milioni di euro che il Barcellona ha ben speso. Davanti a Sch&ouml;ne e De Jong si &egrave; mosso Donny van de Beek, che di De Jong &egrave; praticamente gemello anche se lui tutta la sua vita calcistica l&rsquo;ha vissuta nell&rsquo;Ajax, dove &egrave; entrato a 11 anni. Hakim Ziyech &egrave; come Mazraoui un marocchino nato in Olanda e all&rsquo;Ajax ci &egrave; arrivato giovane, a 23 anni dal Twente, ma certo non bambino. A sinistra in attacco ha giocato il brasiliano David Neres, altro uomo-mercato, che nel sistema Ajax ci &egrave; arrivato a 20 anni dalla nat&igrave;a San Paolo, mentre al centro si &egrave; mosso Du&scaron;an Tadi?: il serbo &egrave; arrivato ad Amsterdam solo la scorsa estate dal Southampton, alla bella et&agrave; di 30 anni. Sembra per&ograve; che giochi nell&rsquo;Ajax fin dai tempi di Cruijff. Ricapitolando: degli undici titolari di Torino cinque sono entrati nell&rsquo;Ajax quando frequentavano le scuole elementari, tre sono stati lanciati dall&rsquo;Ajax poco pi&ugrave; che adolescenti e solo tre sono stati presi sul mercato. &Egrave; un delitto che squadre cos&igrave; non possano rimanere insieme per cicli pi&ugrave; lunghi, ma va detto che non &egrave; tutta colpa dei grandi club cattivi visto che non c&rsquo;era alcuna necessit&agrave; di cedere De Jong e non ce ne sar&agrave; alcuna nel cedere i suoi compagni.

Dopo avere eliminato Real Madrid e Juventus dalla Champions League l&rsquo;Ajax &egrave; la squadra del momento, ispirando confronti storici forse esagerati per un gruppo di giocatori che l&rsquo;anno scorso nemmeno ha vinto l&rsquo;Eredivisie e che quest&rsquo;anno se la sta giocando punto a punto con il PSV. La vera domanda &egrave; per&ograve; questa: si pu&ograve; parlare di progetto Ajax? Vediamo chi c&rsquo;era in campo a Torino contro la Juventus.  In porta Andr&eacute; Onana, che da ragazzino promettente pass&ograve; dal Camerun alle giovanili del Barcellona e che nell&rsquo;Ajax ci &egrave; arrivato a 18 anni, diventando titolare nell&rsquo;Ajax vero due anni dopo, nel 2016, sotto la gestione di Peter Bosz. Non un purissimo prodotto del vivaio, ma certo un giovane che l&rsquo;Ajax ha avuto il merito di lanciare.  Sulla fascia destra ha giocato Jo&euml;l Veltman, del quale a 27 anni si pu&ograve; dire che non sia un fenomeno ma che conosce bene i meccanismi dell&rsquo;Ajax e che soprattutto veste ininterrottamente questa maglia dal 2001, cio&egrave; da quando aveva 9 anni. Una storia iniziata prima di quella di Totti alla Roma&hellip; Anche Matthijs De Ligt &egrave; entrato nel settore giovanile dell&rsquo;Ajax a 9 anni: adesso ne ha quasi 20 ed &egrave; uno dei migliori difensori centrali del mondo, gi&agrave; punto fermo della nazionale maggiore guidata da Ronald Koeman. Ancora pi&ugrave; precoce il figlio d&rsquo;arte Daley Blind, che nell&rsquo;Ajax &egrave; arrivato ad 8 anni. Tornato a casa dopo un quadriennio di luci e ombre al Manchester United, non ha dimenticato certe lezioni. A completare la difesa titolare vista all&rsquo;Allianz Stadium il marocchino, ma olandese di nascita, Noussair Mazraoui: anche lui, come Veltman e De Ligt, nell&rsquo;Ajax ci &egrave; entrato a 9 anni (nel 2006).  Per trovare il primo non lanciato da ragazzo dall&rsquo;Ajax bisogna arrivare al danese Lasse Sch&ouml;ne e a centrocampo, mentre il compagno di reparto Frenkie De Jong &egrave; un prodotto del sistema giovanile del Willem II ma &egrave; stato lanciato nel calcio che conta dall&rsquo;Ajax a 19 anni, tre stagioni fa. Sembra un veterano ed il prezzo &egrave; comunque da stella: 75 milioni di euro che il Barcellona ha ben speso. Davanti a Sch&ouml;ne e De Jong si &egrave; mosso Donny van de Beek, che di De Jong &egrave; praticamente gemello anche se lui tutta la sua vita calcistica l&rsquo;ha vissuta nell&rsquo;Ajax, dove &egrave; entrato a 11 anni.  Hakim Ziyech &egrave; come Mazraoui un marocchino nato in Olanda e all&rsquo;Ajax ci &egrave; arrivato giovane, a 23 anni dal Twente, ma certo non bambino. A sinistra in attacco ha giocato il brasiliano David Neres, altro uomo-mercato, che nel sistema Ajax ci &egrave; arrivato a 20 anni dalla nat&igrave;a San Paolo, mentre al centro si &egrave; mosso Du&scaron;an Tadi?: il serbo &egrave; arrivato ad Amsterdam solo la scorsa estate dal Southampton, alla bella et&agrave; di 30 anni. Sembra per&ograve; che giochi nell&rsquo;Ajax fin dai tempi di Cruijff.  Ricapitolando: degli undici titolari di Torino cinque sono entrati nell&rsquo;Ajax quando frequentavano le scuole elementari, tre sono stati lanciati dall&rsquo;Ajax poco pi&ugrave; che adolescenti e solo tre sono stati presi sul mercato. &Egrave; un delitto che squadre cos&igrave; non possano rimanere insieme per cicli pi&ugrave; lunghi, ma va detto che non &egrave; tutta colpa dei grandi club cattivi visto che non c&rsquo;era alcuna necessit&agrave; di cedere De Jong e non ce ne sar&agrave; alcuna nel cedere i suoi compagni. 

Non esistono al mondo squadre di questo livello in grado di schierare giocatori per otto undicesimi nati o lanciati in casa. La vera domanda sarebbe su come evitare il solito saccheggio, peraltro gi&agrave; iniziato con De Jong al Barcellona...

Bambini con la maglia dell&#39;Ajax

Dopo quattro anni di assenza torna in Champions League una delle squadre pi&ugrave; prestiogiose del mondo, un Ajax che superando Sturm Graz, Standard Liegi e infine Dinamo Kiev si &egrave; guadagnato un posto nel torneo calcistico pi&ugrave; ricco che esista: dal punto di vista di chi vi partecipa anche pi&ugrave; del Mondiale. &Egrave; significativo che la squadra di Amsterdam sia tornata fra le 32 elette dopo 3 stagioni (mancava dall&#39;edizione 2014-15, quando arriv&ograve; terzo nel gruppo di Barcellona e PSG) e proprio alla fine di un&rsquo;estate in cui per la prima volta dopo tanti anni il bilancio del calciomercato &egrave; stato in rosso, nonostante la dolorosa cessione di Justin Kluivert alla Roma. &Egrave; infatti tornato Danny Blind dal Manchester United, in pratica per la stessa cifra incassata a suo tempo, &egrave; stato preso Dusan Tadic dal Southampton, mentre in prospettiva Kluivert sar&agrave; sostituito da Hassane Band&eacute; preso dal Mechelen che noi di una certa et&agrave; proprio non riusciamo a non chiamare Malines. Il facile giochino di sempre &egrave; quello di immaginare l&rsquo;albo d&rsquo;oro di un Ajax che avesse tenuto tutti i suoi campioni, ma anche senza tornare a Cruijff e Van Basten basta ricordare le partenze degli ultimi cinque anni: Christian Eriksen, quasi svenduto al Tottenham, Toby Alderweireld che &egrave; diventato uno dei migliori difensori del mondo, Milik al Napoli, Davinson Sanchez, Klaessen, solo per citare giocatori che spostano i valori anche ad alto livello. L&rsquo;Ajax attuale &egrave; una buona squadra, che Ten Haag mette in campo con un modulo non esattamente da Ajax, che valorizza un trequartista di talento come Donny van de Beek e utilizza come sponda l&#39;anziano Huntelaar, ma non occorre Nostradamus per prevedere che De Ligt, uno dei migliori giovani difensori del pianeta, il talento Ziyech, David Neres e lo stesso Van de Beek, abbiano la Premier League nel loro futuro. La considerazione &egrave; scontata: il mitico fair play play finanziario ha cristallizzato le posizioni di potere, sportivo, politico e finanziario, nel calcio europeo, impedendo di emergere a chi ha proprietari disposti a investire (e non &egrave; il caso dell&rsquo;Ajax, che ha una propriet&agrave; diffusa) e a chi lavora benissimo sia sui giovani, anche quando non trova un campione ogni anno, sia sullo scouting. &nbsp;

Dopo quattro anni di assenza torna in Champions League una delle squadre pi&ugrave; prestiogiose del mondo, un Ajax che superando Sturm Graz, Standard Liegi e infine Dinamo Kiev si &egrave; guadagnato un posto nel torneo calcistico pi&ugrave; ricco che esista: dal punto di vista di chi vi partecipa anche pi&ugrave; del Mondiale. &Egrave; significativo che la squadra di Amsterdam sia tornata fra le 32 elette dopo 3 stagioni (mancava dall&#39;edizione 2014-15, quando arriv&ograve; terzo nel gruppo di Barcellona e PSG) e proprio alla fine di un&rsquo;estate in cui per la prima volta dopo tanti anni il bilancio del calciomercato &egrave; stato in rosso, nonostante la dolorosa cessione di Justin Kluivert alla Roma. &Egrave; infatti tornato Danny Blind dal Manchester United, in pratica per la stessa cifra incassata a suo tempo, &egrave; stato preso Dusan Tadic dal Southampton, mentre in prospettiva Kluivert sar&agrave; sostituito da Hassane Band&eacute; preso dal Mechelen che noi di una certa et&agrave; proprio non riusciamo a non chiamare Malines.  Il facile giochino di sempre &egrave; quello di immaginare l&rsquo;albo d&rsquo;oro di un Ajax che avesse tenuto tutti i suoi campioni, ma anche senza tornare a Cruijff e Van Basten basta ricordare le partenze degli ultimi cinque anni: Christian Eriksen, quasi svenduto al Tottenham, Toby Alderweireld che &egrave; diventato uno dei migliori difensori del mondo, Milik al Napoli, Davinson Sanchez, Klaessen, solo per citare giocatori che spostano i valori anche ad alto livello. L&rsquo;Ajax attuale &egrave; una buona squadra, che Ten Haag mette in campo con un modulo non esattamente da Ajax, che valorizza un trequartista di talento come Donny van de Beek e utilizza come sponda l&#39;anziano Huntelaar, ma non occorre Nostradamus per prevedere che De Ligt, uno dei migliori giovani difensori del pianeta, il talento Ziyech, David Neres e lo stesso Van de Beek, abbiano la Premier League nel loro futuro.  La considerazione &egrave; scontata: il mitico fair play play finanziario ha cristallizzato le posizioni di potere, sportivo, politico e finanziario, nel calcio europeo, impedendo di emergere a chi ha proprietari disposti a investire (e non &egrave; il caso dell&rsquo;Ajax, che ha una propriet&agrave; diffusa) e a chi lavora benissimo sia sui giovani, anche quando non trova un campione ogni anno, sia sullo scouting. &nbsp; 

Superando la Dinamo Kiev la squadra di Amsterdam &egrave; tornata dopo quattro in Champions League. Ma la sua storia, anche recente, sarebbe stata molto diversa se il fair play finanziario UEFA avesse come obbiettivo il premiare i valori sportivi...

Il ritorno dell&#39;Ajax

Il calcio olandese &egrave; in crisi. Le prime avvisaglie si sono notate quando l'Olanda non si &egrave; riuscita a qualificare per gli Europei. Poi alla crisi di gioco ultimamente &egrave; giunta anche quella economica con molti club che per debiti stanno retrocedendo in serie minori.&nbsp; Il "calcio totale" che fino a qualche stagione fa predominava in Europa adesso non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;. L&rsquo;Olanda, infatti, sta profondando in una crisi senza precedenti ed &egrave; a un passo dal baratro. I sintomi di una crisi finanziaria si sono gi&agrave; avuti nel 2013 con i club forti in Eredivisie, ma che faticavano ad emergere nelle coppe europee. &Egrave; il caso dell'Utrecht, ad esempio, che proprio in quell'anno terzo in campionato e subito eliminato In Europa League dai modestissimi avversari lussemburghesi del Diffendangen 03 che mai finora avevano superato un turno nel loro cammino europeo. Nella stessa stagione due club di B sono falliti a campionato in corso. Una crisi che la Federazione olandese non ha saputo ovviare. Unica scelta fu di emettere una direttiva in cui davano alle societ&agrave; degli obblighi finanziari ben precisi. Questi salvarono purtroppo solo i team pi&ugrave; blasonati come Ajax, Psv e Feyenoord che hanno venduto i loro pezzi pregiati alle altre squadre sparse in giro per il mondo, pur di racimolare dei soldi e andare avanti con la loro attivit&agrave;. Dal 2013 al 2016 tre anni ancora di crisi sia finanziaria sia di gioco con il solo Psv che &egrave; uscito a testa alta agli ottavi di Champions ai rigori con il finalista Atletico Madrid. Alla fine di questa stagione poi tredici societ&agrave; su diciotto sono alle prese con i problemi finanziari. Tra le 13 societ&agrave; in difficolt&agrave; spicca il glorioso Feyenoord. Il club di Rotterdam non pu&ograve; operare liberamente sul mercato: come Nac Breda, Nec Nijmegen, Roda e Excelsior Rotterdam, le altre formazioni pi&ugrave; traballanti, devono chiedere autorizzazioni speciali per completare operazioni in entrata. Secondo la Federazione olandese (Knvb), la solidit&agrave; finanziaria di queste societ&agrave; &egrave; insufficiente. La crisi potrebbe spostarsi dal bilancio alla classifica: non sono escluse sanzioni, compresa la penalizzazione in termini di punti. Il quadro generale &egrave; negativo ma, evidenzia la Federazione, si nota un lieve miglioramento rispetto a pochi mesi fa. In base alle cifre, a maggio i club da bocciare erano 16. Ultima squadra in difficolt&agrave; &egrave; il Twente che &egrave; stato retrocesso in seconda divisione (Jupiler League) per problemi finanziari: giunto in 13a posizione in Eredivisie e dunque salvo in ambito sportivo, il club paga gli accordi che il club aveva con la Doyen Sports. E proprio il Twente &egrave; stato protagonista di una storia che ha spezzato il cuore dei tifosi dei Reds: l'esempio pi&ugrave; lampante &egrave; quello del piccolo Maxim, 6 anni, che ha addirittura rotto il suo salvadanaio, donando i pochi soldini accumulati al suo club via posta. Ad analizzare il momento negativo dell'Olanda&nbsp; individuandole il motivo &egrave; stato Henk Ten Cate, ex allenatore di Ajax e Panathinaikos: &laquo;Prima i giovani olandesi giocavano al Barcellona, adesso alla Lazio o al Southampton&raquo;. &laquo;Abbiamo Jordy Clasie al Southampton - ribadisce Ten Cate - e Stefan De Vrij alla Lazio. Non intendo decimare questi giocatori, ma dico solo che una volta Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Milan, Chelsea e Manchester Utd erano in fila per i nostri gioielli&raquo;. Marco Stiletti

Il calcio olandese &egrave; in crisi. Le prime avvisaglie si sono notate quando l'Olanda non si &egrave; riuscita a qualificare per gli Europei. Poi alla crisi di gioco ultimamente &egrave; giunta anche quella economica con molti club che per debiti stanno retrocedendo in serie minori.&nbsp; Il "calcio totale" che fino a qualche stagione fa predominava in Europa adesso non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;. L&rsquo;Olanda, infatti, sta profondando in una crisi senza precedenti ed &egrave; a un passo dal baratro. I sintomi di una crisi finanziaria si sono gi&agrave; avuti nel 2013 con i club forti in Eredivisie, ma che faticavano ad emergere nelle coppe europee. &Egrave; il caso dell'Utrecht, ad esempio, che proprio in quell'anno terzo in campionato e subito eliminato In Europa League dai modestissimi avversari lussemburghesi del Diffendangen 03 che mai finora avevano superato un turno nel loro cammino europeo. Nella stessa stagione due club di B sono falliti a campionato in corso. Una crisi che la Federazione olandese non ha saputo ovviare. Unica scelta fu di emettere una direttiva in cui davano alle societ&agrave; degli obblighi finanziari ben precisi. Questi salvarono purtroppo solo i team pi&ugrave; blasonati come Ajax, Psv e Feyenoord che hanno venduto i loro pezzi pregiati alle altre squadre sparse in giro per il mondo, pur di racimolare dei soldi e andare avanti con la loro attivit&agrave;. Dal 2013 al 2016 tre anni ancora di crisi sia finanziaria sia di gioco con il solo Psv che &egrave; uscito a testa alta agli ottavi di Champions ai rigori con il finalista Atletico Madrid. Alla fine di questa stagione poi tredici societ&agrave; su diciotto sono alle prese con i problemi finanziari. Tra le 13 societ&agrave; in difficolt&agrave; spicca il glorioso Feyenoord. Il club di Rotterdam non pu&ograve; operare liberamente sul mercato: come Nac Breda, Nec Nijmegen, Roda e Excelsior Rotterdam, le altre formazioni pi&ugrave; traballanti, devono chiedere autorizzazioni speciali per completare operazioni in entrata. Secondo la Federazione olandese (Knvb), la solidit&agrave; finanziaria di queste societ&agrave; &egrave; insufficiente. La crisi potrebbe spostarsi dal bilancio alla classifica: non sono escluse sanzioni, compresa la penalizzazione in termini di punti. Il quadro generale &egrave; negativo ma, evidenzia la Federazione, si nota un lieve miglioramento rispetto a pochi mesi fa. In base alle cifre, a maggio i club da bocciare erano 16. Ultima squadra in difficolt&agrave; &egrave; il Twente che &egrave; stato retrocesso in seconda divisione (Jupiler League) per problemi finanziari: giunto in 13a posizione in Eredivisie e dunque salvo in ambito sportivo, il club paga gli accordi che il club aveva con la Doyen Sports. E proprio il Twente &egrave; stato protagonista di una storia che ha spezzato il cuore dei tifosi dei Reds: l'esempio pi&ugrave; lampante &egrave; quello del piccolo Maxim, 6 anni, che ha addirittura rotto il suo salvadanaio, donando i pochi soldini accumulati al suo club via posta. Ad analizzare il momento negativo dell'Olanda&nbsp; individuandole il motivo &egrave; stato Henk Ten Cate, ex allenatore di Ajax e Panathinaikos: &laquo;Prima i giovani olandesi giocavano al Barcellona, adesso alla Lazio o al Southampton&raquo;. &laquo;Abbiamo Jordy Clasie al Southampton - ribadisce Ten Cate - e Stefan De Vrij alla Lazio. Non intendo decimare questi giocatori, ma dico solo che una volta Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Milan, Chelsea e Manchester Utd erano in fila per i nostri gioielli&raquo;.  Marco Stiletti

La profonda crisi del calcio olandese

Quattro Coppe dei Campioni. Tre Coppe delle Coppe. Un&rsquo;intercontinentale. Tre palloni d&rsquo;oro. La grandezza di Johann Cruijff si pu&ograve; riassumere nei freddi numeri del palmar&egrave;s. Ma sarebbe riduttivo e fuorviante limitarla ai trofei conquistati e magari a quel Mondiale del 1974 sfiorato da protagonista con la pi&ugrave; forte Olanda di tutti i tempi. Cruijff &egrave; stato uno di quegli sportivi capaci di segnare un&rsquo;epoca, di dar vita a nuove correnti e stili di gioco. Il miglior talento calcistico prodotto dall&rsquo;Europa.&nbsp; C&rsquo;&egrave; stato un calcio prima di lui e uno dopo di lui. Da giocatore, fu il perno della rivoluzione olandese, sia a livello di club sia da allenatore. Era talmente a tutto campo che non aveva un ruolo preciso: attaccante, centrocampista, trequartista. Creativo e ribelle, giocava con la maglia numero 14 anche quando la numerazione era dall&rsquo;1 all&rsquo;11 e ai Mondiali di Germania aveva una maglietta diversa, perch&eacute; da uomo della &ldquo;Puma&rdquo;, non poteva o non voleva indossare una casacca con le tre strisce dell&rsquo;Adidas (e cos&igrave;, la sua maglia arancione ne aveva solo due). Da tecnico &egrave; stato semplicemente il padre del Barcellona di oggi: &egrave; stato lui ad aver plasmato i blaugrana spettacolari degli anni Duemila. Ha rotto l&rsquo;incantesimo che non voleva mai la squadra salire sul tetto d&rsquo;Europa e soprattutto ha preso le redini dell&rsquo;organizzazione tecnica del club, imponendo lo stesso stile di gioco anche alle giovanili: tutte avrebbero dovuto seguire la stessa filosofia di gioco e i medesimi schermi, cos&igrave; da essere subito pronti per il salto in prima squadra. Possesso palla, pressing, calcio rapido, libert&agrave; alla fantasia. Con lui, i catalani hanno vinto la loro prima Coppa dei Campioni nel 1992 (vinta sulla Samp grazie a una rete del suo connazionale Koeman e con una maglia non a caso arancione) e in campo c&rsquo;era a far da metronomo della squadra un giovane Pep Guardiola, l&rsquo;uomo che far&agrave; propria la lezione dell&rsquo;olandese e che la rielaborer&agrave; dandole nuova linfa con lo spettacolare Bar&ccedil;a degli anni Duemila (e non va scordato ovviamente il Barcellona di un altro olandese, Frank Rijkaard, anche quello chiaramente ispirato a quello di Cruijff). Smessi i panni dell&rsquo;allenatore, &egrave; diventato un personaggio televisivo, spesso polemico e scomodo. A volte a ragione, spesso a torto, ha offerto in pi&ugrave; occasioni delle sparate che lo hanno reso presuntuoso e arrogante. D&rsquo;altronde, gi&agrave; da allenatore non era nuovo a delle spacconate, come quando si autoproclam&ograve; vincitore alla vigilia della finale di Champions League del 1994 contro il Milan. Il campo racconter&agrave; invece del trionfo per 4-0 dei ragazzi di Capello. Ma per fortuna talento e simpatia non hanno bisogno di andare a braccetto. Giovanni Del Bianco

Quattro Coppe dei Campioni. Tre Coppe delle Coppe. Un&rsquo;intercontinentale. Tre palloni d&rsquo;oro. La grandezza di Johann Cruijff si pu&ograve; riassumere nei freddi numeri del palmar&egrave;s. Ma sarebbe riduttivo e fuorviante limitarla ai trofei conquistati e magari a quel Mondiale del 1974 sfiorato da protagonista con la pi&ugrave; forte Olanda di tutti i tempi.  Cruijff &egrave; stato uno di quegli sportivi capaci di segnare un&rsquo;epoca, di dar vita a nuove correnti e stili di gioco. Il miglior talento calcistico prodotto dall&rsquo;Europa.&nbsp; C&rsquo;&egrave; stato un calcio prima di lui e uno dopo di lui. Da giocatore, fu il perno della rivoluzione olandese, sia a livello di club sia da allenatore. Era talmente a tutto campo che non aveva un ruolo preciso: attaccante, centrocampista, trequartista. Creativo e ribelle, giocava con la maglia numero 14 anche quando la numerazione era dall&rsquo;1 all&rsquo;11 e ai Mondiali di Germania aveva una maglietta diversa, perch&eacute; da uomo della &ldquo;Puma&rdquo;, non poteva o non voleva indossare una casacca con le tre strisce dell&rsquo;Adidas (e cos&igrave;, la sua maglia arancione ne aveva solo due).  Da tecnico &egrave; stato semplicemente il padre del Barcellona di oggi: &egrave; stato lui ad aver plasmato i blaugrana spettacolari degli anni Duemila. Ha rotto l&rsquo;incantesimo che non voleva mai la squadra salire sul tetto d&rsquo;Europa e soprattutto ha preso le redini dell&rsquo;organizzazione tecnica del club, imponendo lo stesso stile di gioco anche alle giovanili: tutte avrebbero dovuto seguire la stessa filosofia di gioco e i medesimi schermi, cos&igrave; da essere subito pronti per il salto in prima squadra. Possesso palla, pressing, calcio rapido, libert&agrave; alla fantasia.  Con lui, i catalani hanno vinto la loro prima Coppa dei Campioni nel 1992 (vinta sulla Samp grazie a una rete del suo connazionale Koeman e con una maglia non a caso arancione) e in campo c&rsquo;era a far da metronomo della squadra un giovane Pep Guardiola, l&rsquo;uomo che far&agrave; propria la lezione dell&rsquo;olandese e che la rielaborer&agrave; dandole nuova linfa con lo spettacolare Bar&ccedil;a degli anni Duemila (e non va scordato ovviamente il Barcellona di un altro olandese, Frank Rijkaard, anche quello chiaramente ispirato a quello di Cruijff).  Smessi i panni dell&rsquo;allenatore, &egrave; diventato un personaggio televisivo, spesso polemico e scomodo. A volte a ragione, spesso a torto, ha offerto in pi&ugrave; occasioni delle sparate che lo hanno reso presuntuoso e arrogante. D&rsquo;altronde, gi&agrave; da allenatore non era nuovo a delle spacconate, come quando si autoproclam&ograve; vincitore alla vigilia della finale di Champions League del 1994 contro il Milan. Il campo racconter&agrave; invece del trionfo per 4-0 dei ragazzi di Capello. Ma per fortuna talento e simpatia non hanno bisogno di andare a braccetto.  Giovanni Del Bianco

Cruijff, l'uomo che ha diviso il calcio tra "prima" e "dopo"

Si sta parlando tanto del primo e bellissimo gol di Stefan El Shaarawy con la maglia del Monaco (segnato agli svizzeri dello Young Boys) e in effetti &egrave; una delle notizie del&nbsp; terzo turno preliminare di Champions League, ma probabilmente non quella principale. In attesa delle gare di stasera che completeranno il turno, &egrave; l&rsquo;eliminazione dell&rsquo;Ajax, avvenuta in casa contro il Rapid Vienna a fare pi&ugrave; rumore. Rocambolesco il modo in cui essa &egrave; venuta. All&rsquo;andata, i biancorossi conducevano 2-0 e si sono fatti recuperare fino al 2-2. Al ritorno, all&rsquo;Amsterdam Arena, i ragazzi di Frank De Boer si sono trovati sotto di due reti, hanno trovato a loro volta la forza di recuperare, prima di incassare il gol a tredici minuti dalla fine che ha mandato avanti gli austriaci e retrocesso i vicecampioni della Eredivisie in Europa League. &Egrave; un peccato vedere un club storico come quello olandese, che in passato ha scritto meravigliosi capitoli legati a questo torneo, non riuscire pi&ugrave; a imporsi. &Egrave; ovvio che oggid&igrave; gli aiacidi non abbiano la forza economica per competere con le squadre pi&ugrave; forti d&rsquo;Europa. Ripetere le gesta degli anni Settanta, quando, allenati da Rinus Michels prima e Stefan Kovacs poi, misero in fila tre Coppe dei Campioni (1971, 1972, 1973) sembra impossibile, anche se il vivaio dovesse far venir fuori come in passato giocatori interessanti. E nemmeno il ciclo degli anni Novanta sembra rivivibile, quando, diretti da Van Gaal, giocarono due finali contro le squadre italiane, vincendo la prima (sul Milan, 1995) e perdendo la seconda (con la Juventus, 1996). L&rsquo;ultima vera campagna significativa fu quella del 2002-03: l&rsquo;Ajax di Ibrahimovic, Van der Vaart, Van der Meyde, Chivu, Maxwell e Litmanen arriv&ograve; ai quarti, con un gioco divertente e spensierato, e fu eliminato dal Milan, con un gol all&rsquo;ultimo secondo di Pippo Inzaghi che chiuse le porte della semifinale. D&rsquo;altro canto, il passaggio del turno del Rapid Vienna, permette alla Lazio di sognare un posto da testa di serie nei play-off. I biancocelesti devono ora gufare Cska Mosca e Shakhtar Donetsk, impegnate stasera rispettivamente a Praga contro lo Sparta e in casa contro il Fenerbahce, dopo i pareggi delle gare d&rsquo;andata: l&rsquo;eventuale uscita di scena di entrambe permetterebbe a Stefano Pioli di evitare i pericoli Manchester United, Valencia e Bayer Leverkusen in fase di sorteggio. E non sarebbe proprio una cattiva notizia... Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Si sta parlando tanto del primo e bellissimo gol di Stefan El Shaarawy con la maglia del Monaco (segnato agli svizzeri dello Young Boys) e in effetti &egrave; una delle notizie del&nbsp; terzo turno preliminare di Champions League, ma probabilmente non quella principale. In attesa delle gare di stasera che completeranno il turno, &egrave; l&rsquo;eliminazione dell&rsquo;Ajax, avvenuta in casa contro il Rapid Vienna a fare pi&ugrave; rumore. Rocambolesco il modo in cui essa &egrave; venuta. All&rsquo;andata, i biancorossi conducevano 2-0 e si sono fatti recuperare fino al 2-2. Al ritorno, all&rsquo;Amsterdam Arena, i ragazzi di Frank De Boer si sono trovati sotto di due reti, hanno trovato a loro volta la forza di recuperare, prima di incassare il gol a tredici minuti dalla fine che ha mandato avanti gli austriaci e retrocesso i vicecampioni della Eredivisie in Europa League. &Egrave; un peccato vedere un club storico come quello olandese, che in passato ha scritto meravigliosi capitoli legati a questo torneo, non riuscire pi&ugrave; a imporsi. &Egrave; ovvio che oggid&igrave; gli aiacidi non abbiano la forza economica per competere con le squadre pi&ugrave; forti d&rsquo;Europa. Ripetere le gesta degli anni Settanta, quando, allenati da Rinus Michels prima e Stefan Kovacs poi, misero in fila tre Coppe dei Campioni (1971, 1972, 1973) sembra impossibile, anche se il vivaio dovesse far venir fuori come in passato giocatori interessanti. E nemmeno il ciclo degli anni Novanta sembra rivivibile, quando, diretti da Van Gaal, giocarono due finali contro le squadre italiane, vincendo la prima (sul Milan, 1995) e perdendo la seconda (con la Juventus, 1996). L&rsquo;ultima vera campagna significativa fu quella del 2002-03: l&rsquo;Ajax di Ibrahimovic, Van der Vaart, Van der Meyde, Chivu, Maxwell e Litmanen arriv&ograve; ai quarti, con un gioco divertente e spensierato, e fu eliminato dal Milan, con un gol all&rsquo;ultimo secondo di Pippo Inzaghi che chiuse le porte della semifinale. D&rsquo;altro canto, il passaggio del turno del Rapid Vienna, permette alla Lazio di sognare un posto da testa di serie nei play-off. I biancocelesti devono ora gufare Cska Mosca e Shakhtar Donetsk, impegnate stasera rispettivamente a Praga contro lo Sparta e in casa contro il Fenerbahce, dopo i pareggi delle gare d&rsquo;andata: l&rsquo;eventuale uscita di scena di entrambe permetterebbe a Stefano Pioli di evitare i pericoli Manchester United, Valencia e Bayer Leverkusen in fase di sorteggio. E non sarebbe proprio una cattiva notizia...  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Champions League, c'era una volta l'Ajax

Marco Van Basten compie 50 anni e anche per lui vale una delle poche regole davvero rispettate del mondo del calcio: per tutti i 'veri campioni' sono inevitabilmente quelli della propria adolescenza. E il giornalista sulla quarantina non fa ovviamente eccezione. Di qui un diluvio di rievocazioni che mettono il fuoriclasse di Ajax, Milan e Olanda sullo stesso piano dei Pel&eacute; e dei Maradona, giudicando nel contempo troppo 'mediatici' i Messi e i Cristiano Ronaldo. &nbsp;Chi ha altre et&agrave; tende ovviamente a sovrastimare i suoi miti, quindi l'asterisco &egrave; sempre doveroso. Noi facciamo parte della generazione che in Van Basten avrebbe potuto avere un fratello maggiore, quindi ci &egrave; facile come prima punta collocarlo al livello realizzativo di Gerd Muller e a quello stilistico di Ronaldo. In comune con Ronaldo ha il fatto che il miglior Van Basten si sia visto per pochi anni (4 per entrambi): il periodo d'oro dell'olandese &egrave; stato quello dalla fine della prima stagione con il Milan, la 1987-88, quando rientr&ograve; da un infortunio, fino a tutta la prima stagione con Capello allenatore (la 1991-92), dove al di l&agrave; dei numeri e dei dvd da highlights si vide un attaccante davvero totale. &Egrave; confrontabile a Muller e Ronaldo anche dal punto di vista della nazionale, perch&eacute; la sua Olanda non era inferiore a Germania Ovest e Brasile, tanto &egrave; vero che vinse l'Europeo 1988 e si present&ograve; fra le favorite al Mondiale del 1990, perdendo per&ograve; la finale anticipata (era un ottavo) di San Siro contro la Germania Ovest nella partita che viene ricordata anche per lo sputo di Rijkaard a Voeller. Il Milan di Sacchi sarebbe probabilmente stato grande anche senza di lui, ma Van Basten ne &egrave; stato il volto davvero vendibile nel mondo: l'immagine di un berlusconismo ancora senza valenze politiche ma pregno dell'ottimismo, della fantasia e soprattutto della tranquilla sicurezza della sua epoca. Tante parole per dire che Van Basten sta sotto Pel&eacute;, Maradona, Cruiff e Di Stefano, se vogliamo storicizzare il tutto: il suo posto &egrave; nel bellissimo girone dei Meazza, degli Schiaffino, dei Kubala, dei Puskas, dei Garrincha, dei Beckenbauer, dei Platini, dei CR7, dei Messi, dei Ronaldo, degli Zidane. Campioni in certe situazioni anche superiori a quelli del piano di sopra, ma che non hanno segnato un'epoca o fatto tendenza. E quindi? Van Basten viene rimpianto non soltanto per la sua classe immensa e la sua completezza, ma perch&eacute; &egrave; stato l'immagine migliore dell'Europa e dell'Italia della seconda met&agrave; degli anni Ottanta-inizio Novanta. Non &egrave; poco, anzi &egrave; tantissimo. Per questo non avr&agrave; mai 50 anni. Twitter @StefanoOlivari

Marco Van Basten compie 50 anni e anche per lui vale una delle poche regole davvero rispettate del mondo del calcio: per tutti i 'veri campioni' sono inevitabilmente quelli della propria adolescenza. E il giornalista sulla quarantina non fa ovviamente eccezione. Di qui un diluvio di rievocazioni che mettono il fuoriclasse di Ajax, Milan e Olanda sullo stesso piano dei Pel&eacute; e dei Maradona, giudicando nel contempo troppo 'mediatici' i Messi e i Cristiano Ronaldo. &nbsp;Chi ha altre et&agrave; tende ovviamente a sovrastimare i suoi miti, quindi l'asterisco &egrave; sempre doveroso. Noi facciamo parte della generazione che in Van Basten avrebbe potuto avere un fratello maggiore, quindi ci &egrave; facile come prima punta collocarlo al livello realizzativo di Gerd Muller e a quello stilistico di Ronaldo. In comune con Ronaldo ha il fatto che il miglior Van Basten si sia visto per pochi anni (4 per entrambi): il periodo d'oro dell'olandese &egrave; stato quello dalla fine della prima stagione con il Milan, la 1987-88, quando rientr&ograve; da un infortunio, fino a tutta la prima stagione con Capello allenatore (la 1991-92), dove al di l&agrave; dei numeri e dei dvd da highlights si vide un attaccante davvero totale. &Egrave; confrontabile a Muller e Ronaldo anche dal punto di vista della nazionale, perch&eacute; la sua Olanda non era inferiore a Germania Ovest e Brasile, tanto &egrave; vero che vinse l'Europeo 1988 e si present&ograve; fra le favorite al Mondiale del 1990, perdendo per&ograve; la finale anticipata (era un ottavo) di San Siro contro la Germania Ovest nella partita che viene ricordata anche per lo sputo di Rijkaard a Voeller. Il Milan di Sacchi sarebbe probabilmente stato grande anche senza di lui, ma Van Basten ne &egrave; stato il volto davvero vendibile nel mondo: l'immagine di un berlusconismo ancora senza valenze politiche ma pregno dell'ottimismo, della fantasia e soprattutto della tranquilla sicurezza della sua epoca. Tante parole per dire che Van Basten sta sotto Pel&eacute;, Maradona, Cruiff e Di Stefano, se vogliamo storicizzare il tutto: il suo posto &egrave; nel bellissimo girone dei Meazza, degli Schiaffino, dei Kubala, dei Puskas, dei Garrincha, dei Beckenbauer, dei Platini, dei CR7, dei Messi, dei Ronaldo, degli Zidane. Campioni in certe situazioni anche superiori a quelli del piano di sopra, ma che non hanno segnato un'epoca o fatto tendenza. E quindi? Van Basten viene rimpianto non soltanto per la sua classe immensa e la sua completezza, ma perch&eacute; &egrave; stato l'immagine migliore dell'Europa e dell'Italia della seconda met&agrave; degli anni Ottanta-inizio Novanta. Non &egrave; poco, anzi &egrave; tantissimo. Per questo non avr&agrave; mai 50 anni.  Twitter @StefanoOlivari

Il posto di Van Basten

Un fascino romantico di calcio vintage permea il derby di Amsterdam tra i dilettanti del Jos Watergraafsmeer e l&rsquo;Ajax, sedicesimo di coppa d&rsquo;Olanda in programma questa sera alle 18:30. Non solo per il luogo, l&rsquo;Olympisch Stadion, il vecchio teatro delle partite europee casalinghe del grande Ajax, ma anche per l&rsquo;avversario stesso degli ajacidi, che rimanda agli albori dell&rsquo;epoca d&rsquo;oro del calcio totale.   Tra le migliaia di persone che negli anni Trenta si recavano ogni sabato nel vecchio comune di Watergraafsmeer per ritrovarsi al De Meer a tifare Ajax, c&rsquo;era un paffuto ragazzino che aveva ereditato dal padre l&rsquo;insana passione per il calcio. La fede era una sola, e portava i colori bianco e rosso. Per il suo ottavo compleanno il ragazzino aveva ricevuto in regalo una divisa dell&rsquo;Ajax e un paio di scarpe da calcio, due cadeau che gli permettevano di scendere in strada ogni pomeriggio a testa alta, fiero di emulare le gesta del suo idolo assoluto, l&rsquo;attaccante dei lancieri Piet van Reenen, un gigante che ancora oggi detiene il record di gol segnati (273, e in sole 237 partite) con la maglia dell&rsquo;Ajax. Quel ragazzo si chiamava Rinus Michels e anni dopo, mentre insegnava ginnastica alla J.C. Ammanschool di Amsterdam, aveva deciso di iniziare ad allenare per hobby una piccola squadra locale, il Jos. Del resto, amava ripetere, se i suoi alunni a scuola lo ascoltavano e gli obbedivano, perch&eacute; i giocatori non avrebbero dovuto fare altrettanto? Era l&rsquo;inizio di un cammino straordinario.  Watergraafsmeer &egrave; anche il quartiere a un tiro di schioppo da Betondorp, il sobborgo popolare che ha dato i natali a Johan Cruijff. Nel 1995 Jos e Watergraafsmeer si sono fusi, dando vita all&rsquo;omonimo club calcistico che oggi affronter&agrave; la madre di tutte le squadre di Amsterdam. A guidarli ci sar&agrave; capitan Maurice Renger, 32enne di professione impiegato, con un passato di sette anni nelle giovanili dell&rsquo;Ajax accanto a futuri talenti quali Rafael van der Vaart, Maarten Stekelenburg e Johnny Heitinga. In rosa anche Davey van&rsquo;t Schip, figlio d&rsquo;arte (il padre John transit&ograve; anche in Italia, nel Genoa).   La dimensione del Jos Watergraafsmeer &egrave; puramente amatoriale. Giocano nella Zondag Hoofdklasse A, il quarto livello del campionato olandese, e solitamente disputano i propri incontri casalinghi allo Sportpark Dreiburg. Ma in questo caso l&rsquo;occasione era troppo ghiotta , e l&rsquo;evento assolutamente eccezionale, per provare a disputare la loro partita del secolo in uno stadio storico. L&rsquo;unico problema era il costo: la tariffa di 80mila euro per utilizzare l&rsquo;Olympisch Stadion, che secondo quanto previsto dal regolamento della Coppa d&rsquo;Olanda &egrave; a carico esclusivo della squadra che gioca in casa, rappresentava un salasso per le casse di questa piccola societ&agrave; nata nel 1920. Ecco quindi l&rsquo;intervento dell&rsquo;Ajax a coprire parte delle spese. Perch&eacute; un derby evocativo come quello di stasera non ha prezzo. 

L&rsquo;Amsterdam vintage del Jos Watergraafsmeer

Gli scontri fuori da San Siro, in qualche caso anche lontanissimo da San Siro, fra ultras del Milan e dell'Ajax, mentre durante la partita tutto &egrave; stato relativamente tranquillo, hanno riportato l'attenzione su un problema che non &egrave; solo di Nocera Inferiore o del calcio. Il mitizzato modello inglese, quello sognato dai non inglesi che ambiscono a farsi regalare spazi commerciali dai comuni, non riguarda infatti solo gli stadi-salotto con l'indotto commerciale che spesso supera l'incasso del botteghino (con biglietti peraltro da classe media, spesso faticosi da comprare per la maggior parte del pubblico 'di una volta'). Il modello &egrave; anche un modello pi&ugrave; o meno consapevole di gestione dell'ordine pubblico, con le frange marginali della societ&agrave; spinte a sfogarsi lontano dal calcio ed in generale lontano da posti con grande visibilit&agrave;. Non &egrave; (ancora) la situazione italiana, ma &egrave; senz'altro quella olandese. Prendendo in considerazione solo l'Ajax, perch&eacute; forse l&igrave; il peggio lo si trova con Feyenoord e Den Haag, bisogna dire che i vari F-Side, AFCA e Vak 410, per citare i gruppi ultras pi&ugrave; famosi (o almeno quelli che vediamo da decenni nelle varie trasferte), bisogna dire che da fine anni Ottanta la dirigenza del club ha fatto di tutto per rendere difficile la vita da stadio ai suoi ultras: cambiandoli di settore, riducendo i loro spazi, obbligandoli con steward 'veri' (non i pensionati scrocconi di biglietti omaggio di altre latitudini) a rispettare il posto scritto sul biglietto. Poi nel 1996 la chiusura del glorioso De Meer e l'emigrazione nella moderna Amsterdam Arena ha fatto il resto e adesso assistere ad una partita ad Amsterdamo non &egrave; proprio come andare a teatro ma quasi. La data spartiacque &egrave; quella del 23 marzo 1997, non a caso durante la prima stagione di Amsterdam Arena. E' la data della cosiddetta 'Battaglia di Beverwijk', dal nome della piazzola autostradale dove i ragazzi dell'F-Side e quelli del Feyenoord si diedero appuntamento per ammazzarsi di botte. Con 'ammazzarsi' che non &egrave; un modo di dire, perch&eacute; un morto, oltre a centinaia di feriti, ci fu davvero. Da l&igrave; in poi in mezza Europa gli ultras addomesticati allo stadio o proprio dallo stadio cacciati hanno portato la violenza sulle strade. In qualche caso una violenza su appuntamento, in altri semi-casuale. L'Italia &egrave; stata finora un'eccezione, per una precisa (anche se non ufficializzabile) scelta di tutti i ministri degli Interni: meglio uno spiegamento di forze di polizia in spazi e tempi limitati che una situazione di perenne tensione nelle strade. Visto il momento che stiamo vivendo, fra forconi e altri movimenti di protesta contro tutto senza una guida e nemmeno una strategia, forse non &egrave; il caso di spingere l'acceleratore sullo stadio-salotto, per un pubblico che oltretutto non c'&egrave; (la famiglia che spende 500 euro in un pomeriggio senza rendersene conto, il sogno di ogni direttore commerciale). Qualche coro demente e qualche striscione razzista non hanno mai ammazzato nessuno. &Egrave; la triste ma realistica politica del male minore. Twitter @StefanoOlivari

Gli scontri fuori da San Siro, in qualche caso anche lontanissimo da San Siro, fra ultras del Milan e dell'Ajax, mentre durante la partita tutto &egrave; stato relativamente tranquillo, hanno riportato l'attenzione su un problema che non &egrave; solo di Nocera Inferiore o del calcio. Il mitizzato modello inglese, quello sognato dai non inglesi che ambiscono a farsi regalare spazi commerciali dai comuni, non riguarda infatti solo gli stadi-salotto con l'indotto commerciale che spesso supera l'incasso del botteghino (con biglietti peraltro da classe media, spesso faticosi da comprare per la maggior parte del pubblico 'di una volta'). Il modello &egrave; anche un modello pi&ugrave; o meno consapevole di gestione dell'ordine pubblico, con le frange marginali della societ&agrave; spinte a sfogarsi lontano dal calcio ed in generale lontano da posti con grande visibilit&agrave;. Non &egrave; (ancora) la situazione italiana, ma &egrave; senz'altro quella olandese. Prendendo in considerazione solo l'Ajax, perch&eacute; forse l&igrave; il peggio lo si trova con Feyenoord e Den Haag, bisogna dire che i vari F-Side, AFCA e Vak 410, per citare i gruppi ultras pi&ugrave; famosi (o almeno quelli che vediamo da decenni nelle varie trasferte), bisogna dire che da fine anni Ottanta la dirigenza del club ha fatto di tutto per rendere difficile la vita da stadio ai suoi ultras: cambiandoli di settore, riducendo i loro spazi, obbligandoli con steward 'veri' (non i pensionati scrocconi di biglietti omaggio di altre latitudini) a rispettare il posto scritto sul biglietto. Poi nel 1996 la chiusura del glorioso De Meer e l'emigrazione nella moderna Amsterdam Arena ha fatto il resto e adesso assistere ad una partita ad Amsterdamo non &egrave; proprio come andare a teatro ma quasi. La data spartiacque &egrave; quella del 23 marzo 1997, non a caso durante la prima stagione di Amsterdam Arena. E' la data della cosiddetta 'Battaglia di Beverwijk', dal nome della piazzola autostradale dove i ragazzi dell'F-Side e quelli del Feyenoord si diedero appuntamento per ammazzarsi di botte. Con 'ammazzarsi' che non &egrave; un modo di dire, perch&eacute; un morto, oltre a centinaia di feriti, ci fu davvero. Da l&igrave; in poi in mezza Europa gli ultras addomesticati allo stadio o proprio dallo stadio cacciati hanno portato la violenza sulle strade. In qualche caso una violenza su appuntamento, in altri semi-casuale. L'Italia &egrave; stata finora un'eccezione, per una precisa (anche se non ufficializzabile) scelta di tutti i ministri degli Interni: meglio uno spiegamento di forze di polizia in spazi e tempi limitati che una situazione di perenne tensione nelle strade. Visto il momento che stiamo vivendo, fra forconi e altri movimenti di protesta contro tutto senza una guida e nemmeno una strategia, forse non &egrave; il caso di spingere l'acceleratore sullo stadio-salotto, per un pubblico che oltretutto non c'&egrave; (la famiglia che spende 500 euro in un pomeriggio senza rendersene conto, il sogno di ogni direttore commerciale). Qualche coro demente e qualche striscione razzista non hanno mai ammazzato nessuno. &Egrave; la triste ma realistica politica del male minore.  Twitter @StefanoOlivari

Modello inglese e forconi italiani

Ritrovarsi pensionato di lusso a 32 anni in quel di Apeldoorn, cittadina olandese di provincia, non &egrave; propriamente lo scenario che si prefigurava Andy van der Meyde quando, qualche anno fa, era colonna portante di una delle ultime generazioni d&rsquo;oro dell&rsquo;Ajax: Sneijder, Ibrahimovic, Van der Vaart, Chivu, Nigel de Jong, Heitinga. Oggi Andy &egrave; finito tra i dilettanti, con il WKE. &ldquo;Non giocavo una partita per intero dal 2005, una trasferta a Bologna con l&rsquo;Inter. L&rsquo;Italia &egrave; un bellissimo paese, ma ho sbagliato a venirci da giocatore. Quando arriv&ograve; l&rsquo;offerta dell&rsquo;Inter, l&rsquo;allora allenatore dell&rsquo;Ajax Ronald Koeman mi disse: non accettare Andy, non sei pronto. Aveva ragione. Dopo una settimana a Milano, telefonai a David Endt (team manager dell&rsquo;Ajax, nda) implorandolo di riportarmi a casa. I soldi possono anche tenerseli, gli dissi. Il problema non era l&rsquo;Inter, ma il sottoscritto. Mi consumava la nostalgia di casa, e non appena potevo prendevo un aereo e tornavo in Olanda&rdquo;.  In campo, nei due anni di Van der Meyde all&rsquo;Inter si ricorda un bel gol all&rsquo;Arsenal in Champions (i nerazzurri vinsero 3-0 ad Highbury) e poco altro. Le eccentricit&agrave; invece abbondavano. &ldquo;Avevo uno zoo nel giardino di casa: cavalli, cani, zebre, pappagalli, tartarughe. Ma in realt&agrave; era la mia prima moglie la vera &ldquo;malata&rdquo; di animali. Per lei rifiutai un trasferimento al Monaco: a Montecarlo ci sono solo appartamenti, mi disse, dove li mettiamo i nostri animali? Quando vivevo gi&agrave; in Inghilterra, una sera tornai da lei per vedere i bambini. Mi fece scendere in garage, al buio. Intravidi una sagoma imponente e udii suoni strani. Aveva comprato un cammello&rdquo;. Poi &egrave; arrivato il trasferimento all&rsquo;Everton. &ldquo;Anni difficili, sempre ai margini della squadra. Avevo un brutto rapporto con David Moyes, e la stampa ci mise del suo con la storia del mio ricovero in ospedale. Mi diedero dell&rsquo;alcolista, in realt&agrave; mi avevano avvelenato. Non ero in buone condizioni fisiche perch&eacute; saltavo spesso gli allenamenti. Pensavano fossi un viziato, in realt&agrave; stavo accanto alla mia bambina, Dolce. Soffriva di una rara malattia all&rsquo;intestino, &egrave; stata operata otto volte in due anni. Non potevo n&eacute; volevo lasciarla sola. Il calcio passava in secondo piano&rdquo;.  Nel marzo 2010 Van der Meyde firma per il Psv Eindhoven. &ldquo;Tre mesi, zero presenze. I tifosi mi fischiavano perch&eacute; avevo un tatuaggio con la scritta Ajax in caratteri gotici. L&rsquo;ho fatto rimuovere. Per questo motivo in un bar di Amsterdam un tifoso della F-Side (la curva dell&rsquo;Ajax, nda) ha cercato di aggredirmi. Adesso siamo amici su Facebook. Cos&igrave; va il mondo&rdquo;.  Due figli in Italia, uno in Inghilterra, il quarto appena arrivato dalla nuova compagna, &ldquo;una persona finalmente interessata a me e non alla mia VISA&rdquo;. Ma l&rsquo;olandese non si considera ancora un ex. &ldquo;Sono una macchina vecchia che negli ultimi anni ha percorso pochi chilometri. Con un po&rsquo; di rodaggio per&ograve; posso tornare in pista e dire ancora la mia. Anche nel professionismo. Voglio che la gente si ricordi dell&rsquo;Andy van der Meyde calciatore, e non solo del ragazzo cos&igrave; frivolo da farsi rubare una Ferrari, otto rolex e un cane&rdquo;.   

La cometa Van der Meyde

Nessuno ci hai mai spiegato perch&eacute; il Fabio Borini di turno che si trasferisce dalle giovanili del Bologna a quelle del Chelsea viene definito &ldquo;scippo&rdquo; dai medi italiani, mentre per chi compie il percorso inverso &ndash; vedi il recentissimo caso dell&rsquo;olandese Ouasim Bouy, passato dallo Jong Ajax alla Juventus &ndash; si parla di &ldquo;grande colpo in prospettiva&rdquo;. Un trasferimento, quello di Bouy, peraltro assolutamente incomprensibile. Due parole innanzitutto sul giocatore. Ouasim Bouy, nato l&rsquo;11 giugno 1993 ad Amsterdam e calcisticamente cresciuto nel AVV Zeeburgia, &egrave; un interno sinistro di centrocampo dalle spiccate propensioni offensive che negli ultimi due anni ha fatto la spola tra Ajax A1 (ovvero la selezione under-19) e lo Jong Ajax (l&rsquo;equivalente della nostra Primavera). 26 presenze e 15 gol con l&rsquo;A1, 9 e 3 nella compagine maggiore. Il giovane di origini marocchine &egrave; inoltre titolare dell&rsquo;Olanda under 19, alla cui qualificazione alla fase elite dell&rsquo;Europeo di categoria 2012 (round finale previsto a luglio in Estonia) ha contribuito segnando una rete lo scorso autunno nel 2-0 rifilato ai pari et&agrave; della Finlandia. A gennaio Bouy, assieme al compagno di squadra Davy Klaassen, &egrave; stato aggregato alla prima squadra dell&rsquo;Ajax in partenza per il Brasile per la preparazione invernale. Se Klaassen aveva gi&agrave; debuttato (e segnato) in Eredivisie, per Bouy l&rsquo;esordio &ndash; a detta di De Boer &ndash; sarebbe stato una mera questione di tempo. Poi per&ograve; &egrave; arrivata la firma con la Juventus. Tutto si pu&ograve; dire della Eredivisie, tranne che non sia un campionato formativo. Ovvero l&rsquo;esatto contrario della Serie A. In Olanda, come in altri campionati di dimensioni pi&ugrave; piccole (si pensi ad esempio al Portogallo, oppure alla Svizzera), i giovani di valore trovano rapidamente spazio in prima squadra e iniziano subito a relazionarsi con la realt&agrave; &ldquo;pro&rdquo;, acquisendo esperienza sul campo. Niente bambagia nella Primavera fino a 19-20 anni, niente girandola di prestiti (spesso deleteri), nessuna annata persa a scaldare la panchina. E&rsquo; ovvio che allo Sneijder di turno &egrave; poi necessaria la Serie A (o la Premier, la Liga, la Bundesliga) per poter diventare una stella del panorama calcistico internazionale e arrivare a giocarsi la coppa del turno. Ma stiamo parlando di uno step successivo. Bouy li ha saltati tutti. Senza nemmeno sapere se &egrave; un giocatore da Ajax, o quantomeno da Eredivisie. Poi uno legge il nome del suo procuratore, Mino Raiola, e capisce tutto.

Nessuno ci hai mai spiegato perch&eacute; il Fabio Borini di turno che si trasferisce dalle giovanili del Bologna a quelle del Chelsea viene definito &ldquo;scippo&rdquo; dai medi italiani, mentre per chi compie il percorso inverso &ndash; vedi il recentissimo caso dell&rsquo;olandese Ouasim Bouy, passato dallo Jong Ajax alla Juventus &ndash; si parla di &ldquo;grande colpo in prospettiva&rdquo;. Un trasferimento, quello di Bouy, peraltro assolutamente incomprensibile. Due parole innanzitutto sul giocatore. Ouasim Bouy, nato l&rsquo;11 giugno 1993 ad Amsterdam e calcisticamente cresciuto nel AVV Zeeburgia, &egrave; un interno sinistro di centrocampo dalle spiccate propensioni offensive che negli ultimi due anni ha fatto la spola tra Ajax A1 (ovvero la selezione under-19) e lo Jong Ajax (l&rsquo;equivalente della nostra Primavera). 26 presenze e 15 gol con l&rsquo;A1, 9 e 3 nella compagine maggiore. Il giovane di origini marocchine &egrave; inoltre titolare dell&rsquo;Olanda under 19, alla cui qualificazione alla fase elite dell&rsquo;Europeo di categoria 2012 (round finale previsto a luglio in Estonia) ha contribuito segnando una rete lo scorso autunno nel 2-0 rifilato ai pari et&agrave; della Finlandia.  A gennaio Bouy, assieme al compagno di squadra Davy Klaassen, &egrave; stato aggregato alla prima squadra dell&rsquo;Ajax in partenza per il Brasile per la preparazione invernale. Se Klaassen aveva gi&agrave; debuttato (e segnato) in Eredivisie, per Bouy l&rsquo;esordio &ndash; a detta di De Boer &ndash; sarebbe stato una mera questione di tempo. Poi per&ograve; &egrave; arrivata la firma con la Juventus. Tutto si pu&ograve; dire della Eredivisie, tranne che non sia un campionato formativo. Ovvero l&rsquo;esatto contrario della Serie A. In Olanda, come in altri campionati di dimensioni pi&ugrave; piccole (si pensi ad esempio al Portogallo, oppure alla Svizzera), i giovani di valore trovano rapidamente spazio in prima squadra e iniziano subito a relazionarsi con la realt&agrave; &ldquo;pro&rdquo;, acquisendo esperienza sul campo. Niente bambagia nella Primavera fino a 19-20 anni, niente girandola di prestiti (spesso deleteri), nessuna annata persa a scaldare la panchina. E&rsquo; ovvio che allo Sneijder di turno &egrave; poi necessaria la Serie A (o la Premier, la Liga, la Bundesliga) per poter diventare una stella del panorama calcistico internazionale e arrivare a giocarsi la coppa del turno. Ma stiamo parlando di uno step successivo. Bouy li ha saltati tutti. Senza nemmeno sapere se &egrave; un giocatore da Ajax, o quantomeno da Eredivisie. Poi uno legge il nome del suo procuratore, Mino Raiola, e capisce tutto.

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