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Perché per me il Guerino è come un figlio. E forse qualcosa di più…
C’ è una cosa, se possibile ancora più meravigliosa e inquietante delle altre, che mi fa amare il Vecchio Guerriero; una cosa che non avevo mai rivelato neanche durante quello straordinario, franchissimo, fondamentalissimo rito del dialogo coi lettori, che forse più di ogni altra cosa caratterizzò sia la mia prima che la seconda direzione: il fatto che il Guerin Sportivo avesse esattamente l’età di mio padre. E che mio padre, tanto per non far mancare niente alla suggestione e alla commozione dell’accostamento, sia morto - credo orgoglioso di me - proprio quando ero direttore del giornale. Del “nostro” giornale.
Quando qualcuno, ancora oggi, dopo oltre cinquant’anni di carriera (televisiva e non, sportiva e non), mi chiede quale sia l’avventura professionale alla quale sono più affezionato e che mi ha dato più gioia, rispondo senza alcun indugio “la direzione del Guerin Sportivo”. Perché io - e chi mi conosce lo sa - il Guerino l’ho sempre avuto nel sangue; perché è da lì che ho iniziato, coronando un sogno; perché il suo spirito l’ho sempre custodito nella testa, nella pancia, nel cuore. E perché forse, fatalmente, ho finito col dargli il meglio di me: sul piano dell’entusiasmo, della creatività, della passione, della forza dell’esempio, dei risultati, ma soprattutto dell’amore.
Diceva Leonardo che per fare un buon affresco è importante che sia stato fatto un buon intonaco. E in questo senso io fui molto fortunato quando nel 1987 (dopo essere stato un giovane ed entusiasta apprendista ai tempi di Gianni Brera nei primi anni ‘70 e dopo esservi tornato come inviato nel 1982) mi ritrovai a dirigere il giornale “della mia vita”: l’“intonaco”- diciamo così (ma anche già… quasi tutto il dipinto) - l’avevano fatto due maestri come Italo Cucci e Adalberto Bortolotti, che in una singolare staffetta avevano letteralmente inventato un prodotto tanto seducente quanto rivoluzionario: nulla tradendo del suo spirito originale, ma tutto creando dal punto di vista dell’innovazione, del coinvolgimento, della modernità! E sul lungo rettilineo d’arrivo che portava all’epocale 1990 (quello del Mondiale italiano, quello delle notti magiche) io mi ritrovai a pilotare questa Formula Uno che, dalla crisi degli ultimi tempi milanesi, si era rilanciata verso traguardi non più immaginabili.
Sono andato a riguardare qualche numero di quegli anni. Sono rimasto letteralmente sbalordito per la potenza progettuale che eravamo riusciti a mettere in campo: c’erano autorevolezza e divertimento, profondità storica e attualità a suon di scoop (che spesso gli stessi quotidiani erano costretti ad inseguire). La redazione era una macchina da guerra motivata, perfetta, complementare, sia dal punto di vista anagrafico che delle potenzialità individuali: tre di quei ragazzi sarebbero diventati direttori! Farei torto a qualcuno se enumerassi i singoli exploit: ricordo solo quando i miei due senatori (Stefano Germano e Paolo Facchinetti) dopo aver scosso sistematicamente il capo a qualche mio delirio creativo, poi erano i primi a gettarsi divertiti nel fuoco. Germano fu… paracadutato a Mosca in un week-end di agosto assieme a Maurizio Borsari per scovare Zavarov e fotografarlo con una maglia della Juventus. E il bello è che il vecchio bucaniere ci riuscì e tornò, come sempre, con l’osso in bocca! Mi telefonò Boniperti e mi urlò “ma come c… avete fatto, che non riusciamo a trovarlo neanche noi?”
Inutile dire che cosa rappresentava il Guerino per quanto riguarda il racconto del calcio internazionale. Utile invece rammentare che tutta la stampa sportiva fu poi costretta ad adeguarsi e a ...copiare. E il Guerino come rompighiaccio, come precorritore di idee, come avanguardia editoriale (di mood giornalistico, di inserti, gadget, agende, annuari) è forse il vanto più grande della mia gestione: l’ufficio marketing… ero io, con Ivan Zazzaroni, Carlo Chiesa e Marco Montanari che mi guardavano allibiti, ma che poi mi seguivano in tutte le mie apparenti follie. Ma le “vittime” erano soprattutto i fotografi, a cominciare da Guido Zucchi e Maurizio Borsari. Forse qualcuno ricorda due copertine che credo nessuno al mondo aveva mai fatto prima e probabilmente farà mai più. La prima, quella del Capodanno che portava ai Mondiali, ritraeva i giocatori più celebri della Nazionale (e parlo di Vialli, di Baggio, di Baresi, di Bergomi, ecc) abbracciati a un enorme “Ciao” con tutte le maglie dei rispettivi club invertite, a significare la fratellanza vera che c’era in quel gruppo, addirittura superiore all’orgoglio di appartenenza. Baresi vestiva i colori dell’Inter, Bergomi quella del Milan, Giannini quella della Fiorentina, Baggio della Sampdoria, Vialli del Napoli, Carnevale della Juve…
Sfido qualunque direttore vivente (e a venire) a organizzare una cosa del genere. La realtà è che quel Guerin, pur non essendo amico di nessuno (chiedere ai bersagli delle nostre rubriche satiriche), aveva solo amici: che non sapevano dire di no. Alla vigilia di Italia 90 fece il giro dell’universo la copertina dei nostri 22 azzurri, più due piccole mascotte, che indossavano in anteprima tutte le divise delle 24 squadre che avrebbero partecipato a quel Mondiale. Berti aveva la maglia della Svezia, Maldini quella della Jugoslavia, Ferri della Germania, Giannini dell’Olanda, Mancini della Scozia, Donadoni della Cecoslovacchia, Ancelotti della Costa Rica, Pagliuca del Brasile, Vialli del Camerun, Tacconi dell’Inghilterra e così via… A Schillaci, che sembrava non contasse niente, era toccata… la maglia della Corea! Quel Mondiale segnò probabilmente la mia vita (professionale e non): ma ne parlerò fra un attimo. Di quei tra anni magici, voglio ancora rammentare il peso delle iniziative collaterali. E quando parlo di “peso” non credo di usare metafore.
Ci fu un numero di fine anno che conteneva dieci fra inserti cartacei, distintivi, gadget e iniziative varie: una più bella dell’altra, una più prestigiosa dell’altra. Il lettore del Guerino usciva dall’edicola autenticamente felice. Forse gli sarebbe bastato… il giornale, già così bello, completo e prestigioso: ma si ritrovava anche irripetibili Storie dei Mondiali (provate a cercarle su e-bay! E beato chi le ha conservate e rilegate), raccolte uniche di figurine del campionato, pins, adesivi in carta e stoffa delle più importanti Nazionali del mondo, la collezione (poi imitata da tanti) di tutti i giocatori in ordine cronologico che avevano indossato la maglia azzurra, per non parlare dei fumetti che raccontavano le epopee delle squadre e di tutto quello che ora non riesco a ricordare. Poi c’erano i concorsi personalizzati: indimenticabile quello che si intitolava “Passa una giornata col tuo campione”: una quindicina fra i calciatori più famosi del momento – parlo di Maradona, Gullit, Zenga, Baggio e chi più ne ha più ne metta – trascorrevano appunto una giornata intera con due giovani lettori, portandoli con loro all’allenamento, pranzando con loro, ricoprendoli di coccole, attenzioni e regali. Una vincitrice svenne davanti a Maldini; un’altra cercò di scappare dall’ospedale perché le era venuto un attacco di appendicite la sera prima dell’incontro col suo idolo. Avrei appreso più tardi che questa strategia si chiamava “fidelizzazione”: strategia che trovava la sua esplosione soprattutto nel rapporto “diretto” coi lettori che nella “Posta” trovarono una palestra di dialogo senza limiti alla franchezza. E chi ha chiacchierato con me via lettera (pensate, a quei tempi si scriveva… ancora con busta e francobollo)sa bene che molto spesso la nostra conversazione proseguiva anche con la corrispondenza privata: e quanta pazienza aveva Elena, la mia segretaria, altro pilastro di questa storia.
Salto a piè pari il fasto delle serate del Guerin d’Oro (c’eratutto, ma proprio tutto il mondo del calcio, perché al Guerino non si poteva dire di no), ma permettetimi di tornare ancora un attimo ai contenuti veri e propri. Non posso elencare tutte le firme prestigiose che mi gratificarono, stabilmente o occasionalmente, della loro collaborazione, ma ne voglio ricordare due, per onorare tutte le altre: quella di Giulio Andreotti e quella di Vladimiro Caminiti. Accostamento stravagante, direte voi: può darsi, ma il Guerino era anche questa, nella sua folle e irripetuta commistione di stili. Un anno, esauriti tutti i sondaggi, le idee “originali” e gli interventi d’autore, mi chiesi chi più di ogni altro poteva presentare il campionato che partiva: ebbene, mi rivolsi al Presidente del Consiglio in persona (allora non facilmente… raggiungibile come poi certe vicende contemporanee ci avrebbero abituato a credere), il quale, forse più divertito che stupito per la mia faccia tosta, mi disse di sì e mi mando tre pagine scritte a mano ricche di autorevolezza, di competenza e di buoni contenuti. Il momento più imbarazzante fu per me chiedergli… quanto gli dovevo: Andreotti non mi fece sconti, mi pregò solo di devolvere la cifra a un istituto di suore bisognose.
Quella di Caminiti è ovviamente una storia a parte: chi lo ricorda non merita aggettivi sprecati, chi non sa chi fosse, semplicemente non può capire. La sua passione, la sua vis polemica, la sua indipendenza, la sua onestà restano irripetibili: scriveva di tutto, su tutti e contro tutti, non guardando in faccia a nessuno. Io non gli tagliai mai una virgola, accollandomi rogne, proteste e contumelie. La sua firma valeva più dell’ufficio diffusione: quando un presidente mi telefonava imbestialito, voleva dire che il giornale era arrivato in quella città. Ma Camin non offendeva mai nessuno. Faceva riflettere tutti, questo sì: e le persone oneste (come lui) dopo essersi incazzate, capivano che aveva ragione. E spesso ne facevano addirittura tesoro! Devo ancora ricordare il potere satirico e la forza “editoriale” delle vignette dei più celebri e corrosivi autori italiani? Devo ricordare la magia del “Film del Campionato” (certo non inventato da me, ma cresciuto a sua volta fino a diventare opera da collezione: e allora non c’era la teletrasmissione delle foto!)? Devo ricordare l’attenzione sistematica agli altri sport, dal ciclismo al pugilato, fino alla riesumazione del “Guerin Basket”? Non ce la faccio e, in fondo, non ne ho più voglia. Chi ha letto quel Guerino “sa” di che parlo!
Qualche tempo fa ho incontrato un Ministro della Repubblica, Gli ho teso la mano con deferenza come la sua carica mi imponeva di fare. Ha evitato la mano e mi ha stretto a sè. “Sono io che la devo ringraziare – mi ha detto – perché appartengo alla generazione di ragazzi cresciuti col suo Guerin”. Evitata la facile battuta, in questo caso peraltro non meritata (“In che cosa… avrò sbagliato?”), ho ricambiato quell’abbraccio con gioia e orgoglio. Ed è l’abbraccio che ancora adesso mi viene da tanti ragazzi di quella stessa età, soci di un grande club che non sapevo di avere fondato! Lasciai all’indomani dei Mondiali del ‘90 andando a cercare rogne televisive, quando capii che non si poteva fare più di così: che tutti i miracoli erano stati sondati e praticati. Nei miei “Dialoghi col Guerino” (qualcuno li ricorderà: di certo li ricorda…l’attuale Direttore), scrissi: “Quanti mi hanno seguito in queste stagioni di gioia riusciranno a immaginare quello che sto provando e si chiederanno “perché”. Si consolino, me lo chiedo anch’io: se avessi voluto sarei rimasto Direttore a vita… Ma come diceva Enzo Ferrari, la vita va vissuta come una competizione: e io l’ho sempre pensata come lui. Certo, nel momento in cui sono chiamato a guardarmi indietro mi rendo conto di quanto sia difficile e… pericoloso. Sì perché – esitando – capisco come possa diventare prepotente il desiderio di incatenarmi a questa sedia e non andare più via. Perché per me il Guerino è come un figlio. E forse qualcosa di più…”.
Di quella lettera non cambierei una virgola! E sono passati più di trent’anni… Avrei diretto il giornale anche una seconda volta (fra il 1993 e il 1994). Solo un anno. Nel bel mezzo della straordinaria ripresa di quota in vista dei Mondiali americani, l’Editore (chiamiamolo così) mi licenziò perché “geloso dei miei successi televisivi” (legati soprattutto a “Quelli che il calcio”). Ne soffrii molto. Né le rivincite che presi mi consolarono del tutto di quell’inutile, stupida ingiustizia
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