Oscar Damiani: i ricordi del doppio ex di Napoli-Juve

Oscar Damiani: i ricordi del doppio ex di Napoli-Juve

Ala destra di valore, si è saputo reinventare procuratore di successo: "Migliore da agente che non da calciatore”. Resta un personaggio anticonvenzionale nel mondo del calcio

Jacopo Pascone/Edipress

13.01.2023 ( Aggiornata il 13.01.2023 15:36 )

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Una vita da Oscar, quella di Giuseppe Damiani. Bresciano, classe 1950: prima ala destra di livello, poi procuratore di grande successo, tra i primi ex calciatori a intraprendere tale percorso. E che percorso: “Ho avuto la fortuna di gestire quattro Palloni d’Oro: Papin, Zidane, Shevchenko e Weah”. Parlare con Oscar Damiani non è come interloquire con un semplice ex calciatore, sicuramente si tratta di un personaggio che ancor più oggi, ma anche all’epoca, verrebbe definito anticonvenzionale: “Mentre i miei compagni magari in ritiro giocavano a carte, io andavo nei musei o nelle fiere”. Con il primo stipendio comprò un Sironi: “Mi costò un milione di lire. Provengo da una famiglia semplice, nessuno mi ha trasmesso la passione per l’arte. È un qualcosa di personale, di intimo. Mi è sempre piaciuto, poi col tempo è diventata anche una forma d’investimento, dato che ho acquistato tantissime opere”. Una vita da Oscar dicevamo, iniziata come un film (comico): “I miei genitori erano immigrati in Svizzera, lì Oscar era un nome abbastanza comune, al contrario dell’Italia. Il prete si oppose perché non era canonico, non apparteneva a nessun santo. Erano i ferrei anni ‘50… Mi chiamarono come mio zio, Giuseppe, ma solo all’anagrafe: per tutti sono da sempre Oscar. Poi quando è nato mio figlio ho chiamato anche lui Oscar, perché finalmente si poteva. E adesso è un casino perché c’è Oscar e poi c’è Oscar jr., mio figlio (ride, ndi.)”. Non poteva mancare per un personaggio di tale spessore un’autobiografia, pubblicata nel 2020 con un titolo azzeccatissimo: ‘L’arte nel pallone’.

 

"Flipper" Damiani

“Il soprannome me lo diede Gianni Invernizzi, mio allenatore quando militavo nei ragazzi dell’Inter. Ero in pensionato e giocavo sempre al flipper; poi in campo facevo una finta in cui mi passavo continuamente il pallone da un piede all’altro, da destra a sinistra: i miei piedi sembravano i funghetti del flipper. Da allora Invernizzi mi diede quel soprannome, anche se la leggenda vuole che a darmelo fu Gianni Brera”. Invernizzi, uno che di soprannomi se ne intende: lo chiamavano Robiolina perché aveva lo stesso cognome di una famiglia proprietaria di una nota ditta che produce formaggi. Flipper è veramente un epiteto che calza alla perfezione per il nostro protagonista: in campo faceva delle finte, dei dribbling e dei cambi di direzione il suo pezzo forte. Una scheggia impazzita, proprio come in un flipper, appunto. Ha vestito l’azzurro in due diversi periodi: “Da Vicenza sono arrivato a Napoli, poi son tornato a Vicenza e dopo un po’ di anni sono ritornato ancora a Napoli. Insomma, la squadra partenopea rappresenta molto della mia storia calcistica. Ho tanti bellissimi ricordi e uno brutto, che è il terremoto: ma Napoli mi è rimasta veramente nel cuore”. Il sisma al quale fa riferimento è quello che scosse l’Irpinia il 23 novembre del 1980. Un periodo difficile passato da Damiani e la sua famiglia, durante il quale, però, i ragazzi azzurri hanno consolidato il loro legame: “Abitavamo in una palazzina con Rudy Krol e Luciano Castellini. Noi eravamo al pianterreno, loro ai piani alti. Quando ci fu il terremoto vennero tutti a dormire giù da noi. Con Krol e Castellini ci lega una grande amicizia, anche le nostre mogli sono intime. Ho tanti bei ricordi di Soccavo e in quei momenti di difficoltà passati insieme si è rafforzato ancor di più il gruppo”.

Oscar Damiani e Napoli-Juve

“Negli anni ’70 partite sempre ricche di gol: ricordo anche un 6-2 (per la Juve al San Paolo, ndi.); negli anni ’80 ci fu più equilibrio. Tante belle sfide, soprattutto per me che giocavo davanti”. In quel 2-6 doppietta per Oscar Damiani: “Una Juventus forte, ricca di grandi campioni. In un reparto offensivo in cui c’erano Anastasi, Capello, Causio e Bettega ero forse il meno importante. Ero il più giovane ma mi accettarono da subito, ero ben inserito in quella squadra. Sono stati due anni meravigliosi coronati con la vittoria dello scudetto”. Era il più giovane, ma mister Parola gli affidò comunque il ruolo di rigorista: “Ricordo anche un titolo de ‘La Notte’: ‘Damiani, il boia del dischetto’ (ride, ndi.). Ero uno specialista, ne ho tirati parecchi e ne ho anche sbagliati un paio”. Un’altra peculiarità che ha contraddistinto Damiani fin da giovane, quella dell’invidiabile stile del suo abbigliamento. Nella Juve si esibiva contro il Barone: “La mattina arrivavamo al campo, io e Causio sfilavamo e i giocatori avevano le palette per dare i voti. Spesso e volentieri, anche per scherzare col Barone, mi davano il voto più alto e Franco un po’ rosicava. Una volta ci si divertiva, si facevano giochi più di società; oggi si è tutti un po’ più seriosi con i computer e gli smartphone”. Dopo Torino, nel 1976, Oscar si trasferì al Genoa, dove sorprese tutti a suon di gol. Nel 1979 Ferlaino lo riportò a Napoli: serviva un grande nome per sostituire Savoldi. Un miliardo e quattrocento milioni di lire nelle casse del Grifone, Damiani di nuovo in azzurro: “Non ho sentito la pressione. In primis perché Napoli era un ambiente meraviglioso, poi perché io e Savoldi occupavamo due posizioni differenti. Mi pagarono tanto, ma lui era un centravanti io un’ala. Avevo comunque parecchie responsabilità in più”. Nel suo secondo ciclo al San Paolo da segnalare il terzo posto della stagione 1980-81.

L'agente Oscar

Dirà basta con il calcio giocato quattro anni dopo aver lasciato Napoli (esperienze con Milan, Cosmos, Parma e Lazio). Ma il suo ruolo nel mondo del pallone resterà di primordine, è stato uno dei primi ex giocatori a reinventarsi procuratore di successo: “È un mondo che mi ha sempre attratto. Dopo aver girato per tutta la carriera non mi andava di allenare, ero stanco di peregrinare: volevo stabilirmi in una città con la mia famiglia e non muovermi più. È stata la mia fortuna, mi affacciai a fine anni ’80 quando questo lavoro cominciò a prender piede. Seguivo molto il campionato francese dove c’erano tanti giovani. Credo di essere stato migliore da agente che non da calciatore”. Doti che mostrava anche mentre correva sulla fascia, nell’estate del ’76 già ci vedeva lungo: “Con Giussy Farina sono sempre stato molto legato, andai anche a trovarlo nella sua tenuta in Spagna. Quando passai dal Vicenza alla Juve mi chiamava per chiedermi consigli sui ragazzi della Primavera bianconera. Il primo anno gli feci il nome di Marangon, terzino sinistro che andò al Vicenza e fece molto bene. L’anno dopo, anche se non era andato un granché a Como, gli consigliai Paolo Rossi, che poi con Fabbri fece quello che fece. Gli dissi Pablito anche perché facevamo le gare di corsa e mi batteva sempre: ero stanco di perdere e lo consigliai al Vicenza. Paolo correva anche più di me. Era un ragazzo straordinario”.

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