        Un autentico istrione del pallone. Come calciatore e come allenatore. Tanto mondo, visto e vissuto attraverso il calcio; forse per questo non mise mai del tutto le radici da nessuna parte. Basti dire che fu allenatore del Real Madrid, per due stagioni, quando la maglia blanca la indossavano Di Stefano, Kopa, Puskas, Gento e Santamaria. L'arrivo in Italia&nbsp; A portarlo in Italia dalla Spagna era stato l&rsquo;intermediario Felix Latronico. Alla Fiorentina nell&rsquo;agosto 1959. Un inizio brillante. Ma a Firenze non ebbe vita facile, per colpa di frizioni tra dirigenti, nonostante avesse al primo anno (1959-60) portato la Viola a classificarsi seconda dietro la Juventus in campionato e finalista in Coppa Italia sempre contro i bianconeri. Dalla Fiorentina al Bari, ma dopo un anno rientrava nel giro dei grandi club italiani, ingaggiato dalla Roma, con contratto per due anni. Nella Roma allora militavano cinque sudamericani: come il campione del mondo el 1950 Schiaffino, il brasiliano Da Costa e tre argentini: Manfredini, Angelillo e Lojacono. &ldquo;Yiyo&rdquo;, questo il suo soprannome, con metodo e cultura del lavoro riusc&igrave; a disciplinare dei fuoriclasse dalla vita sregolata e a ottenere un alto rendimento atletico. Nel 1961 la Roma vinse, prima e unica squadra italiana, la Coppa delle Fiere battendo in finale il Birmingham.   L'ingiustizia Dalla Roma al Milan (nel 1963), dove Carniglia eredit&ograve; da Nereo Rocco e Gipo Viani una squadra campione d&rsquo;Europa. Gli tocca subito la doppia finale di Coppa Intercontinentale contro il Santos. Una finale in cui fu consumato uno dei pi&ugrave; grandi furti della storia del calcio. Protagonista l&rsquo;arbitro argentino Juan Brozzi. La fece cos&igrave; grossa che venne immediatamente radiato come arbitro dalla Fifa. &ldquo;Fu la maggiore ingiustizia che ho patito in vita mia&rdquo;. Dal Milan al Bologna, chiamato a sostituire Manlio Scopigno alla sesta di campionato, ma stava attraversando un periodo di crisi. &ldquo;Yiyo&rdquo;, come sempre ha fatto in tutte le squadre che ha diretto, prese il toro per le corna e riusc&igrave; a raddrizzare la squadra rossobl&ugrave;. Era la stagione 1965-66 e il Bologna si classific&ograve; secondo dietro l&rsquo;Inter, giungendo, la stagione successiva, ai quarti di Coppa delle Fiere contro il Leeds. Infine, dal Bologna alla Juventus (stagione 1969-70). Ma l&rsquo;esperienza con i bianconeri torinesi non fu felice.  I trionfi di Carniglia &ldquo;Yiyo&rdquo; era stato in assoluto un uomo vincente. Con il Boca Juniors ha vinto due scudetti argentini: prima come giocatore, poi come general manager (allenatore Marzolini), quando nel Boca gioc&ograve; Diego Maradona. Il suo grande cruccio &egrave; non aver vinto la Coppa Intercontinentale. Quando era al Real Madrid, questo trofeo non era stato ancora istituito. Questo era Luis Carniglia, scomparso nel giugno del 2001; un uomo di calcio che sarebbe riduttivo ricordare soltanto dicendo che era un duro come allenatore. Un uomo dal carattere aspro, per alcuni aspetti, ma straordinariamente franco, gran conoscitore del calcio a tutte le latitudini. Un personaggio tutto di un pezzo, quanto a principi, ma duttile nel plasmare le proprie idee circa il calcio in base ai giocatori che si ritrovava a guidare.        

<p>Il leggendario allenatore argentino, dopo aver vinto con il Real, approd&ograve; in Italia. Nel 1961 guid&ograve; i giallorossi alla vittoria in Coppa delle Fiere. Lo fece con due Coppe dalle Grandi Orecchie gi&agrave; in bacheca, esattamente come potrebbe fare lo Special One</p>

Carniglia come Mourinho: due Coppe Campioni e poi la finale con la Roma

Anche dopo il disastro in Norvegia contro il Bod&oslash;/Glimt, un 6-1 che guardando al valore degli avversari e non solo ai numeri &egrave; la pi&ugrave; grande disfatta europea nella storia della Roma, Mourinho non &egrave; certo fuori dalla Conference League anche se il suo stato d&rsquo;animo &egrave; quello di un allenatore che mai prima di questa partita aveva subito 6 gol in 90 minuti. Lo Special One si &egrave; preso tutte le colpe, almeno a parole, ma facendo capire di avere messo in campo apposta una sorta di formazione sperimentale, con due soli titolari. Cosa da lui pi&ugrave; volte sottolineata, come a voler evidenziare il basso valore complessivo della rosa. Chiss&agrave; come saranno contenti i Friedkin e Tiago Pinto&hellip;  Ma al di l&agrave; delle parole, quanto vale la rosa della Roma? O, per essere ancora pi&ugrave; precisi, quanto valgono i giocatori della Roma che Mourinho non &lsquo;vede&rsquo; pi&ugrave;? Secondo Transfermarkt i giocatori della Roma hanno un valore di mercato di 429,5 milioni di euro: si va dai 45 milioni, ovviamente teorici fino a quando qualcuno non li tira effettivamente fuori per l&rsquo;acquisto, di Lorenzo Pellegrini, fino ai 2 milioni di Darboe, per citare giocatori in campo ieri e non gente di fatto fuori rosa come Santon e Fazio. La rosa del Bod&oslash;/Glimt varrebbe invece meno di 15 milioni complessivi, pi&ugrave; o meno la valutazione del solo Villar. Insomma, la Roma B non sar&agrave; all&rsquo;altezza della Roma A, cosa comunque discutibile visti i tanti giocatori che con Fonseca facevano bene e ora sono quasi spariti, ma certo non &egrave; una squadra che possa essere asfaltata dal Bod&oslash;/Glimt.  Anche perch&eacute; la storia europea di Mourinho parla chiaro: negli ultimi vent&rsquo;anni in qualsiasi competizione internazionale affrontata &egrave; sempre riuscito ad arrivare alla fase ad eliminazione diretta: 2 vittorie (con Porto e Inter) &nbsp;e 6 semifinali in Champions League, una vittoria in Coppa UEFA con il Porto ed una in Europa League con il Manchester United, comunque mai meno degli ottavi di finale tranne una volta agli inizi con il Porto. &Egrave; anche per questo che l&rsquo;allenatore portoghese &egrave; quello che ha vissuto peggio di tutti questa figuraccia, magari utile a farsi prendere i giocatori desiderati ma che comunque rimarr&agrave; nella memoria.&nbsp; 

<p>La disfatta con il Bod&oslash;/Glimt e le parole dell&#39;allenatore hanno aperto il dibattito sul reale valore della rosa giallorossa, al di l&agrave; dei titolari...</p> 

Il valore della Roma e di Mourinho

Il trasferimento di Romelu Lukaku dall'Everton al Manchester United allenato da Jos&eacute; Mourinho fa notizia per tanti motivi, al di l&agrave; della cifra assurda anche per gli standard della Premier League: l'equivalente di 85 milioni di euro. Il 142% in pi&ugrave; rispetto ai circa 35 con cui nel 2014 l'Everton lo riscatt&ograve; dal Chelsea, all'epoca guidato proprio da Mourinho, che come prima punta prefer&igrave; farsi comprare&nbsp;Diego Costa e lasciar andare il giovane Lukaku poco dopo il rigore decisivo sbagliato contro il Bayern Monaco nella finale di Supercoppa.&nbsp;Era ed &egrave; difficile dargli torto, con il senno sia di prima sia di poi, anche se fino all'ultimo il club di Conte ha provato a inseguire Lukaku per metterlo proprio al posto del brasiliano diventato spagnolo senza un vero perch&eacute;. In realt&agrave; l'errore di Mourinho e dei dirigenti dei Blues in quella eccellente stagione (vittoria in campionato, semifinale in Champions League) fu quello di liberarsi di De Bruyne, ben pagato dal Wolfsburg ma che un anno e mezzo dopo avrebbe pi&ugrave; che triplicato il suo valore (pagato 75 milioni dal Manchester City). Tornando a Lukaku, la fame di attaccanti decenti &egrave; cos&igrave; grande da avere trasformato in uomo mercato il pur bravo belga, di solito maramaldo contro le piccole ma poco incisivo contro difensori veri. Merito in ogni caso del suo eccellente ultimo campionato, dove con 25 gol &egrave; stato il secondo marcatore dietro a Kane. Va detto che ha soltanto 24 anni ed &egrave; quel tipo di attaccante, per struttura fisica e attitudine, che migliora stagione dopo stagione (un Christian Vieri nero, volendo esagerare): gli 85 milioni hanno acquistato anche il potenziale non ancora sfruttato. Buon amico di Paul Pogba, forse potr&agrave; chiedergli come si regge la pressione da sopravvalutati. Con l'ex juventino condivide diversi interessi, ma anche il procuratore, che altri non &egrave; che Mino Raiola. Dove ci sono soldi veri c'&egrave; anche lui, quando non c'&egrave; Jorge Mendes e anche quando Mendes c'&egrave; (la Gestifute fra i mille assistiti ha Mourinho). Raiola nella squadra pi&ugrave; seguita al mondo, nel campionato pi&ugrave; seguito e ricco del mondo, cura gli interessi anche di Mkhtaryan e Romero. Raiola United, praticamente: non &egrave; riuscito a strappare ai Glazer un altro contrattone a Ibrahimovic, ma si &egrave; rifatto con Lukaku. Per il portiere aveva un'idea, ma per il momento gli &egrave; andata (relativamente) male.

Lukaku, Mourinho e il Raiola United

Jos&eacute; Mourinho Felix &egrave; morto, il mondo del calcio lo ha appreso dalla foto postata su Instagram dallo Jos&eacute; Mourinho pi&ugrave; famoso, suo figlio. Figlio d'arte particolarissimo, nemmeno paragonabile come giocatore al padre mentre come allenatore ha poi di sicuro recuperato il distacco. Mourinho senior &egrave; stato un ottimo portiere di Vitoria Setubal e Belenenses (con anche una presenza nella nazionale portoghese, il 25 giugno 1972, esattamente 45 anni prima della sua morte e davanti agli occhi del suo bambino di 9: c.t. era Jos&eacute; Augusto, l'ex grande ala del Benfica di Eusebio), mentre Mourinho junior non si &egrave; mai illuso di guadagnarsi da vivere come centrocampista di modesto dinamismo. Come allenatore Felix &egrave; stato apprezzatissimo in patria, con quattro promozioni dalla Segunda Liga alla massima serie, ma non ha mai avuto un'occasione in un grande club. Allenatore di categoria: anche in portoghese ci sar&agrave; un'espressione simile.  Mourinho junior dal padre non ha imparato soltanto le basi del calcio, ma anche l'atteggiamento da evitare se si vuol fare carriera, come ha spiegato in una recente intervista a BT Sport: "Pap&agrave; era un bravo allenatore, che ha sempre fatto bene ovunque abbia lavorato. Ma ho sempre pensato che avrebbe fatto molto di pi&ugrave; se avesse avuto quel poco di pi&ugrave; di fiducia e di ambizione. Guardandolo pensavo che avrei dovuto fare meglio di lui". In altre parole, proporsi con umilt&agrave; porta gli altri a sottovalutarti. Certo che senza Jos&eacute; senior oggi Mourinho non allenerebbe il Manchester United e probabilmente nemmeno sarebbe arrivato all'Uni&#257;o de Leiria: "Quando ho iniziato ad allenare era quasi obbligatorio essere un ex giocatore di buon livello, mentre oggi la situazione &egrave; leggermente cambiata. Io ero s&igrave; un ex giocatore, ma di basso livello. Al contrario di altri, per&ograve;, grazie a mio padre io avevo respirato calcio fin dalla nascita. Ed &egrave; stata la mia forza. Poi sono andato avanti, prendendo qualcosa da tutti gli ambienti in cui ho lavorato, ma senza di lui non sarebbe iniziato niente". Fra l'altro nella sua breve carriera semiprofessionistica il giovane Jos&eacute; &egrave; stato anche per qualche mese allenato dal vecchio, al Rio Ave.  Lo stesso padre che al compimento dei 24 anni gli consigli&ograve; di lasciar perdere, per terminare la scuola di educazione fisica e poi iscriversi a un corso per allenatori, mantenendosi per puro orgoglio (famiglia benestante, soprattutto dal ramo della madre Maria Julia) con supplenze in scuole medie e istituti tecnici. Mentre cresceva il desiderio di rivalsa, anche per conto di Jos&eacute; senior che lo ha sempre sostenuto nel sogno quasi impossibile di allenare un grande club senza essere stato un vero calciatore. Da Dondinho-Pel&eacute; a mille altri casi, non proprio una storia inedita. Ma questo non toglie che il successo sia ancora pi&ugrave; bello e meritato, quando lo si &egrave; a lungo sognato.

Il motivatore di Mourinho

La vittoria del Manchester United in Europa League ha trasformato la stagione della squadra di Jos&eacute; Mourinho da appena sufficiente a quasi buona, in proporzione ai mezzi finanziari: visto che i giocatori dell'Ajax sono costati in totale (!) una cifra inferiore alle commissioni pagate da Juventus e United per l'operazione Pogba. A riprova che il fair play finanziario UEFA alla fine non fa altro che perpetuare il dominio di chi &egrave; gi&agrave; forte ed ha milioni di tifosi in tutto il mondo: non ci pare che in fondo alla Champions League siano arrivate Sparta Praga e Basilea, ma forse ci sbagliamo.  Questo non toglie che Mourinho da 15 anni, da quando con il Porto vinse la Coppa UEFA 2002-2003, sia uno dei migliori allenatori del mondo: un periodo lunghissimo, per i parametri moderni, quasi assurdo pensando a come i 'santoni' si brucino molto pi&ugrave; velocemente dei distributori di maglie. Va detto che il Mourinho pacificato con il mondo e in un certo senso 'condiviso' di questa stagione a Manchester, ma anche della sua seconda vita al Chelsea, ha perso un po' della rabbia del vecchio Mourinho: non che nel 2017 manchino avversari o 'nemici', ma avere 54 anni &egrave; di sicuro diverso dall'averne 39. &Egrave; lui il primo a sapere che Community Shield, coppa di Lega, Europa League e qualificazione alla Champions sono un punto di partenza, quando in tutti gli altri club del mondo lo sarebbero di arrivo, quindi &egrave; sicuro che questa estate nasca davvero il suo Manchester United intorno a Paul Pogba, nella finale di Stoccolma molto pi&ugrave; coinvolto emotivamente rispetto al Pogba di almeno mezza stagione di Premier League.  Tatticamente l'allenatore portoghese ha iniziato la stagione con l'amato 4-2-3-1, con Pogba e Fellaini a centrocampo e Rooney dietro Ibrahimovic (viene in mente la prima delle sfide con il City di Guardiola), per poi da inizio 2017 cercare un miglioramento della manovra nel modo pi&ugrave; semplice: togliendo un difensore e aggiungendo un centrocampista. Tattica che a volte ha pagato (in campionato battuto il Chelsea di Conte) ma che non &egrave; nel cuore del portoghese. L'infortunio di Ibrahimovic gli ha dato la spinta per aggrapparsi alle sue certezze, con variazioni sul tema come il 4-3-3 compattissimo che era anche il marchio del suo primo Chelsea che aveva in attacco Duff, Drogba e Robben e che si &egrave; visto contro l'Ajax. Schiavi come siamo delle dichiarazioni da titolo, ci dimentichiamo troppo spesso di osservare come giocano la sue squadre. Che hanno una costante: hanno giocatori che remano nella stessa direzione, anche soggetti in altri contesti ritenuti difficili. Se Ibrahimovic, uno con un ego doppio rispetto a Cristiano Ronaldo e Messi presi insieme, da zoppo si mette a fare il tifoso a bordocampo questo significa che ancora oggi Mourinho sa entrare nel cuore di chi lavora con lui e di chi tifa per la sua squadra del momento. Sono cose che non si possono n&eacute; insegnare n&eacute; imparare.

L'Europa League del Mourinho condiviso

Jos&eacute; Mourinho &egrave; un'icona pop, prima ancora di un allenatore. Per questo la crisi del suo Chelsea fa pi&ugrave; notizia di quella di qualunque altro grande club, non soltanto in Italia dove non si va al di l&agrave; di pro Inter-anti Inter (cambiate la squadra e la logica rimane la stessa). Dopo la sconfitta con il West Ham e allegato rosso per Mourinho la crisi &egrave; diventata una tragedia, sportivamente parlando. Qualche settimana fa lo avevamo inserito in un elenco di grandi allenatori che avevano perso il fuoco sacro, non proprio bolliti ma ormai pi&ugrave; adatti a una nazionale o a uno studio televisivo, ma non si pu&ograve; dimenticare che lo scorso maggio questa squadra con lo stesso allenatore aveva vinto la Premier League, con una difesa che a giudizio di tutti era il punto di forza e che invece adesso &egrave; fra le peggiori della lega. Invece Terry &egrave; finito, Ivanovic &egrave; calato, eccetera... Troppi mezzi giocatori sopravvalutati, da Oscar a Willian? &Egrave; il problema di un po' tutta la Premier League, dove l'aumento dei soldi da spendere non hanno aumentato il numero di campioni nel mondo. Troppi nemici quest'anno anche interni, dopo il caso Carneiro? Forse, ma nessuno ha il suo contratto e fino al 2019, per non parlare del rapporto diretto con Abramovich. Forse Mourinho ha bisogno di un'altra sfida, come un Mondiale da vincere contro tutti con una nazionale fuori dai giri giusti come il Portogallo. Se rimane attaccato al Chelsea si trasformer&agrave; lentamente in un Wenger, senza nemmeno la&nbsp;buona stampa dell'alsaziano.  2. Il linciaggio, per fortuna soltanto verbale, che Firenze ha riservato a Mohammed Salah, deve far riflettere sull'asimmetria che c'&egrave; fra il pubblico del calcio e i suoi molto provvisori idoli. Salah arriv&ograve; a Firenze lo scorso febbraio nell'&igrave;nsieme dell'affare (per la Fiorentina) che port&ograve; Cuadrado al Chelsea: prestito fino a giugno, con possibilit&agrave; di riscatto da parte dei viola per 15 milioni. Contestualmente Salah e l'amministratore delegato della Fiorentina Mencucci avevano firmato un altro documento, che citiamo testualmente: "Per il contratto di ingaggio siglato il 2 febbraio 2015 tra Fiorentina e calciatore non dovr&agrave; essere considerato il consenso di Salah alla clausola di prestito siglata tra il club e il Chelsea che consente alla Fiorentina l'opzione di estensione del periodo di prestito e dell'eventuale acquisto a titolo definitivo. Il club non &egrave; autorizzato ad esercitare questi diritti senza che il calciatore non esprima in forma scritta la volont&agrave; di restare in viola anche per la stagione 2015-2016". Traduzione: la Fiorentina poteva esercitare il diritto di riscatto anche contro la volont&agrave; del Chelsea, ma non contro quella di Salah. Parentesi: non ci sarebbe stato nemmeno bisogno della scrittura privata, nessun professionista del calcio pu&ograve; vedersi cedere il contratto contro la propria volont&agrave;. Ma il punto &egrave; un altro: se Salah nei pochi mesi in viola avesse fatto schifo sarebbe stato rispedito a Londra senza problemi e nessuno a Firenze lo avrebbe rimpianto. Invece il suo mercato &egrave; aumentato e ha effettuato la scelta che ha ritenuto migliore per la propria carriera. Dov'&egrave; il crimine?  3. L'allenatore &egrave; l'unica persona criticabile all'interno di un club, per motivi mille volte elencati dal Guerino, ma con Massimiliano&nbsp;Allegri si sta andando oltre. Ed il caso Dybala &egrave; in questo senso emblematico, visto che prima della partita con l'Atalanta si imputava al tecnico livornese lo scarso impiego di un giocatore preso dal Palermo per 40 milioni di euro. Senza che nessuno in societ&agrave;, nemmeno quel direttore generale-fenomeno che acquista consapevolmente 'non fenomeni', lo difendesse. Ma il 'sottoutilizzato' Dybala gi&agrave; l'altroieri era l'attaccante bianconero pi&ugrave; utilizzato, pi&ugrave; di gente non scarsa come Morata, Mandzukic e Zaza. Poi Dybala ha giocato e segnato contro l'Atalanta, urge quindi un nuovo pretesto per canalizzare la rabbia repressa contro l'unico obbiettivo disponibile.  4. La morte di Paride Tumburus ci ha ricordato la carriera di un buon difensore, arrivato anche alla Nazionale nello sfortunato Mondiale del 1962 (lui nella battaglia di Santiago era in campo, fu tra i nove che finirono la partita con il Cile dopo le espulsioni di Ferrini e David) e consegnato ai posteri dallo scudetto bolognese 1963-64. Ma ci ha anche ricordato che la sua, quella dei nati alla fine degli anni Trenta, &egrave; l'ultima generazione di calciatori in bianco e nero, dei quali si fatica a ricordare la faccia a meno di non avere in casa un Panini d'epoca. Da Mexico 1970 abbiamo un ricordo a colori un po' farlocco, perch&eacute; gli italiani quelle immagini in diretta le videro in bianco e nero, mentre soltanto videocassette e dvd ci avrebbero dato un ricordo pi&ugrave; realistico e caldo. Per&ograve; se Tumburus era nostro padre, Rivera, di soli quattro anni pi&ugrave; giovane, era nostro fratello. La prossima generazione di morti, insomma, ci dar&agrave; un brivido di morte in pi&ugrave;.  Twitter @StefanoOlivari

Mourinho e il Chelsea da buttare

Il Chelsea di questo inizio di stagione &egrave; senza dubbio il peggiore dell'era Mourinho, mettendo insieme sia la sua prima (dal 2004 al 2007) che la seconda (dal 2013) gestione dei Blues. Non tanto come risultati, comunque negativi (sconfitta contro l'Arsenal dell'arcinemico Wenger&nbsp;nel Community Shield, pareggio con lo Swansea e sconfitta con il Manchester City in campionato), o come gioco perch&eacute; soprattutto contro il City il risultato non ha rispecchiato quanto si &egrave; visto in campo, ma perch&eacute; &nbsp;per la prima volta una sua squadra non sembra avere un'anima. Non stiamo certo parlando di spettacolo, perch&eacute; si pu&ograve; essere grandi squadre anche facendo le barricate e ripartendo, o di qualit&agrave; media dei giocatori anche se il fatto che il calciomercato si sia chiuso in sostanziale pareggio &egrave; significativo, cos&igrave; come &egrave; significativo che gli unici soldi veri siano stati messi sulla scommessa Rahman, ma stiamo parlando proprio di spirito.  A forza di riempire la rosa di mezzi giocatori (mezzi ad alto livello, a met&agrave; classifica di Premier League o di Serie A sarebbero stelle) come Willian, Cuadrado, Oscar, categoria dalla quale dovrebbe essersi emancipato Hazard, non si sa pi&ugrave; chi trascina chi. E questo nelle squadre di Mourinho, sempre con gerarchie molto chiare e quindi panchine non lunghissime, &egrave; un vero problema. In America Lampard, in Canada Drogba, l'evidente declino di John Terry (ma se il futuro &egrave; Zouma...) ha fatto sembrare scadente una difesa che la scorsa stagione pareva di ferro in quasi ogni situazione. Insomma, per la prima volta in carriera Mourinho ha in mano una squadra che non sente totalmente sua, anche se poi noi dall'alto dei nostri pagamenti spalmati su 150 anni scriviamo dei miliardi di Abramovich (che quest'anno ha speso meno di Ferrero).  E quindi? Il caso di Eva Carneiro, il medico voluto nel 2009 da Villas-Boas e poi sempre riconfermato con Di Matteo e Benitez, sembra davvero un'arma di distrazione di massa usando il primo pretesto utile, un numero che lo Special One si &egrave; inventato per attirare come al solito su di s&eacute; critiche e polemiche, evitandole al resto della squadra. Al di l&agrave; del fatto che Mourinho, uomo di destra e oltretutto nemico del politicamente corretto, mai vorrebbe una donna in uno spogliatoio di calciatori (per lo meno della sua squadra), la rimozione dopo l'errore della Carneiro nella partita con il Swansea (in campo per soccorrere Hazard che in realt&agrave; non si era fatto niente, con l'arbitro che giustamente aveva fatto poi uscire il belga dal campo perch&eacute; non era stato lui a far segno al medico di entrare) &egrave; una mourinhata purissima. Anche se poi gli sviluppi della vicenda, compresa una intervista-bomba dell'ex fidanzato della Carneiro al Sun (il giornale che i finti inviati italiani definiscono sprezzantemente 'i tabloid inglesi', salvo poi copiarne le notizie), gli hanno dato in qualche modo ragione.  Conclusione? Pi&ugrave; facile trovare un buon medico sportivo, a prescindere dal sesso, che un nucleo-base di giocatori che ti segnino quasi dieci anni di grande storia come Cech, Terry, Essien, Lampard, Drogba (e nel Mourinho Uno c'era anche Robben...). Guardando la rosa del Chelsea attuale, soltanto Courtois, ieri ben sostituito da Begovic, e Hazard possono far pensare a un tipo di giocatore del genere, ma pi&ugrave; come valore tecnico che come personalit&agrave;. Insomma, in due anni e cinque sessioni di calciomercato Mourinho questi giocatori non li ha ancora individuati, o pi&ugrave; verosimilmente non &egrave; riuscito a farseli comprare.  Twitter @StefanoOlivari

Mourinho e l'utile errore di Eva

Si sapeva che prima o poi sarebbe arrivata la risposta di Jos&eacute; Mourinho. Questa volta, la polemica ingaggiata dallo Special One, appare ancora pi&ugrave; singolare delle altre perch&eacute; il duellante a distanza &egrave; Montserrat Seara, la moglie di Benitez. Lei ha dichiarato che &laquo;Rafa deve aggiustare i casini lasciati dall'amico&raquo; e lui ha replicato con un poco elegante &laquo;Si occupi della dieta del marito&raquo;. Noi abbiamo raccolto le frasi che maggiormente hanno caratterizzato la storia dell'allenatore portoghese, spesso al di l&agrave; del buon costume.  &laquo;Vi prego di non chiamarmi arrogante, ma sono campione d'Europa e credo di essere speciale&raquo;.  &laquo;Se avessi voluto un lavoro facile, lavorando con la grande protezione di quello che avevo gi&agrave; fatto, sarei rimasto al Porto &ndash; una bella sedia blu, una Champions League, Dio, e dopo Dio, io&raquo;.  &laquo;Come diciamo in Portogallo, hanno portato un bus e lo hanno lasciato davanti alla porta. Sarei frustrato se fossi un tifoso che ha pagato &pound;50 per vedere questa partita (Chelsea-Tottenham), perch&eacute; loro sono venuti per difendersi&raquo;.  &laquo;Penso che Ars&egrave;ne Wenger sia un guardone. Ci sono alcune persone che, quando sono a casa, hanno un grande telescopio per vedere cosa accade nelle altre famiglie. Lui parla, parla e parla del Chelsea&raquo;.  &laquo;Come si dice "imbrogliare" in catalano? Barcellona &egrave; una citt&agrave; culturale con molti grandi teatri e questi ragazzi hanno imparato molto bene. Lionel Messi ha imparato a recitare&raquo;.  &laquo;Sir Alex Ferguson &egrave; rimasto diversi anni, mi pare tre, al Manchester senza vincere nulla, eppure &egrave; ancora al suo posto. Stessa cosa per Wenger, anche lui al terzo anno senza titoli, ma ancora al suo posto. Se fosse stato per i tifosi, avrei avuto il contratto per vent'anni, perch&eacute; la gente mi adora&raquo;.  &laquo;Se fossi il ct di un'altra squadra, non potrei affrontare il Portogallo. Sarebbe sbagliato. Sono completamente contrario ai c.t. stranieri, credo che le nazionali dovrebbero mettere insieme non solo i migliori giocatori di un Paese, ma anche il miglior tecnico. Allenare una nazionale non &egrave; come guidare un club. &Egrave; un lavoro per gente cui non piace lavorare troppo&raquo;.  &laquo;Io non sono un pirla&raquo;.  &laquo;Ranieri? Ha vinto poco ed &egrave; troppo vecchio per cambiare mentalit&agrave;&raquo;.  &laquo;Si parla tanto di Kak&agrave; che ha vinto il Pallone d&rsquo;oro, di Messi e di Cristiano Ronaldo, ma quando lavoro due tre giorni con Ibra, capisco che lui &egrave; speciale&raquo;.  &laquo;Perch&eacute; mi attaccano tutti? Facile, perch&eacute; sanno che il giorno dopo le prime pagine dei giornali si occuperanno di loro. &Egrave; tutta pubblicit&agrave; gratis&raquo;.  &laquo;Lo Monaco? Io conosco Monaco de Tibete, Monaco Montecarlo, Bayern Monaco, Gran Prix di Monaco. Se questo Lo Monaco vuole essere conosciuto per parlare di me, mi deve pagare tanto. Io ho gi&agrave; degli sponsor che mi pagano per fare pubblicit&agrave;. Non vengo pagato per fare pubblicit&agrave; a Monaco&raquo;.  &laquo;Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia migliore di me&raquo;.  &laquo;Mi sembra che gli italiani non siano tanto innamorati di calcio come io pensavo, sono innamorati pi&ugrave; dello show televisivo&raquo;.  &laquo;Io ho studiato cinque ore al giorno l'italiano per diversi mesi per poter comunicare con voi giornalisti, con i tifosi e pensate che vi abbia mancato di rispetto? Parla poi Ranieri che dopo cinque anni in Inghilterra ha avuto difficolt&agrave; a dire good morning e good afternoon&raquo;.  &laquo;Dopo una partita non mi sentirete mai criticare i miei giocatori. Io non mi nascondo mai, mi piace che loro si sentano protetti&raquo;.  &laquo;La mia squadra &egrave; sempre la pi&ugrave; forte, era cos&igrave; quando allenavo l'Uniao Leiria, figurarsi oggi che sono all'Inter&raquo;.  &laquo;Se Balotelli si allenasse al 50% rispetto a giocatori come Zanetti e gli altri, sarebbe tra i pi&ugrave; forti al mondo. Lui invece si allena al 25% degli altri e ha solo 18 anni&raquo;.  &laquo;A me non piace la prostituzione intellettuale, a me piace l'onest&agrave; intellettuale. Mi sembra che negli ultimi giorni ci sia una grandissima manipolazione intellettuale, un grande lavoro organizzato per cambiare l'opinione pubblica per un mondo che non &egrave; il mio&raquo;.  &laquo;Non si parla di una Roma con grandissimi giocatori, tanti che avrei voluto avere con me, e che finir&agrave; la stagione con zero tituli. Non si &egrave; parlato di un Milan che finir&agrave; la stagione con zero tituli. Con giocatori, tradizione, cultura vincente, tutto quello di cui si ha bisogno per vincere tituli&raquo;.  &laquo;Non &egrave; vero che sono&nbsp; antipatico, e nemmeno che sono sempre incazzato. Neppure Ges&ugrave; piaceva a tutti&raquo;.  &laquo;Zanetti? Sapevo che &egrave; una forza della natura, ma non pensavo fosse questo uomo. E poi il suo passaporto deve essere sbagliato. Non pu&ograve; avere 36 anni, devono essere al massimo 25-26&raquo;.  &laquo;Ho espresso un'opinione da uomo libero in un Paese libero, e subito ho sentito il rumore dei nemici. Questo mi piace: ho parlato e ora sono tutti qui&raquo;.  &laquo;Credo che la gente si sia un po' stufata di vedermi vincere. Dicono che sono un difensivista, ma non &egrave; verit&agrave;, e poi un allenatore difensivo vince una volta, non due, tre o 17 volte. I titoli parlano per me&raquo;.  &laquo;Sarei un mediocre? Rispetto le opinioni di tutti, anche quelle di Zeman. Scusi, ma dove gioca questo Zeman? Ah, &egrave; un allenatore. Non lo sapevo, cercher&ograve; su Google&raquo;.  &laquo;Potrei scrivere un libro di 200 pagine sui miei due anni all'Inter con Mario Balotelli ma non sarebbe un romanzo drammatico, piuttosto una commedia perch&eacute; &egrave; un ragazzo divertente&raquo;.  &laquo;Boateng? Non cerco fotomodelli, il Chelsea insegue calciatori. Nell'ultimo anno ha fatto pi&ugrave; cambi di look che gol&raquo;.  &laquo;Cambi giusti? Si chiama culo!&raquo;.  &laquo;La domanda &egrave; por qu&eacute;, por qu&eacute;?&raquo;  &laquo;Pogba piace a tutti, ma ci sono cose che si possono fare e altre che non si possono fare. Mi piace anche la Torre Eiffel, ma non posso averla nel mio giardino&raquo;.  @damorirne

Mourinho vs Lady Benitez, tutte le frasi dello Special One

Le cose sono due e straordinariamente non in rotta di collisione. Mourinho &egrave; l'allenatore pi&ugrave; amato del mondo, Mourinho &egrave; l'allenatore pi&ugrave; odiato del mondo. Di certo, il lato privato dello Special One non si era ancora visto. &laquo;Ho paura della morte - ha dichiarato in un'intervista rilasciata al "London Evening Standard" -. Mi piace molto vivere e stare vicino alle persone che amo. Non mi separo mai da una foto dei miei figli, &egrave; amore&raquo;. E sfuggendo alle purtroppo consuete logiche che agitano le dichiarazioni ufficiali degli allenatori, che sono sempre pi&ugrave; chiacchiere da bar piene di banalit&agrave; e retorica, il portoghese dimostra ancora una volta di saper giostrare su una delle sue fantastiche virt&ugrave;, l'originalit&agrave;. L'ultima riguarda Iker Casillas con il quale ha vissuto un rapporto tormentato negli anni di Madrid. Piccola parentesi, che va al di l&agrave; delle celebrazioni al portiere passato al Porto dopo 25 anni alla Casa Blanca, Mourinho - e poi Ancelotti - ha avuto il coraggio di farlo scendere dal trono e giustamente, considerando i primi segni di declino di un atleta s&igrave; eccellente, ma nella prima decade del nuovo millennio. &laquo;I suoi due milioni e mezzo di ingaggio sono una cosa incredibile&raquo; tuona l'eroe del triplete interista, che in Italia manca davvero tanto. Una nitida fotografia dello spietato cinismo del santone di Set&uacute;bal si &egrave; avuta nell'aprile dello scorso anno in Liverpool-Chelsea, probabilmente la partita pi&ugrave; alta in stagione sotto il profilo emotivo, positivo e negativo, quella dello scivolone di Gerrard sotto gli occhi della Kop. La corsa di Mourinho verso lo spicchio dei tifosi dei Blues, mano destra che batte violentemente sul cuore, urla da manicomio che nemmeno il buon Carletto Mazzone contro gli atalantini. Per i cuori puri ha rimediato qualche mese dopo nella replica del match, invitando alla calma i suoi sostenitori: &laquo;No agli sfott&ograve; contro Stevie G, uno come lui merita solo rispetto&raquo;.  Sempre fuori dal coro, Jos&eacute;. Come quando lasci&ograve; l'Inter in mano a Rafa Benitez, al quale &egrave; stata affidata la panchina pi&ugrave; importante del mondo in virt&ugrave; degli scarni risultati delle ultime annate, dichiarando che probabilmente lo spagnolo avrebbe fatto suo il Mondiale per club, prendendosi per&ograve; tutti i meriti: &laquo;Se vincer&agrave; la Coppa Intercontinentale, avr&agrave; vinto due sole partite rispetto alle mie tredici. Quindi sar&agrave; la mia vittoria, non la sua&raquo;. Parole chiare e dirette e che in pochi, al posto di Mourinho, avrebbero avuto la faccia tosta di pronunciare. Tre volte su quattro oltrepassa il limite della decenza, lasciandosi trasportare dalla propria esuberanza, le manette a Tagliavento o il siparietto a distanza con l'allora dirigente del Catania Pietro Lo Monaco: &laquo;Io conosco Monaco de Tibete, Monaco Montecarlo, Bayern Monaco, Gran Prix di Monaco. Se questo Lo Monaco vuole essere conosciuto per parlare di me, mi deve pagare tanto. Io ho gi&agrave; degli sponsor che mi pagano per fare pubblicit&agrave;. Non vengo pagato per fare pubblicit&agrave; a Monaco&raquo;. Show su show in conferenza stampa, personaggio dissacrante che spezza la monotonia del gi&agrave; detto, &egrave; per questo che manca al campionato italiano. Mourinho &egrave; tutto, tranne che un pirla.  @damorirne

Mourinho, il personaggio che manca al calcio italiano

Il quinto campionato vinto dal Chelsea, il terzo con Mourinho in panchina e il quarto con Abramovich proprietario (che ha vinto anche con Ancelotti nel 2009-10), arriva in un periodo in cui si dice e si scrive che la Premier League &egrave; ormai sopravvalutata, perch&eacute; a grandi ingaggi e grande organizzazione non corrisponde un'adeguata qualit&agrave; di gioco: l'indicatore di tutto &egrave; ovviamente la Champions League, secondo cui quindi l'anno scorso il calcio italiano faceva schifo mentre quest'anno &egrave; scintillante. Ma al di l&agrave; di risultati internazionali che possono cambiare da una stagione all'altra, va detto che il calcio inglese ai suoi livelli massimi ha ormai perso la propria anima nel nome di un'internazionalizzazione che porta benefici quasi soltanto al marketing. Veder giocare sottoritmo tanti bravi soldatini, in stadi bellissimi ma troppo spesso silenziosi, &egrave; una cosa che ci fa male anche dal punto di vista televisivo (meglio stadi pieni che vuoti, per&ograve;, avrebbe detto Catalano). Non &egrave; un caso che la squadra di Mourinho abbia vinto senza dare lezioni di calcio, anzi, ma basandosi su un quartetto difensivo straordinario, Ivanovic-Cahill-Terry-Azpilicueta, un (facciamo due) portiere di altissimo profilo ed il resto messo in campo con intelligenza. Il luogo comune 'Il Chelsea gioca male', particolarmente praticato in Italia da chi da Mourinho &egrave; stato umiliato (in particolare le grandi firme del giornalismo, ma non solo loro), &egrave; infondato (miglior difesa, secondo miglior attacco a 2 gol dal Manchester City) ma pu&ograve; essere legato alla parabola di alcuni suoi giocatori. A centrocampo soltanto Fabregas &egrave; stato all'altezza del nome, in attacco soltanto Hazard ha avuto una certa continuit&agrave; mentre Diego Costa al di l&agrave; delle statistiche dei gol &egrave; ben lontano dall'idea di fuoriclasse che pochi minuti di Drogba fanno spesso tornare alla mente. Bene Oscar, benino Matic, il resto (Ramires, Obi Mikel, Remy, Filipe Luis, Zouma, Willian) poteva esserci o non esserci senza spostare alcunch&eacute;. Il vero problema del Chelsea &egrave; che viene giudicato con le categorie di qualche anno fa, quando le spese potevano e dovevano essere no limits. Negli ultimi mercati Mourinho &egrave; riuscito a sbarazzarsi, con super-incassi, dei sopravvalutati o finiti David Luiz, Lukaku, Schurrle, Demba Ba, Bertrand, Torres, che si sono aggiunti a un delirio di prestiti e di operazioni 'grigie' degne del calcio di oggi. L'unico grave errore in entrata &egrave; stato finora Cuadrado, ma per caratteristiche tecniche &egrave; un giocatore che nel Chelsea pu&ograve; avere futuro. Questo Mourinho sedato e pacificato con il mondo, anche nelle dichiarazioni e nei rapporti con i colleghi (Wenger escluso), non piace molto nemmeno ai suoi simpatizzanti, ma ha portato la sua squadra avanti alle altre corazzate della Premier League, che possono mettere le mani su giocatori esattamente dello stesso rango. Conclusione? Un'annata (all'attivo anche la Coppa di Lega, al passivo l'eliminazione agli ottavi di Champions con il PSG e dalla FA Cup con il Bradford City) non da grande personaggio ma da grandissimo allenatore. Che nonostante vittorie e soldi sembra avere ancora voglia di calcio, sempre con la panchina del Portogallo in un angolo del cervello. Lo aspettano dieci finali, a lui per&ograve; davvero.  Twitter @StefanoOlivari

Chelsea, la Premier League del nuovo Mourinho

La Coppa di Lega conquistata a Wembley contro il Tottenham non &egrave; certo il trofeo pi&ugrave; prestigioso conquistato in carriera da Jos&eacute; Mourinho, ma &egrave; il primo (e probabilmente non l'ultimo, visto come sta andando il Chelsea in Premier League) dal suo ritorno sulla panchina dei Blues avvenuto nell'estate 2013 ed &egrave; importante soprattutto perch&eacute; quasi nessun grande allenatore (discorso che in parte vale anche per i giocatori) della storia del calcio &egrave; riuscito ad ottenere successi in occasione di 'grandi ritorni' invocati pi&ugrave; dalla piazza, alla ricerca del tempo perduto, che dalla societ&agrave; che di solito compie queste scelte contando sull'effetto parafulmini. Un discorso che vale a qualsiasi livello, dal top club europeo a squadre storicamente in lotta per non retrocedere. Facendo esempi italiani ci vengono in mente Trapattoni alla Juventus nel 1991, Herrera all'Inter nel 1973, Sacchi al Milan nel 1996, Liedholm alla Roma nel 1987 (senza considerare il triste epilogo di quasi 10 anni dopo) e potremmo continuare all'infinito. Le regioni di questa difficolt&agrave; nel ripetersi sono evidenti. Prima di tutto il livello della rosa &egrave; cambiato, in assoluto ma anche in proporzione alla concorrenza: se al primo giro hai ottenuto il massimo, ripetersi &egrave; difficilissimo se il materiale umano &egrave; inferiore. In secondo luogo le aspettative sono sempre troppo alte: questi grandi ritorni sono quasi sempre indotti da una crisi di risultati durata anni (non &egrave; il caso del Chelsea, che veniva dalla Champions League 2012 con Di Matteo in panchina e dall'Europa League 2013 con Benitez: sar&agrave; per questo che la scelta si &egrave; rivelata giusta?), con il popolo che invoca il condottiero quando invece bisognerebbe ricostruire l'esercito. Infine il cavallo di ritorno &egrave; di solito spinto da motivazioni che poco hanno a che fare con la 'fame' sportiva: soldi, facile consenso, rifugio in un passato felice dopo anni difficili o comunque non all'altezza delle aspettative. Il grandissimo Boscia Tanjevic, rimpianto ovunque abbia allenato, anche dove non ha alzato trofei, ci ha regalato una frase memorabile fra le tante: "Mai tornare dove sei stato felice". Mourinho &egrave; l'eccezione, non la regola. Forse anche perch&eacute; &egrave; stato capace di riciclarsi in un Mourinho diverso, pi&ugrave; sedato e pacificato con il mondo (tranne che con Wenger). Il Mourinho emergente del Porto e del suo primo Chelsea e quello 'noi contro tutti' di Inter e Real Madrid non ci sono pi&ugrave;. Rimane un uomo inesplorato dai media e soprattutto grandissimo allenatore, che ha cittadinanza nella discussione su chi sia il pi&ugrave; grande di tutti.  Twitter @StefanoOlivari

Mourinho, l&rsquo;eccezione dei grandi ritorni

L'andata di Atletico Madrid-Chelsea ha fatto scoprire agli esteti, quelli che considerano il calcio soltanto un gioco o peggio ancora uno spettacolo, che chi sa di essere inferiore deve usare il cervello per battere l'avversario. Cos&igrave; Jos&eacute; Mourinho, a dispetto del 4-3-3 (facciamo 4-5-1) con cui &egrave; sceso in campo al Vicente Calderon e della sostituzione di Terry con Schurrle negli ultimi 20 minuti, &egrave; diventato il simbolo mondiale del catenaccio. Che pu&ograve; essere uno schema di gioco da quiz storico, basato sull'invenzione del libero (Rappan, Viani, eccetera) ma soprattutto una mentalit&agrave;: perch&eacute; se punti allo 0-0 anche un modulo 0-0-10 potrebbe produrre pochi tiri in porta. Ma il Chelsea era cos&igrave; inferiore alla squadra di Simeone al punto di pensare solo a limitare i danni? La risposta &egrave; s&igrave;, guardando soprattutto al centrocampo: un muscolare come Mikel, un difensore riciclato come David Luiz, un ex campione come Lampard. E l'attacco? Il leggerino Ramires, il sosia (ormai da anni) di Torres e il tragico errore di mercato Willian, paragonabile al Quaresma interista. Infortunato l'unico fuoriclasse della squadra, cio&egrave; Hazard, cosa avrebbe potuto fare Oscar contro i super-atleti (&hellip;) di Simeone? Detto che il ritorno a Stamford Bridge sar&agrave; per il Chelsea pi&ugrave; difficile dell'andata (Mikel e Lampard squalificati, Cech e Terry infortunati), anche se Mourinho ha scommesso sul pieno recupero di Hazard con una settimana in pi&ugrave; di tempo, vale la solita regola: quando il catenaccio lo fanno i 'nostri' &egrave; una partita intelligente, nella peggiore delle ipotesi una difesa eroica (avete mai sentito criticare una squadra italiana dopo un risultato positivo? Anche l'Inter di Mourinho&hellip;), quando invece lo fanno gli altri diventa anti-calcio. Ne sono sicuramente consapevoli i milioni di italiani che nel 1982 e nel 2006 hanno festeggiato per le strade i due Mondiali vinti nell'era moderna.

Mourinho e il catenaccio degli altri

Ben lontani anche dalla sola partecipazione alla Champions League per quest'anno e quelli a venire, addirittura in dubbio per quella alla coppetta, in Europa i tifosi interisti fanno il tifo per il Chelsea e forse anche per l'Atletico Madrid di Simeone, la meno ricordata fra le scellerate cessioni di Moratti (il podio rimane per&ograve; Roberto Carlos-Pirlo-Ronaldo), in questo come in altri casi mal consigliato da Lippi. I tifosi milanisti chiaramente sperano che ad alzare il trofeo sia il Real Madrid di Carlo Ancelotti, icona rossonera da giocatore e da tecnico, che nonostante le tante vittorie non ha perso la testa e continua a pensare che si possa vincere solo con i grandi giocatori. Escludendo le tre squadre citate, gli juventini si devono ridurre a tifare per il Bayern di Guardiola e di una gestione societaria che per i bianconeri rappresenta da anni il punto d'arrivo, sia pure senza l'azionariato popolare. Insomma, portiamo in Europa i nostri pregiudizi italiani e riconoscerlo &egrave; senz'altro pi&ugrave; onesto che tirarsela da esperti super partes (esiste poca gente che davvero capisca di calcio e fra l'altro noi non facciamo parte di questa el&igrave;te, in ogni caso nessuno &egrave; super partes), buttando l&igrave; verit&agrave; inconfutabili. Per questo il gol di Demba Ba all'87' ha trasformato Mourinho da eliminato (quindi fallito, perch&eacute; chi non vince &egrave; mediaticamente un fallito secondo i media che poi lamentano l'assenza di cultura sportiva) di lusso a uomo del momento in tutta Europa, al di l&agrave; dell'impressione che il suo Chelsea ha destato in tutta la stagione, considerando anche la Premier League. Dove il gioco &egrave; ben inferiore alla posizione in classifica e il 'fuoco', la capacit&agrave; di metterla sul piano della battaglia, ha spesso latitato. Mancano punte che segnino a prescindere (Eto'o si difende ancora bene ma ha ormai limiti di tenuta, Torres &egrave; da anni sceso di livello) e centrocampisti di sostanza (la soluzione meno peggio &egrave; David Luiz, cio&egrave; un difensore, in coppia con l'anziano Lampard), mentre dei tre tenori dietro l'attaccante centrale solo Hazard &egrave; di categoria lusso. Mourinho &egrave; per&ograve; sempre Mourinho: straordinario motivatore, con parole giuste sia per le stelle che per i comprimari, tattico per niente attaccato ai dogmi e con un buonissimo feeling per la partita (ha riconosciuto il 'culo' avuto nelle sostituzioni, per&ograve; &egrave; anche vero che le sbaglia raramente anche quando il risultato finale gli dice male), maestro nel compattare un ambiente contro nemici esterni reali e immaginari (strategia di allenatori anche molto diversi fra di loro, da Bearzot a Conte passando per Lippi). &Egrave; il Chelsea che non &egrave; pi&ugrave; il Chelsea di qualche anno fa, come se la fortunosa Champions vinta nel 2012 con Di Matteo avesse spento l'entusiasmo di Abramovich. Intendiamoci, fra estate e gennaio il rosso di mercato &egrave; stato di circa 65 milioni di euro, ma nella sostanza il Mourinho bis al Chelsea &egrave; stato salutato da un mercato ben lontano da quelli di 'una volta' o da quelli di adesso riferiti a Paris Saint-Germain o Real Madrid: due talenti sopravvalutatissimi, come Schurrle e Willian, una vecchia gloria come Eto'o e poco altro, con le cessioni eccellenti di Mata e l'addio gratis ad Essien, che non era pi&ugrave; nemmeno parente dell'Essien di prima ma che non &egrave; stato di fatto sostituito da un centrocampista di rottura di pari rango. Insomma, come rosa il Chelsea &egrave; superiore all'Atletico Madrid e molto inferiore a quelle di Real e Bayern, solo un sorteggio fortunato (per&ograve; i bene informati UEFA sostengono sia gi&agrave; stata apparecchiata la semifinale Chelsea-Real Madrid, per ottavi e quarti avevano azzeccato tutto) potrebbe dargli la finale. Ha il pi&ugrave; grande allenatore del mondo, ma probabilmente non gli baster&agrave;.

Pi&ugrave; Mourinho che Chelsea

A Jos&eacute; Mourinho non mancano certo i soldi: nelle ultime 9 stagioni, da quando ha lasciato il Porto da campione d'Europa, ne ha guadagnati per 50 generazioni di Mourinho. Non mancano per&ograve; nemmeno il coraggio ed il gusto per la sfida, solo cos&igrave; si pu&ograve; spiegare la scelta di tornare al Chelsea dopo avere nella sua prima incarnazione ai Blues vinto tutto tranne quella Champions League che l'anno scorso ha alzato Di Matteo. L'allenatore portoghese si trova in una situazione non dissimile da quella del 'nemico' Guardiola al Bayern Monaco, ma con una significativa differenza: qualche mese fa Guardiola poteva pensare che il Bayern avrebbe vinto la Champions, ma non ne aveva certezza, mentre Mourinho il Chelsea se lo &egrave; scelto a Champions gi&agrave; vinta e addirittura con una Europa League freschissima conquistata dall'altro suo antipatizzante storico Rafa Benitez. Facile dire: i soldi. Quelli li avrebbero tirati fuori anche il PSG, per una comoda cavalcata in Ligue 1 e nessun obbligo di vincere la Champions, e forse altri con meno riflettori addosso. Per non dire delle telefonate quasi quotidiane di Moratti, zavorrato per&ograve; da una squadra improponibile ad alto livello. Invece il Chelsea. Dove un Mourinho un po' sedato, complimentoso con tutti, nella conferenza stampa di presentazione, si &egrave; definito 'Happy One' invece di 'Special One'. Senza dietrologia, visto che in privato Mourinho ha sempre parlato in un certo modo dell'Inghilterra: finito il periodo dell'ascesa, ma non necessariamente quello delle vittorie, Mourinho ha scelto quello che ritiene il posto migliore in cui vivere e lavorare. Premier League, Londra, Chelsea. Nonostante le recenti glorie del club ed il modo, tuttora poco chiaro, in cui all'inizio del suo quarto anno divorzi&ograve; da Abramovich lasciando la panchina ad Avram Grant. La considerazione finale &egrave; che Mourinho viene rimpianto da tutte le sue ex squadre, anche da quelle dove non ha vinto tutto. Il suo vero miracolo sarebbe che accadesse anche al Real Madrid. 

Il coraggio di Mourinho

Cosa c'&egrave; che non va in Rafa Benitez? Non &egrave; banale chiederselo, visto che Abramovich lo congeder&agrave; da allenatore del Chelsea per far posto al ritorno di Mourinho, nonostante la fresca conquista (sia pure immeritata, nella finale il Benfica ha giocato meglio: ma il calcio non &egrave; il pattinaggio artistico...) dell'Europa League e un piazzamento in Premier League che garantisce al Chelsea la qualificazione diretta alla Champions dell'anno prossimo. Raramente il gioco dei Blues versione Benitez &egrave; stato scintillante, ma lo stesso discorso si poteva fare per quello della gestione Di Matteo (per&ograve; l'ex azzurro rimarr&agrave; in eterno come uomo della prima Champions), che i tifosi di Stamford Bridge invocavano durante le prime settimane in panchina dello spagnolo. Sul piano calcistico ci pu&ograve; stare il paragone con l'esonero a fine 2010 da allenatore dell'Inter, dopo la conquista del Mondiale per club, mentre a livello umano stiamo parlando di situazioni molto diverse. A Milano Benitez pag&ograve; il fatto di avere contro i senatori dello spogliatoio, che volevano un allenatore che li lasciasse respirare (e infatti arriv&ograve; Leonardo), ma soprattutto quello di avere detto pubblicamente la verit&agrave;, cio&eacute; che quella squadra necessitava di qualche acquisto giovane e importante per non crollare. E i fatti non gli hanno dato poi torto... Certo &egrave; che nemmeno all'Inter i tifosi e il proprietario stravedevano per Benitez, mentre un po' meglio le cose andavano a Liverpool e non solo per l'incredibile Champions conquistata nel 2005 ai danni del Milan (la Champions di Dudek, prima ancora che di Benitez). Solo nel Valencia di inizio millennio, quello post Cuper, Benitez ha saputo coniugare spettacolo e risultati, ma il problema &egrave; pi&ugrave; sottile e lui stesso ne &egrave; consapevole visto che in pi&ugrave; interviste ha parlato di 'percezione'. In sintesi: Benitez &egrave; convinto di avere iil marchio dell'allenatore con poco glamour e che qualsiasi cosa lui faccia sia svalutata rispetto agli stessi risultati ottenuti dai 'comunicatori' (in questa categoria fa rientrare anche Pep Guardiola). Il suo 4-2-3-1, modulo preferito anche se non unico, &egrave; vicinissmo a quello di Mourinho e le sue variazioni tattiche durante la partita (Benitez ama correggere in corsa, non &egrave; rigido) hanno la stessa flessibilit&agrave; di quelle del suo eterno rivale, almeno dal punto di vista mediatico. Quello che oggettivamente &egrave; diverso &egrave; la capacit&agrave; di coinvolgere emotivamente i giocatori: le stesse persone che per Mourinho si butterebbero nel fuoco avrebbero con Benitez un rapporto da professionisti. Non &egrave; che una situazione sia meglio dell'altra per vincere nel calcio, a volte essere in guerra con il mondo &egrave; controproducente, ma di sicuro l'attaccamento della gente e dei calciatori (oltre che di chi paga, cosa non secondaria) nei confronti del portoghese &egrave; superiore. E quindi? Benitez non sar&agrave; mai Mourinho, il prossimo che lo ingagger&agrave; deve saperlo. Abramovich lo sapeva gi&agrave; al momento della firma, per questo un simile epilogo non &egrave; stato soprendente. La realt&agrave; coincide con la percezione della realt&agrave;, non solo nel calcio.

La percezione di Benitez

Chi ha paura del ritorno in Italia di Jos&eacute; Mourinho? Tutti tranne i giornalisti, che non avrebbero pi&ugrave; il problema di dare dignit&agrave; ai 'ci aspettano dieci finali' e ai 'il nostro segreto &egrave; il gruppo' che sono un'offesa all'intelligenza dei lettori-tifosi prima ancora che ai media. Noi abbiamo bisogno di gente vera che susciti una qualche emozione, adesso che anche Balotelli &egrave; diventato un santo (Manchester era Sodoma e Gomorra insieme, Milano aiuta invece a riscoprire i valori della famiglia). Ne parliamo perch&eacute; Massimo Moratti ci sta davvero pensando, il che non vuol dire che abbia deciso e meno che mai che Mourinho tornerebbe in una realt&agrave; tecnicamente ben diversa da quella lasciata il giorno dopo il Triplete del 2010, rinunciando a un contratto fino al 2016 con il Real Madrid che lo rende l'allenatore pi&ugrave; pagato al mondo insieme ad Ancelotti (non a caso &egrave; almeno credibile l'ipotesi che possano scambiarsi le panchine). Di sicuro Moratti considera chiusa l'era Stramaccioni, perch&eacute; in morattese 'penso che sar&agrave; riconfermato' significa esattamente questo, senza grandi colpe dell'allenatore romano se non quella di avere avallato qualsiasi scelta di mercato della societ&agrave;. Un concetto ben spiegato da Sneijder nei giorni scorsi, quando ha detto che Stramaccioni lo apprezzava molto ma che l'Inter rappresentava per lui un'occasione troppo grande per impuntarsi su un giocatore. E' altrettanto certo che da qualche settimana il presidente dell'Inter si senta con Mourinho quasi tutti i giorni, un po' per il piacere di parlare di calcio (se &egrave; per questo, fra i suoi interlocutori ci sono Lucescu, Hodgson e un insospettabile Cruijff) e un po' per sondare la disponibilit&agrave; a un clamoroso ritorno. Le certezze si fermano qui, perch&egrave; la pazzia (tornare dove si &egrave; vinto tanto &egrave; quasi sempre una pazzia: nell'era moderna ha funzionato, in parte, solo con Lippi alla Juventus e in generale vale il detto di Boscia Tanjevic: mai tornare dove sei stato felice) Mourinho potrebbe farla solo andandosene da Madrid con la decima Champions in mano e allo stato attuale l'ipotesi &egrave; solo possibile. Non &egrave; vero, riferiscono persone vicine a lui, che pretenderebbe chiss&agrave; quale calciomercato perch&eacute; la sfida impossibile sarebbe proprio quella di vincere con un'Inter diversa da quella di qualche anno fa (peraltro costruita nella sua ossatura da Mancini). Si vedr&agrave;. Mourinho fa comunque paura a molti: agli avversari, che non lo reggono psicologicamente (&egrave; andato in bollitura anche uno che l'ha battuto pi&ugrave; volte, come Pep Guardiola, figuriamoci chi con lui ha sempre perso), ma anche ai dirigenti della stessa Inter, Moratti compreso, visto che tre anni senza un allenatore di grande personalit&agrave; (anche Mancini, pur con altre caratteristiche umane, lo era), in grado di compattare la squadra contro tutti i portatori di negativit&agrave;, soprattutto quelli interni, hanno dimostrato la loro inconsistenza. 

Paura di Mourinho

Alex Ferguson sar&agrave; ricordato nella storia del calcio per molti motivi, due su tutti. Il primo &egrave; quello di avere resistito 27 anni consecutivi (e non &egrave; ancora finita) sulla panchina di un club che punta ai massimi traguardi internazionali, cosa mai accaduta e nemmeno avvicinata da altri. Lo stesso calcio inglese, in passato pi&ugrave; legato a progetti tecnici che a risultati effimeri (anche perch&eacute; l&igrave; l'allenatore &egrave; di fatto un direttore tecnico e sportivo), sta anche fuori dal mondo Chelsea prendendo una deriva zampariniana e quindi il record &egrave; destinato a durare nei secoli. Il secondo &egrave; per certi versi pi&ugrave; incredibile: si tratta dell'unico collega davvero rispettato da Jos&eacute; Mourinho. Da avversario nella Premier League a concorrente solo in Champions, lo Special One non ha mai fatto mistero di considerare Ferguson l'unico vero maestro insieme al suo personale (ma pi&ugrave; per affetto che per altro), lo scomparso Bobby Robson che lo lanci&ograve; come assistente, ma anche interprete, ai tempi dello Sporting Lisbona, prima di chiamarlo anche al Porto e al Barcellona. Un maestro, Ferguson, non certo a livello tattico (il suo 4-4-2 con tendenza 4-5-1 non ha segreti) ma nella gestione e nel miglioramento di un gruppo. E dopo l'ottavo di finale di Champions, in cui il Real Madrid ha eliminato il Manchester United, Mourinho ha esaltato Ferguson e addirittura dichiarato che il Manchester United avrebbe meritato di pi&ugrave;. Da cosa nasce questa strana devozione? A pensare male, dal desiderio di sedersi sulla panchina del Manchester United, visto che il dopo Ferguson (che ha 72 anni, ma Mourinho non lo ha mai definito 'vecchio' come fece con Ranieri) inevitabilmente &egrave; alle porte. Se sir Alex dovesse ritirarsi, magari l'anno prossimo, o concedersi un ultimo urr&agrave; come c.t. della Scozia (che guid&ograve; al Mondiale 1986, dopo il grande periodo sulla panchina dell'Aberdeen), &egrave; ovvio che toccherebbe a lui una sorta di investitura del suo successore. E Mourinho per il dopo Real vuole una grande inglese, pur avendo mercato ovunque. A pensare bene, la devozione nasce dalla passione di Mourinho non tanto per Ferguson quanto per il vero calcio britannico. Passione che ormai sembrano avere soprattutto i non britannici di una certa et&agrave;. E nessuno come Ferguson, da giocatore, ottimo attaccante con pi&ugrave; maglie, e allenatore autentico working class hero (ex operaio lui stesso e sostenitore attivo dei laburisti, mentre anche Mourinho sa farsi amare dal popolo ma partendo da destra), sa incarnare nel terzo millennio uno spirito che i posti numerati, il pubblico silenzioso come a teatro, le dieci lingue diverse parlate nello stesso spogliatoio, hanno nascosto ma non ancora totalmente distrutto. Uno spirito che quelli veri continuano ad apprezzare.

Lo spirito che piace a Mourinho

Solo la Decima, intesa come Coppa Campioni-Campions League del Real Madrid, potr&agrave; salvare la panchina madridista di Jos&eacute; Mourinho, ammesso che allo Special One importi qualcosa di salvarla considerando il modo evidente in cui il Chelsea (senza dimentricare un Manchester City dove Mancini ha perso il controllo della situazione) lo sta aspettando e le possibilit&agrave; che si possono aprire al PSG dove l'asse Leonardo-Ancelotti sta scricchiolando da settimane. L'esclusione di Iker Casillas dalla partita contro il Malaga ha soltanto certificato che Mourinho &egrave; entrato nella modalit&agrave; a lui pi&ugrave; cara, quella 'io-noi contro il mondo' che &egrave; poi quella che nello sport agonistico di solito paga i dividendi pi&ugrave; alti (vedere i Miami Heat dell'anno scorso nella NBA o la Juventus di adesso, tanto per non risalire alla solita Italia del Mondiale 1982). Casillas non &egrave; solo uno dei portieri pi&ugrave; forti del mondo (quando &egrave; al suo meglio, quindi non in questo momento), ma uno di quelli che ricorda a Mourinho e allo stesso Florentino Perez le glorie europee pi&ugrave; recenti, quelle del 2000 e del 2002. In pi&ugrave; &egrave; l'ultimo campione prodotto in casa, imbarazzante il confronto con quanto avviene al Barcellona, oltre che il delegato del resto della squadra quando c'&egrave; da parlamentare con l'allenatore. Di solito per chiedere ritiri meno 'chiusi' (in sostanza di fare quel che si vuole la sera prima della partita), ma anche per esprimere opinioni tattiche che mal si conciliano con le necessit&agrave; gerarchiche dello sport e le abitudini dello stesso Mourinho. Ovviamente il vero problema si chiama sempre Barcellona, un sistema cos&igrave; perfetto da rendere inutile la figura dell'allenatore fenomeno. I successi di Villanova, oltretutto nelle condizioni di salute in cui &egrave;, hanno ridimensionato Guardiola ma anche Mourinho. Questa &egrave; in fondo la vera sconfitta di un uomo che &egrave; riuscito a invertire abitudini perdenti in molti ambienti (dal Chelsea all'Inter, il suo vero sogno &egrave; farlo con il Portogallo prima che Cristiano Ronaldo sia da buttare), ma che al Real si &egrave; scontrato con una storia pi&ugrave; forte di quella dei suoi singoli protagonisti. 

La Decima obbligatoria di Mourinho

Jos&egrave; Mourinho ha conquistato tutti e tre i campionati nazionali pi&ugrave; importanti d'Europa (pi&ugrave; quello di partenza nel suo Portogallo), ma il trentaduesimo titolo di Spagna vinto dal Real Madrid non &egrave; banale nemmeno per un club che stava vivendo la superiorit&agrave; del Barcellona come un incubo impossibile da scacciare anche gettando in campo centinaia di milioni. I catalani non escono per niente ridimensionati da questa stagione, che in Champions &egrave; finita per un rigore (come del resto per il Real) e in patria &egrave; stata da secondo posto per l'infortunio di Villa che ha costretto Guardiola a puntare quasi su un Sanchez apparso inadatto ai movimenti chiesti dal sistema alla punta centrale (al punto che Messi spesso l'ha platealmente ripreso in campo). Poi la stanchezza, ma presentarsi stanchi alle fasi decisive della stagione &egrave; una colpa, ha fatto il resto. Ma dicevamo di Mourinho, che ha conquistato questo titolo partendo da una bugia necessaria: mai infatti l'allenatore portoghese ha ammesso la superiorit&agrave; di gioco del Barcellona, nemmeno quando era indiscutibile. Il commento &egrave; roba da commentatori, lui fa l'allenatore-motivatore: come potrebbe essere credibile se dicesse 'Guardate, cercate di vincere ma quelli l&agrave; tanto sono pi&ugrave; forti'? Sette titoli nazionali in quattro paesi diversi, nessuno prima di lui c'era riuscito in tutti e tre i pi&ugrave; televisti nel mondo. Interessante il motivo per cui Mourinho non pensa di consolidare il record, andando per esempio in Bundesliga: ''Il tedesco &egrave; troppo difficile per me, anche se ho provato a studiarlo. Per allenare devi parlare bene nella lingua della maggior parte dei giocatori, con l'interprete puoi spiegare la tattica ma non puoi entrare nella testa dei giocatori''. Conosce la materia, visto che nel grande calcio lui nasce come interprete di Bobby Robson. Insomma, si accontenta di quattro paesi europei, eguagliando in questo senso Happel, Trapattoni e Ivic. Quanto al modo di giocare, quello del Real Madrid di quest'anno &egrave; stato mourinhano come non mai: quattro difensori, con i laterali invitati a spingere, due mediani (Khedira e Xabi Alonso), una punta centrale (il pi&ugrave; forte Benzema &egrave; spesso stato preferito al pi&ugrave; intelligente Higuain), un fenomeno e altri due giocatori offensivi che dovevano adattarsi a lui. Pi&ugrave; o meno lo stesso schema dell'anno scorso, ma con il doppio dell'aggressivit&agrave; e della compattezza. Di Maria e Ozil hanno alternato grandi partite ad altre in cui sono sembrati un lusso, ma la delusione &egrave; stata Kak&agrave;, soprattutto il Kak&agrave; guarito che secondo Mourinho avrebbe dovuto fare la differenza in Champions entrando a partita in corso: un vero colpo di Galliani, quello di cederlo nel 2009 un minuto prima del declino (e il numero gli stava riuscendo anche con Pato, prima che Berlusconi lo bloccasse). E quindi? Dopo tanto fantomatico calciomercato, Mourinho potrebbe superare la boa della seconda stagione, come in carriera ha fatto solo al Chelsea (con risultati inferiori alle prime due), in attesa di prendere in mano la nazionale portoghese e di pensare ad una candidatura politica. Per adesso si accontenta di essere il migliore allenatore del mondo, con buona pace dei giornalisti che non invita a cena.  Stefano Olivari, 4 maggio 2012

La lingua di Mourinho

Processo della settimana  Imputato: Jos&egrave; Mourinho, allenatore del Real Madrid O lo si ama o lo si odia, lo Special One. Uomo carismatico, mai banale, qualunque cosa faccia. Arrivato in una notte di fine maggio a Madrid - con la medaglia della Champions Lague appesa al collo - e&nbsp; l'obiettivo dichiarato di contrastare e porre fine all'egemonia del Barcellona. In Spagna e in Europa. Lui, che era riuscito a portare la coppa dalle grande orecchie a Milano, sponda Inter, dopo 45 anni. Bottino? Secondo posto in classifica a -8 dai blaugrana, eliminazione (a meno di clamorosi miracoli) dalla Champions a opera degli stessi blaugrana. Nel mezzo, la vittoria della Coppa del Re. Il Real Madrid &egrave; ancora la seconda squadra di Spagna, Mourinho &egrave; colpevole o innocente in questo mezzo fallimento? Colpevole, perch&eacute; 1 - Il suo Real sembra una creatura incompiuta. Una squadra brava a difendere, ma che lascia qualche perplessit&agrave; quando si tratta di attaccare. In campionato 3 sconfitte sono troppe e 9 reti in meno segnate rispetto al Barcellona, anche. La sensazione &egrave; che se non girano C. Ronaldo, Di Maria e Ozil, la squadra fa troppa fatica a segnare. 2 - Non ha mai creduto veramente in Benzema, soprattutto dopo l'infortunio di Higuain. Anzi, ha &ldquo;costretto&rdquo; la societ&agrave; ad acquistare Adebayor e nel match di Champions contro il Barcellona ha tenuto entrambi in panchina, facendo giocare Ozil come centravanti. Mossa che si &egrave; rivelata sbagliata. Infatti, il tedesco ha lasciato il posto al togolese. 3 - I contrasti con Valdano hanno minato il clima attorno al Real Madrid, un ambiente costantemente sotto pressione. Il suo atteggiamento da prima donna, non sempre ha portato a benefici. Anzi, la stampa, non lo ha mai amato. 4 - Il recupero di Kak&agrave;, uno dei pi&ugrave; forti giocatori degli ultimi anni, di fatto non c'&egrave; stato. Il brasiliano ha avuto un ruolo da comprimario e il suo valore &egrave; calato sensibilmente. 5 - Ha sempre cercato alibi alle proprie sconfitte. Arbitri, in primis. Atteggiamento tipicamente Mourinhano che serve a proteggere lo spogliatoio dagli attacchi mediatici. Ma in alcune occasioni le sue sono sembrate esagerazioni patetiche. Innocente, perch&eacute; 1 - In meno di un anno non si pu&ograve; pensare di diventare pi&ugrave; forte di una squadra - il Barcellona - che ha una filosofia di gioco, un'idea di calcio, radicata nel proprio dna da pi&ugrave; di due lustri. In meno di 12 mesi era difficile avere la meglio su una squadra che ha pu&ograve; mettere in campo contemporaneamente giocatori di caratteristiche uniche come Xavi, Iniesta o Messi. 2 - &Egrave; riuscito a dare al Real un organizzazione difensiva di assoluto livello. E' riuscito ad imporre lo spirito di sacrificio a gente come Ronaldo, Ozil o Di Maria. Atteggiamento che gli ha permesso di portare a casa la Coppa del Re. Trofeo che mancava al Real da tanti anni. 3 - Espulsione di Pepe. Nella sfida pi&ugrave; importante dell'anno, la semifinale contro il Barcellona, fino a quando ha giocato in 11 contro 11, la partita era sullo 0 a 0 . Poi, quell'espulsione dubbia del centrocampista portoghese ha condizionato risultato, qualificazione e giudizio finale sullo Special One. 4 - Erano 6 anni che il Real Madrid usciva agli ottavi di finale della Coppa dei Campioni. Lui, al primo colpo, lo ha portato fino in semi finale. Non era un'impresa cos&igrave; scontata, soprattutto a livello mentale. 5 - In alcuni momenti della stagione la societ&agrave; non lo ha supportato, soprattutto sulle polemiche arbitrali, a volte, come lui stesso ha dichiarato, si &egrave; sentito solo contro tutti, e nonostante ci&ograve; &egrave; arrivato ad un passo dallo strappare l'egemonia spagnola ed europea al Barcellona.  Adesso la vostra sentenza  Francesco Aquino

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