Da Cruijff al Mundial ‘82, le corse a perdifiato di Lele Oriali

Da Cruijff al Mundial ‘82, le corse a perdifiato di Lele Oriali

A 19 anni marcò il fuoriclasse olandese, a 29 costituì una barriera invalicabile nel centrocampo azzurro. Non fu solo modello di sacrificio: riuscì a dare nobiltà al ruolo del gregario

Paolo Valenti/Edipress

25.11.2022 ( Aggiornata il 25.11.2022 09:07 )

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Tra il 31 maggio 1972 e l’11 luglio 1982 passano dieci anni, un mese di giugno e gli undici giorni di luglio più indimenticabili della storia del calcio italiano. Un percorso al vertice che contiene i valori della carriera internazionale di Gabriele Oriali, diciannovenne marcatore asfissiante a tutto campo di sua altezza Johan Cruijff in una partita che non ebbe storia e instancabile intercettore delle sortite impotenti e rabbiose di Stielike e Breitner in un centrocampo tedesco che non si rassegnava al suo destino. Tra Ajax-Inter, finale di Coppa dei Campioni del 1972, e Italia-Germania Ovest, finale dei Mondiali del 1982, passano anni nei quali Oriali è sempre in campo con una costanza e una dedizione che sono le fondamenta dei matrimoni di lunga durata e che lui ha donato alle squadre più importanti della sua vita: l’Inter e la Nazionale.

Oriali vs Cruijff: il duello nella finale di Coppa Campioni 1972

In quel ragazzo che inseguiva le sventagliate di genio e la freschezza atletica del Profeta del gol emergevano le stimmate del sacrificio. Mai un cedimento, una flessione della volontà, un attimo di scoramento nel rimanere maniacalmente incollato alla maglia numero 14 più brillante della storia del calcio. E, oltretutto, mai una scorrettezza che potesse indurre l’arbitro ad estrarre un cartellino, nonostante il fuoriclasse olandese lo stesse trascinando in giro per il campo tra dribbling e strappi in verticale, allunghi orizzontali e aperture di gioco che gli facevano sembrare quella partita un duro allenamento infrasettimanale alla rincorsa di un mezzofondista coi piedi buoni più che una finale di Coppa dei Campioni. Nonostante la sconfitta, di quell’Ajax Oriali ammirava il calcio totale, ispirandosi a Neeskens e chiedendo a fine match quella maglia col numero 14 che ancora oggi conserva tra i suoi cimeli più cari.

Lele Oriali: un combattente dall’anima candida

La frustrazione dell’inseguimento era una parte del suo stare in campo, accettata da una disciplina del carattere che lo spingeva allo sforzo massimale in ogni frangente. Nelle pagelle di Brera spesso era il “Piper”, frizzante come lo champagne, che si tramutava in “gazzosino” nei rari momenti opachi. E comunque ne faceva sempre tanti di chilometri, Lele: da quelli su e giù per la fascia laterale agli altri percorsi ad attraversare il centrocampo alla ricerca di un fantasista da fermare, un pallone da recuperare, un’azione da reimpostare. Già, perché, da terzino o da mediano, Oriali non si limitava a distruggere il gioco: sapeva anche proporlo con la pulizia e il garbo di un centrocampista dal piede non sopraffino ma certamente educato. Un combattente dall’anima candida: mai un’espulsione in diciassette stagioni di Serie A, pochissimi cartellini gialli: sette tra campionato e coppe internazionali con Inter e Fiorentina, quattro con la Nazionale. Ulteriore rappresentazione di un rapporto col calcio vissuto come sport di cui osservare le regole: l’allenamento per migliorarsi, il rispetto dell’avversario, la disponibilità verso il gruppo. Valori vissuti anche dopo l’abbandono dell’attività agonistica, che hanno permesso a Oriali di comparire sulla panchina dell’Italia a Euro 2020 quasi come se fosse pronto a scendere in campo a dare il suo contributo ai ragazzi di Mancini, ancora in un apprezzabilissimo peso forma che ha concesso poco alle ingiurie che di norma il tempo infligge agli ex calciatori, perennemente ragazzi nei ricordi che non appassiscono dei loro tifosi.

I successi di Oriali con Inter e Nazionale

Una storia, quella con la Nazionale, cominciata il 21 dicembre 1978 con un’amichevole contro la Spagna nella quale il destino stava costruendo le premesse del successo che quattro anni più tardi avrebbe dato a Oriali la gloria imperitura riconosciuta ai campioni del mondo. A quel meritato esordio Lele ci era arrivato a sette anni di distanza da quello precoce avvenuto con l’Inter in Serie A nell’anno dell’undicesimo scudetto. Era la squadra di Burgnich, Facchetti, Jair, Mazzola, Boninsegna e il giovane ragazzino che entrava in punta di piedi in quello spogliatoio di mostri sacri sperava, in cuor suo, di rivivere con loro i fasti nerazzurri degli anni Sessanta. Quel nuovo decennio, però, non si rivelò altrettanto prodigo di affermazioni, tanto che per sollevare ancora un trofeo Oriali dovette attendere l’8 giugno 1978, serata di una poco attenzionata finale di Coppa Italia che l’Inter vinse coi Mondiali d’Argentina già in pieno svolgimento. Era il prologo di un periodo di successi nei quali Gabriele avrebbe messo l’anima: lo scudetto del 1980, al quale dette un tangibile contributo anche in termini di realizzazioni (sei, record personale in un singolo campionato), la Coppa Italia del 1982 e, uber alles, il Mundial di Spagna.

L’abbraccio di Firenze a fine carriera

Sempre presente, col dinamismo del suo fisico solido senza essere prestante, alla soglia dei trentun anni Oriali sperimenta un doppio addio: quello all’Italia, giunta alla fine di un ciclo dopo la vittoria di Madrid, e quello all’Inter, dopo tredici lunghe, appassionate stagioni. Ad accoglierlo è Firenze: alla corte dei Pontello spende a testa alta gli ultimi quattro anni di carriera tra gli abbracci dei vecchi compagni di Nazionale (Giovanni Galli, Gentile, Maldera, Antognoni) e i consigli d’esperienza da regalare a chi, con la maglia azzurra, scriverà altre pagine indimenticabili del nostro calcio: Roberto Baggio.

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