Lazio-Inter: gli anni d'oro di D'Amico e Beccalossi

Lazio-Inter: gli anni d'oro di D'Amico e Beccalossi

Vincenzino ed Evaristo, calciatori fantastici, adorati dai loro tifosi, non sono però mai riusciti a giocare con la maglia della Nazionale italiana

Jacopo Pascone/Edipress

26.08.2022 ( Aggiornata il 26.08.2022 11:42 )

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Due artisti del pallone che fu; geni che udite udite, non hanno mai vestito la maglia della Nazionale: Vincenzo D’Amico ed Evaristo Beccalossi. Sono i fantasisti di due scudetti operai: D’Amico con la Lazio del ’74 timonata da Tommaso Maestrelli, venuto dal nulla e accolto con scetticismo, in grado di tramutare i “clan” interni dello spogliatoio in un gruppo vincente; Beccalossi con l’Inter nel 1980, guidata dal Sergente di ferro Eugenio Bersellini, capace di surclassare una Juve più attrezzata e in procinto di fare man bassa di trofei in Italia e in Europa negli anni a venire.

D’Amico

È ancora un teenager Vincenzino quando Maestrelli lo lancia nel ’72: debutta non ancora 18enne all’Olimpico contro il Modena, schierato in attacco al fianco di Chinaglia e Massa. È proprio l’addio di Peppiniello – trasferitosi all’Inter – a lasciargli il posto in squadra. Vincenzino però è sfortunato: si rompe il ginocchio ed è costretto a saltare l’intero campionato alle porte. Sarebbe stato il suo primo in Serie A. Si rifarà diventando il Golden Boy del primo scudetto. Equilibratore di fantasia nel tridente di Maestrelli; lasciato fuori dalle faide interne al gruppo – sotto l’ala protettiva del capitano Pino Wilson, delegato di controllarlo anche a tavola –, il ragazzino venuto da Latina scoppia in lacrime quando segna la prima rete in Serie A (su assist di tacco di Chinaglia) e ritrova il gol nel giorno più importante, quello del derby di ritorno, pareggiando la sfida che Long John infiamma indicando la Sud. Una stracittadina passata alla storia che proietta la Lazio a +4 sulla Juve avvicinandola al tricolore. Uno scudetto che arriverà un mese e mezzo più tardi, del quale Vincenzo D’Amico rimarrà per sempre “faccia pulita” in mezzo ai volti dei vari bad boys che giocavano nella turbolenta Roma degli anni ’70.

Beccalossi

Gli stessi anni in cui emerge calcisticamente il classe ’56 (due primavere in meno di D’Amico) Evaristo Beccalossi. Un trequartista geniale che sboccia nel torneo 1976, nella sua Brescia in Serie B. L’Inter lo acquista solo nel ’78, un anno dopo aver prelevato, sempre dalle Rondinelle, il suo grande amico Spillo Altobelli. A Milano Beccalossi diventerà un’icona: un po’ per il modo di giocare, un po’ per il modo di essere. "Non ero un guerriero, mi allenavo poco, accendevo spesso e volentieri una Marlborina. Bersellini tentò di raddrizzarmi, ma fu tutto inutile". Il Becca è così, prendere o lasciare. E per i tifosi Bauscia i trucchi mostrati in campo hanno sempre prevalso sulla discontinuità emersa nella carriera del fantasista bresciano. Genio e sregolatezza, come quando nel 1979-80 stende il Milan con una doppietta di destro: delizioso il primo tocco al volo; facile facile il secondo. È quella la prestazione che ispira la celeberrima frase “Sono Evaristo, scusate se insisto”: "Merito del mio grande amico Beppe Viola. Dopo quel derby uscendo dallo stadio sentì un tifoso che diceva quella frase. La ripeté in televisione e da allora...".

Rigori e bandiere

Evaristo insiste anche il 15 settembre ’82, Coppa Coppe, Inter-Slovan Bratislava: "Ero il primo rigorista, arrivo lì e sbaglio. Pazienza, succede. Dopodiché, secondo rigore. La regola era ferrea: se il rigorista principale sbaglia, tocca al secondo. Mi giro e vedo il secondo rigorista che corricchia all’indietro verso centrocampo e capisco l’antifona". Due rigori sbagliati resi ancora più popolari a teatro dal comico Paolo Rossi, che li inserì nel suo show, prima di “cantarne le gesta” anche nella trasmissione “Su la testa”, andata in onda su Rai 3 nel ’92. Come il Becca – che in carriera ne ha comunque realizzati 17 sbagliandone solo 3 – anche D’Amico si presentava spesso dagli 11 metri (14 segnati, 3 falliti). Si prendeva le responsabilità Vincenzino: ceduto controvoglia al Toro e tornato in fretta e furia per mantenere a galla una Lazio vicina al baratro, orfana di Giordano, Wilson e Manfredonia. La sua fiamma biancoceleste in campo resta accesa fino al 1986, quando lascerà, forse tramandando qualcosa ai ragazzi che scriveranno l’impresa del -9. Come dicevamo, una carriera ad alti livelli senza Nazionale. Rimpianto per D’Amico, che da giovane ha vestito l’azzurro dell’Italia B, dell’U-18, dell’U-23 e di quella militare. Ancora più grande il rammarico per Evaristo, che negli anni ’80 è addirittura salito di livello, sfiorando la finale di Coppa Campioni 1981, giocando un campionato 1981- 82 da urlo e agitando proteste popolari quando Bearzot lo escluse dal Mundial. Beccalossi rappresenta una delle ultime maglie di lana nerazzurre con su cucito il numero 10, quasi un’icona pop; D’Amico con quella faccia d’angelo non poteva finire all’inferno, così come la sua amata Lazio alla quale ha dedicato una vita. Regista offensivo, mancino, dribblomane – o Driblossi, come lo chiamava Brera – e meno faticatore Beccalossi; destro, schierato prevalentemente in fascia, terribile nello stretto e abile crossatore D’Amico. Diversi in campo e fuori, entrambi romantici interpreti del calcio che fu.

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