C&rsquo; &egrave; una cosa, se possibile ancora pi&ugrave; meravigliosa e inquietante delle altre, che mi fa amare il Vecchio Guerriero; una cosa che non avevo mai rivelato neanche durante quello straordinario, franchissimo, fondamentalissimo rito del dialogo coi lettori, che forse pi&ugrave; di ogni altra cosa caratterizz&ograve; sia la mia prima che la seconda direzione: il fatto che il Guerin Sportivo avesse esattamente l&rsquo;et&agrave; di mio padre. E che mio padre, tanto per non far mancare niente alla suggestione e alla commozione dell&rsquo;accostamento, sia morto - credo orgoglioso di me - proprio quando ero direttore del giornale. Del &ldquo;nostro&rdquo; giornale.  Quando qualcuno, ancora oggi, dopo oltre cinquant&rsquo;anni di carriera (televisiva e non, sportiva e non), mi chiede quale sia l&rsquo;avventura professionale alla quale sono pi&ugrave; affezionato e che mi ha dato pi&ugrave; gioia, rispondo senza alcun indugio &ldquo;la direzione del Guerin Sportivo&rdquo;. Perch&eacute; io - e chi mi conosce lo sa - il Guerino l&rsquo;ho sempre avuto nel sangue; perch&eacute; &egrave; da l&igrave; che ho iniziato, coronando un sogno; perch&eacute; il suo spirito l&rsquo;ho sempre custodito nella testa, nella pancia, nel cuore. E perch&eacute; forse, fatalmente, ho finito col dargli il meglio di me:&nbsp;&nbsp;sul piano dell&rsquo;entusiasmo, della creativit&agrave;, della passione, della forza dell&rsquo;esempio, dei risultati, ma soprattutto dell&rsquo;amore.  Diceva Leonardo che per fare un buon affresco &egrave; importante che sia stato fatto un buon intonaco. E in questo senso io fui molto fortunato quando nel 1987 (dopo essere stato un giovane ed entusiasta apprendista ai tempi di Gianni Brera nei primi anni &lsquo;70 e dopo esservi tornato come inviato nel 1982) mi ritrovai a dirigere il giornale &ldquo;della mia vita&rdquo;: l&rsquo;&ldquo;intonaco&rdquo;- diciamo cos&igrave; (ma anche gi&agrave;&hellip; quasi tutto il dipinto) - l&rsquo;avevano fatto due maestri come Italo Cucci e Adalberto Bortolotti, che in una singolare staffetta avevano letteralmente inventato un prodotto tanto seducente quanto rivoluzionario: nulla tradendo del suo spirito originale, ma tutto creando dal punto di vista dell&rsquo;innovazione, del coinvolgimento, della modernit&agrave;! E sul lungo rettilineo d&rsquo;arrivo che portava all&rsquo;epocale 1990 (quello del Mondiale italiano, quello delle notti magiche) io mi ritrovai a pilotare questa Formula Uno che, dalla crisi degli ultimi tempi milanesi, si era rilanciata verso traguardi non pi&ugrave; immaginabili.    Sono andato a riguardare qualche numero di quegli anni. Sono rimasto letteralmente sbalordito per la potenza progettuale che eravamo riusciti a mettere in campo: c&rsquo;erano autorevolezza e divertimento, profondit&agrave; storica e attualit&agrave; a suon di scoop (che spesso gli stessi quotidiani erano costretti ad inseguire). La redazione era una macchina da guerra motivata, perfetta, complementare, sia dal punto di vista anagrafico che delle potenzialit&agrave; individuali: tre di quei ragazzi sarebbero diventati direttori! Farei torto a qualcuno&nbsp;se enumerassi i singoli exploit: ricordo solo quando i miei due senatori (Stefano Germano e Paolo Facchinetti) dopo aver scosso sistematicamente il capo a qualche mio delirio creativo, poi erano i primi a gettarsi divertiti nel fuoco. Germano fu&hellip; paracadutato a Mosca in un week-end di agosto assieme a Maurizio Borsari per scovare Zavarov e fotografarlo con una maglia della Juventus. E il bello &egrave; che il vecchio bucaniere ci riusc&igrave; e torn&ograve;, come sempre, con l&rsquo;osso in bocca! Mi telefon&ograve; Boniperti e mi url&ograve; &ldquo;ma come c&hellip; avete fatto, che non riusciamo a trovarlo neanche noi?&rdquo;  Inutile dire che cosa rappresentava il Guerino per quanto riguarda il racconto del calcio internazionale. Utile invece rammentare che tutta la stampa sportiva fu poi costretta ad adeguarsi e a ...copiare. E il Guerino come rompighiaccio, come precorritore di idee, come avanguardia editoriale (di mood giornalistico, di inserti, gadget, agende, annuari) &egrave; forse il vanto pi&ugrave; grande della mia gestione: l&rsquo;ufficio marketing&hellip; ero io, con Ivan Zazzaroni, Carlo Chiesa e Marco Montanari che mi guardavano allibiti, ma che poi mi seguivano in tutte le mie apparenti follie. Ma le &ldquo;vittime&rdquo; erano soprattutto i fotografi, a cominciare da Guido Zucchi e Maurizio Borsari. Forse qualcuno ricorda due copertine che credo nessuno al mondo aveva mai fatto prima e probabilmente far&agrave; mai pi&ugrave;. La prima, quella del Capodanno che portava ai Mondiali, ritraeva i giocatori pi&ugrave; celebri della Nazionale (e parlo di Vialli, di Baggio, di Baresi, di Bergomi, ecc) abbracciati a un enorme &ldquo;Ciao&rdquo; con tutte le maglie dei rispettivi club invertite, a significare la fratellanza vera&nbsp;che c&rsquo;era in quel gruppo, addirittura superiore all&rsquo;orgoglio di appartenenza. Baresi vestiva i colori dell&rsquo;Inter, Bergomi quella del Milan, Giannini quella della Fiorentina, Baggio della Sampdoria, Vialli del Napoli, Carnevale della Juve&hellip;  Sfido qualunque direttore vivente (e a venire) a organizzare una cosa del genere. La realt&agrave; &egrave; che quel Guerin, pur non essendo amico di nessuno (chiedere ai bersagli delle nostre rubriche satiriche), aveva solo amici: che non sapevano dire di no. Alla vigilia di Italia 90 fece il giro dell&rsquo;universo la copertina dei nostri 22 azzurri, pi&ugrave; due piccole mascotte, che indossavano in anteprima tutte le divise delle 24 squadre che avrebbero partecipato a quel Mondiale. Berti aveva la maglia della Svezia, Maldini quella della Jugoslavia, Ferri della Germania, Giannini dell&rsquo;Olanda, Mancini della Scozia, Donadoni della Cecoslovacchia, Ancelotti della Costa Rica, Pagliuca del Brasile, Vialli del Camerun, Tacconi dell&rsquo;Inghilterra e cos&igrave; via&hellip; A Schillaci, che sembrava non contasse niente, era toccata&hellip; la maglia della Corea! Quel Mondiale segn&ograve; probabilmente la mia vita (professionale e non): ma ne parler&ograve; fra un attimo. Di quei tra anni magici, voglio ancora rammentare il peso delle iniziative collaterali. E quando parlo di &ldquo;peso&rdquo; non credo di usare metafore.  Ci fu un numero di fine anno che conteneva dieci fra inserti cartacei, distintivi, gadget e iniziative varie: una pi&ugrave; bella dell&rsquo;altra, una pi&ugrave; prestigiosa dell&rsquo;altra. Il lettore del Guerino usciva dall&rsquo;edicola autenticamente felice. Forse gli sarebbe bastato&hellip; il giornale, gi&agrave; cos&igrave; bello, completo e prestigioso: ma si ritrovava anche irripetibili&nbsp;Storie dei Mondiali (provate a cercarle su e-bay! E beato chi le ha conservate e rilegate), raccolte uniche di figurine del campionato, pins, adesivi in carta e stoffa delle pi&ugrave; importanti Nazionali del mondo, la collezione (poi imitata da tanti) di tutti i giocatori in ordine cronologico che avevano indossato la maglia azzurra, per non parlare dei fumetti che raccontavano le epopee delle squadre e di tutto quello che ora non riesco a ricordare. Poi c&rsquo;erano i concorsi personalizzati: indimenticabile quello che si intitolava &ldquo;Passa una giornata col tuo campione&rdquo;: una quindicina fra i calciatori pi&ugrave; famosi del momento &ndash; parlo di Maradona, Gullit, Zenga, Baggio e chi pi&ugrave; ne ha pi&ugrave; ne metta &ndash; trascorrevano appunto una giornata intera con due giovani lettori, portandoli con loro all&rsquo;allenamento, pranzando con loro, ricoprendoli di coccole, attenzioni e regali. Una vincitrice svenne davanti a Maldini; un&rsquo;altra cerc&ograve; di scappare dall&rsquo;ospedale perch&eacute; le era venuto un attacco di appendicite la sera prima dell&rsquo;incontro col suo idolo. Avrei appreso pi&ugrave; tardi che questa strategia si chiamava &ldquo;fidelizzazione&rdquo;: strategia che trovava la sua esplosione soprattutto nel rapporto &ldquo;diretto&rdquo; coi lettori che nella &ldquo;Posta&rdquo; trovarono una palestra di dialogo senza limiti alla franchezza. E chi ha chiacchierato con me via lettera (pensate, a quei tempi si scriveva&hellip; ancora con busta e francobollo)sa bene che molto spesso la nostra conversazione proseguiva anche con la corrispondenza privata: e quanta pazienza aveva Elena, la mia segretaria, altro pilastro di questa storia.  Salto a pi&egrave; pari il fasto delle serate del Guerin d&rsquo;Oro (c&rsquo;eratutto, ma proprio tutto il mondo del calcio, perch&eacute; al Guerino non si poteva dire di no), ma permettetimi di tornare ancora un attimo ai contenuti veri e propri. Non posso elencare tutte le firme prestigiose che mi gratificarono, stabilmente o occasionalmente, della loro collaborazione, ma ne voglio ricordare due, per onorare tutte le altre: quella di Giulio Andreotti e quella di Vladimiro Caminiti. Accostamento stravagante, direte voi: pu&ograve; darsi, ma il Guerino era anche questa, nella sua folle e irripetuta commistione di stili. Un anno, esauriti tutti i sondaggi, le idee &ldquo;originali&rdquo; e gli interventi d&rsquo;autore, mi chiesi chi pi&ugrave; di ogni altro poteva presentare il campionato che partiva: ebbene, mi rivolsi al Presidente del Consiglio in persona (allora non facilmente&hellip; raggiungibile come poi certe vicende contemporanee ci avrebbero abituato a credere), il quale, forse pi&ugrave; divertito che stupito per la mia faccia tosta, mi disse di s&igrave; e mi mando tre pagine scritte a mano ricche di autorevolezza, di competenza e di buoni contenuti. Il momento pi&ugrave; imbarazzante fu per me chiedergli&hellip; quanto gli dovevo: Andreotti non mi fece sconti, mi preg&ograve; solo di devolvere la cifra a un istituto di suore bisognose.  Quella di Caminiti &egrave; ovviamente una storia a parte: chi lo ricorda non merita aggettivi sprecati, chi non sa chi fosse, semplicemente non pu&ograve; capire. La sua passione, la sua vis polemica, la sua indipendenza, la sua onest&agrave; restano irripetibili: scriveva di tutto, su tutti e contro tutti, non guardando in faccia a nessuno. Io non gli tagliai mai una virgola, accollandomi rogne, proteste e contumelie. La sua firma valeva pi&ugrave; dell&rsquo;ufficio diffusione: quando un presidente mi telefonava imbestialito, voleva dire che il giornale era arrivato in quella citt&agrave;. Ma Camin non offendeva mai nessuno. Faceva riflettere tutti, questo s&igrave;: e le persone oneste (come lui) dopo essersi incazzate, capivano che aveva ragione. E spesso ne facevano addirittura tesoro! Devo ancora ricordare il potere satirico e la forza &ldquo;editoriale&rdquo; delle vignette dei pi&ugrave; celebri e corrosivi autori italiani? Devo ricordare la magia del &ldquo;Film del Campionato&rdquo; (certo non inventato da me, ma cresciuto a sua volta fino a diventare opera da collezione: e allora non c&rsquo;era la teletrasmissione delle foto!)? Devo ricordare l&rsquo;attenzione sistematica agli altri sport, dal ciclismo al pugilato, fino alla riesumazione del &ldquo;Guerin Basket&rdquo;? Non ce la faccio e, in fondo, non ne ho pi&ugrave; voglia. Chi ha letto quel Guerino &ldquo;sa&rdquo; di che parlo!  Qualche tempo fa ho incontrato un Ministro della Repubblica, Gli ho teso la mano con deferenza come la sua carica mi imponeva di fare. Ha evitato la mano e mi ha stretto a s&egrave;. &ldquo;Sono io che la devo ringraziare &ndash; mi ha detto &ndash; perch&eacute; appartengo alla generazione di ragazzi cresciuti col suo Guerin&rdquo;. Evitata la facile battuta, in questo caso peraltro non meritata (&ldquo;In che cosa&hellip; avr&ograve; sbagliato?&rdquo;), ho ricambiato quell&rsquo;abbraccio con gioia e orgoglio. Ed &egrave; l&rsquo;abbraccio che ancora adesso mi viene da tanti ragazzi di quella stessa et&agrave;, soci di un grande club che non sapevo di avere fondato! Lasciai all&rsquo;indomani dei Mondiali del &lsquo;90 andando a cercare rogne televisive, quando capii che non si poteva fare pi&ugrave; di cos&igrave;: che tutti i miracoli erano stati sondati e praticati. Nei miei &ldquo;Dialoghi col Guerino&rdquo; (qualcuno li ricorder&agrave;: di certo li ricorda&hellip;l&rsquo;attuale Direttore), scrissi: &ldquo;Quanti mi hanno seguito in queste stagioni di gioia riusciranno a immaginare quello che sto provando e si chiederanno &ldquo;perch&eacute;&rdquo;. Si consolino, me lo chiedo anch&rsquo;io: se avessi voluto sarei rimasto Direttore a vita&hellip; Ma come diceva Enzo Ferrari, la vita va vissuta come una competizione: e io l&rsquo;ho sempre pensata come lui. Certo, nel momento in cui sono chiamato a guardarmi indietro mi rendo conto di quanto sia difficile e&hellip; pericoloso. S&igrave; perch&eacute; &ndash; esitando &ndash; capisco come possa diventare prepotente il desiderio di incatenarmi a questa sedia e non andare pi&ugrave; via. Perch&eacute; per me il Guerino &egrave; come un figlio. E forse qualcosa di pi&ugrave;&hellip;&rdquo;.  Di quella lettera non cambierei una virgola! E sono passati pi&ugrave; di trent&rsquo;anni&hellip; Avrei diretto il giornale anche una seconda volta (fra il 1993 e il 1994). Solo un anno. Nel bel mezzo della straordinaria ripresa di quota in vista dei Mondiali americani, l&rsquo;Editore (chiamiamolo cos&igrave;) mi licenzi&ograve; perch&eacute; &ldquo;geloso dei miei successi televisivi&rdquo; (legati soprattutto a &ldquo;Quelli che il calcio&rdquo;). Ne soffrii molto. N&eacute; le rivincite che presi mi consolarono del tutto di quell&rsquo;inutile, stupida ingiustizia 

Perch&eacute; per me il Guerino &egrave; come un figlio. E forse qualcosa di pi&ugrave;&hellip;

110 anni Guerin Sportivo: Andreotti premier scrisse sul mio GS

Il compleanno del guerin Sportivo &egrave; come la festa di un caro amico, con cui parlare di esperienze bellissime, si un presente pieno di affetto e di un futuro - giustamente - ancora tutto da scrivere. Gi&agrave;, perch&egrave; il Guerino &egrave; tutto questo, una chiacchierata tra amici, il racconto della propria Storia, uno sguardo a ci&ograve; che sar&agrave;. Senza commozione, senza nostalgia, ma con la consapevolezza che c&rsquo;&egrave; ancora il tempo per dirsi tutto, davvero, senza segreti. Dirigerlo &egrave; stato tutto questo, l&rsquo;emozione forte del giorno in cui l&rsquo;Editore mi ha offerto questa possibilit&agrave;, da suggellare immediatamente con il rilancio della storica testata:  Guerin Sportivo. Due parole da leggere tutte d&rsquo;un fiato, verrebbe da dire guerinsportivo - come gigiriva, pietromennea, nikilauda - semplicemente o solennemente la riscoperta delle radici e di quel senso di appartenenza che si respira ad ogni pagina, in ogni numero. Gi&agrave;, perch&eacute;, come a un caro amico, non c&rsquo;&egrave; bisogno di raccontare di te, delle tue emozioni, delle tue ansie, delle tue speranze, del tuo vissuto, di ci&ograve; che senti e che sei. Lui sa bene come accoglierti e come farti sentire parte integrante della tua vita. &Egrave; tutto questo il Guerin Sportivo: un rifugio sicuro, un caldo abbraccio, un ponte sul futuro e un punto sull&rsquo;orizzonte. Un senso forte di partecipazione, in cui ritrovarsi con la forza di quelle radici robuste che non tradiscono mai e un rinnovamento completo e continuo ad ogni stagione.  Nel Guerin Sportivo che ho avuto la fortuna e l&rsquo;onore di poter dirigere &egrave; stato formidabile, impagabile, il lavoro di squadra, tra le firme storiche pi&ugrave; prestigiose e la sinergia con i nuovi arrivati, capaci di raccontare le emozioni di ogni sportivo; con la passione di ogni tifoso, la competenza di ogni sportivo vero e la dolcezza di chi sa ritrovarsi nella propria esistenza. Perch&eacute; il compleanno del Guerin Sportivo - come detto - &egrave; la festa di un carissimo amico. A cui non serve neanche fare gli auguri. Perch&eacute; fa parte di te, in fondo sei te, ed &egrave; come sfogliare la propria vita. Ti ricordi? Gi&agrave;, ti ricordi? Come vanno le cose? E da grande cosa pensi di fare? 

Il Guerin Sportivo:&nbsp;un rifugio sicuro, un caldo abbraccio, un ponte sul futuro e un punto sull&rsquo;orizzonte.

110 anni Guerin Sportivo: Un ponte sul futuro un punto sull&#39;orizzonte

Voglio sfuggire, nel giorno dei 110 anni del Guerin Sportivo, alla facile retorica. &Egrave; evidente che questo giornale sia stato e sia qualcosa di speciale per ognuno di noi, una presenza straordinaria nelle nostre vite. Un rito, un appuntamento, un amico, un sentimento. Per me ha rappresentato il giornale dell&rsquo;adolescenza e quello in cui ho iniziato a lavorare come giornalista, assunto da Filippo Grassia nel &lsquo;92. Ho avuto il privilegio di guidarlo per otto anni, con l&rsquo;azzardo dell&rsquo;editore Roberto Amodei di nominarmi direttore a 37 anni. Non posso scordare.  Ma il Guerino &egrave; vostro, &egrave; soprattutto vostro. E dunque auguri a tutti voi. Anche qui non &egrave; retorica, &egrave; verit&agrave;. Questa &egrave; la pi&ugrave; bella e gioiosa comunit&agrave; dell&rsquo;editoria sportiva italiana, la stessa che le ha permesso di rimanere il pi&ugrave; antico periodico al mondo, mentre altre decine e centinaia di altri fogli scomparivano. Nel 1915, quando il Piave mormorava per la Grande Guerra, la redazione chiuse e and&ograve; interamente al fronte. Eppure il 4 maggio 1919, come ricordava ogni volta Paolo Facchinetti, amico che non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;, il Guerino torn&ograve; nelle edicole. Accadde qualcosa di incredibile e di nuovo nel &lsquo;45, quando il giornale - ridotto a una sola, esilissima pagina - non smise di uscire nonostante sotto la redazione di Milano divampasse la guerra civile e malgrado Mussolini, nel vicino teatro Lirico, professasse fiducia in una vittoria che fu invece disfatta e vergogna.  Perch&eacute; il Guerin Sportivo, che avete in questo momento tra le mani su carta o iPad, &egrave; un modo di guardare allo sport (e forse all&rsquo;intera vita) prima ancora che una testata giornalistica. L&rsquo;ho capito nel corso dei tanti anni in cui l&rsquo;ho letto e l&rsquo;ho scritto. Il Guerino &egrave; bastian contrario per definizione, un po&rsquo; per assolvere il ruolo di coscienza critica scomparsa altrove, un po&rsquo; perch&eacute; qui dentro si sono sempre esercitate penne meravigliose, anarchiche, pungenti. Ovviamente dal pi&ugrave; grande di tutti, Gianni Brera, al mitico Camin, giornalista-vignettista-direttore, a una serie formidabile di scrittori. Su tutti, fatemi scegliere Luciano Bianciardi, massimo intellettuale del Dopoguerra, che dopo una Vita agra ci lasci&ograve; giusto cinquant&rsquo;anni fa. La forza del Guerino risiede nel patto che ha stretto da sempre con i suoi lettori. Nasce da questo legame il suo coraggio nell&rsquo;essere controcorrente, libero. Quanti di voi ho incontrato in oltre trent&rsquo;anni di vita: in viaggio da inviato, nelle serate da direttore, oggi nei nuovi compiti televisivi. Eppure ogni volta viene come da abbracciarsi fra noi appena ci incontriamo. Guerinetto dal 1974, Guerinetto dal 1981, fino ai pi&ugrave; giovani. &Egrave; un gruppo, il Guerino, &egrave; facebook prima di facebook. Uso il nome di una vecchia rubrica, &ldquo;Palestra dei lettori&rdquo;, curata dal mio amatissimo maestro Nascetti. Ecco: il Guerino &egrave; palestra per i lettori. Mille cose si devono a queste colonne: i simboli delle squadre, l&rsquo;ingresso del costume nel pallone, le moviole disegnate, il colore, il Film del campionato, ma il patrimonio pi&ugrave; prezioso resta la fantastica nicchia di sapere, autorevolezza, pulizia morale. Non ha prezzo, n&eacute; tempo.  Giornale di critica sportiva, come portava scritto sotto alla testata alla sua nascita. A proposito, nel primo numero del 4 gennaio 1912, che ritrovammo dieci anni fa per la celebrazione del centenario, c&rsquo;era gi&agrave; il primo graffio d&rsquo;autore: &laquo;Il Guerin Sportivo non &egrave; un deputato socialista. Seguir&agrave; il suo programma&raquo;. Scrivere sul Guerino &egrave; stato come vivere con il passaporto diplomatico, ringraziando tutti i direttori dai quali ho imparato parecchio. Potevi e puoi scrivere ogni cosa, a patto che tu lo faccia con competenza, grande conoscenza - meglio se di calcio internazionale e storia del pallone - e soprattutto molta indipendenza. Il Guerino profuma di indipendenza, &egrave; indipendenza stessa. Ho imparato a riconoscerla quando aspettavo il marted&igrave; davanti all&rsquo;edicola e l&rsquo;ho sentita sulle scrivanie quando vi sono entrato ragazzo. Sono stato il primo direttore, per dato anagrafico, nato nei Settanta e cresciuto a pane e Guerino. I miei sono stati anni belli, stupendi, entrato stagista e uscito direttore, con due figli in pi&ugrave;. Il terzo l&rsquo;ho lasciato, ma mai abbandonato, il 29 febbraio 2016. Mi &egrave; toccato fare fronte, in anni duri, alla resistenza per mantenere in vita il giornale. Pochi mezzi, molti timori, ma sentendovi vicini. Non voglio parlare di me, ma di Gigi, Chicco, Vanni, Rossano, senza i quali non ce l&rsquo;avrei fatta. Il Guerino &egrave; pi&ugrave; grande di tutto, anche di chi ha pensato di essere lui pi&ugrave; importante del Guerino. Oggi &egrave; un giorno grandissimo, grandioso. Vorrei simbolicamente brindare con tutti voi, da Ivan all&rsquo;ultimo dei lettori, per condividere la gioia di vederlo compiere 110 anni di vita, dopo che dal fiume della storia sono transitati oltre 70 governi, 11 presidenti della repubblica, 10 papi e ben due secoli di avvenimenti.  Il Guerino c&rsquo;&egrave;, il Guerino &egrave;. Auguri grandi. 

Il Guerin Sportivo ha rappresentato il giornale dell&rsquo;adolescenza e quello in cui ho iniziato a lavorare come giornalista, assunto da Filippo Grassia nel &lsquo;92. Ho avuto il privilegio di guidarlo per otto anni, con l&rsquo;azzardo dell&rsquo;editore Roberto Amodei di nominarmi direttore a 37 anni.&nbsp;

Guerin Sportivo 110 anni: La pi&ugrave; bella e gioiosa comunit&agrave; sportiva

Il Guerino &egrave; entrato nella mia vita di lettore nel marzo del &rsquo;76, tredici mesi dopo che Italo Cucci ne aveva rivoluzionato forma e contenuti. Tre anni pi&ugrave; tardi lo stesso Cucci, rispondendo a una mia lettera, mi convoc&ograve; in via del Lavoro e mi trov&ograve; una sedia e un tavolino nella camera del calcio internazionale - dell&rsquo;ufficio aveva ben poco -, insieme a Stefano Germano, Luciano Pedrelli e al diciottenne Stefano Tura. Frequentavo l&rsquo;Universit&agrave;, cominciai a collaborare con la Gazzetta dello sport e le nostre strade si divisero per sei anni, soltanto nel maggio &rsquo;85 entrai a far parte a pieno titolo della squadra, come inviato, esordendo all&rsquo;Heysel. Il 29. Il &ldquo;mio&rdquo; Guerino non ha un passato: solo qualche ricordo - non conservo nulla -, un presente e un futuro.  Non ho mai idolatrato il giornalista Gianni Brera, mentre apprezzavo lo scrittore gaddiano; di Luciano Bianciardi ho letto poco, cos&igrave; come di Antonio Ghirelli, un intellettuale che divenne giornalista sportivo per sbarcare il lunario. Il mio Guerino &egrave; sempre stato Italo Cucci, nato direttore, e Adalberto Bortolotti - quante volte mi sono chiesto come riuscisse ad analizzare cos&igrave; bene il calcio e i calciatori uno che a pallone non aveva mai giocato -, e Marino Bartoletti, il linguaggio pi&ugrave; fresco e attuale, e la precisione e la cultura di Carlo Chiesa, il collega che palleggiava con naturalezza sillogismi, sofismi e numeri, e la competenza di Montanari, la struttura e la solidit&agrave; di Gianni De Felice, per il quale un giorno feci incazzare perfino Tosatti. Giovane e poco furbo, durante un evento incrociai Giorgio e gli dissi che era bravissimo ma che preferivo comunque la scrittura di De Felice. La prese male: oltraggio alla corona. In seguito mi perdon&ograve; e tornai a essere suo &ldquo;frate&rdquo;. Un fratello di genitori separati.    Del Guerino sono stato due volte direttore: per quattro anni dal &rsquo;99 al 2002 e per altri centodieci dal 2018 a domani. Tra l&rsquo;80 e il &rsquo;90 il settimanale &egrave; stato la guida al calcio internazionale, oltre a risultare una delle voci critiche pi&ugrave; lette e apprezzate dagli appassionati. All&rsquo;estero ci invidiavano tanti servizi, che spesso acquistavano, e ci copiavano le idee che riuscivamo a sfornare. In questo &ldquo;speciale&rdquo; dedicato a un compleanno che celebra la leggenda ho chiesto che le figure pi&ugrave; rilevanti del Guerino raccontassero il loro rapporto con il guerriero, un combattente che anche nella stagione della crisi dell&rsquo;editoria riesce garantire a un segno positivo in edicola. Non avevo mai riletto l&rsquo;editoriale d&rsquo;ingresso da direttore, nel &rsquo;99: per l&rsquo;occasione me lo sono fatto inviare da uno dei tanti collezionisti.    Ho faticato a riconoscermi. Il titolo, &ldquo;C&rsquo;&egrave;&rdquo;. &ldquo;C&rsquo;&egrave; un grande giornalista, e c&rsquo;&egrave; il maiale al quale &egrave; golosamente devoto. C&rsquo;&egrave; un giovane campione da scudetto, e c&rsquo;&egrave; un commentatore di acida e infinita bravura che confessa di adorarlo. C&rsquo;&egrave; il fenomeno di Moratti, bravo chi lo ferma, e c&rsquo;&egrave; un mostro di bellezza che per la prima volta rivela rapporti fortunatamente mancati. C&rsquo;&egrave; un allenatore che sa spiegare il calcio, e c&rsquo;&egrave; un formidabile cestista con la faccia da spot che vinceva anche quando perdeva. C&rsquo;&egrave; il giudizio universale. C&rsquo;&egrave; il delirio reggino. C&rsquo;&egrave; Trapattoni che detesta la ribollita, specie quella che lo prevede come ingrediente principale. C&rsquo;&egrave; Cecchi Gori che produce irritazioni e soluzioni da Oscar: c&rsquo;&egrave; Zeman sulla strada di Firenze, se Trap sbaglia di nuovo. C&rsquo;&egrave; un direttore nuovo, ci sono io, grazie a Dio (e all&rsquo;editore). E c&rsquo;&egrave; un settimanale antico, prestigioso e, fino a ieri, un po&rsquo; stanco di s&eacute;. C&rsquo;&egrave; l&rsquo;orgoglio dei ruoli, e c&rsquo;&egrave; il desiderio di cambiare, rinfrescare, arricchire, riportare in alto (da subito) questo giornale: c&rsquo;&egrave; anche la garanzia di assoluta fedelt&agrave; ai caratteri guida del Guerino che soltanto uno che al Guerino &egrave; nato e si &egrave; formato pu&ograve; dare. C&rsquo;&egrave; un&rsquo;idea. Di semplicit&agrave;: non pi&ugrave; un quotidiano lungo sacrificato al campionato, ma un vero settimanale. C&rsquo;&egrave; il senso della notizia, della foto e dell&rsquo;archivio: ci sono le pagine gialle. C&rsquo;&egrave; una schiera di amici che fanno promesse. C&rsquo;&egrave; Italo Cucci, mio secondo padre e primo maestro, al quale io e il Guerino dobbiamo tutto. C&rsquo;&egrave; Adalberto Bortolotti, uno spettacolo insuperabile di scrittura, competenza, civilt&agrave;, misura. C&rsquo;&egrave; Mario Sconcerti, il mio ultimo direttore, un colpo di fortuna averlo trovato poco prima del salto. C&rsquo;&egrave; Roberto Beccantini, specialista dell&rsquo;anticipo (...),una delle mie passioni di lettore: non poteva essere che lui il primo ad arrivare. C&rsquo;&egrave; qualcosa di Marino Bartoletti, mi auguro. C&rsquo;&egrave; un pensiero affettuoso rivolto a Gianni Cancellieri, il mio primo direttore, aprile &rsquo;81, e c&rsquo;&egrave; un saluto ai colleghi del Corriere dello Sport-Stadio, con loro nove anni stupendi, indimenticabili, e a Giuseppe Castagnoli, una persona perbene. C&rsquo;&egrave; tutto il mio Roberto Baggio e Roberto Mancini: li ringrazio pubblicamente per avermi fatto accedere alle loro confidenze, alla loro vita non solo professionale e per avermi regalato gioie e rivincite. C&rsquo;&egrave; Luca Vialli, che mi ha fatto una promessa: &ldquo;Dal &rsquo;75 all&rsquo;86 non ho perso una sola copia del Guerino, poi l&rsquo;ho mollato. Da mercoled&igrave; 29 torno a comprarlo&rdquo;. C&rsquo;&egrave; Filippo Inzaghi con le sue incazzature, i suoi gol, la sua simpatia contagiosa. C&rsquo;&egrave; tutto questo dentro il (Nuovo) Guerino. C&rsquo;&egrave; tanta forza, tanta fantasia: c&rsquo;&egrave; la soddisfazione di (ri)farlo. C&rsquo;&egrave; il disordine delle emozioni. C&rsquo;&egrave;, ci saranno altre novit&agrave;. Non c&rsquo;&egrave;, n&eacute; ci sar&agrave;, la noia&rdquo;.   

Il mio Guerino &egrave; - e sempre sar&agrave; - Chicco, Vanni, Piero,&nbsp;Gianni, Simonetta e perfino Comparone che quando tagliava le&nbsp; copie non sapeva come dirmelo. Oggi &egrave; anche Chioffi, Grandinetti, Mallozzi e &ldquo;Accia&rdquo;

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