Dirceu, lo "Zingaro" della Serie A: storia di un campione sfortunato

Dirceu, lo "Zingaro" della Serie A: storia di un campione sfortunato

Approdato in Italia nel 1982, ha vestito le maglie di Verona, Napoli, Ascoli, Como e Avellino, regalando gioie a tutti i tifosi, grazie a un sinistro magico e alle sue incredibili punizioni

Jacopo Pascone/Edipress

15.06.2022 08:31

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Una storia di calcio il cui protagonista è un brasiliano scanzonato, amante della vita e di tutte le sue sfaccettature. Ma, purtroppo, anche i nostri eroi genuini delle favole più romantiche possono fare una fine tragica.

Dirceu amava talmente tanto il calcio che non gli interessava nemmeno lo stipendio; tipico brasiliano che viveva alla giornata, spensierato e felice solo perché aveva la possibilità di passare l’esistenza correndo dietro un pallone: "Giocavo per sentimento. Per provare emozioni. Me ne fregavo dei soldi e anche degli altri. Pensavo solo a calciare bene la palla. Infatti per due anni il Coritiba nemmeno mi ha pagato, dicevano di non avere i soldi. E io non protestavo, non ci badavo: era la squadra della mia città, era tutto per me". Fin da bambino aveva ereditato la più grande passione del padre: "Mi accompagnava dappertutto. Non fumava, né beveva per potermi comprare le scarpe da calcio". Il piccolo José aiutava la madre nel bar di famiglia e non si perdeva una partita: "Mi divertivo solo a palleggiare e giocare. Giocavo anche 4 partite al giorno e se non avessi avuto paura di buscarle mi sarei messo a giocare pure in Chiesa". Chiunque lo ricorda per la sua trasparenza e per quel sorriso stampato, che illuminava il volto contornato da un’inconfondibile chioma riccia. Un uomo umile, modesto e divertente: un calciatore straordinario.

Offensivo, dava il meglio di sé schierato sulla trequarti, nella sua infinita carriera ha ricoperto tutti i ruoli del centrocampo, come solo i grandi campioni potevano fare nel paradiso del calcio, quando la Serie A - in seguito alla riapertura delle frontiere - era competitiva, tirata, difficile come non mai. Dirceu nasce comunque ala sinistra.

In Nazionale ha giocato con tutti: Jairzinho e Rivelino; Zico, Falcao, Cerezo, Edinho, calciatori straordinari con i quali ha battagliato poi nel nostro campionato, protagonisti dei ballottaggi continui nella testa di Telê Santana o degli altri Ct verdeoro. Ha giocato anche con Socrates, Junior e Careca (altri brasiliani poi passati in Italia), aggiuntisi al blocco dei già precedentemente citati nei convocati per i Mondiali 1982, gli ultimi disputati da Dirceu. Si è fermato a tre campionati del mondo, sfiorando il record che all'epoca apparteneva a Pelé, saltando quelli del 1986 per un infortunio. Una beffa per uno che si è sempre allenato al massimo e che sull’atletismo ha costruito le fortune di un’intera carriera: non era velocissimo, ma instancabile. Sempre l’ultimo a mollare: quando gli altri non ne avevano più riusciva a carburare ancora, ricoprendo all’occorrenza tutte le zone del campo. Per questo in Brasile lo chiamavano “la formiga” (“la formica”). Per intenderci: durante il servizio militare svolto nel ’70 venne iscritto ai Campionati Militari, specializzandosi nella disciplina del mezzofondo e segnando il nuovo record nazionale sui 1000 metri.

Mescolate alle eccellenti caratteristiche fisiche, tecnica sopraffina – tipica brasiliana – e sinistro delizioso, letale, indifferentemente efficace con potenti conclusioni o con magiche traiettorie effettate. Un’atleta con i piedi fatati, una “Farfalla” – altro soprannome affibbiatogli – che sorvolava ogni zona di campo regalando gioie ai tifosi. 

Gli inizi in Brasile

Il percorso di Dirceu in Sudamerica è in ascesa fin da subito. Gioca nel Coritiba, squadra della sua città, inizia a 16 anni e passa cinque stagioni condite da due vittorie del Campionato Paranaense, che restituiscono al panorama calcistico brasiliano un talento già pronto per dare spettacolo con il Botafogo. Nel ’72, prima di entrare stabilmente a far parte della Seleçao, aveva partecipato anche alle Olimpiadi di Monaco insieme a Falcao. Al Botafogo è compagno di stanza del leggendario Jairzinho, dal campione verdeoro impara tanto: "È stato il mio maestro, mi ha insegnato l'importanza del dribbling e come sviluppare il gioco". Il 1973 è anche l’anno in cui incontra l’amore della sua vita. È di ritorno dalla trasferta di Berlino, un’amichevole vinta 1-0 dal Brasile con il suo primo, stupendo, sigillo in Nazionale, quando: "Al ritorno a Rio sono accolto da uno stuolo di amici, di ammiratori, incontro Vania, la donna che sarebbe diventata mia moglie. Era bella e mi guardava con commozione. La salutai distrattamente, frastornato dai festeggiamenti”.

La consacrazione, il Mondiale '78 e lo sbarco in Europa

Prosegue la sua avventura in Sudamerica giocando per Fluminense e Vasco da Gama, squadre con cui vince due Campionati Carioca, prima di trasferirsi in Messico nel Club America. L’esperienza messicana - che gli aprirà le porte dell'Europa con il trasferimento all'Atletico Madrid nell'estate 1979 -  è preceduta dal Mondiale argentino. La Seleçao zoppica nel primo girone e, nonostante dia spettacolo nel secondo, esce a causa della differenza reti, grazie ai 6 gol rifilati dall'Albiceleste al Perù nell’ultima gara, quella che viene ricordata come la “Marmelada peruana”. Per Dirceu doppietta nel successo contro il Perù, gol vittoria nella finalina vinta a discapito dell’Italia (2-1) e Pallone di Bronzo come terzo miglior giocatore del torneo, alle spalle di Kempes e Rossi. L’approdo in Messico per uno dei calciatori più famosi al mondo sembra quasi un mistero, presto svelato dalla portata economica dell’affare: dalla cessione della Formiga il Vasco riceve 600mila dollari, il cui 15% spetta al calciatore. Con quei soldi Dirceu costruisce 5 palazzine, acquistando il terreno dove sorge il campo del Coritiba, quello in cui aveva mosso i suoi primi passi da calciatore. Spartisce le palazzine con la famiglia e parte per il suo lungo viaggio, allontanandosi per la prima volta dalla terra natia.

Dalla Liga alla Serie A: Verona impazzisce

Madrid è bella, la Liga affascinante e Dirceu si trova bene. Segna come mai prima. Nel secondo campionato i Colchoneros si piazzano terzi, ma il brasiliano sogna l’Italia. Guarda dalla panchina la tripletta di Pablito al Sarriá, assistendo all’eliminazione della sua (strafavorita) Seleçao, i cui grandi nomi militano o militeranno in Serie A. Era stato il presidente della Roma Dino Viola ad avvicinare Dirceu per regalare un altro fuoriclasse verdeoro a Liedholm. Le parti però non avevano trovato l’accordo: José chiedeva un triennale, la Roma gli offrì solo un anno di contratto (con il senno di poi non sarebbe cascato malissimo). Terminato il Mondiale e scaduto il termine massimo per il tesseramento degli stranieri, l’unica strada percorribile per approdare in Serie A è quella di accettare un trasferimento in una neopromossa.

Il suo approdo a Verona genera un entusiasmo senza precedenti. I botteghini scoppiano: tutti vogliono veder giocare il brasiliano. Alle tantissime tessere sottoscritte si affiancano le dichiarazioni stonate di Bagnoli, preoccupato nel dover sconvolgere gli equilibri della squadra: per far posto a Dirceu deve rinunciare al suo fidato capitano Francesco Guidolin. Nonostante i mugugni del tecnico, la stagione si rivela memorabile: partiti con due sconfitte, gli scaligeri infilano 17 risultati utili consecutivi, tornando a perdere proprio nella prima partita saltata dal sudamericano. Straordinario il primo gol in Serie A: un sinistro potentissimo che quasi buca la porta del Catanzaro, a suggellare una vittoria per 3-1 (24 ottobre 1982). La squadra chiude il girone d’andata a una sola lunghezza dalla Roma capolista, perde qualche punto di troppo in primavera e termina al quarto posto, centrando la prima storica partecipazione alla Coppa Uefa. A godere delle magie della Formiga – ormai trasformato a tutti gli effetti in regista offensivo – è Domenico Penzo, autore di 15 reti e acquistato in estate dalla Juve. Proprio la “maledetta Juve”, quella che si frappone tra l’Hellas e la storia. La stagione 1982-83, infatti, oltre a regalare ai tifosi gialloblù un campionato da sogno, è quella dell’impresa sfiorata in Coppa Italia: dopo un cammino memorabile e una finale d’andata vinta 2-0 al Bentegodi, Rossi e Platini la ribaltano in 120’ al ritorno. 

Nelle 5 stagioni in cui giocherà in Serie A – tutte con maglie diverse, ecco perché presto verrà ribattezzato “lo Zingaro” – Dirceu mostrerà al pubblico una capacità balistica impressionante: 20 gol in campionato tra Verona, Napoli, Ascoli, Como e Avellino, la maggior parte dei quali su calci piazzati da distanza proibitiva, che batte con le tre dita, esattamente come farà Roberto Carlos qualche anno più tardi.

Napoli, Ascoli, Como e Avellino: il viaggio dello "Zingaro"

Il viaggio dello Zingaro riparte nel 1983, direzione Napoli. È sua l’ultima 10 prima del “Diez”: con quel mancino puoi portare solo quella e non è un’eresia quantomeno avvicinare quello di Dirceu a quello di Diego, che ovviamente vince su tutti.

Il cambio in panchina non basta, la stagione azzurra scorre via. In estate Diego sbarca a Napoli, Dirceu non vede l’ora di poter duettare con Maradona, ma è proprio l’argentino a chiedere la sua cessione. El Pibe finirà per abitare nell’appartamento lasciato libero dallo Zingaro che, nel frattempo, tra magagne contrattuali e accordi saltati, decide di ripartire da Ascoli. Disputa un altro campionato di livello: 5 gol, miglior marcatore della squadra al pari di Cantarutti e Nicolini. Un dato positivo per il brasiliano, ma che non può bastare a salvare il Picchio dalla retrocessione. Si consola assistendo a un miracolo: vedere i suoi ex compagni del Verona vincere il campionato, stravolgendo ogni pronostico.

La Serie B, ovviamente, non la può fare. Opta per Como, una squadra proveniente da una salvezza agevole, dove può continuare a dispensare calcio. Per carisma e classe gli viene affidata la fascia da capitano. Nel 1986, però, non è fortunato: ad aprile s’infortuna al ginocchio perdendo il suo quarto Mondiale; nel frattempo i lariani raggiungono una storica semifinale di Coppa Italia che, nonostante una Samp senza i rispettivi nazionali partiti in massa per il Messico, perdono beffardamente. A Dirceu, come dichiarato in una recente intervista dal suo ex compagno Bobo Maccoppi, il sorriso non è mai mancato: “Era veramente incredibile. Ricordo che a fine allenamento radunava me, Borgo, Butti, Invernizzi, tutti i più giovani del gruppo, palleggiava e ci diceva: 'Dai facciamo Cinquenta. Cinquenta forza, cinquenta'. 'Cinquenta' era cinquanta: dovevamo fare almeno 50 palleggi di gruppo al volo, senza far mai cadere il pallone. 'Se facciamo cinquenta domenica vinciamo. Se facciamo 100 vinciamo sicuro'. Oltre a essere uno dei calciatori più forti con cui ho giocato, era simpaticissimo”.

 

Le cose migliori le tiene in caldo per la sua ultima stagione in Italia, trascorsa con la maglia dell’Avellino. Il debutto è da urlo: si presenta al Partenio con una doppietta alla Fiorentina. Due punizioni calciate con le tre dita dalla lunga distanza. Nella stessa maniera colpisce poi le sue ex squadre, Como e Verona, mentre con una punizione a giro segna alla Samp. 5 piazzati vincenti in un solo campionato, ai quali si aggiunge il rigore all’Atalanta. Qualcosa da far vedere in tutte le scuole calcio, per far capire ai ragazzi qual è il giusto posizionamento del corpo, dove si deve impattare il pallone: in sostanza, come si calcia in porta!

Gli ultimi anni

Ma l’avventura dello Zingaro in Italia non è finita: tornerà nel 1989 per trovare finalmente la sua casa a Eboli, firmando a sorpresa per l’Ebolitana. Un’altra parte della vita del brasiliano che meriterebbe un approfondimento per le circostanze e gli aneddoti che caratterizzano il suo terzo soggiorno in Campania…

Sta di fatto che Dirceu, accompagnato sempre fedelmente da Vania (dalla quale ha avuto tre figli), si spegne a Rio de Janeiro il 15 settembre 1995. Fatale, a soli 43 anni, un incidente stradale, con l’amata moglie incinta del quarto frutto del loro amore. 

Ci piace poter pensare che sia solo volato in cielo per ripetere ‘Cinquenta’ con il pallone tra i piedi, mentre insegna agli angeli a calciare con le tre dita.

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