Tommaso Maestrelli: un esempio immortale, oltre lo scudetto della Lazio

Tommaso Maestrelli: un esempio immortale, oltre lo scudetto della Lazio

Il 7 ottobre del 1922 nasceva il tecnico del primo tricolore biancoceleste. Da calciatore - per un errore burocratico - scampò alla tragedia di Superga. Le sue doti umane plasmarono uno spogliatoio ribelle 

Simone Pieretti/Edipress

07.10.2022 ( Aggiornata il 07.10.2022 00:00 )

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L’anniversario della nascita di Tommaso Maestrelli evoca una figura apicale del calcio nazionale. Il suo profilo certifica lo spessore umano di un personaggio che personaggio non è mai stato, neanche quando il presidente federale Artemio Franchi gli offrì la panchina dell’Italia. Non se ne fece nulla; il tecnico toscano decise di restare alla Lazio: quella che per gli altri poteva rappresentare soltanto una squadra, per lui era diventata una famiglia. È intorno al suo nucleo familiare che Maestrelli costruisce e sviluppa la propria carriera, ma il connubio tra l’uomo e l’allenatore è talmente stretto che squadra e famiglia diventano un’unica fonte di aggregazione, di condivisione, di affetti. Maestrelli ha saputo impreziosire il poco tempo che l’avaro destino gli ha riservato; a cento anni dalla nascita - a quasi quarantasei dalla sua dipartita - il suo ricordo rimane forte e avvolgente, come il gioco delle sue formazioni che attraverso la coralità esaltavano i singoli componenti. Giocatore, partigiano, politico, allenatore, marito, padre, amico: il palcoscenico della vita lo ha chiamato a impersonare uno spartito impegnativo e mai banale, interpretato in maniera esemplare, qualunque fosse il ruolo a lui assegnato.  

Bari, la città adottiva

Quando il treno arrivò a destinazione - proveniente da Pisa - il piccolo Masino si sentì subito a casa: l’odore della stazione sapeva di buono, aveva lo stesso profumo che impregnava i vestiti di suo padre ferroviere che - dalla Toscana - era stato trasferito a Bari. Dodici anni, e il sogno di correre dietro a un pallone: Masino ci sapeva fare, non tardò a superare un provino con la Bari che lo accolse nelle proprie formazioni giovanili; bruciò le tappe scalando in fretta le categorie Giovanissimi, Allievi e Cadetti fino alle porte della prima squadra.

L’esordio in Serie A

Quel ragazzo ha una visione periferica, è geometrico, ha una buona padronanza, e quando c’è da recuperare palla, mulina le gambe e dà fiato ai polmoni. L’allenatore della prima squadra non è tipo da farsi sfuggire uno così; è un ex calciatore della nazionale ungherese arrivato in Italia per sbarcare il lunario; si chiama Jozsef King; è nato a Budapest, ha giocato insieme a Béla Guttmann: il regime del Ventennio gli ha imposto di italianizzare il suo cognome, ora si chiama Giuseppe Ging. È passato anche per Roma allenando la Fortitudo, prima che la fusione cancellasse altre sei squadre convogliandole in un unico club. Il 26 febbraio 1939 - a 16 anni, 4 mesi e 19 giorni - Tommaso Maestrelli fa il suo esordio in Serie A contro il Milan a San Siro. È l’unica partita che gioca in quel campionato, ma dall’anno successivo entra in pianta stabile in prima squadra.

Il dramma della guerra: un capitano in prima linea

Ma nell’inverno del 1943, arriva a casa Maestrelli la cartolina del precetto militare, destinazione Cettigne-Podgorica; l’Italia è in guerra, e lui viene spedito in prima linea: Tommaso è un artigliere della Divisione Ferrara, impegnato in Montenegro. Sarebbe dovuta essere una guerra-lampo, e invece - mese dopo mese - è diventata un massacro. Dopo l’8 settembre, l’ordine impartito alla Divisione Ferrara è quello di collaborare con i nazisti, ma i tedeschi disarmano tutti i soldati italiani e li deportano in un campo di concentramento. Nel lager di Sajmiste - alle porte di Belgrado - l’eterna sofferenza scandisce l’alternanza delle stagioni: i prigionieri talvolta vengono utilizzati per i lavori forzati, quello di rimuovere le macerie degli edifici bombardati è uno dei loro compiti. Tra le strade di Belgrado Maestrelli sa cogliere l’attimo di distrazione dei suoi carcerieri, individua la via di fuga, e va. Tommaso corre, quelli della Gestapo non lo riprendono più. Trova riparo in uno scantinato, sopravvive grazie alla benevolenza della popolazione serba. Ma all’indomani della liberazione dai tedeschi, Maestrelli si unisce volontariamente alla Brigata Garibaldi per combattere - insieme all’esercito di Tito - contro i nazisti. Sul campo di battaglia si guadagna i gradi di capitano, prende il comando di 360 uomini che partecipano alla liberazione della Dalmazia: l’impresa gli vale una medaglia di bronzo al valore militare. Il 2 luglio del 1945 Maestrelli torna in Italia dove c’è un intero Paese da ricostruire, la fidanzata Lina da riabbracciare, un campionato da ricominciare.

A Londra con la maglia azzurra

Quando si riprende a giocare, l’Italia è spaccata in due dalla Linea Gotica: il torneo della Divisione Nazionale è frazionato in due raggruppamenti. Un anno dopo, la rete di trasporto nazionale viene ripristinata, e si torna a giocare un unico campionato: la Bari è la stella del Sud, Maestrelli è la stella della Bari. Le sue buone prestazioni gli valgono la convocazione del Commissario Vittorio Pozzo per le Olimpiadi di Londra del 1948; nel leggendario Stadio di Highbury indossa con fierezza la maglia azzurra sfidando la Danimarca: il risultato non è propizio, si torna a casa. Maestrelli colleziona un’unica presenza in Nazionale, ma quei novanta minuti rappresenteranno il traguardo sportivo di cui andrà più orgoglioso, e lo porterà dentro per tutta la vita.

Un calciatore di valore

L’estate del 1948 segna un altro episodio significativo della carriera del centrocampista, corteggiato dalle squadre più forti del campionato; Valentino Mazzola lo vuole nel Torino, poi c’è la Juventus, la Fiorentina. Alla fine, lo prende l’Inter. Il trasferimento a Milano sembra cosa fatta, ma i nerazzurri nel giro di poche ore lo cedono alla Roma - insieme a Tontodonati - per ottenere il cartellino di Amadei. La prima stagione in giallorosso è più che buona, tanto che il Torino lo richiede nuovamente in prestito per giocare una partita amichevole in Portogallo contro il Benfica: le due società trovano l’accordo, ma un dipendente dimentica la pratica per la richiesta del passaporto. Maestrelli su quell’aereo non sale, e incredibilmente si salva la vita. Avrebbe voluto giocare nel Grande Torino, ma la squadra granata dal Portogallo non tornerà più. “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”.

I due successivi campionati giocati con la Roma non sono propizi; la squadra delude le attese, e al termine del campionato 1950-51 retrocede in Serie B. Maestrelli paga il forte legame con l’ex tecnico Fulvio Bernardini; al momento dell’esonero, il giocatore si è opposto con fermezza ai dirigenti, criticandoli in maniera severa. Per questo, a fine campionato viene mandato “in esilio” alla Lucchese dove resta per due anni prima di tornare a Bari per chiudere la carriera. 

La carriera da allenatore

Intraprende la carriera di allenatore iniziando come vice sulla panchina del Bari, e successivamente ricopre il ruolo di vice allenatore della prima squadra, ma la sua prima vera esperienza arriva nel 1964 - in Serie C - con la Reggina. Il primo campionato è trionfale, la formazione calabrese sale per la prima volta in Serie B. Nel secondo campionato, il tecnico sfiora l’impresa arrivando a un solo punto dalla promozione in Serie A. Resta altre due stagioni sullo Stretto, ma nell’estate del 1968 accetta la proposta del Foggia; è una scelta di cuore, la possibilità di riavvicinarsi alla famiglia vale più di ogni altro aspetto. L’opportunità professionale è importante, la vicinanza da Bari - dove è sempre rimasta la famiglia - è decisiva. Il sodalizio con il presidente Fesce è vincente; i rossoneri sfiorano subito la promozione, e conquistano la Serie A nella stagione successiva: gli uomini dell’impresa si chiamano Pirazzini, Saltutti, Maioli, Bigon e Re Cecconi. Il Foggia ha un grande approccio al campionato di massima serie; dopo nove giornate la squadra rossonera è al quinto posto, ma nel girone di ritorno pian piano scivola verso la parte bassa della classifica. Al termine del torneo, il Foggia ha gli stessi punti di Sampdoria e Fiorentina, ma retrocede per differenza reti. Nonostante la retrocessione, la dirigenza e l’ambiente vogliono la conferma di Maestrelli alla guida della squadra, ma il tecnico riceve una proposta irrinunciabile.

Nasce la Lazio di Maestrelli 

Il direttore sportivo della Lazio Antonio Sbardella sceglie Maestrelli per riportare i biancocelesti in Serie A. L’ambiente laziale è molto legato all’allenatore argentino Juan Carlos Lorenzo, che ha un ascendente considerevole anche all’interno dello spogliatoio. I primi tempi non sono semplici, i dissensi non mancano, ma il nuovo tecnico affronta i tifosi senza alcun timore; durante una delle tante contestazioni allo stadio Flaminio si presenta - solo contro tutti - sotto la tribuna dei sostenitori inferociti. Qualche tifoso continua a essere scettico, ma dentro lo spogliatoio quell’azione quasi temeraria dell’allenatore a difesa dei propri giocatori gli vale una promozione a pieni voti; “Quest’uomo ha un grande coraggio, può essere la nostra guida”.  

Sul campo, Maestrelli presenta subito un biglietto da visita importante, vincendo il derby di Coppa Italia contro la Roma di Helenio Herrera: il gol - neanche a dirlo - è di Chinaglia. La squadra - dopo qualche difficoltà iniziale - ottiene la promozione in Serie A. Nell’estate del 1972 - pur con poche risorse - nasce la formazione dei sogni; il direttore sportivo Antonio Sbardella porta avanti una campagna acquisti con grande strategia: cede Massa all’Inter ottenendo in cambio Mario Frustalupi e i soldi necessari per gli acquisti di Pulici, Petrelli, Re Cecconi e Garlaschelli. Quella di Maestrelli è una squadra proiettata al futuro, propone un calcio in cui tutti attaccano, e tutti difendono: è il calcio totale, in Italia non si è mai visto nulla di simile. La squadra cresce domenica dopo domenica, lo sguardo amorevole dell’allenatore e del fidato Bob Lovati, che spesso va in avanscoperta per osservare gli avversari, fanno la differenza. La società è snella, tutto ruota intorno al presidente Umberto Lenzini e ai suoi pochi collaboratori. La neo promossa Lazio stupisce tutti, scala la classifica, arriva a giocarsi lo scudetto all’ultima giornata con Milan e Juventus; i rossoneri crollano a Verona, la Lazio perde a Napoli mentre all’Olimpico i bianconeri vincono contro la Roma.

Lo scudetto di una squadra leggendaria

L’exploit della squadra biancoceleste viene considerato dalla critica un’impresa occasionale, ma gli uomini di Maestrelli - con il giovane talento di Vincenzo D’Amico - confermano sul campo le reali ambizioni. É una formazione leggendaria che si azzuffa dal lunedì al sabato, ma che quando scende in campo la domenica sa essere squadra. Se ne accorgono gli avversari, che uno dopo l’altro vengono piegati dall’impeto dei biancocelesti: è nata la “Piccola Olanda”. Tra i pali c’è Felice Pulici, portiere dallo stile essenziale, gli unici due difensori sono il marcatore Oddi e l’elegante libero Pino Wilson, capitano della squadra. Gli altri, vanno, attaccano tutti; sulle fasce ci sono Petrelli e Martini, che taglia frequentemente in diagonale. In mezzo al campo la sapiente regia di Mario Frustalupi, il dinamismo di Luciano Re Cecconi, la potenza di Franco Nanni. In avanti c’è il talento di Vincenzino D’Amico e l’efficacia di Renzo Garlaschelli. E poi c’è lui, Giorgio Chinaglia, l’unico che nello spogliatoio può permettersi di chiamare il tecnico con il proprio nome, anzi con il diminutivo: “Tom”. Per tutti gli altri, l’allenatore è “il signor Maestrelli”. Perché, in effetti, è proprio un signore. La difesa è la migliore del campionato, il centrocampo è un’orchestra polifonica, e l’attacco è irrefrenabile; Chinaglia segna 24 gol in 30 partite e vince il titolo dei cannonieri. È una formazione che va avanti in direzione ostinata e contraria, rissosa, battagliera, irriverente. Ma soprattutto è una squadra; dal lunedì al sabato sono l’un contro l’altro armati, ma la domenica sono undici fratelli. É la Lazio di Tommaso Maestrelli. Ora, e per sempre.  

PODCAST - La Lazio di Maestrelli

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L’ultimo miracolo del Maestro

Quella stessa squadra - con lo scudetto sul petto - viene piegata qualche mese dopo quando scopre che il proprio allenatore ha un male incurabile. L’ambiente è scosso, i giocatori sono sconvolti; il signor Maestrelli - come lo chiamano tutti in maniera deferente - non è soltanto un allenatore: è un padre, un amico, un confidente. La squadra viene colpita al cuore, la notizia strappa l’anima di ogni giocatore. Si riparte con un nuovo tecnico, Gulio Corsini, che inizia a smontare la formazione: le cessioni di Frustalupi, Oddi e Nanni sono i presupposti nefasti di una stagione agonica; all’interno della squadra non funziona nulla, la testa e il cuore dei giocatori sono con Maestrelli. All’indomani della sconfitta contro l’Ascoli, Corsini viene sollevato dall’incarico. Siamo all’inizio di dicembre: Tommaso Maestrelli si alza dal letto dell’ospedale, si infila la tuta, e torna a Tor di Quinto; se non è il miracolo di Natale, poco ci manca.

La squadra - mal costruita - ha un sussulto d’orgoglio, ma continua ad alternare buone prestazioni a debacle inaspettate. Arriva l’ultima giornata di campionato, con la Lazio in piena zona retrocessione. Dopo un quarto d’ora - a Como - i biancocelesti sono sotto di due gol, ma una rete di Giordano li tiene in gioco. Il discorso di Maestrelli nell’intervallo della partita è realistico e persuasivo, qualcuno in un angolo dello spogliatoio ha modo di commuoversi; il richiamo dell’allenatore è al tempo che fugge, alla vulnerabilità degli uomini, alle occasioni nella propria vita di poter lasciare in eredità qualcosa di importante. La Lazio reagisce da Lazio, torna a essere generosa e indomabile. Torna in campo e trova il pareggio. Poi, al termine della propria partita, si raduna intorno alla panchina laziale per ascoltare la radio e attendere il fischio finale dagli altri campi. Un urlo liberatorio accoglie la salvezza. Sofferente - ma soddisfatto - Maestrelli tira un sospiro di sollievo. Si alza dalla panchina a fatica, accennando un timido sorriso. Esce di scena in punta di piedi allo stesso modo in cui era entrato; se ne va cambiando la storia, lasciando un esempio: si può essere uomini in tanti modi, Maestrelli lo è stato nel modo migliore.

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