Edgar Davids, il "Pitbull" che giocava per la gente

Edgar Davids, il "Pitbull" che giocava per la gente

Nato in Suriname il 13 marzo del 1973, grazie al suo look stravagante e alla sua grandissima prestanza fisica, rappresenta uno dei calciatori più iconici di sempre. Dopo aver vinto tutto con l'Ajax, in Italia vestì le maglie di Milan, Juventus e Inter

Alessio Abbruzzese/Edipress

13.03.2023 10:31

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Con il suo temperamento a dir poco tenace, un’aggressività sul campo fuori dal comune e il suo look iconico, con le treccine in testa e gli occhiali sul volto, Edgar Davids è senza dubbio alcuno una delle figure più iconiche di quel calcio a cavallo tra i due millenni che per molti ha rappresentato uno degli apici della storia di questo sport. Mentre quella dei dreadlocks è una scelta puramente estetica, la particolarità di giocare con degli occhiali protettivi gli viene imposta nel 1998, quando si opera per un glaucoma. Come dirà lui stesso, probabilmente ad un certo punto della sua carriera avrebbe potuto farne anche a meno, ma erano ormai diventati un tratto incredibilmente distintivo, oltre che una sorta di talismano. 

Davids, dal Suriname all’Olanda

Nato in Suriname il 13 marzo del 1973, quando lo stato sudamericano era a tutti gli effetti una colonia dell’Impero Olandese, si trasferisce da bambino con tutta la famiglia in un sobborgo a nord di Amsterdam, dove inizia a dare i primi calci ad un pallone. La rete di scouting dell’Ajax non ci mette troppo ad accorgersi di lui: entra nell’academy dei Lancieri e nel 1991, ad appena 18 anni, esordisce in Eredivisie. Appare subito evidente a tutti che si tratti di un calciatore fuori dal comune: nonostante non fosse un gigante (non arriva neanche al metro e settanta), fa dell’aggressività e della prestanza fisica il suo punto di forza. Giocatore estremamente carismatico dotato di un ottimo mancino, verrà soprannominato da Van Gaal anni dopo “Pitbull”, proprio per il suo temperamento in mezzo al campo. Nonostante ciò, non era un mediano incontrista tutto legna e niente fioretto, si contraddistingueva anche per un più che discreto tocco di palla oltre che per una certa eleganza nei movimenti. Un giocatore completo, unico, che infatti in Olanda non rimane moltissimo. Giusto il tempo di mettere in bacheca tre campionati, una Coppa Uefa, una Supercoppa Europea, una Coppa Intercontinentale e una Champions League, che vince nella finale di Vienna contro il Milan. Per un curioso caso del destino, si trasferirà proprio nel capoluogo lombardo, vestendo la maglia rossonera nella stagione 1996/97.

Gli anni italiani e le controversie 

Era l'avversario che mi piaceva di più. Lui mi dava una botta e io mi alzavo senza dire nulla. Io gli davo una botta e lui si alzava senza dire nulla. Lui a sinistra, io a destra: ci scontravamo sempre” dirà di lui molti anni dopo Matias Almeyda, un altro che al centro del campo la gamba non la tirava mai indietro.

Il temperamento burrascoso dell’olandese però è stato per tutto il corso della sua carriera un’arma a doppio taglio. Al Milan rimane poco, probabilmente per dissidi con allenatore e spogliatoio (celebre fu la definizione di “mela marcia” di Costacurta) e approda alla Juventus per 9 miliardi di lire. Mai affare fu migliore per i bianconeri: Davids passa a Torino i migliori anni della sua carriera. Nelle stagioni con la Vecchia Signora vince tre volte il campionato italiano e arriva due volte in finale di Champions League, diventando uno dei giocatori più amati di tutta la storia bianconera. Intanto diventa anche una colonna portante della nazionale olandese, con cui disputa il Mondiale del 1998 e gli Europei del 1996, del 2000 e del 2004. Dopo gli anni in bianconero inanella una lunga serie di brevi esperienze tra Barcellona, Inter, Tottenham, Crystal Palace e Ajax. Poi nel 2012, dopo due anni di inattività, diventa allenatore giocatore del Barnet, squadra di Non-League dove gioca gratuitamente. Lo fa per la gente, cosa che lo ha sempre contraddistinto, come quando negli anni alla Juve, nonostante fosse un calciatore di fama internazionale, si fermava per giocare se vedeva qualcuno con un pallone in qualche parcheggio, lasciando incredulo il suo compagno di squadra Zidane.

 

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