Nils Liedholm: un Barone d'altri tempi per Milan e Roma

Nils Liedholm: un Barone d'altri tempi per Milan e Roma

L'8 ottobre del 1922 nasceva il leggendario tecnico svedese: straordinario centrocampista; con carisma, superstizioni e raffinatezza seppe imporsi come uno dei più grandi anche in panchina

Paolo Marcacci/Edipress

08.10.2022 07:33

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Valdemarsvik, “Il fiordo del vichingo”: nei lunghi inverni degli anni trenta era normale che i gradi precipitassero ben sotto lo zero; quindi, a un ragazzino gracile non potevano bastare lo strutto, o l’olio di fegato di merluzzo, per irrobustirsi. Ci volle anche lo sport; gli sport, per essere precisi: più di una disciplina, dalla boxe a una rudimentale e pericolosa forma di hockey, che una volta gli mandò in frantumi una tibia, risanata grazie a una fasciatura strettissima che si era praticato da sé. Vera o no che fosse, lui la raccontava benissimo, come un sacco di altre storie. Come quella della folla di San Siro che si alza in piedi all’unisono per applaudire il centrocampista che dopo tre anni è “riuscito” a sbagliare un passaggio. Un’altra perla dell’aneddotica della quale è trapuntato il racconto della vita – o delle vite? – di Nils Liedholm, a cui uno zingaro un giorno volle leggere la mano e gli predisse che avrebbe girato il mondo. Fu il primo assaggio dell’arte della divinazione, altro saporito capitolo utile a spiegare le mille sfumature del personaggio. Il giovanissimo Nils non poteva neanche lontanamente immaginare quanto azzeccata si sarebbe rivelata la previsione del gitano, in barba alla sua infantile aspirazione a diventare uno dei tanti agricoltori facoltosi di quel grazioso centro di case colorate e anche a dispetto di suo padre, che sognava di avere in famiglia un impiegato contabile.

La carriera da calciatore di Nils Liedholm 

Poi il corpo si fa possente e il calcio piomba nella sua vita con l’ineluttabilità che c’è in ogni predestinazione: il giovane Nils è divenuto un atleta completo, con una specificità: è nato calciatore. Ha in dote forza, eleganza, una visione naturale e una supervisione del gioco; l’artiglieria di un tiro potente che, lo testimonieranno i numeri di un’intera carriera, gli consente spesso di fare centro. E quando la Svezia si aggiudicherà l’oro olimpico nel 1948, il leader di quella selezione è Nils Liedholm, già adocchiato dal calcio professionistico italiano: le prime sirene sono quelle della Juventus, la firma però la sigla sul contratto offertogli dal Milan, che se lo porta a casa nell’estate del 1949.

Del suo paese gli rimangono una incancellabile cadenza fatta di joco, jocatori, Janni Rivera e numerose estati trascorse con gli amici d’infanzia ad allenarsi a segnare dal calcio d’angolo. Oltre a una Coppa del Mondo sfiorata, nell’edizione casalinga della Coppa Rimet del 1958: da una parte lui, con la fascia da capitano di una nazionale di veterani ultratrentenni; dall’altra un ragazzino di nome Edson Arantes do Nascimento.
Lui promette solennemente a suo padre di trattenersi in Italia per uno o due anni, per poi far ritorno nel paese scandinavo. È una delle battute più riuscite, col senno di poi: svestirà la maglia rossonera soltanto al termine della stagione 1960-61, dopo un 1-1 casalingo contro il Lecco. Una parabola irripetibile – almeno fino al Milan di Sacchi e degli olandesi – che arricchisce la bacheca rossonera di quattro scudetti e una finale di Coppa dei Campioni persa per 3-2 contro il Real Madrid, quando Joseíto gli rifila un’entrata di rara violenza, della quale porterà i segni a vita. Per quasi tutta la durata della sua carriera italiana, gli sono accanto i connazionali Gren e Nordahl, con i quali compone il celeberrimo Gre – No – Li: semplificazione giornalistica e summa di leader dall’impareggiabile pregio tecnico.
Divenuto milanista con le macerie della guerra ancora da smaltire, smette di esserlo – solo come calciatore – quando è già in atto il boom economico.

Gli anni in panchina e le vittorie con Milan e Roma 

Se prestigiosissima è stata la carriera da calciatore, inimitabile è la sua parabola da allenatore: Milan e Roma tra andate e ritorni sempre graditi, con lo scudetto della stella canto del cigno di Rivera e Capello nel 1979 e l’indimenticato Tricolore riportato a Roma nel 1983, dopo quarantuno anni di attesa. In mezzo Verona, Monza, Varese, Fiorentina; eroiche salvezze, promozioni in Serie A, sempre scoprendo talenti che avrebbero fatto la storia del nostro football: il battesimo di Bettega e Antognoni, la fiducia assoluta su uno sconosciuto Carlo Ancelotti, il decollo definitivo della carriera di Bruno Conti. Ma, soprattutto, segna il calcio italiano col suo carisma indiscusso, con uno stile e una signorilità che già spiccavano nel calcio degli anni settanta e ottanta, senza il bisogno di operare paragoni con l’epoca attuale.

Il personaggio è inimitabile anche perché in lui convivono una – apparente – imperturbabilità scandinava e una serie di superstiziose ritualità di tradizione latina: le tasche del suo cappotto, quando prende posto in panchina, sono sempre zavorrate da zampe di gallina e altri bizzarri oggetti. All’occorrenza, quando lo staff medico non riesce a rimettere in piedi un giocatore del quale lui non può fare a meno, lo affida alle “cure” del mago guaritore Maggi, di Busto Arsizio. Gli porta, tra gli altri, Paulo Roberto Falcao.

A corredo di questi particolari già epici, la straordinaria ironia con cui commenta, sdrammatizza, gestisce ogni situazione. Come quando chiese a un suo giocatore se fosse davvero in buona condizione, perché sarebbe dovuto salire sugli scalini della tribuna.

PODCAST - La Roma di Liedholm

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Anche da tecnico, lo tentano le sirene bianconere; anche in questo caso declina l’offerta: “Avrei vinto troppo”. È solo apparentemente una battuta. Per altri destini, Torino e il Piemonte erano comunque già entrate nella sua vita, segnandone per sempre il corso, grazie alle nozze con la Contessa Maria Lucia Gabotto di Sangiovanni, assieme alla quale investe nella tenuta “Villa Boemia”, a Cuccaro, dove si fermerà fino alla fine dei suoi giorni. È lì che scopre la passione per la viticoltura: arrivato astemio in Italia, comincia per hobby a produrre vino. Diverrà un’industria vera e propria, che i suoi figli porteranno avanti.

Nato l’otto di ottobre del 1922, cento anni fa, s’è addormentato un giorno d’autunno del 2007, non a caso aspettando la stagione della vendemmia. Idealmente leviamo il calice all’irripetibile uomo di calcio, al signore dallo stile inimitabile e dall’ironia tanto raffinata quanto bizzarra, alla ragnatela infinita di passaggi e ricordi, a quel volto la cui imperturbabilità rivelava in controluce, come per il pescatore di Fabrizio De André, sempre un solco lungo il viso, come una specie di sorriso.

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