        Con il suo temperamento a dir poco tenace, un&rsquo;aggressivit&agrave; sul campo fuori dal comune e il suo look iconico, con le treccine in testa e gli occhiali sul volto, Edgar Davids &egrave; senza dubbio alcuno una delle figure pi&ugrave; iconiche di quel calcio a cavallo tra i due millenni che per molti ha rappresentato uno degli apici della storia di questo sport. Mentre quella dei dreadlocks &egrave; una scelta puramente estetica, la particolarit&agrave; di giocare con degli occhiali protettivi gli viene imposta nel 1998, quando si opera per un glaucoma. Come dir&agrave; lui stesso, probabilmente ad un certo punto della sua carriera avrebbe potuto farne anche a meno, ma erano ormai diventati un tratto incredibilmente distintivo, oltre che una sorta di talismano.&nbsp;  Davids, dal Suriname all&rsquo;Olanda Nato in Suriname il 13 marzo del 1973, quando lo stato sudamericano era a tutti gli effetti una colonia dell&rsquo;Impero Olandese, si trasferisce da bambino con tutta la famiglia in un sobborgo a nord di Amsterdam, dove inizia a dare i primi calci ad un pallone. La rete di scouting dell&rsquo;Ajax non ci mette troppo ad accorgersi di lui: entra nell&rsquo;academy dei Lancieri e nel 1991, ad appena 18 anni, esordisce in Eredivisie. Appare subito evidente a tutti che si tratti di un calciatore fuori dal comune: nonostante non fosse un gigante (non arriva neanche al metro e settanta), fa dell&rsquo;aggressivit&agrave; e della prestanza fisica il suo punto di forza. Giocatore estremamente carismatico dotato di un ottimo mancino, verr&agrave; soprannominato da Van Gaal anni dopo &ldquo;Pitbull&rdquo;, proprio per il suo temperamento in mezzo al campo. Nonostante ci&ograve;, non era un mediano incontrista tutto legna e niente fioretto, si contraddistingueva anche per un pi&ugrave; che discreto tocco di palla oltre che per una certa eleganza nei movimenti. Un giocatore completo, unico, che infatti in Olanda non rimane moltissimo. Giusto il tempo di mettere in bacheca tre campionati, una Coppa Uefa, una Supercoppa Europea, una Coppa Intercontinentale e una Champions League, che vince nella finale di Vienna contro il Milan. Per un curioso caso del destino, si trasferir&agrave; proprio nel capoluogo lombardo, vestendo la maglia rossonera nella stagione 1996/97.  Gli anni italiani e le controversie&nbsp; &ldquo;Era l'avversario che mi piaceva di pi&ugrave;. Lui mi dava una botta e io mi alzavo senza dire nulla. Io gli davo una botta e lui si alzava senza dire nulla. Lui a sinistra, io a destra: ci scontravamo sempre&rdquo; dir&agrave; di lui molti anni dopo Matias Almeyda, un altro che al centro del campo la gamba non la tirava mai indietro.  Il temperamento burrascoso dell&rsquo;olandese per&ograve; &egrave; stato per tutto il corso della sua carriera un&rsquo;arma a doppio taglio. Al Milan rimane poco, probabilmente per dissidi con allenatore e spogliatoio (celebre fu la definizione di &ldquo;mela marcia&rdquo; di Costacurta) e approda alla Juventus per 9 miliardi di lire. Mai affare fu migliore per i bianconeri: Davids passa a Torino i migliori anni della sua carriera. Nelle stagioni con la Vecchia Signora vince tre volte il campionato italiano e arriva due volte in finale di Champions League, diventando uno dei giocatori pi&ugrave; amati di tutta la storia bianconera. Intanto diventa anche una colonna portante della nazionale olandese, con cui disputa il Mondiale del 1998 e gli Europei del 1996, del 2000 e del 2004. Dopo gli anni in bianconero inanella una lunga serie di brevi esperienze tra Barcellona, Inter, Tottenham, Crystal Palace e Ajax. Poi nel 2012, dopo due anni di inattivit&agrave;, diventa allenatore giocatore del Barnet, squadra di Non-League dove gioca gratuitamente. Lo fa per la gente, cosa che lo ha sempre contraddistinto, come quando negli anni alla Juve, nonostante fosse un calciatore di fama internazionale, si fermava per giocare se vedeva qualcuno con un pallone in qualche parcheggio, lasciando incredulo il suo compagno di squadra Zidane.  &nbsp;       

Nato in Suriname il 13 marzo del 1973, grazie al suo look stravagante e alla sua grandissima prestanza fisica, rappresenta uno dei calciatori pi&ugrave; iconici di sempre. Dopo aver vinto tutto con l'Ajax, in Italia vest&igrave; le maglie di Milan, Juventus e Inter

Edgar Davids, il "Pitbull" che giocava per la gente

        Olanda-Argentina e i Mondiali di calcio: un grande classico, la terza gara pi&ugrave; ricorrente di sempre. Solo Brasile-Svezia e Argentina-Germania hanno pi&ugrave; precedenti (7). La prima che torna alla mente &egrave; la discussa finale del 1978, edizione disputata proprio nel Paese sudamericano e vinta dai padroni di casa. Quattro anni prima l&rsquo;Arancia Meccanica di Cruijff aveva strapazzato l&rsquo;Albiceleste nel girone (4-0), mentre finir&agrave; 0-0 sempre ai gironi la sfida del 2006. Drammatica &ndash; ancora per gli Oranje &ndash; la semifinale del 2014 vinta ai rigori da Messi e compagni. Ma Olanda e Argentina, prima di Qatar 2022, si erano gi&agrave; affrontate anche nei quarti di finale.  Francia &rsquo;98, Olanda-Argentina: chi vince prende il Brasile in semifinale Mondiali francesi, sabato 4 luglio 1998, Stadio V&eacute;lodrome di Marsiglia. Un torneo ricco di stelle, tantissime giocano (giocavano o giocheranno) nel nostro campionato. Olanda-Argentina non fa eccezione, a partire dalle panchine: Frank Rijkaard, vice di Guus Hiddink, da una parte, Daniel Passarella dall&rsquo;altra. Era stato proprio El Gran Capitan ad alzare la coppa al cielo di Baires nel &rsquo;78, dopo il palo di Rensenbrink che aveva fatto tremare tutto il regime videlista: a 20 anni di distanza si trova in difficolt&agrave;; criticato dalla stampa e col futuro da Ct in bilico, a prescindere dal risultato.  Olanda-Argentina, quanta Serie A in campo 4-4-2 (o 4-2-4, interpretazione libera) per gli Oranje. L'Olanda s&rsquo;impernia sull&rsquo;allenatore in campo; numero 4, regista arretrato e capitano Frank de Boer. In porta gioca Van der Sar, Stam completa il reparto dei centrali, Numan e Reiziger quello dei terzini. Davids e Jonk formano l&rsquo;equilibrata mediana; Cocu e l&rsquo;altro De Boer agiscono sulle fasce. 3-5-2 &ndash; se di centrocampo a 5 si pu&ograve; parlare quando composto da uomini come Ortega e Veron &ndash; per l&rsquo;ex Fiorentina. Roa in porta; milita tutta in Serie A la difesa: Sensini (Parma), Chamot (Lazio), Ayala (Napoli); cos&igrave; come (quasi) tutto il centrocampo: Zanetti e Simeone (Inter), Veron (Sampdoria), Ortega &ndash; che arriver&agrave; a breve in blucerchiato mentre la Brujita saluter&agrave; direzione Parma &ndash; e Almeyda (Lazio). Non ci siamo dimenticati le punte, queste valgono un discorso a parte: non tanto per l&rsquo;attacco argentino &ndash; composto da Batistuta (capitano della Fiorentina) e Lopez, che prima di arrivare alla Lazio la butter&agrave; fuori dalla Champions con il Valencia &ndash; quanto per quello olandese, formato da due &ldquo;scarti&rdquo; di Inter e Milan come Bergkamp e Kluivert. Ci siamo presi la licenza, dato che &ldquo;l&rsquo;olandese non volante&rdquo; da considerevole tempo dispensa magie sotto al Big Ben, mentre il centravanti originario del Suriname &egrave; in procinto di abbandonare Milanello: beffa rossonera doppia per chi conosce la storia, quantomeno Dennis una coppa europea all&rsquo;Inter l&rsquo;aveva regalata&hellip;  A Kluivert risponde Lopez Sono proprio i due scarti delle milanesi a regalare la semifinale all&rsquo;Olanda. Un gol per tempo per matare un&rsquo;Argentina formato Serie A. In mezzo il pareggio di Claudio Lopez, servito da un passaggio geniale di Veron. Il vantaggio olandese era arrivato al 12&rsquo;, grazie a una combinazione veloce tra Bergkamp e Kluivert: l&rsquo;ex Inter, dopo aver ricevuto da Ronald de Boer, accasciandosi per colpire di testa, prolungava verso il compagno di reparto che freddamente batteva Roa. Parit&agrave; all&rsquo;intervallo con l&rsquo;Argentina che pu&ograve; rimuginare sul palo clamoroso colpito da Ortega, andato a compensare il destro di Jonk &ndash; altro ex nerazzurro &ndash; che in avvio di gara aveva salvato Roa.  Nella ripresa il sole continua ad abbagliare il V&eacute;lodrome, mentre il Pitbull corre a destra e sinistra mordendo le caviglie agli avversari. Sfruttando l&rsquo;ennesimo servizio di Veron &ndash; il migliore dei suoi &ndash; Batistuta sconquassa il legno alla sinistra dell&rsquo;inerme Van der Sar. Non trovano fortuna i bolidi lanciati dall&rsquo;Albiceleste, Stam fatica ma non lascia altri varchi al Piojo, bilanciando un duello che si ripeter&agrave; infinite volte sui campi di Formello. Al 76&rsquo; l&rsquo;episodio che potrebbe cambiare la gara: Numan stende il capitano argentino Simeone, che si rotola a terra come se gli avessero sparato. Il fallo non &egrave; duro, ma in ritardo e stoppa una ripartenza: secondo giallo ed espulsione per il terzino del PSV. Potrebbe essere la svolta per l&rsquo;Albiceleste, che per&ograve;, a 4' dal termine vanifica la superiorit&agrave; numerica. La scemenza la compie Ortega: dopo essersi buttato in area e aver animosamente chiesto un rigore, va faccia a faccia con Van der Sar accennando una leggera testata. &ldquo;Durante una partita cade almeno trenta volte. Il suo comportamento &egrave; assurdo. E ha fatto bene l&rsquo;arbitro a non credere alle sue sceneggiate. Ortega &egrave; salito alla ribalta solo per una testata al nostro portiere. Per il resto, non &egrave; esistito&rdquo;, parole di Edgar Davids, dopo la positiva prova.  Nel Mondiale dei maghi la gemma di Bergkamp In 10 contro 10 a pochi minuti dal termine, sembra scontato poter benificiare di almeno un&rsquo;altra mezzora abbondante di sole, Bergkamp evidentemnte ha troppo caldo. Minuto 89&rsquo;: sventagliata di 60 metri di Frank de Boer, che da prima del centrocampo pesca Bergkamp sul vertice destro dell&rsquo;area di rigore. Sullo scarpino dell&rsquo;8 c&rsquo;&egrave; il Super Attak, in testa il cappello a cilindro di un mago col quale fa sparire inspiegabilmente il pallone ad Ayala. Il tocco d&rsquo;esterno con cui batte Roa &egrave; una delle gemme dei Mondiali di calcio: un gol favoloso, che fa esplodere il muro arancione che si issa proprio dietro la porta argentina. &ldquo;Ho seguito l&rsquo;istinto. &Egrave; stato il gol pi&ugrave; bello e pi&ugrave; importante della mia vita&rdquo;, dir&agrave; a fine gara. Grande gioia anche per il compagno di reparto Kluivert: &ldquo;Il mio Mondiale era cominciato nel modo peggiore, con quell&rsquo;espulsione (nella gara con il Belgio, ndr) che mi aveva fatto precipitare nello sconforto. Ora mi sento anche io un protagonista positivo. Il Brasile di Ronaldo? &Egrave; la nazionale pi&ugrave; forte, quella che alla vigilia &egrave; stata indicata da tutti come la favorita&rdquo;. Passer&agrave; dopo i rigori la Sele&ccedil;ao del Fenomeno, ma il Mondiale dei maghi lo vincer&agrave; Zizou.  Olanda-Argentina 2-1 del 4 luglio 1998: il tabellino OLANDA (4-4-2): Van der Sar; Reiziger, Stam, F. de Boer, Numan; R. de Boer (19' st Overmars), Davids, Jonk, Cocu; Kluivert, Bergkamp. A DISP.: Hesp, De Goey, Bogarde, Ooijer, Van Bronckhorst, Seedorf, Winter, Zenden, Hasselbaink, Van Hooijdonk. ALL.: Hiddink. ARGENTINA (3-5-2): Roa; Ayala, Sensini, Chamot (44' st Balbo); Zanetti, Simeone, Almeyda (23' st Pineda), Ortega, Veron; Batistuta, Lopez. A DISP.: Burgos, Cavallero, Paz, Vivas, Astrada, Berti, Gallardo, Crespo, Delgado. ALL.: Passarella.&nbsp; ARBITRO: Carter (Messico). MARCATORI: 12' Kluivert (O), 17' Lopez (A), 44' st Bergkamp (O).&nbsp;       

Nel Mondiale di Francia '98 le due nazionali si affrontarono ai quarti. In campo c'era mezza Serie A, ma a decidere la gara fu una gemma assoluta di uno "scarto" dell'Inter

Olanda-Argentina, una perla di Bergkamp per la semifinale col Brasile

        &lsquo;Snake man&rsquo;: uomo serpente. D&rsquo;impatto, il suo soprannome: faceva divertire i compagni di squadra, compiaciuti di averlo dalla propria parte; preoccupava gli avversari che se lo trovavano di fronte, perch&eacute; il suo dribbling il pi&ugrave; delle volte era letale. In Belgio divenne una colonna dell'Anderlecht, con la maglia della Nazionale olandese sfior&ograve; per due volte la vittoria della Coppa del Mondo negli Anni Settanta: la prima nel 1974 (finale persa per 2-1 contro la Germania Ovest), la seconda nel 1978 contro l'Argentina quando centr&ograve; anche un palo durante il match che termin&ograve; 3-1 dopo i tempi supplementari. Una vittoria, quella dell'Albiceleste, passata alla storia per la campagna del regime militare che sfrutt&ograve; (anche) il successo della nazionale per esaltare il governo sanguinario del Generale Videla. I rimpianti Mondiali di Rensenbrink con l&rsquo;Olanda Il destino sportivo, comunque glorioso, di Robbie Rensenbrink, scomparso all'et&agrave; di 72 anni, avrebbe potuto virare verso un posto stabile nella leggenda il 25 giugno 1978, al minuto 91 della finale Mondiale di Buenos Aires contro l'Argentina. Era uno dei leader, sia pure il pi&ugrave; silenzioso e meno appariscente, dopo il no di Cruijff alla maglia arancione. Una sua conclusione ravvicinata eluse l'intervento del portiere Fillol, ma si stamp&ograve; beffardamente sul palo. Gli argentini quella partita poi la vinsero ai supplementari, e la grande Olanda, che quattro anni prima aveva perso un'altra finalissima (contro la Germania Ovest) si consegn&ograve; alla storia del calcio come la pi&ugrave; memorabile, epocale delle incompiute insieme all'Ungheria del 1954. Rest&ograve; parzialmente incompiuto anche Rensenbrink, che all'epilogo del 1974 (quando Cruijff c'era e dominava la scena) a Monaco di Baviera era arrivato malconcio dopo la durissima gara precedente con il Brasile e dovette alzare bandiera bianca alla fine del primo tempo.  Rob Rensenbrink: leggenda dell&rsquo;Anderlecht Con la squadra di Bruxelles invece vinse il campionato nel 1972 e nel 1974, quattro coppe del Belgio (1972, 1973, 1975 e 1976) ma soprattutto port&ograve; i biancomalva, prima compagine belga nella storia, a vincere a livello internazionale. Due volte la Coppa delle Coppe: nel 1976 in finale contro gli inglesi del West Ham per 4-2 (gara nella quale realizz&ograve; due reti) e nel 1978 con il nettissimo 4-0 all'Austria Vienna (a segno anche in quell&rsquo;occasione per due volte). Nel palmar&egrave;s, anche due Supercoppe Europee, vinte nella doppia finale contro Bayern Monaco (in gol nel 4-1 di Bruxelles dopo la sconfitta 2-1 in Germania) e Liverpool (3-1 in casa, e ko 2-1 in Inghilterra). Una grande carriera che sarebbe divenuta indimenticabile se di mezzo, in quella notte argentina del 1978, piena di &ldquo;papelitos&rdquo; bianchi sul terreno del Monument&agrave;l, non ci si fosse messo quel palo. Gli stessi incastri, vere e proprie sliding doors di carriera che non lo avevano fatto emergere in Olanda gli avrebbero poi consegnato il Mondiale da titolare nel 1974, visto che il santone Michels, arrivato in extremis sulla panchina olandese dopo l&rsquo;esonero di Fadrhonc, non riusc&igrave; a gestire l&rsquo;antipatia sconfinante in odio fra Cruijff e Keizer e cos&igrave; sulla sinistra mise quella che nella sua testa era la riserva dello stesso Keizer, cio&egrave; Rensenbrink. Lui dopo qualche incertezza iniziale disput&ograve; un gran Mondiale e soprattutto un gran girone di semifinale, da protagonista anche nella durissima partita con il Brasile (suo il cross per il pi&ugrave; bel gol del torneo, segnato da Cruijff) da cui usc&igrave; azzoppato. Michels gli fece giocare lo stesso la finale, dove non fu lui ed infatti all&rsquo;intervallo, come ricordavamo, venne rilevato da Ren&eacute; van de Kerkof. Una grande delusione in una grande carriera, anche se fra cento anni Rensenbrink sar&agrave; ricordato, purtroppo, soprattutto o soltanto come &ldquo;quello del palo&rdquo;.La sottovalutazione di Rensenbrink, nome che istantaneamente scalda il cuore a una generazione ben precisa, dipende sostanzialmente dal non essere mai stato nel giro dell&rsquo;Ajax e del Feyenoord dell&rsquo;epoca: veniva infatti dal DWS, squadra di Amsterdam, negli anni Sessanta di alto livello (vinse anche una Eredivisie) e adesso relegata alla dimensione dilettantistica, ma soprattutto era il giocatore che meno sembrava compatibile con il cosiddetto calcio totale, o per lo meno con l&rsquo;idealizzazione di quel calcio che viene celebrata ancora oggi.  La malattia e la morte L'ex ala sinistra dell'Anderlecht era ammalata da tempo. Nel 2015 rivel&ograve; di essere affetto da un'atrofia muscolare progressiva, una delle tipologie con le quali si manifesta la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). In un'intervista ai media olandesi raccont&ograve; quelle che erano diventate le sue condizioni. "I miei tempi di reazione sono cambiati &ndash; disse allora parlando della propria situazione -. Ho perso un po' di peso ma non mi sento ancora male. Ho scoperto di avere questa malattia degenerativa nel 2012 e la mia situazione &egrave; rimasta stabile per tre anni. Vado in ospedale ogni 6 mesi per gli esami". Il 24 gennaio del 2020, l&rsquo;uomo del palo ha salutato il mondo, dopo averne sfiorato la conquista per ben due volte; la prima in compagnia di Cruijff, la seconda senza di lui.       

L'ex ala sinistra partecip&ograve; alle sfortunate spedizioni dell'Olanda negli anni '70, colpendo un palo clamoroso contro l'Argentina nel '78. Ha scritto comunque la storia dei biancomalva

Rob Rensenbrink: tra vittorie con l'Anderlecht e rimpianti Mondiali

Essere identificato come uno dei baby talenti del calcio olandese e chiamarsi Johan a inizio anni &rsquo;70 in Olanda pu&ograve; essere un&rsquo;arma a doppio taglio. Ma Johannes Jacobus Neeskens ha saputo beneficiare fin da subito del taglio appropriato. Biondo, occhi verdi, in possesso di notevoli doti atletiche, prima di approdare all&rsquo;Ajax inizia con il piccolo Racing Club Heemstede, squadra della cittadina a 30 chilometri da Amsterdam in cui nasce e cresce. L&rsquo;arrivo al De Meer non &egrave; semplice. Nella precedente esperienza si trovava ai confini del professionismo: allenamenti serali tre volte la settimana e livello onestamente basso. Alla corte del maestro Michels cambia tutto: non solo per il piccolo Johan, ma per Rinus stesso.&nbsp;  Come giocava Johan Neeskens  &nbsp;  Centrocampista puro, arrivato nella capitale olandese con l&rsquo;etichetta di mediano-incontrista, si trasformer&agrave; presto nel pi&ugrave; emblematico tuttocampista del &ldquo;Totaalvoetbal&rdquo;. Soprannominato &ldquo;Johan segundo&rdquo;, del Profeta del gol seguir&agrave; addirittura le orme, non solo per coprirgli costantemente le spalle&hellip; gioca dietro al 14, il ragazzo venuto da Heemstede. Ci si stabilir&agrave; per tanti anni, ma nel fascino della squadra di Michels, che sia biancorossa o arancione, risiede una costante: non &egrave; inusuale trovarlo davanti a Cruijff, anzi. &Egrave; cos&igrave; che funziona il &ldquo;Calcio totale&rdquo;: non esistono posizioni fisse, tutti possono stazionare, a seconda del momento della gara e dei movimenti della squadra, in un ruolo non assegnato sulla lavagna tattica. Neeskens &egrave; l&rsquo;emblema di questo concetto. Parte in mezzo al campo e rompe il gioco come pochi, le sue scivolate sono arte pura: nonostante non sia lunghissimo (175 cm), arpiona il pallone come una piovra. Poi? Smista e imbuca, certo, ma non &egrave; raro vederlo andare a concludere la manovra a centro area, magari con un volo d&rsquo;angelo: anche nelle conclusioni aeree &egrave; eccezionale. Fondamentalmente non ci sono aggettivi corretti per descrivere le caratteristiche di Johan Neeskens, certamente ne servirebbero troppi&hellip; forse il pi&ugrave; calzante &egrave; proprio quello pi&ugrave; utilizzato accanto alla parola calcio negli anni &rsquo;70: totale. Difensore, centrocampista e attaccante. Grintoso, cattivo e tecnico. In possesso di un tiro secco e deciso, capace di mettere in porta i compagni senza neanche guardarli: gli mancano solo i guanti&hellip;  Le vittorie all&rsquo;Ajax e al Barcellona  &nbsp;  Lui si &egrave; autodefinito &ldquo;un mediano che sa segnare&rdquo;: umile e limitativo. Veste la maglia dei &ldquo;Figli degli dei&rdquo; per quattro stagioni. Insieme al &ldquo;Pel&eacute; Bianco&rdquo; trascina la squadra di Rinus Michels prima e Stefan Kovacs poi alla conquista di tre Coppe dei Campioni consecutive, due Eredivisie, due Coppe d&rsquo;Olanda, una Coppa Intercontinentale e una Supercoppa Uefa. Oltre che prezioso in fase di recupero e costruzione, il suo apporto alla causa &egrave; strabiliante anche in zona gol: saranno 39 in 171 match giocati, un immensit&agrave; per un calciatore che teoricamente gioca mediano. Nel 1974 fa le valigie e raggiunge Cruijff a Barcellona &ndash; il Profeta del gol era approdato in Catalogna nel &rsquo;73 &ndash; &nbsp;per ricreare quell&rsquo;asse centrale che fa invidia a mezza Europa. Dal punto di vista dei successi in blaugrana non va come previsto: una squadra con due calciatori di tale caratura non pu&ograve; accontentarsi di vincere una Coppa del Re (una volta partito Cruijff, che aveva conquistato la Liga 1973-74, Neeskens mette in bacheca la Coppa delle Coppe 1979). Questo non cancella lo straordinario ricordo lasciato nel cuore dei tifosi del Bar&ccedil;a, che per trovare due fenomeni di eguale portata a centrocampo dovranno aspettare i tempi del Tiki-Taka di Guardiola, orchestrato alla perfezione in campo da Xavi e Iniesta.    Neeskens, protagonista assoluto anche nel Calcio totale dell&rsquo;Arancia Meccanica  &nbsp;  Nella memoria collettiva degli appassionati resta il primo minuto della finale di Coppa del Mondo 1974 tra Germania Ovest e Olanda. Guardando l&rsquo;azione che porta all&rsquo;immediato vantaggio olandese si pu&ograve; riassumere il Calcio totale di Rinus Michels. Johan Cruijff batte il calcio d&rsquo;inizio, la sfera viene passata all&rsquo;indietro e fatta sfilare per la retroguardia Oranje: Krol, Rijsbergen, Haan e Suurbier. Nel frattempo Cruijff, l&rsquo;attaccante, arretra diventando l&rsquo;ultimo uomo. Haan gli lascia il pallone e si sgancia. La sfera viene condotta in avanti per poi tornare tra i piedi del 14: dopo nemmeno un minuto tutti hanno gi&agrave; invertito le posizioni iniziali. Cruijff vede un varco e s&rsquo;infila come un coltello nel burro nella difesa tedesca per poi essere steso da Hoeness all&rsquo;ingresso in area: rigore. L&rsquo;arbitro Taylor ha appena fischiato e il 13 &ndash; lo specialista Neeskens &ndash; ha gi&agrave; il pallone tra le mani: bomba centrale e Maier battuto. Per Johan segundo (al quinto gol nel Mondiale) e compagni sembra il preludio verso un successo inevitabile. La storia dir&agrave; altro, esattamente come quattro anni pi&ugrave; tardi, quando sar&agrave; l&rsquo;Argentina padrona di casa (come la Germania nel &rsquo;74) ad alzare al cielo la coppa. Due dispiaceri enormi nella carriera di Neeskens, ma forse anche nella memoria di ogni appassionato che ha visto giocare quella squadra fantastica: ancora oggi ci si chiede come non possa aver vinto nulla. La carriera del fenomenale centrocampista olandese in Nazionale era iniziata nel 1970, all&rsquo;et&agrave; di 19 anni, mentre si chiuder&agrave; nel 1981 con un bottino da attaccante: 17 reti in 49 gare. Nel mezzo anche l&rsquo;inaspettata eliminazione nella semifinale di Euro &rsquo;76 per mano dei futuri campioni cecoslovacchi. Quel giorno, proprio un&rsquo;espulsione di Neeskens per un fallo di reazione spalanc&ograve; la strada al successo di Panenka e compagni.  &nbsp; 

Nato a Heemstede il 15 settembre 1951, ha vinto tutto con l&#39;Ajax e seguito Cruijff a Barcellona. &Egrave; stato imprescindibile per gli schemi di Rinus Michels

Johan Neeskens, il tuttocampista dell&#39;Olanda del &quot;Calcio totale&quot;

        Nel cuore di chi quel 29 giugno del 2000 ha vissuto con le palpitazioni i 120 minuti (pi&ugrave; recupero, pi&ugrave; rigori) di una delle gare pi&ugrave; agoniche della storia della Nazionale, Olanda-Italia lascia ancora sensazioni particolari. Il carattere e l&rsquo;organizzazione degli azzurri ebbero clamorosamente la meglio sul dominio tecnico a tratti incontrastato degli olandesi, fiaccando lo spirito di una formazione, quella allenata da Frankie Rijkaard, che si trov&ograve; a sbattere pi&ugrave; e pi&ugrave; volte contro il muro eretto da Francesco Toldo, pur potendo contare sul supporto del pubblico di Amsterdam. Per far venir gi&ugrave; il castello di carte di Edwin van der Sar bast&ograve; un soffio di vento scatenato dal tocco sotto di Francesco Totti, un omaggio sfrontato allo scavetto reso celebre 24 anni prima, nella finale dell&rsquo;Europeo, da Antonin Panenka.&nbsp; L&rsquo;assalto olandese e il rosso a Zambrotta  Il c.t. Dino Zoff sceglie il solito 3-4-1-2: Toldo tra i pali, Cannavaro, Nesta e Iuliano in difesa, Zambrotta e Maldini sulle corsie, Di Biagio e Albertini in mediana e il terzo uomo, Fiore, con licenza di offendere, quindi il tandem Inzaghi-Del Piero, quest&rsquo;ultimo preferito a Totti. L&rsquo;Italia trema da subito, perch&eacute; Zenden &egrave; un rebus irrisolvibile per Zambrotta e Bergkamp lavora tra le linee da vero fuoriclasse: il suo destro che scuote il palo &egrave; il primo segnale di un pomeriggio da trascorrere in trincea. Poco dopo la mezz&rsquo;ora l&rsquo;Italia &egrave; in dieci: Zambrotta stende Zenden, secondo giallo e rosso. Da l&igrave; a qualche minuto Kluivert dal dischetto pu&ograve; cambiare la sfida: il rigore &egrave; discutibile, Toldo spazza le polemiche mettendo in angolo il sinistro incrociato di Frank de Boer. Zoff cerca di rimodellare i suoi in un 4-4-1 in cui chiede sacrificio supremo sulle corsie a Del Piero e Fiore, mentre in difesa tocca a Cannavaro prendere le misure a Zenden. Kluivert vanifica un controllo sontuoso con un destro impreciso, all&rsquo;intervallo &egrave; 0-0.&nbsp;  Finale in apnea e il palo di Kluivert dal dischetto  Un tiro di Fiore a inizio ripresa permette all&rsquo;Italia di respirare e di ricordare all&rsquo;Olanda che la sfida &egrave; ancora tutta da giocare. Quando gli azzurri sembrano aver trovato il modo per arginare la marea olandese, ecco che Iuliano abbatte il compagno juventino Davids in area di rigore. Cambia l&rsquo;incaricato della trasformazione: Kluivert spiazza Toldo, palo pieno. Sospiro di sollievo, Zoff inserisce prima Delvecchio per Inzaghi e poi Pessotto per Albertini. Il terzo cambio del c.t. &egrave; di un coraggio leonino: Totti per Fiore, gli azzurri in dieci schierano contemporaneamente il capitano giallorosso, Del Piero e Delvecchio. L&rsquo;ultima occasione dei regolamentari nasce da un campanile di Di Biagio e da un controllo forse non particolarmente voluto ma effi cace di Delvecchio, che pu&ograve; lanciarsi in campo aperto prima di sfogare un mancino troppo debole per spaventare van der Sar. L&rsquo;attaccante, nel primo tempo supplementare, ha un altro pallone per il clamoroso 1-0: gli arriva grazie a una di quelle invenzioni inspiegabili di Totti, che senza neanche guardare lo pesca a 50 metri di distanza. Van der Sar, col piedone, dice no. L&rsquo;assalto olandese &egrave; sfi brante ma non provoca troppi scossoni, perch&eacute; il quartetto Cannavaro-Nesta-Iuliano-Maldini non sbaglia pi&ugrave; nulla, e dalle parti di Toldo non solo non si passa, ma non ci si arriva proprio. Rigori.&nbsp;  Toldo, Totti e la festa degli azzurri  Il primo rigore della serie lo calcia e lo segna Gigi Di Biagio, chiamato a togliere dalla mente i fantasmi di Francia &rsquo;98. Per l&rsquo;Olanda si ripresenta dagli undici metri Frank de Boer, una scelta pessima. Toldo, ovviamente, para. Il secondo cecchino azzurro &egrave; l&rsquo;insospettabile Gianluca Pessotto, che aveva gi&agrave; timbrato contro van der Sar nella finale della Champions League del 1996, Ajax-Juventus. Segna ancora, 2-0. Se de Boer non era parso una scelta brillantissima, figurarsi quando sul pallone si presenta Jaap Stam, difensore formidabile, rigorista solo per hobby: pallone in curva. Con la mente libera, il cucchiaio di Francesco Totti &egrave; lo schiaffo definitivo alle velleit&agrave; olandesi. Kluivert segna, Maldini sbaglia ma non importa, perch&eacute; l&rsquo;Italia &egrave; ancora a distanza di sicurezza e in porta ha un Toldo in stato di grazia, che sembra quasi divorare Bosvelt mentre sbaglia il quarto di rigore della serie, quinto errore sui sei calciati dall&rsquo;Olanda, in un pomeriggio che consegna l&rsquo;Italia di Zoff al mito della resistenza calcistica. Anche se in finale, con la Francia, finir&agrave; per scontare quel successo con gli interessi.        

In 10 dalla mezz'ora del primo tempo, con Toldo e Totti uomini copertina, la Nazionale riusc&igrave; &nbsp;a spuntarla ai rigori dopo pi&ugrave; di 120 minuti di sofferenza

29 giugno 2000, l'impresa dell'Italia contro l'Olanda agli Europei

I fenomeni del Milan guidati dal leggendario Rinus Michels trascinarono gli Oranje alla conquista del primo storico titolo

PODCAST - Europei 1988: con Gullit e Van Basten l'Olanda è campione

Oltre all&rsquo;Italia c&rsquo;&egrave; soltanto un&rsquo;altra grande nazionale che ha fallito la qualificazione a Russia 2018 ed &egrave; ovviamente l&rsquo;Olanda. Non pi&ugrave; di Dick Advocaat, visto che la KNVB ha appena affidato la panchina arancione a Ronald Koeman dopo le dimissioni di Advocaat, gi&agrave; accasatosi allo Sparta Rotterdam. Le ultime notizie da allenatore riguardanti l&rsquo;ex colonna, in campo, del PSV di Hiddink e del Barcellona di Cruijff risalivano ad ottobre, quando fu esonerato dall&rsquo;Everton, scontento sia dei risultati sia del costosissimo mercato estivo: Sigurdsson, Tosun, Klaassen, Pickford, Keane, Ramirez, Onyekuro ed altri. Un festival di mezze figure solo parzialmente finanziato dalla cessione di Lukaku al Manchester United.  Ancora pi&ugrave; del futuro allenatore dell&rsquo;Italia, Koeman avr&agrave; gioco facile nel sembrare un genio visto che l&rsquo;Olanda dopo il terzo posto al Mondiale 2014 &egrave; riuscita nell&rsquo;impresa di non qualificarsi n&eacute; per Euro 2016 (con Hiddink in panchina) n&eacute; per questo Mondiale (qualificazione gi&agrave; compromessa con Blind, Advocaat ha poche colpe), superata nel girone dalla Francia e da una Svezia modesta finch&eacute; si vuole ma che comunque ha conquistato sul campo, di pura organizzazione, il suo posto in Paradiso.  A quasi 55 anni Koeman ha quindi la grande occasione della vita, perch&eacute; in tante realt&agrave; ha fatto bene per&ograve; mai ha avuto in mano una squadra con ambizioni da Champions League o di vittoria in uno dei grandi campionati europei. Ha vinto all&rsquo;Ajax (anche con Ibrahimovic) e al PSV, non ci &egrave; riuscito con il Feyenoord (primo nella storia a guidare tutte e tre le grandi olandesi), &egrave; piaciuto nei suoi inizi al Vitesse, poi al Benfica, al Southampton e nel primo anno all&rsquo;Everton, ha relativamente fallito al Valencia (esonerato 5 giorni dopo il trionfo in Copa del Rey) e all&rsquo;AZ. Ha usato un po&rsquo; tutti i moduli, anche se il vero problema in questo ciclo olandese &egrave; che non c&rsquo;&egrave; un solo giocatore in grado di trascinare gli altri, visto che dopo la partita con la Svezia Robben ha lasciato la nazionale, che Sneijder ha 33 anni e gioca in Qatar, che De Vrij, Nan Dijk, Blind figlio, Strootman, Van Ginkel, Klaassen e Wijnaldum sono buona classe media, in grado di qualificarsi per un Europeo, ma niente che emozioni. Un campione forse lo diventer&agrave; De Ligt, ma per adesso ha 18 anni.  Come si vede dai nomi, tutti difensori oppure centrocampisti di non grande creativit&agrave; (a parte Klaassen, che peraltro all&rsquo;Everton nel dopo Koeman &egrave; letteralmente scomparso). Negli ultimi anni, a parte Depay e in misura minore Janssen, l&rsquo;Olanda non ha infatti prodotto nulla di buono in attacco ed attende con ansia la crescita dei vari Justin Kluivert (Ajax, figlio di Patrick), Bergwijn e Ramselaar, considerando ormai ex giovani i Castaignos della situazione. In altre parole, qualificarsi alle grandi competizioni &egrave; il minimo sindacale, ma nessuna altra grande generazione &egrave; all&rsquo;orizzonte. E se titolare dell&rsquo;Ajax &egrave; il quasi trentacinquenne Huntelaar ci sar&agrave; un perch&eacute;.&nbsp; 

Sulla panchina della nazionale arancione, reduce dai fallimenti europei e mondiali, sieder&agrave; l&#39;allenatore da poco esonerato dall&#39;Everton. Che avr&agrave; a disposizione una generazione discreta, ma non all&#39;altezza della storia...

La piccola Olanda di Koeman

I "se" e i "ma" non hanno mai portato da nessuna parte: il calcio &egrave; per&ograve; deciso da centimetri, a volte frazioni di secondo in cui pu&ograve; cambiare&nbsp;il corso della storia. L'attimo fuggente vuole essere una carrellata di eroi mancati per un soffio e pagine scritte poi strappate, per colpa di un dettaglio fuori posto. Buona lettura.  Film:&nbsp;Argentina-Olanda. Set:&nbsp;Estadio Monumental, Buenos Aires (Argentina). Data:&nbsp;25 giugno 1978. Attore protagonista:&nbsp;Pieter Robert "Rob" Rensenbrink. Attori non protagonisti:&nbsp;Ruud Krol, Ubaldo Fillol, Jorge Olgu&iacute;n.  Trama:&nbsp;finale del campionato del mondo 1978 tra Argentina e Olanda. Gli arancioni acciuffano il pareggio all'82&deg; minuto, raddrizzando il destino di un ultimo atto gi&agrave; sfuggito di mano 4 anni prima. L'arbitro italiano Sergio Gonella guarda il cronometro, ormai il 90&deg; &egrave; gi&agrave; scaduto. Punizione nella met&agrave; campo olandese, batte Krol con un lancio lunghissimo verso il lato sinistro dell'area argentina: &egrave; l'ultima occasione. La sfera sfila via verso il fondo, gli si fanno incontro gli argentini Olgu&iacute;n e Fillol affrontati dall'olandese Rensenbrink. 14 secondi dopo il novantesimo, il numero 12&nbsp;arancione riesce a toccare con il sinistro anticipando gli avversari. La storia si gioca l&igrave;, in quell'attimo. Il pallone sta correndo verso la porta sguarnita ma sbatte sul palo, prima di essere allontanata dalla difesa argentina. Ai supplementari finir&agrave; 3-1 per i padroni di casa, grazie alle reti di Kempes e Bertoni. Una beffa doppia per Rensenbrink: se il suo tiro fosse entrato, in un colpo solo avrebbe portato via Coppa del Mondo e titolo di capocannoniere. Allori finiti invece nelle mani proprio di Kempes.    Fabio Ornano @fabio_ornano  &nbsp;

L'attimo fuggente \ Rob Rensenbrink

Un'Italia tutto sommato compatta e che va costruendosi un'immagine sempre pi&ugrave; positiva: all'Amsterdam Arena amichevole di lusso con l'Olanda e vittoria di misura (2-1), con tutte le reti realizzate nel primo tempo. Arancioni in vantaggio con la sfortunata autorete di Romagnoli e ripresi subito&nbsp;da&nbsp;&Eacute;der, Bonucci decide infine la contesa al 32&deg;. Partita mai noiosa, in cui i padroni di casa hanno provato pi&ugrave; volte ad impensierire il recordman Donnarumma - pi&ugrave; giovane portiere titolare della storia azzurra - colpendo anche una traversa.&nbsp;Verratti&nbsp;non ha convinto appieno nel ruolo di trequartista nel 3-4-1-2 provato da Ventura. Nella ripresa spazio a tanti volti nuovi, con 5 ragazzi che hanno debuttato con la Nazionale maggiore. Il selezionatore si &egrave; detto molto soddisfatto a fine partita.  Come detto, Verratti&nbsp;scelto per agire dietro&nbsp;&Eacute;der-Immobile. L'Olanda, freschissima di sconfitta con la Bulgaria che ha portato all'esonero di Danny Blind, ha visto in panchina il vice Grim e risposto con un 4-3-3 tutto forza e velocit&agrave;. Apre la contesa il mancino da fuori di&nbsp;&Eacute;der (8&deg;) che si spegne sul fondo alla sinistra di Zoet. 2 minuti pi&ugrave; tardi gli olandesi passano in vantaggio in modo rocambolesco: Promes spedisce la sfera&nbsp;a centro area, carambola Bonucci-Romagnoli e palla in rete. I padroni di casa non hanno neppure il tempo di esultare, perch&eacute; arriva la fulminea rasoiata dal limite di&nbsp;&Eacute;der (11&deg;) il cui diagonale di destro non lascia scampo a Zoet. Fase di studio con rare fiammate. Olanda vicina al raddoppio con il colpo di testa del poderoso&nbsp;Martins Indi (26&deg;) su azione da corner, che per&ograve; si infrange sulla traversa. Al minuto 32 &egrave; invece l'Italia a passare di nuovo con Bonucci, rapido a "sparare" in rete da pochi passi dopo respinta in tuffo del portiere olandese. Ancora Promes protagonista, il cui destro in corsa su tacco di Depay esce sul fondo (34&deg;). Sullo slancio, l'attaccante colpisce con il ginocchio l'accorrente De Rossi all'altezza dell'osso sacro: il capitano azzurro, molto dolorante, &egrave; costretto ad uscire per lasciar spazio al debuttante Gagliardini. Primo tempo in cui gli azzurri si dimostrano raramente pericolosi, ma estremamente cinici con i 2 gol estemporanei. Verratti pare contratto, Immobile non tocca palla. Molto intraprendenti invece gli olandesi Promes e Depay.  I primi squilli della ripresa arrivano al 58&deg;: prima ci prova Promes con il mancino parato da Donnarumma, poi&nbsp;&Eacute;der con un destro debole. Il numero 1 della Nazionale viene impegnato dalla punizione di Depay (66&deg;) e blocca la sfera a terra. Il neo entrato Belotti riceve da Verratti e spara verso Zoet, che respinge il tiro (70&deg;). Nella girandola di cambi debuttano in azzurro anche Spinazzola (autore di un diagonale insidioso all'81&deg;), Petagna, D'Ambrosio e Verdi. Negli ultimi minuti gli arancioni cercano con forza il pari 2 volte con Sneijder, prima con il sinistro (85&deg;) e infine con il destro (87&deg;): Donnarumma c'&egrave;. L'ultimo brivido per gli azzurri lo provoca il mancino di Vilhena al 93&deg;, tuttavia deviato in angolo da Bonucci. L'Italia porta a casa un'altra vittoria, per la soddisfazione del Commissario Tecnico Gian Piero Ventura:  "Stiamo continuando questo percorso nel modo migliore: vogliamo&nbsp;costruirci una buona immagine e soprattutto una mentalit&agrave; importante. Oggi contava confermare spirito e capacit&agrave; di soffrire, siamo riusciti nell'obiettivo. I giovani saranno parte integrante di un gruppo che, se andr&agrave; in Russia come tutti ci auguriamo, sono convinto potr&agrave; recitare il ruolo di sorpresa".  Amsterdam (Olanda), Amsterdam Arena, 28 marzo 2017, amichevole Olanda-Italia 1-2 Olanda (4-3-3): Zoet; Tete, Martins Indi, Hoedt, Blind (83&deg; Viergever); Wijnaldum (77&deg; Toornstra), Klaassen (82&deg; Sneijder), Strootman [C] (46&deg; Vilhena); Lens, Depay, Promes (88&deg; Berghuis) (In panchina: Karsdorp, Veltman, de Ligt, Dost, de Jong, Vorm, Cillessen). Commissario Tecnico: Fred Grim. Italia (3-4-1-2): Donnarumma; Rugani, Bonucci, Romagnoli; Zappacosta (62&deg; Spinazzola), De Rossi [C] (37&deg; Gagliardini), Parolo, Darmian (89&deg; D'Ambrosio); Verratti (90&deg; Verdi);&nbsp;&Eacute;der (69&deg; Petagna), Immobile (53&deg; Belotti) (In panchina: Buffon, De Sciglio, Candreva, Insigne, Astori, Meret, Sansone, Politano). Commissario Tecnico: Gian Piero Ventura. Arbitro: Eriksson (Svezia). Reti: 10&deg; Romagnoli aut., 11&deg;&nbsp;&Eacute;der, 32&deg; Bonucci. Note: ammonito Rugani (48&deg;); spettatori 50.000.  &nbsp;  Fabio Ornano @fabio_ornano  &nbsp;

L'Italia soffre ma vince: Olanda battuta (2-1). Tanti giovani al debutto

L'esonero di Danny Blind, alla vigilia dell'amichevole con l'Italia, sottolinea la gravit&agrave; del momento del calcio olandese, che sta andando diritto verso un'eliminazione mondiale, quattro cicli dopo quella del 2002: va ricordato che al tempo in panchina sedeva Louis Van Gaal, cio&egrave; uno dei nomi pi&ugrave; accreditati per prendere il posto di Blind e provare ad agganciare almeno il secondo posto nel gruppo A di qualificazione mondiale. Impresa non impossibile, perch&eacute; la Svezia &egrave; 3 punti sopra e le partite da giocare sono ancora 5, ma certo la prestazione in Bulgaria &egrave; stata da encefalogramma piatto, al di l&agrave; della sconfitta. Blind era comunque una seconda scelta, visto che per il dopo Van Gaal nel 2014 era stato scelto Hiddink e Blind era il suo assistente, ma il punto &egrave; un altro. A Sofia non c'era in campo un solo giocatore che possa spostare o abbia spostato gli equilibri in un grande club che aspiri alla Champions League, tolti l'anziano Robben (e Sneijder, entrato nel secondo tempo), Strootman, De Vrij (infortunato, gi&agrave; tornato a Roma) e in prospettiva il diciassettenne De Ligt. Criticato anche con ragione, visto che ha responsabilit&agrave; in entrambi i gol bulgari, ma che vale di pi&ugrave; dei vari Martins Indi della situazione. Una mancata qualificazione mondiale avrebbe quindi un sapore tutto diverso da quella del 2002 e ancora di pi&ugrave; da quelle del 1982 (c'erano comunque i resti della grande Olanda, a partire da Neeskens e Krol) e del 1986 (con Van Basten, Gullit e in pratica tutto lo squadrone che avrebbe vinto l'Europeo due anni dopo). La Eredivisie attuale, piena di stranieri di serie zeta e nemmeno giovani, pu&ograve; essere una spiegazione anche se non l'unica. Nel campionato in corso l'impiego di non olandesi &egrave; al 45%, mentre nel 2003-04, l'ultima stagione di Robben in Olanda, era al 38, e nel 2006-07, l'ultima di Sneijder, al 45. Gli olandesi non sono quindi scomparsi, ma &egrave; probabile che insegnino calcio meno bene rispetto a qualche anno fa. Senza dimenticare che stiamo parlando di un paese di 17 milioni di abitanti, quindi con un terzo delle probabilit&agrave; italiane di mettere in campo una nazionale decente.

L'Olanda che insegnava calcio

L'Olanda, avversaria dell'Italia nell'amichevole di lusso all'Amsterdam Arena, attraversa un periodo delicato per qualsiasi squadra: la fase di transizione tra una grande generazione di talenti al tramonto e quella "verde". L'inizio della gestione di Danny Blind non &egrave; stato agevole, con la clamorosa esclusione da Euro 2016: gli orange non saltavano un grande appuntamento dal Mondiale 2002. L'ex campione dell'Ajax &egrave; stato confermato e punta al pronto riscatto di una grande del calcio internazionale, ora scivolata al 3&deg; posto nel gruppo A dietro Francia e Svezia dopo la sconfitta in Bulgaria (2-0).  Grande seconda.&nbsp;Il calcio olandese esplose fragorosamente negli anni Settanta grazie al calcio totale e all'Ajax del divino Johan Cruijff, dopo decenni di totale anonimato. La doppia finale mondiale persa nel 1974 e nel 1978 fu difficilissima da digerire, solo in parte addolcita dalla vittoria nell'Euro '88 firmata dai fuoriclasse Ruud Gullit e Marco Van Basten. In seguito l'Olanda, a cui &egrave; sfuggita per la terza volta la Coppa del Mondo nel 2010, ha continuato a produrre tantissimi calciatori di spessore: i vari Sneijder, Huntelaar e Robben sono ancora nel giro ma stanno sparando le ultime cartucce di una lunga carriera. Per accompagnare i nuovi "tulipani" nel futuro.  Il Commissario Tecnico.&nbsp;Danny Blind, 55 anni. Uno dei giocatori pi&ugrave; vincenti nella storia del calcio europeo, con tutti i trofei nazionali ed internazionali in bacheca conquistati con la casacca dell'Ajax. Selezionatore della Nazionale dal 1&deg; agosto 2015, ha mancato la qualificazione all'ultimo Europeo finendo nel peggiore dei modi la campagna gi&agrave; zoppicante iniziata da Hiddink. Ora ha un doppio obiettivo davanti a s&eacute;: lottare con la Francia per il pass mondiale diretto ed inserire con successo i diversi giovani del panorama olandese. Il figlio Daley fa parte della Nazionale.  La squadra.&nbsp;L'era di Stekelenburg tra i pali &egrave; terminata definitivamente a favore di Cillessen, titolare nell'Olanda ma riserva del Barcellona. In difesa si ricompone la coppia centrale De Vrij-Martins Indi, con la prima convocazione per il laziale Hoedt. Sulle fasce Blind Jr. ha blindato la corsia mancina, mentre a destra dovrebbe giocare Veltman (Ajax). In mediana spazio al ritorno del romanista Strootman, affiancato da Wijnaldum (Liverpool) e Sneijder. Se Blind dovesse schierare il tridente in attacco, il 33enne capitano Arjen Robben potrebbe giostrare a sostegno di Janssen (Tottenham) con Memphis Depay, passato dal Manchester United al Lione per trovare spazio. L'Olanda, nelle qualificazioni a Russia 2018, ha pareggiato in Svezia (1-1) all'esordio. Poi i successi su&nbsp;Bielorussia (4-1) e Lussemburgo (1-3) intervallati dalla sconfitta casalinga nel big-match contro la Francia, grazie al gol di Pogba. Nuova sconfitta in Bulgaria nell'ultimo turno (2-0).  La rosa.&nbsp;Portieri: Jasper Cillessen (22.04.1989, Barcellona - SPA), Michel Vorm (20.10.1983, Tottenham - ING), Jeroen Zoet (06.01.1991, PSV). Difensori: Daley Blind (09.03.1990, Manchester United - ING), Matthijs de Ligt (12.08.1999, Ajax), Stefan de Vrij (05.02.1992, Lazio - ITA), Wesley Hoedt (06.03.1994, Lazio - ITA), Rick Karsdorp (11.02.1995, Feyenoord), Bruno Martins Indi (08.02.1992, Stoke City - ING), Kenny Tete (09.10.1995, Ajax), Nick Viergever (03.08.1989, Ajax), Jo&euml;l Veltman (15.01.1992, Ajax). Centrocampisti: Wesley Sneijder (09.06.1984, Galatasaray - TUR), Georginio Wijnaldum (11.11.1990, Liverpool - ING), Kevin Strootman (13.02.1990, Roma - ITA), Davy Klaassen (21.02.1993, Ajax), Tonny Vilhena (03.01.1995, Feyenoord), Jens Toornstra (04.04.1989, Feyenoord). Attaccanti: Arjen Robben (23.01.1984, Bayern Monaco - GER), Jeremain Lens (24.11.1987, Fenerbah&ccedil;e - TUR), Memphis Depay (13.02.1994, Lione - FRA), Quincy Promes (04.01.1992, Spartak Mosca - RUS), Bas Dost (31.05.1989, Sporting Lisbona - POR), Vincent Janssen (15.06.1994, Tottenham - ING), Steven Berghuis (19.12.1991, Feyenoord).  Probabile formazione. (4-3-3): Cillessen; Veltman (Karsdorp), de Vrij, Martins Indi (Hoedt), Blind; Strootman, Wijnaldum, Sneijder (Klaassen); Robben, Janssen (Dost), Depay (Promes).  [gallery size="medium" columns="4" ids="38459,38465,38460,38462,38458,38475,38466,38464,38463,38474,38461,38476"]  Fabio Ornano @fabio_ornano

Olanda ai raggi x: gli avversari degli azzurri

La Nazionale di Gian Piero Ventura &egrave; al lavoro a Coverciano per preparare il doppio impegno con Albania (24 marzo a Palermo, qualificazioni mondiali) e Olanda (28 marzo, all'Amsterdam Arena in amichevole). Imperativo puntare ad una vittoria contro la squadra di De Biasi, pensando in seconda battuta alla differenza reti, per poi magari dar fiducia ad alcuni volti nuovi nel test contro gli orange. Esclusi Bernardeschi e Gabbiadini per motivi fisici, prima chiamata assoluta (stage a parte) per Meret, D'Ambrosio, Spinazzola, Petagna e Verdi.  I convocati. Portieri: Gianluigi Buffon (Juventus), Gianluigi Donnarumma (Milan), Alex Meret (SPAL). Difensori: Davide Astori (Fiorentina), Andrea Barzagli, Leonardo Bonucci e Daniele Rugani (Juventus), Matteo Darmian (Manchester United - ING), Mattia De Sciglio e Alessio Romagnoli (Milan), Danilo D'Ambrosio (Inter), Leonardo Spinazzola (Atalanta), Davide Zappacosta (Torino). Centrocampisti: Antonio Candreva e Roberto Gagliardini (Inter), Daniele De Rossi (Roma), Marco Parolo&nbsp;(Lazio), Marco Verratti (Paris Saint-Germain - FRA). Attaccanti: Andrea Belotti (Torino), &Eacute;der Citadin Martins (Inter), Ciro Immobile (Lazio), Lorenzo Insigne (Napoli), Andrea Petagna (Atalanta), Matteo Politano (Sassuolo), Nicola Sansone (Villarreal), Simone Verdi (Bologna).  Le parole di Ventura.&nbsp;Il selezionatore azzurro sa molto bene che la partita di venerd&igrave; a Palermo non si pu&ograve; sbagliare: "Con l&rsquo;Albania il risultato &egrave; estremamente importante,&nbsp;siamo consapevoli che sar&agrave; una partita delicata e che ci pu&ograve; permettere di andare a giocare in Spagna per ottenere qualcosa di concreto. Sono sereno perch&eacute; a distanza di tre mesi ho ritrovato un gruppo di giocatori che mi offre la massima disponibilit&agrave;".  Un'Italia che sta assumendo sempre pi&ugrave; le sembianze di un mix equilibrato tra esperienza ed il nuovo che avanza. Continua il C.T. :"Avevo detto in tempi non sospetti che c'era un'infornata di giovani che avrebbe dovuto essere innaffiata per costruire una Nazionale importante per il futuro. Per qualificarci abbiamo bisogno dei giovani, ma anche dell'esperienza dei meno giovani. La convocazione di Meret &egrave; per dare un segnale di continuit&agrave;: chi fa parte dell&rsquo;Under 21 deve ambire a raggiungere la Nazionale maggiore attraverso le prestazioni".  Ventura si augura che il gruppo venga lasciato in pace dagli infortuni, che hanno colpito alcuni elementi di primo piano della squadra: "L'unica cosa che mi preoccupa &egrave; la salute dei miei giocatori, perch&eacute; ho perso Florenzi e Bonaventura per tutto il campionato, Gabbiadini dopo averlo convocato, non ho mai avuto Marchisio e ho dovuto rinunciare per dei periodi a Barzagli e Verratti. Il modulo? La Nazionale non pu&ograve; avere un solo modo di giocare, altrimenti diventa tutto troppo scolastico".  &nbsp;  Fabio Ornano @fabio_ornano

Azzurri al lavoro. Ventura: "Vietato sbagliare con l'Albania"

Il calcio olandese &egrave; in crisi. Le prime avvisaglie si sono notate quando l'Olanda non si &egrave; riuscita a qualificare per gli Europei. Poi alla crisi di gioco ultimamente &egrave; giunta anche quella economica con molti club che per debiti stanno retrocedendo in serie minori.&nbsp; Il "calcio totale" che fino a qualche stagione fa predominava in Europa adesso non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;. L&rsquo;Olanda, infatti, sta profondando in una crisi senza precedenti ed &egrave; a un passo dal baratro. I sintomi di una crisi finanziaria si sono gi&agrave; avuti nel 2013 con i club forti in Eredivisie, ma che faticavano ad emergere nelle coppe europee. &Egrave; il caso dell'Utrecht, ad esempio, che proprio in quell'anno terzo in campionato e subito eliminato In Europa League dai modestissimi avversari lussemburghesi del Diffendangen 03 che mai finora avevano superato un turno nel loro cammino europeo. Nella stessa stagione due club di B sono falliti a campionato in corso. Una crisi che la Federazione olandese non ha saputo ovviare. Unica scelta fu di emettere una direttiva in cui davano alle societ&agrave; degli obblighi finanziari ben precisi. Questi salvarono purtroppo solo i team pi&ugrave; blasonati come Ajax, Psv e Feyenoord che hanno venduto i loro pezzi pregiati alle altre squadre sparse in giro per il mondo, pur di racimolare dei soldi e andare avanti con la loro attivit&agrave;. Dal 2013 al 2016 tre anni ancora di crisi sia finanziaria sia di gioco con il solo Psv che &egrave; uscito a testa alta agli ottavi di Champions ai rigori con il finalista Atletico Madrid. Alla fine di questa stagione poi tredici societ&agrave; su diciotto sono alle prese con i problemi finanziari. Tra le 13 societ&agrave; in difficolt&agrave; spicca il glorioso Feyenoord. Il club di Rotterdam non pu&ograve; operare liberamente sul mercato: come Nac Breda, Nec Nijmegen, Roda e Excelsior Rotterdam, le altre formazioni pi&ugrave; traballanti, devono chiedere autorizzazioni speciali per completare operazioni in entrata. Secondo la Federazione olandese (Knvb), la solidit&agrave; finanziaria di queste societ&agrave; &egrave; insufficiente. La crisi potrebbe spostarsi dal bilancio alla classifica: non sono escluse sanzioni, compresa la penalizzazione in termini di punti. Il quadro generale &egrave; negativo ma, evidenzia la Federazione, si nota un lieve miglioramento rispetto a pochi mesi fa. In base alle cifre, a maggio i club da bocciare erano 16. Ultima squadra in difficolt&agrave; &egrave; il Twente che &egrave; stato retrocesso in seconda divisione (Jupiler League) per problemi finanziari: giunto in 13a posizione in Eredivisie e dunque salvo in ambito sportivo, il club paga gli accordi che il club aveva con la Doyen Sports. E proprio il Twente &egrave; stato protagonista di una storia che ha spezzato il cuore dei tifosi dei Reds: l'esempio pi&ugrave; lampante &egrave; quello del piccolo Maxim, 6 anni, che ha addirittura rotto il suo salvadanaio, donando i pochi soldini accumulati al suo club via posta. Ad analizzare il momento negativo dell'Olanda&nbsp; individuandole il motivo &egrave; stato Henk Ten Cate, ex allenatore di Ajax e Panathinaikos: &laquo;Prima i giovani olandesi giocavano al Barcellona, adesso alla Lazio o al Southampton&raquo;. &laquo;Abbiamo Jordy Clasie al Southampton - ribadisce Ten Cate - e Stefan De Vrij alla Lazio. Non intendo decimare questi giocatori, ma dico solo che una volta Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Milan, Chelsea e Manchester Utd erano in fila per i nostri gioielli&raquo;.  Marco Stiletti

La profonda crisi del calcio olandese

Quattro Coppe dei Campioni. Tre Coppe delle Coppe. Un&rsquo;intercontinentale. Tre palloni d&rsquo;oro. La grandezza di Johann Cruijff si pu&ograve; riassumere nei freddi numeri del palmar&egrave;s. Ma sarebbe riduttivo e fuorviante limitarla ai trofei conquistati e magari a quel Mondiale del 1974 sfiorato da protagonista con la pi&ugrave; forte Olanda di tutti i tempi.  Cruijff &egrave; stato uno di quegli sportivi capaci di segnare un&rsquo;epoca, di dar vita a nuove correnti e stili di gioco. Il miglior talento calcistico prodotto dall&rsquo;Europa.&nbsp; C&rsquo;&egrave; stato un calcio prima di lui e uno dopo di lui. Da giocatore, fu il perno della rivoluzione olandese, sia a livello di club sia da allenatore. Era talmente a tutto campo che non aveva un ruolo preciso: attaccante, centrocampista, trequartista. Creativo e ribelle, giocava con la maglia numero 14 anche quando la numerazione era dall&rsquo;1 all&rsquo;11 e ai Mondiali di Germania aveva una maglietta diversa, perch&eacute; da uomo della &ldquo;Puma&rdquo;, non poteva o non voleva indossare una casacca con le tre strisce dell&rsquo;Adidas (e cos&igrave;, la sua maglia arancione ne aveva solo due).  Da tecnico &egrave; stato semplicemente il padre del Barcellona di oggi: &egrave; stato lui ad aver plasmato i blaugrana spettacolari degli anni Duemila. Ha rotto l&rsquo;incantesimo che non voleva mai la squadra salire sul tetto d&rsquo;Europa e soprattutto ha preso le redini dell&rsquo;organizzazione tecnica del club, imponendo lo stesso stile di gioco anche alle giovanili: tutte avrebbero dovuto seguire la stessa filosofia di gioco e i medesimi schermi, cos&igrave; da essere subito pronti per il salto in prima squadra. Possesso palla, pressing, calcio rapido, libert&agrave; alla fantasia.  Con lui, i catalani hanno vinto la loro prima Coppa dei Campioni nel 1992 (vinta sulla Samp grazie a una rete del suo connazionale Koeman e con una maglia non a caso arancione) e in campo c&rsquo;era a far da metronomo della squadra un giovane Pep Guardiola, l&rsquo;uomo che far&agrave; propria la lezione dell&rsquo;olandese e che la rielaborer&agrave; dandole nuova linfa con lo spettacolare Bar&ccedil;a degli anni Duemila (e non va scordato ovviamente il Barcellona di un altro olandese, Frank Rijkaard, anche quello chiaramente ispirato a quello di Cruijff).  Smessi i panni dell&rsquo;allenatore, &egrave; diventato un personaggio televisivo, spesso polemico e scomodo. A volte a ragione, spesso a torto, ha offerto in pi&ugrave; occasioni delle sparate che lo hanno reso presuntuoso e arrogante. D&rsquo;altronde, gi&agrave; da allenatore non era nuovo a delle spacconate, come quando si autoproclam&ograve; vincitore alla vigilia della finale di Champions League del 1994 contro il Milan. Il campo racconter&agrave; invece del trionfo per 4-0 dei ragazzi di Capello. Ma per fortuna talento e simpatia non hanno bisogno di andare a braccetto.  Giovanni Del Bianco

Cruijff, l'uomo che ha diviso il calcio tra "prima" e "dopo"

Marco Van Basten compie 50 anni e anche per lui vale una delle poche regole davvero rispettate del mondo del calcio: per tutti i 'veri campioni' sono inevitabilmente quelli della propria adolescenza. E il giornalista sulla quarantina non fa ovviamente eccezione. Di qui un diluvio di rievocazioni che mettono il fuoriclasse di Ajax, Milan e Olanda sullo stesso piano dei Pel&eacute; e dei Maradona, giudicando nel contempo troppo 'mediatici' i Messi e i Cristiano Ronaldo. &nbsp;Chi ha altre et&agrave; tende ovviamente a sovrastimare i suoi miti, quindi l'asterisco &egrave; sempre doveroso. Noi facciamo parte della generazione che in Van Basten avrebbe potuto avere un fratello maggiore, quindi ci &egrave; facile come prima punta collocarlo al livello realizzativo di Gerd Muller e a quello stilistico di Ronaldo. In comune con Ronaldo ha il fatto che il miglior Van Basten si sia visto per pochi anni (4 per entrambi): il periodo d'oro dell'olandese &egrave; stato quello dalla fine della prima stagione con il Milan, la 1987-88, quando rientr&ograve; da un infortunio, fino a tutta la prima stagione con Capello allenatore (la 1991-92), dove al di l&agrave; dei numeri e dei dvd da highlights si vide un attaccante davvero totale. &Egrave; confrontabile a Muller e Ronaldo anche dal punto di vista della nazionale, perch&eacute; la sua Olanda non era inferiore a Germania Ovest e Brasile, tanto &egrave; vero che vinse l'Europeo 1988 e si present&ograve; fra le favorite al Mondiale del 1990, perdendo per&ograve; la finale anticipata (era un ottavo) di San Siro contro la Germania Ovest nella partita che viene ricordata anche per lo sputo di Rijkaard a Voeller. Il Milan di Sacchi sarebbe probabilmente stato grande anche senza di lui, ma Van Basten ne &egrave; stato il volto davvero vendibile nel mondo: l'immagine di un berlusconismo ancora senza valenze politiche ma pregno dell'ottimismo, della fantasia e soprattutto della tranquilla sicurezza della sua epoca. Tante parole per dire che Van Basten sta sotto Pel&eacute;, Maradona, Cruiff e Di Stefano, se vogliamo storicizzare il tutto: il suo posto &egrave; nel bellissimo girone dei Meazza, degli Schiaffino, dei Kubala, dei Puskas, dei Garrincha, dei Beckenbauer, dei Platini, dei CR7, dei Messi, dei Ronaldo, degli Zidane. Campioni in certe situazioni anche superiori a quelli del piano di sopra, ma che non hanno segnato un'epoca o fatto tendenza. E quindi? Van Basten viene rimpianto non soltanto per la sua classe immensa e la sua completezza, ma perch&eacute; &egrave; stato l'immagine migliore dell'Europa e dell'Italia della seconda met&agrave; degli anni Ottanta-inizio Novanta. Non &egrave; poco, anzi &egrave; tantissimo. Per questo non avr&agrave; mai 50 anni.  Twitter @StefanoOlivari

Il posto di Van Basten

Argentina e Olanda hanno dato vita alla partita pi&ugrave; brutta del Mondiale, come sempre accade quando squadre troppo forti o troppo deboli tecnicamente sono messe bene in campo e hanno una condizione fisica buona. Questo non toglie che la squadra di Sabella sia andata in finale con merito, sia perch&eacute; ha creato le pochissime occasioni da gol dei 120 minuti di gioco (zero quelle degli olandesi) che perch&eacute; ha calciato e parato meglio i rigori: come al solito ricordiamo che si tratta di gesti tecnici, di sport, sia pure a cronometro fermo. L'esclusivo ma non troppo (8 vincitori in 20 edizioni: meglio di serie A, Liga o Premier League) club dei vincitori di un Mondiale non avr&agrave; quindi un nuovo membro, per quanto la storia dica che l'Olanda meriterebbe questo posto come pochi altri, tipo la fu Cecoslovacchia o l'Ungheria. Da estimatori di Van Gaal possiamo per&ograve; dire che l'Olanda ha ottenuto s&igrave; un grandissimo risultato, ma che solo di risultato si tratta. Ha infatti tradito la sua vera storia, come del resto aveva fatto 4 anni fa con Van Marwijk pur andando vicina alla Coppa quasi a livello del palo di Rensenbrink 1978, proponendo una squadra molto equilibrata (nemmeno nelle situazioni disperate, come contro il Messico, Van Gaal ha stravolto l'assetto tattico) ma priva di quelle caratteristiche uniche che dalla fine degli anni Sessanta in poi hanno fatto amare a mezzo mondo il calcio olandese anche nei periodi (e ce ne sono stati) in cui ha avuto pochi campioni o nessuno. Gi&agrave; il 5-3-2 &egrave; un brutto inizio (visto l'atteggiamento prudente di Kuyt e Blind, quello che Jos&eacute; Altafini genialmente definisce 'da aspirapolvere' per il dribbling a rientrare con scarico all'indietro, parlare di 3-5-2 &egrave; solo un atto di fede) per chi voglia imporre il proprio calcio. Se poi in attesa dei lampi di Sneijder e Robben l'unica fonte di gioco sono i lanci mazzolati di Martins Indi allora al di l&agrave; dei risultati (ripetiamo: giocando cos&igrave; si pu&ograve; anche alzare la Coppa, per l'esaltazione di chi prende in giro le squadre troppo coraggiose) non viene trasmessa al pubblico alcuna emozione. Il risultato &egrave; quasi lo stesso, ma l'Olanda del 1974 di Michels o anche quella del 1978 di Happel (senza Cruijff, quindi, con il resto della rosa inferiore a quella attuale) erano calcio che non necessitava di tifo.  Twitter @StefanoOlivari

Il tradimento dell&rsquo;Olanda

Cesare Prandelli ha in mano una generazione di grandissimo talento, al netto del disfattismo giornalistico di default (il vivaio della Spagna, gli immigrati della Germania, le possibilit&agrave; di scelta del Brasile, eccetera), che unita ad alcune certezze (Buffon, De Rossi, Pirlo) rende sulla carta l'Italia da titolo mondiale insieme alle solite note. Non significa che l'anno prossimo in Brasile alzeremo la coppa, ma solo che non possiamo porci come poveri derelitti se non come trucchetto (ci credono pi&ugrave; i tifosi dei giocatori) per tenere alta la tensione, ormai degno delle scuole serali per mental coach. Ma dopo il buonissimo Europeo dell'anno scorso, peraltro salvato da un Balotelli all'epoca sopportato speciale dallo spogliatoio e dallo stesso c.t. (come facilmente prevedibile, il suo ritorno in un club italiano lo ha fatto tornare bravo ragazzo), gli azzurri si sono un po' incartati. Troppo facile la qualificazione a Brasile 2014, troppo fuori tempo le amichevoli di lusso come quella contro l'Olanda. Un giorno di allenamento per far giocare con il 4-3-3 una squadra piena di professionisti che devono salvare le gambe &egrave; decisamente troppo poco, sarebbe assurdo gettare sul c.t colpe che sono della Federazione. Perch&eacute; occupare questi mercoled&igrave; di amichevoli &egrave; una facolt&agrave;, non certo un obbligo. Questo non toglie che l'Olanda di Van Gaal fosse molto pi&ugrave; giovane degli azzurri e che al di l&agrave; del risultato sia stato umiliante vedere le prime azioni pericolose in attacco a 5 minuti dalla fine, con un'overdose di riserve in campo e la partita ormai sul piano della pura confusione ed in ogni caso con in campo formazioni stravolte rispetto a quelle iniziali. Per mere questioni di peso i pochi minuti giocati insieme ad Amsterdam da Osvaldo e Gilardino sono piaciuti di pi&ugrave; di quelli di Balotelli ed El Shaarawy, anche se come talento puro non ci sarebbe stata partita: un'ulteriore prova che il calcio vero &egrave; da altre parti, con tutto il rispetto per l'attaccante della Roma (che per le sue caratteristiche &egrave; un'arma tattica importante) e per il passato di Gilardino. Di questa Olanda-Italia rimarranno quindi solo buoni ascolti televisivi, in un mercoled&igrave; che di amichevoli di richiamo ne ha messe in scena molte, ma poco altro. La Figc ha fatto girare il tassametro a spese dei club, i giocatori hanno aggiunto un 'cap' alle loro statistiche, la Confederations Cup di giugno si avvicina e nessuno in fin dei dei conti &egrave; pronto gi&agrave; adesso. Sono i soliti discorsi, &egrave; vero, ma sono anche le solite amichevoli senza senso: in un mondo che va avanti, dove tutti possono vedere tutto, non si pu&ograve; pensare di costruire qualcosa nei ritagli di tempo. Molto meglio stare un mese e mezzo di fila insieme a fine stagione che trascinarsi in questo modo solo per onorare un contratto.   Twitter @StefanoOlivari

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