Maschio, l'angelo sfortunato dell'Atalanta divenuto triste all'Inter

Maschio, l'angelo sfortunato dell'Atalanta divenuto triste all'Inter

Valcareggi è stato l'unico allenatore italiano a sfruttarne a pieno il talento. Con Herrera invece andò tutto storto. La mezzala nasceva ad Avellaneda il 20 febbraio 1933

Lorenzo Stillitano/Edipress

20.02.2023 ( Aggiornata il 20.02.2023 12:37 )

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Angelillo il donnaiolo impenitente. Sivori geniale e provocatore. Maschio, degli “angeli con la faccia sporca”, è senza dubbio quello con il volto più pulito. Oltre che il meno fortunato dei tre. Non lasciatevi ingannare perciò dal cognome dell'oriundo Humberto. Virile è certo il suo tiro: forte, potente, preciso. Ma non il suo modo di giocare poco incline allo scontro fisico e alla vigoria atletica. Passo felpato e colpo d'occhio fulmineo: al suo meglio una palla data all'Humberto è la promessa di un'occasione da gol. Sopra ogni cosa Maschio detesta allora le gabbie. Quelle costruite dagli avversari per frenarlo e quelle della mente, imposizione masochistica dei più seriosi fra gli allenatori della Serie A. Un solo tecnico ha saputo valorizzare a pieno il nostro: Ferruccio Valcareggi all'Atalanta. Scintille calcistiche, ma sempre educate, sono state invece con Helenio Herrera all'Inter e Alfredo Foni al Bologna, la prima tappa europea dell'italiano d'Argentina.

Humberto Maschio: idolo in Sudamerica, oggetto misterioso a Bologna

Maschio nasce ad Avellaneda nel 1933. Della squadra della sua città diventa presto simbolo e protagonista. Fra il 1954 e il 1957 arriva la consacrazione quando, poco più che ventenne, trascina l'Albiceleste al trionfo nella Copa América con nove reti. Titolo di capocannoniere. Flash e copertine patinate, belle donne... Humberto però è concentrato solo sul pallone. Formidabile è l'intesa e l'amicizia con Angelillo e Sivori, con cui forma un trio d'attacco leggendario. A distanza di quasi dieci anni gli argentini li vorrebbero di nuovo in squadra per il Mondiale inglese del '66. Juan Carlos Lorenzo però non si lascerà impietosire.

Angelillo va all'Inter nel '57, Sivori alla Juventus, Maschio al Bologna. Tutti nella Penisola, tutti nella medesima estate e per cifre astronomiche. L'Italia diventerà presto il bengodi delle cambiali: altro che mille lire al mese! Le società sportive precorrono i tempi, forti anche del legame sempre più stretto con il mondo finanziario.

Angelillo spicca subito il volo. Sivori gigioneggiando incanta. Mentre Maschio… Maschio, no. Maschio, al contrario dei suoi vecchi compagni, soffre il passaggio dai ritmi dolci del calcio latino a quelli forsennati di quello italiano. “Le marcature strette, i difensivismi esasperati per me furono amare sorprese - ammetterà anni dopo - non li capivo e non mi adattavo”. Sì, avete inteso bene: i ritmi elevati del calcio italico dell'epoca! All'opposto che oltreoceano da noi si marca spesso e volentieri a uomo, non di rado a tutto campo, e dunque per vincere i duelli individuali servono grande fisicità e dinamismo. Proprio le doti di cui Humberto difetta. “Piaceva assai poco ad Herrera per avere un concetto assai meno podistico del calcio”, suggerisce Gianni Brera nella sua Storia critica.

Maschio prediletto di Valcareggi, con Herrera fu amore e odio

Se per Helenio Herrera non dare tutto significa aver dato niente, ecco allora che un tipo come Humberto non può piacergli. Nato con la maglia numero nove, del tipo di attaccanti predisposto tanto alla sentenza quanto al dialogo coi compagni, in Italia Maschio deve rivedere il suo stile di gioco per sfuggire alle grinfie di stopper, terzini e mediani assatanati. Non ci riuscirà mai, a dir la verità, e per anni il gentiluomo di Avellaneda convive con la paura di vedersi spuntare un Trapattoni a mordergli le caviglie pure da sotto il letto.

Metabolizzato il fiasco bolognese con lo jugoslavo Bencic e il maniaco-tattico Foni (troppo pochi 13 gol in 43 partite di campionato per un centravanti), ecco che Maschio riscopre se stesso. A Bèrghem. All'Atalanta nel 1959 ce lo porta l'ingegner Tentorio: sogna una Dea composta di soli concittadini, ma fiuta l'affare per una neopromossa e affida Humberto alle sapienti mani di Ferruccio Valcareggi. “Trovai una persona di grandi doti umane. Ci capimmo subito, lui mi trovò il vero posto, quello di centrocampista, e io a Bergamo passai i più begli anni del mio soggiorno italiano”. Agendo ora da vero e proprio numero 10, dunque da regista con licenza di uccidere il portiere avversario perché il piede è pur sempre quello di un bomber, in tre anni Maschio colleziona 26 reti da interno e decine di assist in 84 gare. Ciò gli frutta la chiamata non troppo convinta di Helenio Herrera. Come sappiamo, non funzionerà.

Pallino di papà Angelo tanto quanto Recoba lo sarà di Massimo, il presidente Moratti impone a Helenio di avere un occhio di riguardo per Maschio. Herrera lo asseconda ma appena può fa giustamente di testa sua. Inventa formule astruse, il Mago, per giustificare l'accantonamento dell'immalinconito Humberto. “Non può giocare con Suarez: sono troppo simili”, diceva riferendosi al ruolo d'interno. “È adatto soprattutto per le gare in trasferta e lì giocherà”, assicura HH. Fatto sta che, dopo aver messo Maschio in competizione con Suarez, successivamente Herrera farà lo stesso anche con il bambino coi baffi Sandro Mazzola, finendo per relegare l'oriundo negli sgabuzzini della Pinetina. A seguito anche di uno screzio con l'eccentrico stratega, a cui comunque mai Maschio serberà rancore, inevitabilmente Humberto cambia aria. Dopo 4 reti in 15 presenze utili per vincere lo scudetto, nel 1963 all'orizzonte c'è la Fiorentina. 

Saluta l'Italia con la Fiorentina, vince una Libertadores da allenatore

Humberto non è stato un calciatore fortunato. Ha perso le occasioni della carriera, a Bologna e Milano, per demeriti non solo suoi. Naturalizzato italiano partecipa al disastroso Mondiale di Cile '62. Lui ci rimette pure il setto nasale, spaccato nella tonnara di Santiago dalla gomitata di un cileno furioso. Il destino è stato spesso beffardo con Maschio. Ferruccio Valcareggi lo rivuole in Toscana, lui padre della patria fiorentina e putativo di Humberto, ma viene presto sostituito in panchina da Giuseppe Chiappella. Ne vengono fuori tutto sommato due discrete stagioni. La terza però è un calvario segnato da infortuni. Maschio vince una Coppa Italia e una Mitropa Cup, quindi lascia l'Italia nel 1966 per fare ritorno ad Avellaneda nel suo Racing, con cui si ritirerà nel 1968. Breve ma intensa la carriera in panchina negli anni '70: ct volante di Argentina e Costa Rica, tecnico del Racing, conquista la Libertadores con l'Independiente nel 1973.

A futura memoria di Humberto Maschio le parole di Omar Sivori: “Un gentiluomo, un amico, un campione. In Italia non è riuscito forse a dare quanto vale, ciononostante lascerà un grande ricordo”. E infatti non lo abbiamo dimenticato.

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