La fortuna &egrave; qualcosa di estremamente mutevole, soprattutto nel football. Anzi, soprattutto nel football inglese. In nessun luogo come in Inghilterra infatti, la storia ha visto un grandissimo alternarsi di squadre vincenti cadute nel dimenticatoio delle serie inferiori e viceversa. L&rsquo;esempio pi&ugrave; lampante ne &egrave; forse il glorioso Nottingham Forest degli anni &rsquo;70 e &rsquo;80, una delle squadre pi&ugrave; iconiche del calcio mondiale, oggi relegata in Championship. Il 1&deg; marzo del 1952 nasceva a Kilrea, nell&rsquo;Irlanda del Nord, Martin O&rsquo;Neill, una delle colonne portanti di quella meravigliosa squadra.&nbsp; <h2>Dall&rsquo;Irlanda del Nord all&rsquo;Inghilterra</h2> Da giovanissimo inizia a far conoscere le sue ottime doti al centro del campo tra le fila del Distillery, club di Lisburn, ma il football non &egrave; tutto nella vita di Martin: il ragazzo frequenta con brillanti risultati la facolt&agrave; di legge nella prestigiosa Queen&rsquo;s University di Belfast. Appena diciannovenne, riceve la chiamata del Nottingham Forest che lo mette davanti a un bivio: provarci col calcio o intraprendere una sicura, retribuita carriera come avvocato. Il dubbio, per un ragazzo pragmatico come solo un irlandese sa essere, &egrave; quasi amletico. Alla fine Martin opta per fare le valige, salutare la famiglia e partire per l&rsquo;East Midlands; ancora non sa che la sua scelta gli permetter&agrave; di guadagnarsi un posto d&rsquo;onore nella storia del calcio inglese.&nbsp; <h2>L&rsquo;allievo di Brian Clough</h2> Nel 1975 sulla panchina dei Tricky Trees arriva Brian Clough, il leggendario allenatore che porter&agrave; la squadra sul tetto del mondo. Con O&rsquo;Neill s&rsquo;instaura subito un franco rapporto di stima reciproca, il nord irlandese &egrave; un calciatore atipico, dalla grande intelligenza, su cui il tecnico inglese fa affidamento a occhi chiusi. La leggenda narra che appena arrivato al Forest abbia detto a O&rsquo;Neill: &ldquo;Io sono diffidente con le persone che sono pi&ugrave; intelligenti di me, ma ti abbasser&ograve; presto al mio livello&rdquo;. Martin diventa col tempo l&rsquo;allievo migliore di Clough, preparandosi a una brillante e futura carriera da allenatore. Dopo aver vinto tutto con il Nottingham nei dieci anni in cui vi rimane &ndash; due Coppe dei Campioni, un campionato inglese, due Coppe di Lega, un Charity Shield e una Supercoppa Uefa &ndash; girovaga per qualche stagione tra Manchester City, Norwich e Notts County, prima di ritirarsi dal calcio giocato.&nbsp; <h2>I successi in panchina</h2> O&rsquo;Neill decide subito di sedersi in panchina, carriera a cui era evidentemente destinato, e lo fa prima al Wycombe e poi al Norwich, squadra con cui aveva anche giocato da calciatore. Dopo queste prime esperienze arriva la definitiva consacrazione al Leicester, che riesce a portare in Premier League con un&rsquo;impresa che da quelle parti &egrave; stata oscurata solamente da quella di Ranieri, Vardy e compagni. Clough, che ne ha attentamente seguito i passi da allenatore ha detto in quel periodo: &ldquo;A Leicester, chiunque sia in grado di fare bene qualcosa che non sia un maglione deve necessariamente essere un genio&rdquo;. E probabilmente O&rsquo; Neill lo &egrave; davvero, un genio. Lo dimostra una volta di pi&ugrave; accasandosi al Celtic, lui che da cattolico nord Irlandese non poteva trovare sistemazione migliore. Nei 5 anni passati a Glasgow vince sette Old Firm di fila, ben nove trofei e ottiene una storica semifinale di Coppa Uefa, diventando una leggenda degli Hoops biancoverdi. Negli anni successivi, dopo le esperienze all&rsquo;Aston Villa e al Sunderland, viene scelto per guidare la nazionale irlandese. Alla guida della Jack&rsquo;s Army, dopo le contestazioni iniziali per la sua fede cattolica, ottiene la qualificazione ad Euro 2016, arrendendosi agli ottavi ai padroni di casa della Francia. Purtroppo non riesce a ripetersi per il mondiale 2018, perdendo il ritorno degli spareggi a Dublino contro la Danimarca. Si dimette e torna in quella che per anni &egrave; stata casa sua al Nottingham Forest: qui rimane solamente una stagione, per via di dissidi interni dovuto probabilmente al suo carattere spigoloso. D&rsquo;altronde non staremmo parlando di O&rsquo;Neill, il miglior allievo di Brian Clough.&nbsp;

        La fortuna &egrave; qualcosa di estremamente mutevole, soprattutto nel football. Anzi, soprattutto nel football inglese. In nessun luogo come in Inghilterra infatti, la storia ha visto un grandissimo alternarsi di squadre vincenti cadute nel dimenticatoio delle serie inferiori e viceversa. L&rsquo;esempio pi&ugrave; lampante ne &egrave; forse il glorioso Nottingham Forest degli anni &rsquo;70 e &rsquo;80, una delle squadre pi&ugrave; iconiche del calcio mondiale, oggi relegata in Championship. Il 1&deg; marzo del 1952 nasceva a Kilrea, nell&rsquo;Irlanda del Nord, Martin O&rsquo;Neill, una delle colonne portanti di quella meravigliosa squadra.&nbsp; Dall&rsquo;Irlanda del Nord all&rsquo;Inghilterra Da giovanissimo inizia a far conoscere le sue ottime doti al centro del campo tra le fila del Distillery, club di Lisburn, ma il football non &egrave; tutto nella vita di Martin: il ragazzo frequenta con brillanti risultati la facolt&agrave; di legge nella prestigiosa Queen&rsquo;s University di Belfast. Appena diciannovenne, riceve la chiamata del Nottingham Forest che lo mette davanti a un bivio: provarci col calcio o intraprendere una sicura, retribuita carriera come avvocato. Il dubbio, per un ragazzo pragmatico come solo un irlandese sa essere, &egrave; quasi amletico. Alla fine Martin opta per fare le valige, salutare la famiglia e partire per l&rsquo;East Midlands; ancora non sa che la sua scelta gli permetter&agrave; di guadagnarsi un posto d&rsquo;onore nella storia del calcio inglese.&nbsp; L&rsquo;allievo di Brian Clough Nel 1975 sulla panchina dei Tricky Trees arriva Brian Clough, il leggendario allenatore che porter&agrave; la squadra sul tetto del mondo. Con O&rsquo;Neill s&rsquo;instaura subito un franco rapporto di stima reciproca, il nord irlandese &egrave; un calciatore atipico, dalla grande intelligenza, su cui il tecnico inglese fa affidamento a occhi chiusi. La leggenda narra che appena arrivato al Forest abbia detto a O&rsquo;Neill: &ldquo;Io sono diffidente con le persone che sono pi&ugrave; intelligenti di me, ma ti abbasser&ograve; presto al mio livello&rdquo;. Martin diventa col tempo l&rsquo;allievo migliore di Clough, preparandosi a una brillante e futura carriera da allenatore. Dopo aver vinto tutto con il Nottingham nei dieci anni in cui vi rimane &ndash; due Coppe dei Campioni, un campionato inglese, due Coppe di Lega, un Charity Shield e una Supercoppa Uefa &ndash; girovaga per qualche stagione tra Manchester City, Norwich e Notts County, prima di ritirarsi dal calcio giocato.&nbsp; I successi in panchina O&rsquo;Neill decide subito di sedersi in panchina, carriera a cui era evidentemente destinato, e lo fa prima al Wycombe e poi al Norwich, squadra con cui aveva anche giocato da calciatore. Dopo queste prime esperienze arriva la definitiva consacrazione al Leicester, che riesce a portare in Premier League con un&rsquo;impresa che da quelle parti &egrave; stata oscurata solamente da quella di Ranieri, Vardy e compagni. Clough, che ne ha attentamente seguito i passi da allenatore ha detto in quel periodo: &ldquo;A Leicester, chiunque sia in grado di fare bene qualcosa che non sia un maglione deve necessariamente essere un genio&rdquo;. E probabilmente O&rsquo; Neill lo &egrave; davvero, un genio. Lo dimostra una volta di pi&ugrave; accasandosi al Celtic, lui che da cattolico nord Irlandese non poteva trovare sistemazione migliore. Nei 5 anni passati a Glasgow vince sette Old Firm di fila, ben nove trofei e ottiene una storica semifinale di Coppa Uefa, diventando una leggenda degli Hoops biancoverdi. Negli anni successivi, dopo le esperienze all&rsquo;Aston Villa e al Sunderland, viene scelto per guidare la nazionale irlandese. Alla guida della Jack&rsquo;s Army, dopo le contestazioni iniziali per la sua fede cattolica, ottiene la qualificazione ad Euro 2016, arrendendosi agli ottavi ai padroni di casa della Francia. Purtroppo non riesce a ripetersi per il mondiale 2018, perdendo il ritorno degli spareggi a Dublino contro la Danimarca. Si dimette e torna in quella che per anni &egrave; stata casa sua al Nottingham Forest: qui rimane solamente una stagione, per via di dissidi interni dovuto probabilmente al suo carattere spigoloso. D&rsquo;altronde non staremmo parlando di O&rsquo;Neill, il miglior allievo di Brian Clough.&nbsp;       

Dopo 10 anni da giocatore nel Nottingham Forest &egrave; diventato uno degli allenatori pi&ugrave; iconici del Regno Unito

Martin O’Neill, il nordirlandese che imparò tutto da Brian Clough

&Egrave;&nbsp;il 22 novembre del 1981, al Comunale di Firenze si assiste a un emozionante Fiorentina-Genoa. La Viola &egrave; in vantaggio per 2-1, grazie al rigore trasformato da Antognoni al 7&deg; del secondo tempo. Poi, per&ograve;, succede qualcosa d&rsquo;inaspettato e angoscioso. Il cuore smette di battere, Antognoni ha la lingua rovesciata in gola e la bava alla bocca. Gli occhi ribaltati e qualcuno grida: &ldquo;&Egrave; morto! &Egrave; morto!&rdquo;. Il portiere rossobl&ugrave; Silvano Martina &egrave; franato sul numero 10. Lo stopper e capitano genoano Claudio Onofri corre a bordo campo con le mani nei capelli. Il Comunale &egrave; in silenzio, tre minuti prima esultava per un gol del suo capitano. Ora prega per la sua vita, che &egrave; nelle mani del dottor Gatto e del massaggiatore Raveggi. Il polso non c'&egrave;, serve il massaggio cardiaco, la respirazione bocca a bocca e qualcuno che rimetta la lingua del simbolo viola a posto. Il cuore, dopo trenta secondi di pausa, riprende a battere. La corsa in ospedale e nessuna notizia per venti minuti. Poi la voce dell'altoparlante: &ldquo;Antognoni &egrave; fuori pericolo&rdquo;. Un applauso liberatorio riecheggia per tutta Firenze. La paura &egrave; passata. La Fiorentina batter&agrave; il Genoa 3-2: per una volta la cronaca del campo di una splendida partita di inizio anni &rsquo;80 passer&agrave; in secondo piano. Dal neurochirurgico di Careggi arrivano anche le parole di Antognoni &ndash; intervistato dagli inviati Rai &ndash; che rassicurano ulteriormente tutti. La diagnosi recita una frattura alle ossa craniche con temporanea interruzione del battito cardiaco. Per 14 partite Giancarlo non giocher&agrave;, la Fiorentina arriver&agrave; a un solo punto dalla Juve a fine campionato. Senza quell'incidente, forse, l'albo d'oro della Serie A sarebbe da aggiornare. Ma senza la prontezza dei medici, staremmo qui a ricordare una terribile tragedia di calcio.

        &Egrave;&nbsp;il 22 novembre del 1981, al Comunale di Firenze si assiste a un emozionante Fiorentina-Genoa. La Viola &egrave; in vantaggio per 2-1, grazie al rigore trasformato da Antognoni al 7&deg; del secondo tempo. Poi, per&ograve;, succede qualcosa d&rsquo;inaspettato e angoscioso. Il cuore smette di battere, Antognoni ha la lingua rovesciata in gola e la bava alla bocca. Gli occhi ribaltati e qualcuno grida: &ldquo;&Egrave; morto! &Egrave; morto!&rdquo;. Il portiere rossobl&ugrave; Silvano Martina &egrave; franato sul numero 10. Lo stopper e capitano genoano Claudio Onofri corre a bordo campo con le mani nei capelli. Il Comunale &egrave; in silenzio, tre minuti prima esultava per un gol del suo capitano. Ora prega per la sua vita, che &egrave; nelle mani del dottor Gatto e del massaggiatore Raveggi. Il polso non c'&egrave;, serve il massaggio cardiaco, la respirazione bocca a bocca e qualcuno che rimetta la lingua del simbolo viola a posto. Il cuore, dopo trenta secondi di pausa, riprende a battere. La corsa in ospedale e nessuna notizia per venti minuti. Poi la voce dell'altoparlante: &ldquo;Antognoni &egrave; fuori pericolo&rdquo;. Un applauso liberatorio riecheggia per tutta Firenze. La paura &egrave; passata. La Fiorentina batter&agrave; il Genoa 3-2: per una volta la cronaca del campo di una splendida partita di inizio anni &rsquo;80 passer&agrave; in secondo piano. Dal neurochirurgico di Careggi arrivano anche le parole di Antognoni &ndash; intervistato dagli inviati Rai &ndash; che rassicurano ulteriormente tutti. La diagnosi recita una frattura alle ossa craniche con temporanea interruzione del battito cardiaco. Per 14 partite Giancarlo non giocher&agrave;, la Fiorentina arriver&agrave; a un solo punto dalla Juve a fine campionato. Senza quell'incidente, forse, l'albo d'oro della Serie A sarebbe da aggiornare. Ma senza la prontezza dei medici, staremmo qui a ricordare una terribile tragedia di calcio.       

Durante la gara tra Fiorentina e Genoa Silvano Martina fran&ograve; sul numero 10 e capitano viola: attimi di angoscia e paura ammutolirono il Comunale di Firenze

22 novembre 1981, quando il cuore di Antognoni si fermò

La seconda giornata di campionato di basket di Serie A, in attesa di Pesaro-Trieste che si giocher&agrave; mercoled&igrave; 6 ottobre, va in archivio con Milano, ma soprattutto Bologna, che mostrano i muscoli, &nbsp;e fanno capire, caso mai ce ne fosse stato il bisogno, di essere state costruite per altri obiettivi, al di fuori del campionato nostrano. Cos&igrave; se Milano, che ha esordito con una vittoria sul CSKA in Eurolega, per voce di Datome afferma di essere un cantiere aperto, con tanto di cartello per i lavori in corso, la Virtus Bologna ha immediatamente inserito nel roster Isaia&nbsp;Cordinier&nbsp;a sostituire lo sfortunato Abass, e JaKarr Sampsonche esordir&agrave; contro Venezia, per portare il gioco pi&ugrave; vicino a canestro, come piace a coach Scariolo. Tolte queste due squadre rimangono a punteggio pieno Treviso, che nel derby ha battuto Venezia al termine di una partita molto fisica, e Reggio Emilia, che contro Napoli ha dimostrato una gran capacit&agrave; realizzativa (e qualche sofferenza di troppo nella fase difensiva). Primi punti per Brindisi con un super Gaspardo, capace di segnare 29 punti in 28 minuti, con 4 su 4 da 2 punti e 7 su 8 da 3, a dimostrare che l&rsquo;interesse di questa estate di Milano per l&rsquo;ala di Bressanone non era assolutamente mal riposto. Primi due punti, in assoluto in Serie A, per Derthona, che vince sul campo di Brescia, con i padroni di casa che, per mano di Della Valle, falliscono il tiro del pareggio sul filo della sirena e restano a zero punti in classifica. Se la settimana scorsa Repesa ha motivato le sue dimissioni con una tachicardia che l&rsquo;avrebbe colpito al termine della partita persa con Reggio Emilia, c&rsquo;&egrave; da credere che anche per coach Antimo Martino, suo sostituto, i problemi di cuore quest&rsquo;anno non mancheranno. La partita persa contro Cremona ha evidenziato i limiti del roster (di cui si era lamentato anche Repesa) a cui secondo il nuovo coach manca un play (Katic?) e che vede Gudmundsson doppione di Fantinelli (infortunato). Inoltre, &egrave; da valutare se il rapporto tra Martino e la dirigenza Fortitudo&nbsp;sapr&agrave; superare momenti di crisi, o se riaffioreranno le antiche ruggini formatesi dopo il suo allontanamento nell&rsquo;anno del Covid. Da valutare poi il rapporto con una tifoseria comunque schierata contro il presidente Christian Pavani e dalla parte di Repesa, che non ha dimenticato le esultanze di Martino alla guida di Reggio Emilia, dopo una delle (pochissime) vittorie proprio contro La Fortitudo. Inoltre, la Fortitudo ha ancora sotto contratto, e quindi a libro paga, coach Sacchetti, esonerato lo scorso anno dopo un inizio di campionato disastroso e che potrebbe tornare a sedersi sulla panchina bolognese in caso di cattivi risultati di Martino.Insomma, non un ambiente sereno, che va valutato anche dal punto di vista della solidit&agrave; economica. Il presidente della FIP Petrucci in settimana ha, tra le altre cose, commentato la richiesta del CTS di tenere al 50% la capienza dei palazzi dello sport dove si svolgano manifestazioni sportive, dicendosi sorpreso che il governo non intervenga al riguardo per alzare la capienza al 100% per un pubblico munito di green pass. Al di l&agrave; del fatto che il CTS &egrave; uno strumento del Governo e che colpirebbe molto sapere che il Governo non tiene conto del parere dei suoi esperti, il compito di Petrucci sarebbe quello di assicurarsi che le societ&agrave; sportive siano in grado di reggere la mancanza di pubblico nei palasport, e di dare comunque visibilit&agrave; alla miriade di piccoli sponsor che stanno lasciando il basket, per la mancanza di audience nei palazzetti, invece di polemizzare con le scelte dei virologi e di rivelare alla stampa di non essere pi&ugrave; amico della Vezzali. Perch&eacute; non &egrave; di amicizie con il sottosegretario con delega allo sport che c&rsquo;&egrave; bisogno ma di pianificazione, progetti comuni e salvaguardia di un prodotto, il basket italiano di vertice, che prprio ora che ha ritrovato la nazionale &egrave; a rischio scomparsa, come il panda.

        La seconda giornata di campionato di basket di Serie A, in attesa di Pesaro-Trieste che si giocher&agrave; mercoled&igrave; 6 ottobre, va in archivio con Milano, ma soprattutto Bologna, che mostrano i muscoli, &nbsp;e fanno capire, caso mai ce ne fosse stato il bisogno, di essere state costruite per altri obiettivi, al di fuori del campionato nostrano. Cos&igrave; se Milano, che ha esordito con una vittoria sul CSKA in Eurolega, per voce di Datome afferma di essere un cantiere aperto, con tanto di cartello per i lavori in corso, la Virtus Bologna ha immediatamente inserito nel roster Isaia&nbsp;Cordinier&nbsp;a sostituire lo sfortunato Abass, e JaKarr Sampsonche esordir&agrave; contro Venezia, per portare il gioco pi&ugrave; vicino a canestro, come piace a coach Scariolo.  Tolte queste due squadre rimangono a punteggio pieno Treviso, che nel derby ha battuto Venezia al termine di una partita molto fisica, e Reggio Emilia, che contro Napoli ha dimostrato una gran capacit&agrave; realizzativa (e qualche sofferenza di troppo nella fase difensiva). Primi punti per Brindisi con un super Gaspardo, capace di segnare 29 punti in 28 minuti, con 4 su 4 da 2 punti e 7 su 8 da 3, a dimostrare che l&rsquo;interesse di questa estate di Milano per l&rsquo;ala di Bressanone non era assolutamente mal riposto. Primi due punti, in assoluto in Serie A, per Derthona, che vince sul campo di Brescia, con i padroni di casa che, per mano di Della Valle, falliscono il tiro del pareggio sul filo della sirena e restano a zero punti in classifica.  Se la settimana scorsa Repesa ha motivato le sue dimissioni con una tachicardia che l&rsquo;avrebbe colpito al termine della partita persa con Reggio Emilia, c&rsquo;&egrave; da credere che anche per coach Antimo Martino, suo sostituto, i problemi di cuore quest&rsquo;anno non mancheranno. La partita persa contro Cremona ha evidenziato i limiti del roster (di cui si era lamentato anche Repesa) a cui secondo il nuovo coach manca un play (Katic?) e che vede Gudmundsson doppione di Fantinelli (infortunato). Inoltre, &egrave; da valutare se il rapporto tra Martino e la dirigenza Fortitudo&nbsp;sapr&agrave; superare momenti di crisi, o se riaffioreranno le antiche ruggini formatesi dopo il suo allontanamento nell&rsquo;anno del Covid. Da valutare poi il rapporto con una tifoseria comunque schierata contro il presidente Christian Pavani e dalla parte di Repesa, che non ha dimenticato le esultanze di Martino alla guida di Reggio Emilia, dopo una delle (pochissime) vittorie proprio contro La Fortitudo. Inoltre, la Fortitudo ha ancora sotto contratto, e quindi a libro paga, coach Sacchetti, esonerato lo scorso anno dopo un inizio di campionato disastroso e che potrebbe tornare a sedersi sulla panchina bolognese in caso di cattivi risultati di Martino.Insomma, non un ambiente sereno, che va valutato anche dal punto di vista della solidit&agrave; economica.  Il presidente della FIP Petrucci in settimana ha, tra le altre cose, commentato la richiesta del CTS di tenere al 50% la capienza dei palazzi dello sport dove si svolgano manifestazioni sportive, dicendosi sorpreso che il governo non intervenga al riguardo per alzare la capienza al 100% per un pubblico munito di green pass. Al di l&agrave; del fatto che il CTS &egrave; uno strumento del Governo e che colpirebbe molto sapere che il Governo non tiene conto del parere dei suoi esperti, il compito di Petrucci sarebbe quello di assicurarsi che le societ&agrave; sportive siano in grado di reggere la mancanza di pubblico nei palasport, e di dare comunque visibilit&agrave; alla miriade di piccoli sponsor che stanno lasciando il basket, per la mancanza di audience nei palazzetti, invece di polemizzare con le scelte dei virologi e di rivelare alla stampa di non essere pi&ugrave; amico della Vezzali. Perch&eacute; non &egrave; di amicizie con il sottosegretario con delega allo sport che c&rsquo;&egrave; bisogno ma di pianificazione, progetti comuni e salvaguardia di un prodotto, il basket italiano di vertice, che prprio ora che ha ritrovato la nazionale &egrave; a rischio scomparsa, come il panda.       

Il punto di Guerin Basket dopo la seconda giornata di Serie A: i cantieri di Olimpia e Virtus, Gaspardo super, il ritorno di Martino e la capienza di Petrucci.&nbsp;

Gli allenatori della Fortitudo

Il match tra Milan e Lazio giocato a San Siro il 30 aprile 1978 e valido per la penultima giornata del campionato di Serie A, verr&agrave; per sempre ricordato come la partita del petardo. Ma dietro al gesto dei Commandos rossoneri, che decreter&agrave; la vittoria a tavolino dei biancocelesti, si cela una gara giocata sul campo e con la piena posta in palio portata comunque a casa dalla squadra ospite. Una delle rare vittorie biancocelesti al Meazza contro il Milan in Serie A &ndash; 10 in totale in oltre 90 anni di confronti &ndash; firmata da una galoppata di Martini che, ispirato da un geniale colpo di tacco di Agostinelli, batte Albertosi sul primo palo e sigla il gol partita al minuto 86. Il lancio del petardo I rossoneri sono padroni del gioco e il portiere laziale Garella &egrave; costretto pi&ugrave; volte agli straordinari, salvando su Bigon e Capello. All&rsquo;ottavo minuto della ripresa il fattaccio: l&rsquo;arbitro Alberto Michelotti - lo stesso direttore di gara della trasferta laziale del precedente gennaio a Perugia, quando un petardo aveva messo fuori gioco Manfredonia - non vede perch&eacute; girato a seguire l&rsquo;azione dove Badiani e Rivera se le stanno dando di santa ragione. Pietro Ghedin cade a terra in seguito al lancio di un petardo, proprio Lionello Manfredonia si avvicina al compagno per sospirargli qualcosa all&rsquo;orecchio: sembrerebbe consigliarli di rimanere gi&ugrave;, ma il difensore laziale&nbsp;&egrave; realmente provato e comincia a vomitare in campo. Nonostante ci&ograve; i biancocelesti decideranno di non fare ricorso: non chiederanno la vittoria a tavolino che il giudice sportivo comunque assegner&agrave;. Due punti fondamentali, e poco importa se a referto ci sia lo 0-1 firmato Martini o lo 0-2 d&rsquo;ufficio: grazie a quel risultato la Lazio si salva. Chiuder&agrave; il campionato con una sconfitta interna contro il Bologna (gara fondamentale per la salvezza rossobl&ugrave;) e con una sola lunghezza di vantaggio su Genoa e Foggia retrocesse.

        Il match tra Milan e Lazio giocato a San Siro il 30 aprile 1978 e valido per la penultima giornata del campionato di Serie A, verr&agrave; per sempre ricordato come la partita del petardo. Ma dietro al gesto dei Commandos rossoneri, che decreter&agrave; la vittoria a tavolino dei biancocelesti, si cela una gara giocata sul campo e con la piena posta in palio portata comunque a casa dalla squadra ospite. Una delle rare vittorie biancocelesti al Meazza contro il Milan in Serie A &ndash; 10 in totale in oltre 90 anni di confronti &ndash; firmata da una galoppata di Martini che, ispirato da un geniale colpo di tacco di Agostinelli, batte Albertosi sul primo palo e sigla il gol partita al minuto 86. Il lancio del petardo I rossoneri sono padroni del gioco e il portiere laziale Garella &egrave; costretto pi&ugrave; volte agli straordinari, salvando su Bigon e Capello. All&rsquo;ottavo minuto della ripresa il fattaccio: l&rsquo;arbitro Alberto Michelotti - lo stesso direttore di gara della trasferta laziale del precedente gennaio a Perugia, quando un petardo aveva messo fuori gioco Manfredonia - non vede perch&eacute; girato a seguire l&rsquo;azione dove Badiani e Rivera se le stanno dando di santa ragione. Pietro Ghedin cade a terra in seguito al lancio di un petardo, proprio Lionello Manfredonia si avvicina al compagno per sospirargli qualcosa all&rsquo;orecchio: sembrerebbe consigliarli di rimanere gi&ugrave;, ma il difensore laziale&nbsp;&egrave; realmente provato e comincia a vomitare in campo. Nonostante ci&ograve; i biancocelesti decideranno di non fare ricorso: non chiederanno la vittoria a tavolino che il giudice sportivo comunque assegner&agrave;. Due punti fondamentali, e poco importa se a referto ci sia lo 0-1 firmato Martini o lo 0-2 d&rsquo;ufficio: grazie a quel risultato la Lazio si salva. Chiuder&agrave; il campionato con una sconfitta interna contro il Bologna (gara fondamentale per la salvezza rossobl&ugrave;) e con una sola lunghezza di vantaggio su Genoa e Foggia retrocesse.       

La squadra di Lovati sconfisse i rossoneri al Meazza. Una rete del terzino decise la sfida della penultima giornata 1977-78, ma il petardo lanciato in campo dagli spalti decret&ograve; la vittoria a tavolino per gli ospiti

Milan-Lazio 1978: Martini in gol e biancocelesti salvi

Una scelta prevedibile che rischia di assumere un significato piuttosto particolare alla luce dell&rsquo;andamento della prima gara di campionato in Bahrain. Nico Hulkenberg nei giorni scorsi &egrave; stato ufficializzato dall&rsquo;Aston Martin (tramite l&rsquo;hashtag Hulkenback) come riserva, nonch&eacute; pilota di sviluppo al simulatore. <blockquote class="twitter-tweet"> Welcome home, <a href="https://twitter.com/HulkHulkenberg?ref_src=twsrc%5Etfw">@HulkHulkenberg</a>. Here's everything you need to know about the Hulk's new role as reserve and development driver for the 2021 season. <a href="https://twitter.com/hashtag/Hulkenback?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw">#Hulkenback</a> &mdash; Aston Martin Cognizant F1 Team (@AstonMartinF1) <a href="https://twitter.com/AstonMartinF1/status/1380114958088871941?ref_src=twsrc%5Etfw">April 8, 2021</a></blockquote> <script async="" src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script> Si rinnova, quindi, ancora una volta il legame tra la squadra guidata al muretto da Ottmar Szafnauer e il 33enne pilota tedesco di Emmerich am Rhein, iniziato nel 2012 quando la squadra si chiamava Force India e proseguito poi nel triennio 2014-2016, salvo poi tornare a riaccendersi lo scorso anno quando Hulkenberg (appiedato al termine della stagione 2019 dalla Renault) &egrave; stato richiamato d&rsquo;urgenza dalla sua ex squadra per sostituire rispettivamente Sergio Perez (nel Gp di Gran Bretagna e nel Gp del 70&deg; Anniversario a Silverstone) e Lance Stroll (nel Gp dell&rsquo;Eifel, corso sul circuito del N&uuml;rburgring) causa Covid. Se nel corso del Gp di Gran Bretagna Hulkenberg di fatto non ha potuto prendere il via alla gara a causa di un problema alla power unit, nel Gp del 70&deg; Anniversario e nel Gp dell&rsquo;Eifel il pilota tedesco non ha mancato di fornire delle preziosissime indicazioni alla squadra, utili a definire la direzione degli sviluppi. Da qui la decisione di richiamarlo anche quest&rsquo;anno non tanto a gettone, ma con un ruolo pi&ugrave; fisso, in modo da poter aiutare la squadra a superare un avvio di campionato pi&ugrave; complicato del previsto, potendo contare sulla sua esperienza, e sulla sua velocit&agrave; a sapersi adattare prontamente alla monoposto, capendone subito pregi e difetti. Una scelta, quella di richiamare in servizio Hulkenberg come terzo pilota che potrebbe esser legata al futuro di Sebastian Vettel. Quando lo scorso Settembre la scuderia di Lawrence Stroll aveva di fatto appiedato Sergio Perez (approdato poi in Red Bull) a favore del campione di Heppenheim, tutti si aspettavano che Vettel potesse mettere a disposizione dell&rsquo;Aston Martin tutta la sua esperienza in modo tale da consentire alla squadra di fare un deciso passo in avanti, e al contempo aiutare Lance Stroll nel suo progressivo percorso di crescita all&rsquo;interno del Circus. Nella prima gara corsa in Bahrain, purtroppo, abbiamo visto il fratello gemello del Vettel emerso la scorsa stagione in Ferrari: un pilota in evidente difficolt&agrave; con la propria monoposto al punto da non riuscirne a controllare a pieno il retrotreno. A questo poi si aggiunga non solo il mancato rispetto delle bandiere gialle in qualifica (costatogli tre punti in Superlicenza, e una partenza del fondo dello schieramento), ma addirittura nel finale di gara un tamponamento ai danni dell&rsquo;Alpine di Esteban Ocon (costato al campione tedesco altri due punti in Superlicenza, oltre a una penalit&agrave; di dieci secondi aggiunti al distacco finale). Insomma, un esordio da dimenticare che certamente non era quello che in Aston Martin si aspettavano, al termine di una gara che ha visto il tanto criticato Stroll conquistare il primo punto storico del celebre marchio inglese in Formula 1. A difesa del campione di Heppenheim occorre sottolineare che con una sola giornata e mezzo di test &egrave; molto difficile prendere confidenza con una nuova monoposto. Impossibile se poi si verificano dei problemi tecnici. Lo stesso Vettel, inoltre, in un&rsquo;intervista rilasciata pochi giorni dopo la gara del Bahrain aveva rivelato di non sentirsi ancora in macchina come fosse a casa, confessando di aver dovuto combattere contro alcune cose che non gli consentivano di potersi concentrare a pieno sulla sola guida. Il tutto mentre qualche giorno fa il consigliere Red Bull Helmut Marko nel corso di un&rsquo;intervista ha dichiarato che a suo giudizio Sebastian avrebbe fatto meglio a fermarsi un anno per sistemare le cose, e chiedersi cosa vuole ancora, visto che possibilit&agrave; per lui per il 2022 ce ne sarebbero comunque state. Ecco, quindi, che il Gp del Made in Italy e dell&rsquo;Emilia Romagna (in programma domenica prossima 18 Aprile ad Imola) potrebbe quasi trasformarsi in un primo banco di prova per Sebastian Vettel, gi&agrave; sotto pressione per l&rsquo;arrivo di Hulkenberg, e che non a caso in queste ore ha dichiarato di non vedere l&rsquo;ora di entrare in azione sul circuito del Santerno, pista molto diversa da quella del Bahrain, con la possibilit&agrave; di poter ovviamente valutare gli sviluppi aerodinamici previsti per questa prima tappa europea che potrebbe quindi rilanciare il quattro volte campione del mondo. Nel caso anche la gara di Imola dovesse voltare le spalle al campione tedesco ex Ferrari, ecco che allora le quotazioni di Hulkenberg per il 2022 potrebbero piano piano risalire. Quello che il 33enne pilota tedesco di Emmerich am Rhein sogna di vero cuore, al fine di poter tornare a trovare un suo spazio fisso in Formula 1.

        Una scelta prevedibile che rischia di assumere un significato piuttosto particolare alla luce dell&rsquo;andamento della prima gara di campionato in Bahrain. Nico Hulkenberg nei giorni scorsi &egrave; stato ufficializzato dall&rsquo;Aston Martin (tramite l&rsquo;hashtag Hulkenback) come riserva, nonch&eacute; pilota di sviluppo al simulatore.  Welcome home, @HulkHulkenberg. Here's everything you need to know about the Hulk's new role as reserve and development driver for the 2021 season. #Hulkenback  &mdash; Aston Martin Cognizant F1 Team (@AstonMartinF1) April 8, 2021    Si rinnova, quindi, ancora una volta il legame tra la squadra guidata al muretto da Ottmar Szafnauer e il 33enne pilota tedesco di Emmerich am Rhein, iniziato nel 2012 quando la squadra si chiamava Force India e proseguito poi nel triennio 2014-2016, salvo poi tornare a riaccendersi lo scorso anno quando Hulkenberg (appiedato al termine della stagione 2019 dalla Renault) &egrave; stato richiamato d&rsquo;urgenza dalla sua ex squadra per sostituire rispettivamente Sergio Perez (nel Gp di Gran Bretagna e nel Gp del 70&deg; Anniversario a Silverstone) e Lance Stroll (nel Gp dell&rsquo;Eifel, corso sul circuito del N&uuml;rburgring) causa Covid. Se nel corso del Gp di Gran Bretagna Hulkenberg di fatto non ha potuto prendere il via alla gara a causa di un problema alla power unit, nel Gp del 70&deg; Anniversario e nel Gp dell&rsquo;Eifel il pilota tedesco non ha mancato di fornire delle preziosissime indicazioni alla squadra, utili a definire la direzione degli sviluppi. Da qui la decisione di richiamarlo anche quest&rsquo;anno non tanto a gettone, ma con un ruolo pi&ugrave; fisso, in modo da poter aiutare la squadra a superare un avvio di campionato pi&ugrave; complicato del previsto, potendo contare sulla sua esperienza, e sulla sua velocit&agrave; a sapersi adattare prontamente alla monoposto, capendone subito pregi e difetti. Una scelta, quella di richiamare in servizio Hulkenberg come terzo pilota che potrebbe esser legata al futuro di Sebastian Vettel. Quando lo scorso Settembre la scuderia di Lawrence Stroll aveva di fatto appiedato Sergio Perez (approdato poi in Red Bull) a favore del campione di Heppenheim, tutti si aspettavano che Vettel potesse mettere a disposizione dell&rsquo;Aston Martin tutta la sua esperienza in modo tale da consentire alla squadra di fare un deciso passo in avanti, e al contempo aiutare Lance Stroll nel suo progressivo percorso di crescita all&rsquo;interno del Circus. Nella prima gara corsa in Bahrain, purtroppo, abbiamo visto il fratello gemello del Vettel emerso la scorsa stagione in Ferrari: un pilota in evidente difficolt&agrave; con la propria monoposto al punto da non riuscirne a controllare a pieno il retrotreno. A questo poi si aggiunga non solo il mancato rispetto delle bandiere gialle in qualifica (costatogli tre punti in Superlicenza, e una partenza del fondo dello schieramento), ma addirittura nel finale di gara un tamponamento ai danni dell&rsquo;Alpine di Esteban Ocon (costato al campione tedesco altri due punti in Superlicenza, oltre a una penalit&agrave; di dieci secondi aggiunti al distacco finale). Insomma, un esordio da dimenticare che certamente non era quello che in Aston Martin si aspettavano, al termine di una gara che ha visto il tanto criticato Stroll conquistare il primo punto storico del celebre marchio inglese in Formula 1. A difesa del campione di Heppenheim occorre sottolineare che con una sola giornata e mezzo di test &egrave; molto difficile prendere confidenza con una nuova monoposto. Impossibile se poi si verificano dei problemi tecnici. Lo stesso Vettel, inoltre, in un&rsquo;intervista rilasciata pochi giorni dopo la gara del Bahrain aveva rivelato di non sentirsi ancora in macchina come fosse a casa, confessando di aver dovuto combattere contro alcune cose che non gli consentivano di potersi concentrare a pieno sulla sola guida. Il tutto mentre qualche giorno fa il consigliere Red Bull Helmut Marko nel corso di un&rsquo;intervista ha dichiarato che a suo giudizio Sebastian avrebbe fatto meglio a fermarsi un anno per sistemare le cose, e chiedersi cosa vuole ancora, visto che possibilit&agrave; per lui per il 2022 ce ne sarebbero comunque state. Ecco, quindi, che il Gp del Made in Italy e dell&rsquo;Emilia Romagna (in programma domenica prossima 18 Aprile ad Imola) potrebbe quasi trasformarsi in un primo banco di prova per Sebastian Vettel, gi&agrave; sotto pressione per l&rsquo;arrivo di Hulkenberg, e che non a caso in queste ore ha dichiarato di non vedere l&rsquo;ora di entrare in azione sul circuito del Santerno, pista molto diversa da quella del Bahrain, con la possibilit&agrave; di poter ovviamente valutare gli sviluppi aerodinamici previsti per questa prima tappa europea che potrebbe quindi rilanciare il quattro volte campione del mondo. Nel caso anche la gara di Imola dovesse voltare le spalle al campione tedesco ex Ferrari, ecco che allora le quotazioni di Hulkenberg per il 2022 potrebbero piano piano risalire. Quello che il 33enne pilota tedesco di Emmerich am Rhein sogna di vero cuore, al fine di poter tornare a trovare un suo spazio fisso in Formula 1.       

La scuderia inglese (ex Racing Point) ha ufficializzato nei giorni scorsi l&rsquo;ingaggio del 33enne pilota tedesco come riserva. Una scelta apparsa da una parte doverosa visto il buon lavoro fatto da Hulkenberg lo scorso anno nelle occasioni in cui ha sostituito Perez e Stroll causa Covid, dall&rsquo;altra una sorta di richiamo nei confronti di Sebastian Vettel, in difficolt&agrave; nella prima gara in Bahrain.

Hulkenberg e il ruolo di terzo pilota in Aston Martin

Dopo aver descritto tecnicamente nei giorni scorsi Mercedes, Ferrari e Red Bull, in questo articolo ci occupiamo di quelle monoposto che lo scorso anno hanno ben impressionato nel gruppo di medio-alta classifica, e che sono fortemente attese dagli appassionati: stiamo parlando di McLaren, Aston Martin, Alpine e dell&rsquo;Alpha Tauri. MCLAREN MCL35M La McLaren MCL35M non solo &egrave; stata la prima monoposto a venir presentata, ma a differenza delle altre &egrave; quella che presenta le maggiori modifiche in quanto a partire da quest&rsquo;anno il team di Woking torna ad essere motorizzato dalla Mercedes. Ci&ograve; ha comportato una riprogettazione del retrotreno (che nell&rsquo;ultimo triennio aveva ospitato la power unit Renault) in modo da poterlo pi&ugrave; adattare alle esigenze della power unit tedesca, potendo ovviamente contare su delle deroghe regolamentari previste in questi casi e senza spendere alcun gettone. Andando ad analizzare tecnicamente la monoposto progettata da James Key, l&rsquo;ala anteriore conferma la filosofia outwash, mentre il muso si conferma stretto. Di nuova concezione il cape, che sembra confluire il flusso verso i turning vanes posti sotto al telaio. La sospensione anteriore mantiene lo schema push-rod, e conferma entrambi i triangoli posti in alto rispetto alle altre monoposto che presentano triangoli disassati. Il bracket sembra per&ograve; pi&ugrave; arcuato. Di nuova concezione la presa dei freni anteriori. I badgeboard risultano molto pi&ugrave; semplificati rispetto ad altre monoposto. Resta il boomerang superiore, mentre quello inferiore &egrave; sostituito da una struttura costituita da tre elementi verticali che ricorda quasi gli aghi di un pettine. Spostandoci sul centro vettura, gli specchietti si presentano carenati da un profilo aggiuntivo posto in alto. Le bocche dei radiatori sono poste in alto sopra al cono anti-intrusione laterale. Sopra di esse vediamo un profilo per lato, la cui funzione &egrave; quella di convogliare il flusso d'aria verso l'ala posteriore. Presenti ai lati delle fiancate delle griglie, la cui funzione dovrebbe essere quella di smaltire il calore del motore Mercedes. L'airbox &egrave; chiaramente di scuola Mercedes, di forma ovale suddiviso in tre parti. <blockquote class="twitter-tweet"> The <a href="https://twitter.com/hashtag/MCL35M?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw">#MCL35M</a> from all angles. Ready to <a href="https://twitter.com/hashtag/SendIt?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw">#SendIt</a> <a href="https://t.co/RXP0O1AxKA">pic.twitter.com/RXP0O1AxKA</a> &mdash; McLaren (@McLarenF1) <a href="https://twitter.com/McLarenF1/status/1361401658924793879?ref_src=twsrc%5Etfw">February 15, 2021</a></blockquote> <script async="" src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script> Pance profondamente rastremate per la McLaren con il chiaro intento di ridurre la resistenza all&rsquo;avanzamento, e di indirizzare il flusso verso il fondo della monoposto. La pinna si presenta con dimensioni piuttosto modeste rispetto ad altre monoposto. La sospensione posteriore mantiene lo schema pull-rod. L'ala posteriore &egrave; sorretta dal doppio pilone a collo di cigno, in mezzo al quale troviamo lo scarico centrale. Una monoposto, la MCL35M che nei test invernali ha profondamente impressionato sia con il neo arrivato Daniel Ricciardo, sia con il riconfermato Lando Norris, e che punta chiaramente alla riconferma del terzo posto in Classifica Costruttori. Le premesse ci sono tutte, se riuscir&agrave; o meno sar&agrave; solo la pista a dirlo. ASTON MARTIN AMR21 Una monoposto apparentemente simile alla Mercedes, ma con delle differenze. Cos&igrave; si presenta l&rsquo;Aston Martin AMR21 affidata a Sebatian Vettel e Lance Stroll nella stagione che vede il rientro in Formula 1 dopo 61 anni del celebre marchio inglese (che prende il posto della Racing Point, di cui eredita per&ograve; lo staff tecnico, essendo entrambi i marchi di propriet&agrave; del multimiliardario canadese Lawrence Stroll). Le analogie con la Mercedes si possono gi&agrave; apprezzare a partire dal muso stretto, identico a quello della passata stagione, cos&igrave; come per quanto riguarda il cape. L&rsquo;ala anteriore segue la filosofia outwash (come dimostra l&rsquo;ultimo flap con bordo d&rsquo;uscita svergolato simil Ferrari), con la paratia laterale simil Mercedes. La presa dei freni &egrave; identica a quella della passata stagione, al pari di sospensione anteriore e S-duct, con tanto di corna ai lati per convogliare il flusso verso il fondo. Spostandoci verso la zona centrale della monoposto, il deviatore di flusso &egrave; sorretto dal cono d&rsquo;intrusione laterale, a cui si attacca un deflettore verticale, sulla cui sommit&agrave; troviamo un&rsquo;appendice orizzontale svergolata e attaccata al profilo principale. Per quanto riguarda i badgeboard, dai tre deviatori di flusso verticali vediamo slanciarsi due boomerang di differente lunghezza: uno pi&ugrave; esteso attaccato al deviatore di flusso pi&ugrave; lontano, l&rsquo;altro al deviatore di flusso pi&ugrave; vicino. I due boomerang sono agganciati alla tapparella(costituita da cinque elementi orizzontali), la quale sembra agganciata al suddetto deviatore di flusso verticale, sorretto dal cono anti intrusione. Le bocche dei radiatori sono poste in alto come la passata stagione, e presentano un&rsquo;apertura aggiuntiva sotto la bocca principale, differenziandosi cos&igrave; da quelle Mercedes. L&rsquo;airbox risulta identico a quello della scorsa stagione. Le fiancate si presentano piuttosto rastremate, con le pance scoscese verso il fondo al fine di richiamare l&rsquo;effetto Coanda, spingendo cos&igrave; i flussi verso l&rsquo;ala posteriore, ma anche verso il fondo della monoposto. Nel corso dei test precampionato l&rsquo;Aston Martin ha presentato il nuovo fondo, il cui pavimento ricorda molto quello Mercedes nonostante sia caratterizzato da tre canali di espansione del flusso (e non quattro come sulla W12) ma di dimensioni maggiori, e dalla presenza di quattro generatori di vortici. La sospensione posteriore conferma lo schema pull-rod, non &egrave; presente la T-Wing, mentre per quanto riguarda l&rsquo;ala posteriore sembra sostanzialmente identica a quella della passata stagione, sorretta dal doppio pilone a collo di cigno. ALPINE A521 L&rsquo;Alpine (squadra che ha preso il posto della Renault) si presenta al via della nuova stagione forte del ritorno in Formula 1 di Fernando Alonso e della riconferma di Esteban Ocon, ma con una monoposto (l&rsquo;Alpine 521) con una livrea molto bella, ma tecnicamente parlando identica alla R.S.20 della passata stagione. L&rsquo;ala anteriore (filosofia upwash) &egrave; pressoch&egrave; identica alla Renault 2020 al pari del muso, stretto e di forma ogivale. L&rsquo;unica novit&agrave; rilevabile in questa zona viene dal cape, il quale sembra orientare i flussi ai lati della scocca, e non sotto il fondo come avviene in altre monoposto. La sospensione anteriore conferma lo schema push-rod, e si presenta disassata, con il triangolo superiore posto pi&ugrave; in alto rispetto allo schema tradizionale, con il puntone agganciato al montante e non al triangolo inferiore. L&rsquo;unica differenza rilevabile ad occhio rispetto alla R.S.20 della passata stagione riguarda il bracket che solleva il triangolo superiore, leggermente inclinato verso l&rsquo;esterno. La presa d&rsquo;aria dei freni anteriore sembra identica a quella della R.S.20, mentre ai lati dell&rsquo;S-Duct &egrave; confermata la presenza delle due corna, di scuola Red Bull. La zona dei badgeboard sembra identica a quella della passata stagione, con la presenza del doppio boomerang, e dei tre generatori di vortice posti perpendicolarmente alla base. A fianco troviamo il deviatore di flusso laterale, che presenta la ormai famigerata tapparella, costituita da cinque elementi orizzontali. Anche l&rsquo;Alpine A521 presenta gli specchietti carenati, mentre l&rsquo;airbox di forma circolare presenta al suo interno ben cinque elementi, e sottende a un&rsquo;ulteriore apertura inferiore, divisa in altri due elementi, quasi come se il motore Renault richiedesse maggiori aperture per rinfrescarsi. Le bocche dei radiatori sembrano essere rivolte verso l'alto, poste sopra al cono anti-intrusione laterale. Le fiancate sembrano essere meno rastremate rispetto alla scorsa stagione, e le pance non presentano l&rsquo;andatura a scendere che abbiamo visto ad esempio sulla Red Bull, denotando cos&igrave; uno scarso interesse nel cercare l&rsquo;effetto Coanda. La pinna presenta una dimensione maggiore rispetto alle altre monoposto. La sospensione posteriore conferma lo schema pull-rod. L&rsquo;ala posteriore &egrave; sorretta dal doppio pilone a collo di cigno, il quale per&ograve; appare particolarmente sottile e divaricato quasi a formare una V. In mezzo troviamo lo scarico centrale. Assetto Rake picchiato sull'anteriore. ALPHA TAURI AT02 Entrare nella top 5 per quanto riguarda la Classifica Costruttori. Questo l&rsquo;obiettivo dell&rsquo;Alpha Tauri che si presenta al via del Mondiale 2021 forte della vittoria conseguita lo scorso anno a Monza con Pierre Gasly, consapevole del talento dei suoi piloti (con il rookie giapponese Yuki Tsunoda che ha molto ben impressionato nei test precampionato assieme al gi&agrave; citato Gasly), e con la certezza di aver ulteriormente innalzato la qualit&agrave; della propria monoposto in maniera autonoma, senza appoggiarsi al know-how della casa madre Red Bull. Da qui ad esempio la scelta di non utilizzare il retrotreno della RB16B, ma di confermare quello gi&agrave; visto sulla AT01 della passata stagione, preferendo spendere i due gettoni a disposizione sull&rsquo;anteriore. Andando pi&ugrave; nei dettagli, la AT02 se durante la Presentazione ha mostrato un muso identico a quello della passata stagione, nel corso dello shakedown svoltosi ad Imola e durante i test precampionato del Bahrain &egrave; scesa in pista con un muso stretto di nuova concezione mantenendo per&ograve; una distanza piuttosto ampia tra i piloni di sostegno dell&rsquo;ala anteriore, in modo da far gi&agrave; passare il flusso all&rsquo;interno degli stessi. Di nuova concezione sia la presa d&rsquo;aria dei freni anteriore, sia sopratutto la sospensione anteriore (che conferma lo schema push-rod): il piantone sembra posto pi&ugrave; in alto ed &egrave; maggiormente inclinato, con il braccio dello sterzo che ora si trova tra il triangolo superiore e quello inferiore. Confermata la presenza di uno scalino all'altezza dell'S-Duct che ricorda non poco i musi privi di vanity panel adottati nella stagione 2012. <blockquote class="twitter-tweet"> dropping the AT(oh!)2 like it's hot full hi-res gallery <a href="https://t.co/gRgNFe3K2w">https://t.co/gRgNFe3K2w</a> <a href="https://t.co/t00lN1BjGA">pic.twitter.com/t00lN1BjGA</a> &mdash; Scuderia AlphaTauri (@AlphaTauriF1) <a href="https://twitter.com/AlphaTauriF1/status/1362674500505116674?ref_src=twsrc%5Etfw">February 19, 2021</a></blockquote> <script async="" src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script> Nuovi anche i badgeboard, con il doppio boomerang che va ad ancorarsi al deviatore di flusso pi&ugrave; piccolo, collegato a quello pi&ugrave; grande grazie a una griglia simil tapparella, costituita da cinque elementi orizzontali. Passando alla zona centrale della monoposto, gli specchietti sono carenati da un profilo aggiuntivo nella parte superiore, il cui scopo &egrave; quello di pulire il flusso e al contempo garantire una minore resistenza all'avanzamento. Le bocche dei radiatori sono anche in questo caso rivolte verso l'alto trovandosi sopra al cono anti intrusione laterale. L'airscope &egrave; di forma ogivale, ed &egrave; diviso in due parti da un profilo orizzontale. Le fiancate sembrano leggermente pi&ugrave; rastremate rispetto alla scorsa stagione, e sembrano voler sfruttare l&rsquo;effetto Coanda. Passando al retrotreno,l&rsquo;ala posteriore a differenza dello scorso anno &egrave; sorretta dal doppio pilone a collo di cigno. La sospensione posteriore &egrave; di tipo pull-rod. La doppia valvola wastegate, come lo scorso anno, &egrave; collocata sotto al triangolo superiore della sospensione posteriore. Una scelta, questa, volta a indirizzare i gas caldi verso il diffusore, andando cos&igrave; a generare maggior carico sul posteriore.

        Dopo aver descritto tecnicamente nei giorni scorsi Mercedes, Ferrari e Red Bull, in questo articolo ci occupiamo di quelle monoposto che lo scorso anno hanno ben impressionato nel gruppo di medio-alta classifica, e che sono fortemente attese dagli appassionati: stiamo parlando di McLaren, Aston Martin, Alpine e dell&rsquo;Alpha Tauri. MCLAREN MCL35M La McLaren MCL35M non solo &egrave; stata la prima monoposto a venir presentata, ma a differenza delle altre &egrave; quella che presenta le maggiori modifiche in quanto a partire da quest&rsquo;anno il team di Woking torna ad essere motorizzato dalla Mercedes. Ci&ograve; ha comportato una riprogettazione del retrotreno (che nell&rsquo;ultimo triennio aveva ospitato la power unit Renault) in modo da poterlo pi&ugrave; adattare alle esigenze della power unit tedesca, potendo ovviamente contare su delle deroghe regolamentari previste in questi casi e senza spendere alcun gettone. Andando ad analizzare tecnicamente la monoposto progettata da James Key, l&rsquo;ala anteriore conferma la filosofia outwash, mentre il muso si conferma stretto. Di nuova concezione il cape, che sembra confluire il flusso verso i turning vanes posti sotto al telaio. La sospensione anteriore mantiene lo schema push-rod, e conferma entrambi i triangoli posti in alto rispetto alle altre monoposto che presentano triangoli disassati. Il bracket sembra per&ograve; pi&ugrave; arcuato. Di nuova concezione la presa dei freni anteriori.  I badgeboard risultano molto pi&ugrave; semplificati rispetto ad altre monoposto. Resta il boomerang superiore, mentre quello inferiore &egrave; sostituito da una struttura costituita da tre elementi verticali che ricorda quasi gli aghi di un pettine. Spostandoci sul centro vettura, gli specchietti si presentano carenati da un profilo aggiuntivo posto in alto. Le bocche dei radiatori sono poste in alto sopra al cono anti-intrusione laterale. Sopra di esse vediamo un profilo per lato, la cui funzione &egrave; quella di convogliare il flusso d'aria verso l'ala posteriore. Presenti ai lati delle fiancate delle griglie, la cui funzione dovrebbe essere quella di smaltire il calore del motore Mercedes. L'airbox &egrave; chiaramente di scuola Mercedes, di forma ovale suddiviso in tre parti.  The #MCL35M from all angles. Ready to #SendIt  pic.twitter.com/RXP0O1AxKA &mdash; McLaren (@McLarenF1) February 15, 2021    Pance profondamente rastremate per la McLaren con il chiaro intento di ridurre la resistenza all&rsquo;avanzamento, e di indirizzare il flusso verso il fondo della monoposto. La pinna si presenta con dimensioni piuttosto modeste rispetto ad altre monoposto. La sospensione posteriore mantiene lo schema pull-rod. L'ala posteriore &egrave; sorretta dal doppio pilone a collo di cigno, in mezzo al quale troviamo lo scarico centrale. Una monoposto, la MCL35M che nei test invernali ha profondamente impressionato sia con il neo arrivato Daniel Ricciardo, sia con il riconfermato Lando Norris, e che punta chiaramente alla riconferma del terzo posto in Classifica Costruttori. Le premesse ci sono tutte, se riuscir&agrave; o meno sar&agrave; solo la pista a dirlo. ASTON MARTIN AMR21  Una monoposto apparentemente simile alla Mercedes, ma con delle differenze. Cos&igrave; si presenta l&rsquo;Aston Martin AMR21 affidata a Sebatian Vettel e Lance Stroll nella stagione che vede il rientro in Formula 1 dopo 61 anni del celebre marchio inglese (che prende il posto della Racing Point, di cui eredita per&ograve; lo staff tecnico, essendo entrambi i marchi di propriet&agrave; del multimiliardario canadese Lawrence Stroll). Le analogie con la Mercedes si possono gi&agrave; apprezzare a partire dal muso stretto, identico a quello della passata stagione, cos&igrave; come per quanto riguarda il cape. L&rsquo;ala anteriore segue la filosofia outwash (come dimostra l&rsquo;ultimo flap con bordo d&rsquo;uscita svergolato simil Ferrari), con la paratia laterale simil Mercedes. La presa dei freni &egrave; identica a quella della passata stagione, al pari di sospensione anteriore e S-duct, con tanto di corna ai lati per convogliare il flusso verso il fondo. Spostandoci verso la zona centrale della monoposto, il deviatore di flusso &egrave; sorretto dal cono d&rsquo;intrusione laterale, a cui si attacca un deflettore verticale, sulla cui sommit&agrave; troviamo un&rsquo;appendice orizzontale svergolata e attaccata al profilo principale. Per quanto riguarda i badgeboard, dai tre deviatori di flusso verticali vediamo slanciarsi due boomerang di differente lunghezza: uno pi&ugrave; esteso attaccato al deviatore di flusso pi&ugrave; lontano, l&rsquo;altro al deviatore di flusso pi&ugrave; vicino. I due boomerang sono agganciati alla tapparella(costituita da cinque elementi orizzontali), la quale sembra agganciata al suddetto deviatore di flusso verticale, sorretto dal cono anti intrusione. Le bocche dei radiatori sono poste in alto come la passata stagione, e presentano un&rsquo;apertura aggiuntiva sotto la bocca principale, differenziandosi cos&igrave; da quelle Mercedes. L&rsquo;airbox risulta identico a quello della scorsa stagione.Le fiancate si presentano piuttosto rastremate, con le pance scoscese verso il fondo al fine di richiamare l&rsquo;effetto Coanda, spingendo cos&igrave; i flussi verso l&rsquo;ala posteriore, ma anche verso il fondo della monoposto. Nel corso dei test precampionato l&rsquo;Aston Martin ha presentato il nuovo fondo, il cui pavimento ricorda molto quello Mercedes nonostante sia caratterizzato da tre canali di espansione del flusso (e non quattro come sulla W12) ma di dimensioni maggiori, e dalla presenza di quattro generatori di vortici. La sospensione posteriore conferma lo schema pull-rod, non &egrave; presente la T-Wing, mentre per quanto riguarda l&rsquo;ala posteriore sembra sostanzialmente identica a quella della passata stagione, sorretta dal doppio pilone a collo di cigno. ALPINE A521  L&rsquo;Alpine (squadra che ha preso il posto della Renault) si presenta al via della nuova stagione forte del ritorno in Formula 1 di Fernando Alonso e della riconferma di Esteban Ocon, ma con una monoposto (l&rsquo;Alpine 521) con una livrea molto bella, ma tecnicamente parlando identica alla R.S.20 della passata stagione. L&rsquo;ala anteriore (filosofia upwash) &egrave; pressoch&egrave; identica alla Renault 2020 al pari del muso, stretto e di forma ogivale. L&rsquo;unica novit&agrave; rilevabile in questa zona viene dal cape, il quale sembra orientare i flussi ai lati della scocca, e non sotto il fondo come avviene in altre monoposto. La sospensione anteriore conferma lo schema push-rod, e si presenta disassata, con il triangolo superiore posto pi&ugrave; in alto rispetto allo schema tradizionale, con il puntone agganciato al montante e non al triangolo inferiore. L&rsquo;unica differenza rilevabile ad occhio rispetto alla R.S.20 della passata stagione riguarda il bracket che solleva il triangolo superiore, leggermente inclinato verso l&rsquo;esterno. La presa d&rsquo;aria dei freni anteriore sembra identica a quella della R.S.20, mentre ai lati dell&rsquo;S-Duct &egrave; confermata la presenza delle due corna, di scuola Red Bull.  La zona dei badgeboard sembra identica a quella della passata stagione, con la presenza del doppio boomerang, e dei tre generatori di vortice posti perpendicolarmente alla base. A fianco troviamo il deviatore di flusso laterale, che presenta la ormai famigerata tapparella, costituita da cinque elementi orizzontali. Anche l&rsquo;Alpine A521 presenta gli specchietti carenati, mentre l&rsquo;airbox di forma circolare presenta al suo interno ben cinque elementi, e sottende a un&rsquo;ulteriore apertura inferiore, divisa in altri due elementi, quasi come se il motore Renault richiedesse maggiori aperture per rinfrescarsi. Le bocche dei radiatori sembrano essere rivolte verso l'alto, poste sopra al cono anti-intrusione laterale. Le fiancate sembrano essere meno rastremate rispetto alla scorsa stagione, e le pance non presentano l&rsquo;andatura a scendere che abbiamo visto ad esempio sulla Red Bull, denotando cos&igrave; uno scarso interesse nel cercare l&rsquo;effetto Coanda. La pinna presenta una dimensione maggiore rispetto alle altre monoposto.  La sospensione posteriore conferma lo schema pull-rod. L&rsquo;ala posteriore &egrave; sorretta dal doppio pilone a collo di cigno, il quale per&ograve; appare particolarmente sottile e divaricato quasi a formare una V. In mezzo troviamo lo scarico centrale. Assetto Rake picchiato sull'anteriore. ALPHA TAURI AT02  Entrare nella top 5 per quanto riguarda la Classifica Costruttori. Questo l&rsquo;obiettivo dell&rsquo;Alpha Tauri che si presenta al via del Mondiale 2021 forte della vittoria conseguita lo scorso anno a Monza con Pierre Gasly, consapevole del talento dei suoi piloti (con il rookie giapponese Yuki Tsunoda che ha molto ben impressionato nei test precampionato assieme al gi&agrave; citato Gasly), e con la certezza di aver ulteriormente innalzato la qualit&agrave; della propria monoposto in maniera autonoma, senza appoggiarsi al know-how della casa madre Red Bull. Da qui ad esempio la scelta di non utilizzare il retrotreno della RB16B, ma di confermare quello gi&agrave; visto sulla AT01 della passata stagione, preferendo spendere i due gettoni a disposizione sull&rsquo;anteriore. Andando pi&ugrave; nei dettagli, la AT02 se durante la Presentazione ha mostrato un muso identico a quello della passata stagione, nel corso dello shakedown svoltosi ad Imola e durante i test precampionato del Bahrain &egrave; scesa in pista con un muso stretto di nuova concezione mantenendo per&ograve; una distanza piuttosto ampia tra i piloni di sostegno dell&rsquo;ala anteriore, in modo da far gi&agrave; passare il flusso all&rsquo;interno degli stessi. Di nuova concezione sia la presa d&rsquo;aria dei freni anteriore, sia sopratutto la sospensione anteriore (che conferma lo schema push-rod): il piantone sembra posto pi&ugrave; in alto ed &egrave; maggiormente inclinato, con il braccio dello sterzo che ora si trova tra il triangolo superiore e quello inferiore. Confermata la presenza di uno scalino all'altezza dell'S-Duct che ricorda non poco i musi privi di vanity panel adottati nella stagione 2012.  dropping the AT(oh!)2 like it's hot  full hi-res gallery  https://t.co/gRgNFe3K2w pic.twitter.com/t00lN1BjGA &mdash; Scuderia AlphaTauri (@AlphaTauriF1) February 19, 2021    Nuovi anche i badgeboard, con il doppio boomerang che va ad ancorarsi al deviatore di flusso pi&ugrave; piccolo, collegato a quello pi&ugrave; grande grazie a una griglia simil tapparella, costituita da cinque elementi orizzontali. Passando alla zona centrale della monoposto, gli specchietti sono carenati da un profilo aggiuntivo nella parte superiore, il cui scopo &egrave; quello di pulire il flusso e al contempo garantire una minore resistenza all'avanzamento. Le bocche dei radiatori sono anche in questo caso rivolte verso l'alto trovandosi sopra al cono anti intrusione laterale. L'airscope &egrave; di forma ogivale, ed &egrave; diviso in due parti da un profilo orizzontale. Le fiancate sembrano leggermente pi&ugrave; rastremate rispetto alla scorsa stagione, e sembrano voler sfruttare l&rsquo;effetto Coanda. Passando al retrotreno,l&rsquo;ala posteriore a differenza dello scorso anno &egrave; sorretta dal doppio pilone a collo di cigno. La sospensione posteriore &egrave; di tipo pull-rod. La doppia valvola wastegate, come lo scorso anno, &egrave; collocata sotto al triangolo superiore della sospensione posteriore. Una scelta, questa, volta a indirizzare i gas caldi verso il diffusore, andando cos&igrave; a generare maggior carico sul posteriore.       

Scopriamo le caratteristiche tecniche delle monoposto 2021 fortemente attese al via del campionato dopo aver ben impressionato lo scorso anno.

Monoposto F1 2021: McLaren, Aston Martin, Alpine e Alpha Tauri

Un&rsquo;attesa lunga sessantuno anni. Dopo esser stato nelle ultime tre stagioni title sponsor del team Red Bull, Aston Martin torna a pieno titolo in Formula 1 come team costruttore dopo aver disputato i Mondiali 1959 e 1960. Il team britannico subentra alla Racing Point potendo contare non solo sullo stesso proprietario (il multimiliardario canadese Lawrence Stroll) ma anche sulla stessa struttura che aveva consentito al team in rosa di conquistare lo scorso anno il quarto posto nella Classifica Costruttori, nonch&eacute; di vincere con Sergio Perez il Gp del Sakhir. Una sfida impegnativa, quella nelle mani del Team Principal Ottmar Szafnauer: da una parte consolidare possibilmente migliorando i gi&agrave; positivi risultati della scorsa stagione potendo contare su un pilota di assoluta esperienza come Sebastian Vettel (che andr&agrave; ad affiancare il riconfermato Lance Stroll) nonch&eacute; su una buona monoposto simile per non dire identica alla Mercedes; dall&rsquo;altra rendere giustizia a un marchio iconico nel mondo dell&rsquo;automobilismo che nella sua precedente avventura in Formula 1 come vedremo, non aveva ottenuto dei risultati particolarmente significativi. <blockquote class="twitter-tweet"> We're delighted to announce a multi-year title partnership with <a href="https://twitter.com/Cognizant?ref_src=twsrc%5Etfw">@Cognizant</a>. Discover how Cognizant, one of the world's leading IT brands, will play a key role in empowering the team as we take to the grid later this year ??<a href="https://t.co/8Fo1ahSq8h">https://t.co/8Fo1ahSq8h</a><a href="https://twitter.com/hashtag/BeCognizant?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw">#BeCognizant</a> <a href="https://twitter.com/hashtag/IAMF1?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw">#IAMF1</a> <a href="https://t.co/GVB5XHjnaT">pic.twitter.com/GVB5XHjnaT</a> &mdash; Aston Martin Cognizant F1 Team (@AstonMartinF1) <a href="https://twitter.com/AstonMartinF1/status/1347182150358097923?ref_src=twsrc%5Etfw">January 7, 2021</a></blockquote> <script async="" src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script> Altro motivo d&rsquo;interesse relativo al ritorno dell&rsquo;Aston Martin in Formula 1 &egrave; senza ombra di dubbio legato al colore della livrea, che a differenza delle ultime stagioni targate Racing Point non sar&agrave; pi&ugrave; rosa, ma verde british (come peraltro si intuisce non solo dal colore del logo, ma anche dal teaser della livrea utilizzato per anticipare in queste ore il nuovo title sponsor, Cognizant), riportando cos&igrave; in auge una tonalit&agrave; di colore che per anni ha caratterizzato le macchine inglesi impegnate nelle corse automobilistiche, e che Aston Martin ha sempre fatto suo sin dalle prime gare. LA NASCITA DELL&rsquo;ASTON MARTIN E UN SOGNO CHIAMATO FORMULA 1. Lottare per il titolo mondiale, sfidando un mito per eccellenza come la Ferrari, cos&igrave; come Maserati e Vanwall. Con questo presupposto nella seconda met&agrave; degli anni 50 l&rsquo;Aston Martin decide di approdare in Formula 1 con una monoposto, la DBR4, che, come vedremo, purtroppo, per una serie di circostanze non render&agrave; merito agli sforzi profusi dall&rsquo;azienda all&rsquo;epoca guidata da David Brown, nata nel 1913 grazie alla volont&agrave; del meccanico Robert Bamford e del pilota Lionel Martin, i quali fondano la &ldquo;Bamford &amp; Martin, una concessionaria di automobili prodotte e realizzate dalla britannica Singer. Nel 1914 Bamford e Martin decidono di partecipare con un prototipo da loro realizzato (adattando un motore Coventry Simplex a un telaio Isotta Fraschini) alla cronoscalata Londra-Aston Clinton aggiudicandosi la corsa. In seguito alla vittoria i due soci decideranno di celebrare il successo ottenuto nella cronoscalata in primis chiamando il loro prototipo Aston Martin, e poi manifestando l&rsquo;intenzione di progettare delle nuove vetture sportive. Purtroppo lo scoppio della prima guerra mondiale obbligher&agrave; Bamford e Martin a posticipare la loro idea una volta finito il conflitto, in un periodo che si riveler&agrave; essere piuttosto difficile sotto il profilo economico, con Bamford che lascer&agrave; la societ&agrave; nel 1920 e con Martin molto vicino a farlo, salvo poi venir affiancato dal pilota e nobile franco-polacco Luis Vorov Zborowski. Con i nuovi capitali nell&rsquo;arco di due anni vengono presentati i primi modelli, senza per&ograve; ottenere dei significativi risultati sportivi al punto che dopo quattro anni di agonia nel 1926 la Bamford &amp; Martin viene dichiarata fallita, con Martin costretto a uscire di scena. In questo frangente, la Bamford &amp; Martin viene acquistata da Bill Renwick e da Augusto Cesare Bertelli (proprietari della ditta &ldquo;Renwick e Bertelli&rdquo;, specializzata nella produzione dei motori aeronautici), i quali stavano mettendo a punto il loro primo motore destinato a delle macchine da corsa. Renwick e Bertelli decidono cos&igrave; di cambiare nome alla Benford &amp;Martin chiamandola &ldquo;Aston Martin Limited&rdquo;, dando cos&igrave; vita a una produzione caratterizzata da automobili che si riveleranno essere piuttosto affidabili e performanti. Nel 1946 nell&rsquo;immediato secondo dopoguerra l&rsquo;Aston Martin viene acquistata dall&rsquo;imprenditore britannico David Brown (che nel 1947 acquister&agrave; anche la Lagonda). Nascono cos&igrave; in quella che viene definita l&rsquo;era Brown alcuni dei modelli che faranno la storia dell&rsquo;Aston Martin tra i quali ricordiamo nella seconda met&agrave; degli anni&lsquo;50 la DB4 ( prodotta dal 1958 al 1963) e a cui seguir&agrave; la DB5 (prodotta dal 1963 al 1965), note per esser state utilizzate nei film di James Bond. Sempre nella seconda met&agrave; degli anni&rsquo;50 (per la precisione nel 1955) emerge la volont&agrave; da parte di Aston Martin di progettare delle macchine capaci di gareggiare sia nel Campionato sportivo destinato ai prototipi, sia nella competizione motoristica per eccellenza, la Formula 1. ASTON MARTIN E IL DEBUTTO IN FORMULA 1. Aston Martin decide cos&igrave; nel 1957 di costruire una monoposto, la DBR4/250 caratterizzata da un motore aspirato montato anteriormente, che fin dalle prove in pista mostra un grandissimo potenziale, riuscendo ad equiparare le prestazioni della Maserati 250 F, capace di aggiudicarsi in quello stesso anno con Juan Manuel Fangio il titolo piloti. Tutto lascerebbe presupporre un debutto dell&rsquo;Aston Martin in Formula 1 nel 1958, ma a sorpresa il team inglese decide di aspettare ancora un anno, rinviando il debutto nel Circus alla stagione successiva, nel 1959. Una scelta che con il senno di poi si riveler&agrave; fatale. Nell&rsquo;arco della stagione 1958, infatti, grazie alle vittorie della Cooper motorizzata Climax in Argentina con Stirling Moss, e a Montecarlo con Maurice Trintignant, la Formula 1 scopre infatti una clamorosa novit&agrave;, destinata a sfociare in una vera e propria rivoluzione tecnica: il posizionamento del motore aspirato dietro il cockpit in posizione posteriore. Una soluzione, questa, che la Cooper aveva adottato sin dall&rsquo;immediato dopoguerra inserendo un motore JAP (John Alfred Prestwich) destinato alle motociclette all&rsquo;interno di un telaio derivato da una vecchia Fiat Topolino. Con questa nuova disposizione del motore, la stessa monoposto risultava essere molto pi&ugrave; agile nell&rsquo;affrontare le curve, nonch&eacute; pi&ugrave; veloce. Una soluzione, questa, che la Cooper utilizzer&agrave; in Formula 3 dal 1951 al 1954 ottenendo numerose vittorie e che porter&agrave; all&rsquo;esordio in Formula 1 nel 1953, conquistando il primo punto iridato nel Gp di Gran Bretagna 1957, grazie al quinto posto conseguito da Roy Salvadori, a cui seguiranno, come detto, le vittorie nell&rsquo;anno successivo di Moss in Argentina e di Trintignant a Montecarlo. Alla luce di questa novit&agrave; ripresa in seguito anche dalle altre squadre, l&rsquo;Aston Martin DBR4 con al volante Roy Salvadori e Carroll Shelby si presenta cos&igrave; al via del Mondiale di Formula 1 del 1959 con una monoposto tecnicamente gi&agrave; superata. Se nell&rsquo;International Trophy (gara non valida per il Mondiale) Salvadori riuscir&agrave; ad ottenere la pole position e a chiudere la gara in seconda posizione (con Shelby sesto), nelle quattro gare valide per il Mondiale disputate da Aston Martin arriveranno come migliori risultati due sesti posti con Salvadori in Gran Bretagna e Portogallo, ma anche diversi ritiri con la DBR4 che si riveler&agrave; essere una monoposto lenta e poco affidabile, che chiuder&agrave; cos&igrave; la stagione con nessun punto in classifica (all&rsquo;epoca, infatti, solamente i primi cinque classificati conquistavano dei punti validi per il Mondiale). <blockquote class="twitter-tweet"> Our last <a href="https://twitter.com/F1?ref_src=twsrc%5Etfw">@F1</a> entry came in 1960 at the British Grand Prix - who's excited for our return in 2021?<a href="https://twitter.com/hashtag/AstonMartinF1?src=hash&amp;ref_src=twsrc%5Etfw">#AstonMartinF1</a> <a href="https://t.co/YcZ2X861CE">pic.twitter.com/YcZ2X861CE</a> &mdash; Aston Martin (@astonmartin) <a href="https://twitter.com/astonmartin/status/1336592918602280962?ref_src=twsrc%5Etfw">December 9, 2020</a></blockquote> <script async="" src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script> L&rsquo;Aston Martin decide cos&igrave; di presentare per il 1960 una nuova monoposto, la DBR5, cercando di intervenire sul motore (sei cilindri in linea) inserendo una distribuzione della potenza a bialbero, e con le sospensioni indipendenti al fine di garantire una maggiore competitivit&agrave;. In quell&rsquo;anno l&rsquo;Aston Martin parteciper&agrave; solamente ad una gara: il Gp di Gran Bretagna in programma a Silverstone, che vedr&agrave; Salvadori costretto al ritiro e il neo acquisto Trintignant solo undicesimo. Alla luce delle deludenti prestazioni ottenute anche con la DBR5, l&rsquo;Aston Martin decide di lasciare il mondo della Formula 1, facendovi ritorno solo a partire da quest&rsquo;anno, con l&rsquo;obiettivo di potersi togliere con Sebastian Vettel e con Lance Stroll maggiori soddisfazioni.

        Un&rsquo;attesa lunga sessantuno anni. Dopo esser stato nelle ultime tre stagioni title sponsor del team Red Bull, Aston Martin torna a pieno titolo in Formula 1 come team costruttore dopo aver disputato i Mondiali 1959 e 1960. Il team britannico subentra alla Racing Point potendo contare non solo sullo stesso proprietario (il multimiliardario canadese Lawrence Stroll) ma anche sulla stessa struttura che aveva consentito al team in rosa di conquistare lo scorso anno il quarto posto nella Classifica Costruttori, nonch&eacute; di vincere con Sergio Perez il Gp del Sakhir. Una sfida impegnativa, quella nelle mani del Team Principal Ottmar Szafnauer: da una parte consolidare possibilmente migliorando i gi&agrave; positivi risultati della scorsa stagione potendo contare su un pilota di assoluta esperienza come Sebastian Vettel (che andr&agrave; ad affiancare il riconfermato Lance Stroll) nonch&eacute; su una buona monoposto simile per non dire identica alla Mercedes; dall&rsquo;altra rendere giustizia a un marchio iconico nel mondo dell&rsquo;automobilismo che nella sua precedente avventura in Formula 1 come vedremo, non aveva ottenuto dei risultati particolarmente significativi.  We're delighted to announce a multi-year title partnership with @Cognizant. Discover how Cognizant, one of the world's leading IT brands, will play a key role in empowering the team as we take to the grid later this year ??https://t.co/8Fo1ahSq8h#BeCognizant #IAMF1 pic.twitter.com/GVB5XHjnaT &mdash; Aston Martin Cognizant F1 Team (@AstonMartinF1) January 7, 2021    Altro motivo d&rsquo;interesse relativo al ritorno dell&rsquo;Aston Martin in Formula 1 &egrave; senza ombra di dubbio legato al colore della livrea, che a differenza delle ultime stagioni targate Racing Point non sar&agrave; pi&ugrave; rosa, ma verde british (come peraltro si intuisce non solo dal colore del logo, ma anche dal teaser della livrea utilizzato per anticipare in queste ore il nuovo title sponsor, Cognizant), riportando cos&igrave; in auge una tonalit&agrave; di colore che per anni ha caratterizzato le macchine inglesi impegnate nelle corse automobilistiche, e che Aston Martin ha sempre fatto suo sin dalle prime gare. LA NASCITA DELL&rsquo;ASTON MARTIN E UN SOGNO CHIAMATO FORMULA 1. Lottare per il titolo mondiale, sfidando un mito per eccellenza come la Ferrari, cos&igrave; come Maserati e Vanwall. Con questo presupposto nella seconda met&agrave; degli anni 50 l&rsquo;Aston Martin decide di approdare in Formula 1 con una monoposto, la DBR4, che, come vedremo, purtroppo, per una serie di circostanze non render&agrave; merito agli sforzi profusi dall&rsquo;azienda all&rsquo;epoca guidata da David Brown, nata nel 1913 grazie alla volont&agrave; del meccanico Robert Bamford e del pilota Lionel Martin, i quali fondano la &ldquo;Bamford &amp; Martin, una concessionaria di automobili prodotte e realizzate dalla britannica Singer. Nel 1914 Bamford e Martin decidono di partecipare con un prototipo da loro realizzato (adattando un motore Coventry Simplex a un telaio Isotta Fraschini) alla cronoscalata Londra-Aston Clinton aggiudicandosi la corsa. In seguito alla vittoria i due soci decideranno di celebrare il successo ottenuto nella cronoscalata in primis chiamando il loro prototipo Aston Martin, e poi manifestando l&rsquo;intenzione di progettare delle nuove vetture sportive. Purtroppo lo scoppio della prima guerra mondiale obbligher&agrave; Bamford e Martin a posticipare la loro idea una volta finito il conflitto, in un periodo che si riveler&agrave; essere piuttosto difficile sotto il profilo economico, con Bamford che lascer&agrave; la societ&agrave; nel 1920 e con Martin molto vicino a farlo, salvo poi venir affiancato dal pilota e nobile franco-polacco Luis Vorov Zborowski. Con i nuovi capitali nell&rsquo;arco di due anni vengono presentati i primi modelli, senza per&ograve; ottenere dei significativi risultati sportivi al punto che dopo quattro anni di agonia nel 1926 la Bamford &amp; Martin viene dichiarata fallita, con Martin costretto a uscire di scena. In questo frangente, la Bamford &amp; Martin viene acquistata da Bill Renwick e da Augusto Cesare Bertelli (proprietari della ditta &ldquo;Renwick e Bertelli&rdquo;, specializzata nella produzione dei motori aeronautici), i quali stavano mettendo a punto il loro primo motore destinato a delle macchine da corsa. Renwick e Bertelli decidono cos&igrave; di cambiare nome alla Benford &amp;Martin chiamandola &ldquo;Aston Martin Limited&rdquo;, dando cos&igrave; vita a una produzione caratterizzata da automobili che si riveleranno essere piuttosto affidabili e performanti. Nel 1946 nell&rsquo;immediato secondo dopoguerra l&rsquo;Aston Martin viene acquistata dall&rsquo;imprenditore britannico David Brown (che nel 1947 acquister&agrave; anche la Lagonda). Nascono cos&igrave; in quella che viene definita l&rsquo;era Brown alcuni dei modelli che faranno la storia dell&rsquo;Aston Martin tra i quali ricordiamo nella seconda met&agrave; degli anni&lsquo;50 la DB4 ( prodotta dal 1958 al 1963) e a cui seguir&agrave; la DB5 (prodotta dal 1963 al 1965), note per esser state utilizzate nei film di James Bond. Sempre nella seconda met&agrave; degli anni&rsquo;50 (per la precisione nel 1955) emerge la volont&agrave; da parte di Aston Martin di progettare delle macchine capaci di gareggiare sia nel Campionato sportivo destinato ai prototipi, sia nella competizione motoristica per eccellenza, la Formula 1. ASTON MARTIN E IL DEBUTTO IN FORMULA 1. Aston Martin decide cos&igrave; nel 1957 di costruire una monoposto, la DBR4/250 caratterizzata da un motore aspirato montato anteriormente, che fin dalle prove in pista mostra un grandissimo potenziale, riuscendo ad equiparare le prestazioni della Maserati 250 F, capace di aggiudicarsi in quello stesso anno con Juan Manuel Fangio il titolo piloti. Tutto lascerebbe presupporre un debutto dell&rsquo;Aston Martin in Formula 1 nel 1958, ma a sorpresa il team inglese decide di aspettare ancora un anno, rinviando il debutto nel Circus alla stagione successiva, nel 1959. Una scelta che con il senno di poi si riveler&agrave; fatale. Nell&rsquo;arco della stagione 1958, infatti, grazie alle vittorie della Cooper motorizzata Climax in Argentina con Stirling Moss, e a Montecarlo con Maurice Trintignant, la Formula 1 scopre infatti una clamorosa novit&agrave;, destinata a sfociare in una vera e propria rivoluzione tecnica: il posizionamento del motore aspirato dietro il cockpit in posizione posteriore. Una soluzione, questa, che la Cooper aveva adottato sin dall&rsquo;immediato dopoguerra inserendo un motore JAP (John Alfred Prestwich) destinato alle motociclette all&rsquo;interno di un telaio derivato da una vecchia Fiat Topolino. Con questa nuova disposizione del motore, la stessa monoposto risultava essere molto pi&ugrave; agile nell&rsquo;affrontare le curve, nonch&eacute; pi&ugrave; veloce. Una soluzione, questa, che la Cooper utilizzer&agrave; in Formula 3 dal 1951 al 1954 ottenendo numerose vittorie e che porter&agrave; all&rsquo;esordio in Formula 1 nel 1953, conquistando il primo punto iridato nel Gp di Gran Bretagna 1957, grazie al quinto posto conseguito da Roy Salvadori, a cui seguiranno, come detto, le vittorie nell&rsquo;anno successivo di Moss in Argentina e di Trintignant a Montecarlo. Alla luce di questa novit&agrave; ripresa in seguito anche dalle altre squadre, l&rsquo;Aston Martin DBR4 con al volante Roy Salvadori e Carroll Shelby si presenta cos&igrave; al via del Mondiale di Formula 1 del 1959 con una monoposto tecnicamente gi&agrave; superata. Se nell&rsquo;International Trophy (gara non valida per il Mondiale) Salvadori riuscir&agrave; ad ottenere la pole position e a chiudere la gara in seconda posizione (con Shelby sesto), nelle quattro gare valide per il Mondiale disputate da Aston Martin arriveranno come migliori risultati due sesti posti con Salvadori in Gran Bretagna e Portogallo, ma anche diversi ritiri con la DBR4 che si riveler&agrave; essere una monoposto lenta e poco affidabile, che chiuder&agrave; cos&igrave; la stagione con nessun punto in classifica (all&rsquo;epoca, infatti, solamente i primi cinque classificati conquistavano dei punti validi per il Mondiale).  Our last @F1 entry came in 1960 at the British Grand Prix - who's excited for our return in 2021?#AstonMartinF1 pic.twitter.com/YcZ2X861CE &mdash; Aston Martin (@astonmartin) December 9, 2020    L&rsquo;Aston Martin decide cos&igrave; di presentare per il 1960 una nuova monoposto, la DBR5, cercando di intervenire sul motore (sei cilindri in linea) inserendo una distribuzione della potenza a bialbero, e con le sospensioni indipendenti al fine di garantire una maggiore competitivit&agrave;. In quell&rsquo;anno l&rsquo;Aston Martin parteciper&agrave; solamente ad una gara: il Gp di Gran Bretagna in programma a Silverstone, che vedr&agrave; Salvadori costretto al ritiro e il neo acquisto Trintignant solo undicesimo. Alla luce delle deludenti prestazioni ottenute anche con la DBR5, l&rsquo;Aston Martin decide di lasciare il mondo della Formula 1, facendovi ritorno solo a partire da quest&rsquo;anno, con l&rsquo;obiettivo di potersi togliere con Sebastian Vettel e con Lance Stroll maggiori soddisfazioni.       

Aston Martin ha inaugurato il 2021 ufficializzando pochi istanti dopo la mezzanotte del 1&deg; Gennaio il logo del proprio team, che torna in Formula 1 dopo sessantuno anni.

Aston Martin e il ritorno in Formula 1

Un ritorno assai gradito in Formula 1. A distanza di 61 anni dall'ultima apparizione, le strade della massima serie motoristica e di Aston Martin torneranno agonisticamente parlando ad incrociarsi. Non tanto come partner tecnologico e motoristico di Red Bull, come era stato ipotizzato nel 2016, quando prese il via la partnership con la scuderia di Milton Keynes che avrebbe poi portato alla realizzazione della hypercar Valkyrie, o nel 2018 quando il celebre marchio automobilistico inglese divent&ograve; il title sponsor della scuderia austriaca, quanto con una propria squadra prendendo il posto della Racing Point. Merito del comune Presidente, il multimiliardario canadese Lawrence Stroll, che, dopo aver salvato nel 2018 assieme a una cordata di imprenditori canadesi la Force India rinominandola poi Racing Point, ha deciso di attuare la stessa operazione nei confronti dell'Aston Martin, alle prese con un difficile momento economico. Gi&agrave; da settimane cominciavano a girare delle indiscrezioni in merito al forte interesse di Lawrence Stroll per lo storico marchio automobilistico, che solo nelle ultime ore di fatto sono state ufficializzate. Secondo quanto si apprende, in questa primissima fase Stroll assieme a un consorzio di imprenditori acquisir&agrave; il 16.7% delle quote pagando una cifra quantificabile in 182 milioni di sterline (237 milioni di dollari), dopodich&egrave; lo stesso consorzio guidato dal miliardario canadese in un secondo momento metter&agrave; sulla bilancia altri 318 milioni di sterline, in modo da portare la propria presenza in Aston Martin al 20%. In virt&ugrave; di queste operazioni Lawrence Stroll entrer&agrave; a far parte del Consiglio di amministrazione come Presidente esecutivo al posto del dimissionario Penny Hughes, con Aston Martin che a questo punto tramite il cambio di denominazione della Racing Point potr&agrave; tornare a correre dal 2021 in Formula 1 dopo il biennio 1959-1960, che aveva visto il celebre marchio automobilistico inglese fornire le proprie macchine (l'Aston Martin DBR 4 e DBR5) alla David Brown Corporation ottenendo come miglior risultato due sesti posti con Roy Salvadori a bordo della DBR4 in Gran Bretagna e in Portogallo nel 1959. Una decisione, la trasformazione della Racing Point in Aston Martin Racing nel 2021, che mette al contempo fine a tutte quelle illazioni provenienti dall'Inghilterra che volevano Lawrence Stroll acquistare il team campione del mondo Mercedes dal gruppo Daimler diventandone Presidente (con Toto Wolff riconfermato Team Principal), con la squadra che sarebbe scesa in pista con il nome di Aston Martin. Scenario, questo, non solamente smentito dai vertici Mercedes (con il Presidente, Ola Kallenius, che ha seccamente smentito ogni ipotesi di uscire dalla F1), ma anche dal comunicato diffuso in queste ore. Una cosa, comunque &egrave; certa: il rapporto tra Racing Point (allo stato attuale, Aston Martin Racing dal prossimo anno) e Mercedes &egrave; destinato a diventare molto pi&ugrave; stretto rispetto a quello intercorso durante la scorsa stagione, visto e considerato che gi&agrave; in queste settimane la nuova Racing Point che verr&agrave; svelata il prossimo 17 Febbraio, &egrave; stata sviluppata nella galleria del vento Mercedes a Brackley. Quello che sicuramente cambier&agrave; in parte &egrave; il rapporto con Red Bull, di cui Aston Martin &egrave; stato, come abbiamo detto all'inizio in questi anni, title sponsor. Con un comunicato diffuso in seguito all'annuncio del ritorno di Aston Martin in Formula 1 dal 2021 al posto di Racing Point,<a href="https://redbullracing.redbull.com/article/team-statement-aston-martin-title-partnership" target="_blank" rel="noopener"> la scuderia di Milton Keynes ha ufficializzato la conclusione del binomio nella massima serie motoristica</a> (che ha portato per ora 12 vittorie, 50 podi e 6 pole position) al termine della stagione 2020. <blockquote class="twitter-tweet"> Red Bull Advanced Technologies will continue to work with <a href="https://twitter.com/astonmartin?ref_src=twsrc%5Etfw">@AstonMartin</a> on its innovation partnership in order to deliver the Valkyrie hypercar. &mdash; Aston Martin Red Bull Racing (@redbullracing) <a href="https://twitter.com/redbullracing/status/1223177674174189569?ref_src=twsrc%5Etfw">January 31, 2020</a></blockquote> <script async="" src="https://platform.twitter.com/widgets.js" charset="utf-8"></script> Per quanto riguarda invece il progetto dell'hypercar Valkyrie che Red Bull ed Aston Martin hanno sviluppato congiuntamente potendo contare sul prezioso supporto di Adrian Newey, la collaborazione proseguir&agrave; regolarmente, con Red Bull Advanced Technologies che continuer&agrave; a supportare regolarmente Aston Martin per la consegna del primo lotto di 150 hypercar Valkyrie in programma verso la fine dell'anno.

        Un ritorno assai gradito in Formula 1. A distanza di 61 anni dall'ultima apparizione, le strade della massima serie motoristica e di Aston Martin torneranno agonisticamente parlando ad incrociarsi. Non tanto come partner tecnologico e motoristico di Red Bull, come era stato ipotizzato nel 2016, quando prese il via la partnership con la scuderia di Milton Keynes che avrebbe poi portato alla realizzazione della hypercar Valkyrie, o nel 2018 quando il celebre marchio automobilistico inglese divent&ograve; il title sponsor della scuderia austriaca, quanto con una propria squadra prendendo il posto della Racing Point. Merito del comune Presidente, il multimiliardario canadese Lawrence Stroll, che, dopo aver salvato nel 2018 assieme a una cordata di imprenditori canadesi la Force India rinominandola poi Racing Point, ha deciso di attuare la stessa operazione nei confronti dell'Aston Martin, alle prese con un difficile momento economico. Gi&agrave; da settimane cominciavano a girare delle indiscrezioni in merito al forte interesse di Lawrence Stroll per lo storico marchio automobilistico, che solo nelle ultime ore di fatto sono state ufficializzate.  Secondo quanto si apprende, in questa primissima fase Stroll assieme a un consorzio di imprenditori acquisir&agrave; il 16.7% delle quote pagando una cifra quantificabile in 182 milioni di sterline (237 milioni di dollari), dopodich&egrave; lo stesso consorzio guidato dal miliardario canadese in un secondo momento metter&agrave; sulla bilancia altri 318 milioni di sterline, in modo da portare la propria presenza in Aston Martin al 20%. In virt&ugrave; di queste operazioni Lawrence Stroll entrer&agrave; a far parte del Consiglio di amministrazione come Presidente esecutivo al posto del dimissionario Penny Hughes, con Aston Martin che a questo punto tramite il cambio di denominazione della Racing Point potr&agrave; tornare a correre dal 2021 in Formula 1 dopo il biennio 1959-1960, che aveva visto il celebre marchio automobilistico inglese fornire le proprie macchine (l'Aston Martin DBR 4 e DBR5) alla David Brown Corporation ottenendo come miglior risultato due sesti posti con Roy Salvadori a bordo della DBR4 in Gran Bretagna e in Portogallo nel 1959. Una decisione, la trasformazione della Racing Point in Aston Martin Racing nel 2021, che mette al contempo fine a tutte quelle illazioni provenienti dall'Inghilterra che volevano Lawrence Stroll acquistare il team campione del mondo Mercedes dal gruppo Daimler diventandone Presidente (con Toto Wolff riconfermato Team Principal), con la squadra che sarebbe scesa in pista con il nome di Aston Martin. Scenario, questo, non solamente smentito dai vertici Mercedes (con il Presidente, Ola Kallenius, che ha seccamente smentito ogni ipotesi di uscire dalla F1), ma anche dal comunicato diffuso in queste ore. Una cosa, comunque &egrave; certa: il rapporto tra Racing Point (allo stato attuale, Aston Martin Racing dal prossimo anno) e Mercedes &egrave; destinato a diventare molto pi&ugrave; stretto rispetto a quello intercorso durante la scorsa stagione, visto e considerato che gi&agrave; in queste settimane la nuova Racing Point che verr&agrave; svelata il prossimo 17 Febbraio, &egrave; stata sviluppata nella galleria del vento Mercedes a Brackley. Quello che sicuramente cambier&agrave; in parte &egrave; il rapporto con Red Bull, di cui Aston Martin &egrave; stato, come abbiamo detto all'inizio in questi anni, title sponsor. Con un comunicato diffuso in seguito all'annuncio del ritorno di Aston Martin in Formula 1 dal 2021 al posto di Racing Point, la scuderia di Milton Keynes ha ufficializzato la conclusione del binomio nella massima serie motoristica (che ha portato per ora 12 vittorie, 50 podi e 6 pole position) al termine della stagione 2020.  Red Bull Advanced Technologies will continue to work with @AstonMartin on its innovation partnership in order to deliver the Valkyrie hypercar. &mdash; Aston Martin Red Bull Racing (@redbullracing) January 31, 2020    Per quanto riguarda invece il progetto dell'hypercar Valkyrie che Red Bull ed Aston Martin hanno sviluppato congiuntamente potendo contare sul prezioso supporto di Adrian Newey, la collaborazione proseguir&agrave; regolarmente, con Red Bull Advanced Technologies che continuer&agrave; a supportare regolarmente Aston Martin per la consegna del primo lotto di 150 hypercar Valkyrie in programma verso la fine dell'anno.       

A partire dal 2021 Aston Martin sostituir&agrave; in Formula 1 la Racing Point (scuderia di propriet&agrave; di Lawrence Stroll) in seguito all'acquisizione di un pacchetto di quote del celebre marchio automobilistico inglese da parte del miliardario canadese.

Racing Point e un futuro chiamato Aston Martin

Jake La Motta ha lasciato questa terra a 95 anni, nonostante in vita sua non si sia mai risparmiato n&eacute; sul ring (106 incontri in 13 anni di carriera) n&eacute; fuori. Colpisce che i coccodrilli nel suo caso siano sembrati dedicati pi&ugrave; a Robert De Niro, tuttora vivente, per la sua interpretazione in Toro Scatenato, che a La Motta stesso. Eppure l'americano di genitori italiani, Messina e Caserta, &egrave; stato un grande in un'epoca della boxe in cui i campioni del mondo erano soltanto otto e la federazione una sola. Arrivare a un match per il titolo era insomma complicatissimo e non soltanto perch&eacute; le categorie di peso con grande giro di affari (fra cui i medi di la Motta) erano in parte controllate dalla mafia. La Motta fra l'altro ebbe l'intelligenza di ritirarsi a 32 anni, nel 1954, mossa probabilmente decisiva per arrivare fino ai giorni nostri, quando gi&agrave; il suo nome si era agganciato per sempre all'epica della boxe, soprattutto grazie alle sei sfide con Ray Sugar Robinson: pi&ugrave; bravo ed elegante di lui, forse il migliore di tutti i tempi, ma spesso condizionato dal coraggio quasi assurdo di La Motta, immortalato da buone riprese video. Questo non toglie che il film di Scorsese abbia, caso pi&ugrave; unico che raro con sportivi di questo livello, superato la realt&agrave; e dato a La Motta una seconda vita che, ad esempio, Robinson e Muhammad Al&igrave; non hanno avuto se non attraverso documentari e lavori giornalistici. Il luogo comune dice che la boxe &egrave; lo sport pi&ugrave; cinematografico, sia in senso sportivo sia per la drammaticit&agrave; delle storie, ma fra i tanti film prodotti soltanto pochi si sono guadagnati l'eternit&agrave;. Questa la nostra personale top ten, con i titoli della versione italiana: giudizio soggettivo che ha soltanto il valore di un consiglio, per gli appassionati che se ne fossero perso qualcuno. Decimo posto per&nbsp;Il campione (1979), di Franco Zeffirelli, remake di un film di King Vidor di mezzo secolo prima, che il regista fiorentino rivisit&ograve; (protagonista Jon Voight) pi&ugrave; in chiave extra-ring. Nona posizione per&nbsp;Lass&ugrave; qualcuno mi ama (1956), di Robert Wise, con Paul Newman nei panni di Rocky Graziano, campione dei pesi medi avanti e indietro fra carcere e ring. Ottavo&nbsp;The Fighter (2010), di David Russell, ispirato alla storia di Micky Ward (Mark Wahlberg l'attore), con le scene di boxe che hanno avuto la consulenza nientemeno che di Manny Pacquiao. Settima piazza per&nbsp;Il colosso d'argilla (1956), di Mark Robson, con Humphrey Bogart nei panni di un manager: storia della parabola di un campione con carriera taroccata, molto simile al nostro Primo Carnera. Sesto posto per&nbsp;Rocky IV (1985), di Sylvester Stallone: summa ideologica degli anni Ottanta, esagerato e quasi fumettistico nelle sue caratterizzazioni (Dolph Lundgren-Ivan Drago su tutte), pieno di scene di culto, si pu&ograve; guardare mille volte senza stancarsi mai. Il quinto consiglio, in ordine di importanza, &egrave; Million Dollar Baby (2004), di Clint Eastwood, incursione nella boxe femminile con una Hilary Swank molto credibile e un'atmosfera da palestra resa bene da un Eastwood ormai venerato maestro. Quarta posizione per&nbsp;Il sentiero della gloria (1942), di Raoul Walsh, liberamente ispirato alla vita di Jim Corbett, Gentleman Jim, con il volto del superdivo Errol Flynn: quasi un must nelle repliche estive di qualche anno fa in televisione. Terzo un altro film datato, ma non con accezione negativa:&nbsp;Il grande campione (1949), di Mark Robson come Il colosso d'argilla, con protagonista un giovane Kirk Douglas. Per certi versi il pi&ugrave; angosciante e disperato di tutti i film sulla boxe. Medaglia d'argento a&nbsp;Rocky (1976), di John Avildsen, primo episodio della saga ideata e interpretata da Stallone: quasi tutti gli altri Rocky (anche l'ultimo, Creed) sono validi, alcuni sono anche autoironici, ma in questo Stallone &egrave; perfetto nel dare un volto al perdente pi&ugrave; affascinante nella storia del cinema. Nessun dubbio sulla vittoria di Toro scatenato (1980), di Martin Scorsese, con un De Niro ai suoi massimi e pi&ugrave; 'deniriano' che mai. Un Jake La Motta anziano che trasformato in teatrante-narratore della sua vita (&egrave; stato davvero cos&igrave;, fra l'altro anche Mike Tyson ha preso questa strada) ricorda giorni di gloria ed errori. Classifica discutibile, mentre non &egrave; discutibile che la boxe abbia dentro di s&eacute; qualcosa che trascende lo sport e arriva davvero a tutti. "Just a man and his will to survive", per citare una canzone della colonna sonora di Rocky III, Eye of the Tiger. Soltanto un uomo e la sua volont&agrave; di sopravvivere.

Jake La Motta ha lasciato questa terra a 95 anni, nonostante in vita sua non si sia mai risparmiato n&eacute; sul ring (106 incontri in 13 anni di carriera) n&eacute; fuori. Colpisce che i coccodrilli nel suo caso siano sembrati dedicati pi&ugrave; a Robert De Niro, tuttora vivente, per la sua interpretazione in Toro Scatenato, che a La Motta stesso. Eppure l'americano di genitori italiani, Messina e Caserta, &egrave; stato un grande in un'epoca della boxe in cui i campioni del mondo erano soltanto otto e la federazione una sola. Arrivare a un match per il titolo era insomma complicatissimo e non soltanto perch&eacute; le categorie di peso con grande giro di affari (fra cui i medi di la Motta) erano in parte controllate dalla mafia. La Motta fra l'altro ebbe l'intelligenza di ritirarsi a 32 anni, nel 1954, mossa probabilmente decisiva per arrivare fino ai giorni nostri, quando gi&agrave; il suo nome si era agganciato per sempre all'epica della boxe, soprattutto grazie alle sei sfide con Ray Sugar Robinson: pi&ugrave; bravo ed elegante di lui, forse il migliore di tutti i tempi, ma spesso condizionato dal coraggio quasi assurdo di La Motta, immortalato da buone riprese video. Questo non toglie che il film di Scorsese abbia, caso pi&ugrave; unico che raro con sportivi di questo livello, superato la realt&agrave; e dato a La Motta una seconda vita che, ad esempio, Robinson e Muhammad Al&igrave; non hanno avuto se non attraverso documentari e lavori giornalistici.  Il luogo comune dice che la boxe &egrave; lo sport pi&ugrave; cinematografico, sia in senso sportivo sia per la drammaticit&agrave; delle storie, ma fra i tanti film prodotti soltanto pochi si sono guadagnati l'eternit&agrave;. Questa la nostra personale top ten, con i titoli della versione italiana: giudizio soggettivo che ha soltanto il valore di un consiglio, per gli appassionati che se ne fossero perso qualcuno. Decimo posto per&nbsp;Il campione (1979), di Franco Zeffirelli, remake di un film di King Vidor di mezzo secolo prima, che il regista fiorentino rivisit&ograve; (protagonista Jon Voight) pi&ugrave; in chiave extra-ring. Nona posizione per&nbsp;Lass&ugrave; qualcuno mi ama (1956), di Robert Wise, con Paul Newman nei panni di Rocky Graziano, campione dei pesi medi avanti e indietro fra carcere e ring. Ottavo&nbsp;The Fighter (2010), di David Russell, ispirato alla storia di Micky Ward (Mark Wahlberg l'attore), con le scene di boxe che hanno avuto la consulenza nientemeno che di Manny Pacquiao. Settima piazza per&nbsp;Il colosso d'argilla (1956), di Mark Robson, con Humphrey Bogart nei panni di un manager: storia della parabola di un campione con carriera taroccata, molto simile al nostro Primo Carnera. Sesto posto per&nbsp;Rocky IV (1985), di Sylvester Stallone: summa ideologica degli anni Ottanta, esagerato e quasi fumettistico nelle sue caratterizzazioni (Dolph Lundgren-Ivan Drago su tutte), pieno di scene di culto, si pu&ograve; guardare mille volte senza stancarsi mai.  Il quinto consiglio, in ordine di importanza, &egrave; Million Dollar Baby (2004), di Clint Eastwood, incursione nella boxe femminile con una Hilary Swank molto credibile e un'atmosfera da palestra resa bene da un Eastwood ormai venerato maestro. Quarta posizione per&nbsp;Il sentiero della gloria (1942), di Raoul Walsh, liberamente ispirato alla vita di Jim Corbett, Gentleman Jim, con il volto del superdivo Errol Flynn: quasi un must nelle repliche estive di qualche anno fa in televisione. Terzo un altro film datato, ma non con accezione negativa:&nbsp;Il grande campione (1949), di Mark Robson come Il colosso d'argilla, con protagonista un giovane Kirk Douglas. Per certi versi il pi&ugrave; angosciante e disperato di tutti i film sulla boxe. Medaglia d'argento a&nbsp;Rocky (1976), di John Avildsen, primo episodio della saga ideata e interpretata da Stallone: quasi tutti gli altri Rocky (anche l'ultimo, Creed) sono validi, alcuni sono anche autoironici, ma in questo Stallone &egrave; perfetto nel dare un volto al perdente pi&ugrave; affascinante nella storia del cinema. Nessun dubbio sulla vittoria di Toro scatenato (1980), di Martin Scorsese, con un De Niro ai suoi massimi e pi&ugrave; 'deniriano' che mai. Un Jake La Motta anziano che trasformato in teatrante-narratore della sua vita (&egrave; stato davvero cos&igrave;, fra l'altro anche Mike Tyson ha preso questa strada) ricorda giorni di gloria ed errori. Classifica discutibile, mentre non &egrave; discutibile che la boxe abbia dentro di s&eacute; qualcosa che trascende lo sport e arriva davvero a tutti. "Just a man and his will to survive", per citare una canzone della colonna sonora di Rocky III, Eye of the Tiger. Soltanto un uomo e la sua volont&agrave; di sopravvivere.

Toro scatenato e uno sport da film

Il medagliere italiano ai Giochi Paralimpici di Rio si sblocca e lo fa in maniera significativa: nella giornata di ieri sono infatti arrivati ben 8 podi, suddivisi tra 5 argenti e 3 bronzi, grazie a nuoto e triathlon. Conosciamo da vicino i protagonisti di queste prime affermazioni azzurre. <h3>MEDAGLIE D'ARGENTO</h3> Molto bene il nuoto: Francesco Bettella&nbsp;(27 anni di Padova, sofferente di neuropatia genetica) ha conquistato l'argento nei 100 dorso S1 (2' 27'' 06), mentre Federico Morlacchi&nbsp;(22 anni di Luino (Varese), ipoplasia congenita al femore sinistro) ha conquistato il secondo gradino del podio nei 400 stile libero S9 (4' 17'' 91). Identico obiettivo centrato dal veterano&nbsp;Michele Ferrarin&nbsp;(45 anni di Verona, malato di atrofia muscolare spinale) nel triathlon PT2. Due splendide rappresentanti azzurre gi&agrave; oro a Londra, come la nostra portabandiera 26enne di Alzano Lombardo (Bergamo)&nbsp;Martina Caironi (salto in lungo T42, categoria amputati) e la 24enne di Modena&nbsp;Cecilia Camellini (400 stile libero S11, categoria per non vedetnti), hanno anch'esse messo al collo un prestigioso argento. &nbsp; <h3>MEDAGLIE DI BRONZO</h3> Giovanni Achenza&nbsp;(45 anni di Ozieri (Sassari), paraplegico per un incidente sul lavoro) ha fatto suo il terzo posto nel triathlon, con altri due connazionali al bronzo in vasca: Vincenzo Boni&nbsp;(28 anni di Napoli, avente una tetraparesi da malattia di Charcot-Marie-Tooth) nei 50 dorso S3 e Giulia Ghiretti&nbsp;(22 anni di Parma, ex ginnasta divenuta paraplegica dopo una caduta dal trampolino elastico) nei 50 farfalla S5. Gli appassionati italiani sono in trepida attesa della prima medaglia d'oro. Fabio Ornano @fabio_ornano

Il medagliere italiano ai Giochi Paralimpici di Rio si sblocca e lo fa in maniera significativa: nella giornata di ieri sono infatti arrivati ben 8 podi, suddivisi tra 5 argenti e 3 bronzi, grazie a nuoto e triathlon. Conosciamo da vicino i protagonisti di queste prime affermazioni azzurre. MEDAGLIE D'ARGENTO   Molto bene il nuoto: Francesco Bettella&nbsp;(27 anni di Padova, sofferente di neuropatia genetica) ha conquistato l'argento nei 100 dorso S1 (2' 27'' 06), mentre Federico Morlacchi&nbsp;(22 anni di Luino (Varese), ipoplasia congenita al femore sinistro) ha conquistato il secondo gradino del podio nei 400 stile libero S9 (4' 17'' 91). Identico obiettivo centrato dal veterano&nbsp;Michele Ferrarin&nbsp;(45 anni di Verona, malato di atrofia muscolare spinale) nel triathlon PT2. Due splendide rappresentanti azzurre gi&agrave; oro a Londra, come la nostra portabandiera 26enne di Alzano Lombardo (Bergamo)&nbsp;Martina Caironi (salto in lungo T42, categoria amputati) e la 24enne di Modena&nbsp;Cecilia Camellini (400 stile libero S11, categoria per non vedetnti), hanno anch'esse messo al collo un prestigioso argento.    &nbsp; MEDAGLIE DI BRONZO   Giovanni Achenza&nbsp;(45 anni di Ozieri (Sassari), paraplegico per un incidente sul lavoro) ha fatto suo il terzo posto nel triathlon, con altri due connazionali al bronzo in vasca: Vincenzo Boni&nbsp;(28 anni di Napoli, avente una tetraparesi da malattia di Charcot-Marie-Tooth) nei 50 dorso S3 e Giulia Ghiretti&nbsp;(22 anni di Parma, ex ginnasta divenuta paraplegica dopo una caduta dal trampolino elastico) nei 50 farfalla S5.    Gli appassionati italiani sono in trepida attesa della prima medaglia d'oro.  Fabio Ornano @fabio_ornano

Cinque argenti e tre bronzi aprono il medagliere azzurro

Ha preso&nbsp;il via la 15esima edizione dei Giochi Paralimpici estivi. Il teatro sar&agrave; Rio de Janeiro, in un'ideale staffetta con le Olimpiadi terminate poche settimane fa. Quasi 4500 atleti si contenderanno il successo in 22 discipline differenti, che da quest'anno annoverano anche il triathlon e la canoa. Una rassegna che sar&agrave; per la prima volta disputata in America Latina ed oltretutto d'inverno, con l'assenza della Russia ai nastri di partenza per le note vicende doping. Fuoriclasse azzurri.&nbsp;Portabandiera italiana sar&agrave; Martina Caironi, splendida campionessa dell'atletica leggera. Martina detiene il titolo europeo, mondiale e paralimpico nei 100 metri T42, oltre al primato del mondo, nella categoria amputati. Martina perse la gamba sinistra all'et&agrave; di 18 anni a causa di un incidente stradale e primeggia anche nella specialit&agrave; del salto in lungo. Proprio lei ha ricevuto la bandiera italiana dal Presidente della Repubblica Mattarella e la mostrer&agrave; con orgoglio nella cerimonia d'apertura. &nbsp;Saranno davvero tante le eccellenze azzurre dello sport paralimpico in gara a Rio. Come non parlare di Alvise De Vidi (tetraplegico per colpa di un tuffo sbagliato), atleta e nuotatore capace di vincere ben 14 medaglie dal 1992 al 2012, autentico alfiere dello sport paralimpico italiano come Francesca Porcellato. Francesca, &nbsp;paraplegica dall'et&agrave; di appena 18 mesi per un incidente stradale, vanta 10 podi olimpici nell'atletica, sulle distanze che vanno dai 100 agli 800 metri, ma negli ultimi anni si &egrave; cimentata con successo nel paraciclismo. In gara anche Giusy Versace, prima donna italiana a gareggiare dopo una doppia amputazione degli arti inferiori, sub&igrave;ta per un drammatico incidente d'auto. Giusy, specializzata nei 100, 200 e 400 metri categoria T43, cercher&agrave; il riscatto dopo la mancata convocazione di quattro anni fa e da beniamina del pubblico italiano, che ha conquistato grazie alla televisione. Nel nuoto l'Italia pu&ograve; vantare una campionessa del calibro di Cecilia Camellini, pluricampionessa europea, mondiale e paralimpica nello stile libero e nel dorso. La Camellini, non vedente dalla nascita, compete nella categoria S11 e quest'anno ha conquistato il titolo continentale nei 100 stile. C'&egrave; un'altra atleta che dovr&agrave; difendere l'oro conquistato a Londra quattro anni fa: si tratta di Assunta Legnante. La specialista nel getto del peso, dopo un'ottima carriera tra i normodotati (&egrave; tuttora la primatista italiana indoor ed outdoor), non si &egrave; lasciata andare dopo l'aggravamento di un glaucoma congenito che l'ha resa completamente cieca a novembre 2011. Come la Legnante anche Alex Zanardi: l'ex pilota di Formula Uno ed attuale conduttore della nota trasmissione Rai "Sfide" cercher&agrave; di confermarsi anche a Rio ai massimi livelli dell'handbike: quattro anni fa vinse due ori nelle prove in linea e a cronometro nella categoria H4. Ai Giochi Paralimpici di Rio anche una vecchia conoscenza per gli sportivi italiani: il mitico Peppiniello Di Capua, timoniere dei fratelli Abbagnale. Insieme hanno scritto la storia del canottaggio azzurro: Peppiniello ora prover&agrave; a fare altrettanto con i ragazzi del 4 con misto LTA. La delegazione completa.&nbsp;ATLETICA LEGGERA: Martina Caironi, Oxana Corso, Alvise De Vidi, Alessandro Di Lello, Assunta Legnante, Oney Tapia, Monica Graziana Contraffatto, Emanuele Di Marino, Ruud Tsilulu, Roberto La Barbera, Federica Maspero, Giuseppina Versace, Arjola Dedai. CANOA: Federico Mancarella, Veronica Yoko Plebani, Salvatore Ravalli. CANOTTAGGIO: Fabrizio Caselli, Giuseppe Di Capua, Eleonora De Paolis, Luca Lunghi, Tommaso Schettino, Valentina Grassi, Florinda Trombetta, Cristina Scazzosi. CICLISMO: Pierpaolo Addesi, Fabio Anobile, Emanuele Bersini, Paolo Cecchetto, Alessandro Fantini, Giorgio Farroni, Giancarlo Masini, Luca Mazzone, Jenny Narcisi, Ivano Pizzi, Riccardo Panizza, Vittorio Podest&agrave;, Francesca Porcellato, Andrea Tarla, Alessandro Zanardi. EQUITAZIONE: Luigi Ferdinando Acerbi, Sara Morganti, Francesca Salvad&egrave;, Silvia Veratti. NUOTO: Alessia Berra, Francesco Bettella, Gloria Boccanera, Francesco Bocciardo, Vincenzo Boni, Cecilia Camellini, Marco Maria Dolfin, Giulia Ghiretti, Andrea Massussi, Riccardo Menciotti, Efrem Morelli, Federico Morlacchi, Xenia Francesca Palazzo, Martina Rabbolini, Emanuela Romano, Giovanni Sciaccaluga, Francesca Secci, Arianna Talamona, Valerio Taras, Arjola Trimi, Fabrizio Sottile. SOLLEVAMENTO PESI: Martina Barbierato, Matteo Cattini. SCHERMA: Matteo Betti, Marco Cima, Emanuele Lambertini, Ionela Andreea Mogos, Alessio Sarri, Loredana Trigilia, Beatrice Maria Vio, Alberto Andrea Pellegrini. TENNIS: Marianna Lauro, Fabian Mazzei, Alberto Corradi. TENNISTAVOLO: Raimondo Alecci, Andrea Borgato, Michela Brunelli, Amine Mohamed Kalem, Clara Podda, Giada Rossi, Giuseppe Vella. TIRO CON L'ARCO: Roberto Airoldi, Fabio Luca Azzolini, Matteo Bonacina, Giampaolo Cancelli, Alessandro Erario, Elisabetta Mijno, Eleonora Sarti, Alberto Luigi Simonelli. TIRO A SEGNO: Massimo Croci, Nadia Fario, Pamela Novaglio. TRIATHLON: Giovanni Achenza, Michele Ferrarin, Giovanni Sasso. VELA: Marco Carlo Gualandris, Gian Bachisio Pira, Gianluca Raggi, Fabrizio Solazzo, Antonio Squizzato, Marta Zanetti. [gallery size="medium" columns="2" ids="35898,35899,35900,35901,35902,35903,35904"] Fabio Ornano @fabio_ornano

Ha preso&nbsp;il via la 15esima edizione dei Giochi Paralimpici estivi. Il teatro sar&agrave; Rio de Janeiro, in un'ideale staffetta con le Olimpiadi terminate poche settimane fa. Quasi 4500 atleti si contenderanno il successo in 22 discipline differenti, che da quest'anno annoverano anche il triathlon e la canoa. Una rassegna che sar&agrave; per la prima volta disputata in America Latina ed oltretutto d'inverno, con l'assenza della Russia ai nastri di partenza per le note vicende doping.  Fuoriclasse azzurri.&nbsp;Portabandiera italiana sar&agrave; Martina Caironi, splendida campionessa dell'atletica leggera. Martina detiene il titolo europeo, mondiale e paralimpico nei 100 metri T42, oltre al primato del mondo, nella categoria amputati. Martina perse la gamba sinistra all'et&agrave; di 18 anni a causa di un incidente stradale e primeggia anche nella specialit&agrave; del salto in lungo. Proprio lei ha ricevuto la bandiera italiana dal Presidente della Repubblica Mattarella e la mostrer&agrave; con orgoglio nella cerimonia d'apertura. &nbsp;Saranno davvero tante le eccellenze azzurre dello sport paralimpico in gara a Rio. Come non parlare di Alvise De Vidi (tetraplegico per colpa di un tuffo sbagliato), atleta e nuotatore capace di vincere ben 14 medaglie dal 1992 al 2012, autentico alfiere dello sport paralimpico italiano come Francesca Porcellato. Francesca, &nbsp;paraplegica dall'et&agrave; di appena 18 mesi per un incidente stradale, vanta 10 podi olimpici nell'atletica, sulle distanze che vanno dai 100 agli 800 metri, ma negli ultimi anni si &egrave; cimentata con successo nel paraciclismo. In gara anche Giusy Versace, prima donna italiana a gareggiare dopo una doppia amputazione degli arti inferiori, sub&igrave;ta per un drammatico incidente d'auto. Giusy, specializzata nei 100, 200 e 400 metri categoria T43, cercher&agrave; il riscatto dopo la mancata convocazione di quattro anni fa e da beniamina del pubblico italiano, che ha conquistato grazie alla televisione. Nel nuoto l'Italia pu&ograve; vantare una campionessa del calibro di Cecilia Camellini, pluricampionessa europea, mondiale e paralimpica nello stile libero e nel dorso. La Camellini, non vedente dalla nascita, compete nella categoria S11 e quest'anno ha conquistato il titolo continentale nei 100 stile. C'&egrave; un'altra atleta che dovr&agrave; difendere l'oro conquistato a Londra quattro anni fa: si tratta di Assunta Legnante. La specialista nel getto del peso, dopo un'ottima carriera tra i normodotati (&egrave; tuttora la primatista italiana indoor ed outdoor), non si &egrave; lasciata andare dopo l'aggravamento di un glaucoma congenito che l'ha resa completamente cieca a novembre 2011. Come la Legnante anche Alex Zanardi: l'ex pilota di Formula Uno ed attuale conduttore della nota trasmissione Rai "Sfide" cercher&agrave; di confermarsi anche a Rio ai massimi livelli dell'handbike: quattro anni fa vinse due ori nelle prove in linea e a cronometro nella categoria H4. Ai Giochi Paralimpici di Rio anche una vecchia conoscenza per gli sportivi italiani: il mitico Peppiniello Di Capua, timoniere dei fratelli Abbagnale. Insieme hanno scritto la storia del canottaggio azzurro: Peppiniello ora prover&agrave; a fare altrettanto con i ragazzi del 4 con misto LTA.  La delegazione completa.&nbsp;ATLETICA LEGGERA: Martina Caironi, Oxana Corso, Alvise De Vidi, Alessandro Di Lello, Assunta Legnante, Oney Tapia, Monica Graziana Contraffatto, Emanuele Di Marino, Ruud Tsilulu, Roberto La Barbera, Federica Maspero, Giuseppina Versace, Arjola Dedai. CANOA: Federico Mancarella, Veronica Yoko Plebani, Salvatore Ravalli. CANOTTAGGIO: Fabrizio Caselli, Giuseppe Di Capua, Eleonora De Paolis, Luca Lunghi, Tommaso Schettino, Valentina Grassi, Florinda Trombetta, Cristina Scazzosi. CICLISMO: Pierpaolo Addesi, Fabio Anobile, Emanuele Bersini, Paolo Cecchetto, Alessandro Fantini, Giorgio Farroni, Giancarlo Masini, Luca Mazzone, Jenny Narcisi, Ivano Pizzi, Riccardo Panizza, Vittorio Podest&agrave;, Francesca Porcellato, Andrea Tarla, Alessandro Zanardi. EQUITAZIONE: Luigi Ferdinando Acerbi, Sara Morganti, Francesca Salvad&egrave;, Silvia Veratti. NUOTO: Alessia Berra, Francesco Bettella, Gloria Boccanera, Francesco Bocciardo, Vincenzo Boni, Cecilia Camellini, Marco Maria Dolfin, Giulia Ghiretti, Andrea Massussi, Riccardo Menciotti, Efrem Morelli, Federico Morlacchi, Xenia Francesca Palazzo, Martina Rabbolini, Emanuela Romano, Giovanni Sciaccaluga, Francesca Secci, Arianna Talamona, Valerio Taras, Arjola Trimi, Fabrizio Sottile. SOLLEVAMENTO PESI: Martina Barbierato, Matteo Cattini. SCHERMA: Matteo Betti, Marco Cima, Emanuele Lambertini, Ionela Andreea Mogos, Alessio Sarri, Loredana Trigilia, Beatrice Maria Vio, Alberto Andrea Pellegrini. TENNIS: Marianna Lauro, Fabian Mazzei, Alberto Corradi. TENNISTAVOLO: Raimondo Alecci, Andrea Borgato, Michela Brunelli, Amine Mohamed Kalem, Clara Podda, Giada Rossi, Giuseppe Vella. TIRO CON L'ARCO: Roberto Airoldi, Fabio Luca Azzolini, Matteo Bonacina, Giampaolo Cancelli, Alessandro Erario, Elisabetta Mijno, Eleonora Sarti, Alberto Luigi Simonelli. TIRO A SEGNO: Massimo Croci, Nadia Fario, Pamela Novaglio. TRIATHLON: Giovanni Achenza, Michele Ferrarin, Giovanni Sasso. VELA: Marco Carlo Gualandris, Gian Bachisio Pira, Gianluca Raggi, Fabrizio Solazzo, Antonio Squizzato, Marta Zanetti.  [gallery size="medium" columns="2" ids="35898,35899,35900,35901,35902,35903,35904"]  Fabio Ornano @fabio_ornano

Paralimpiadi al via: le eccellenze straordinarie dello sport azzurro

L'Irlanda si qualific&ograve; per la prima volta agli Europei per l'edizione 1988 in Germania Ovest, esordendo con una clamorosa vittoria per 1-0 sull'Inghilterra. Da allora, i biancoverdi non sono riusciti a tornare sulla ribalta continentale prima di Euro 2012, guidati da Giovanni Trapattoni, dove vennero sconfitti in tutte e 3 le partite. Sulla strada per questa rassegna continentale, gli uomini di Martin O'Neill hanno colto un grande risultato di prestigio, battendo i campioni del mondo in carica della Germania all'Aviva Stadium di Dublino. Giunti terzi nel girone dietro tedeschi e polacchi, hanno staccato il pass eliminando la Bosnia nel doppio spareggio: eroe dei play-off Joe Walters, autore della doppietta decisiva nella gara di ritorno. Come da tradizione, la rosa &egrave; quasi esclusivamente composta da elementi militanti in Inghilterra o comunque nel calcio britannico. L'unico che si sottrae a questa &ldquo;regola&rdquo; &egrave; l'eterno Robbie Keane, 35enne capocannoniere di sempre della Nazionale irlandese. Dovrebbe recitare il ruolo di semplice comparsa. La stella: Robbie Keane &Egrave; tra i giocatori irlandesi pi&ugrave; noti degli ultimi 15 anni, attaccante rapido, agile e puntuale sotto porta. Ovviamente non &egrave; pi&ugrave; un ragazzino: ma la sua grande esperienza sar&agrave; per l'ultima volta il valore aggiunto della Nazionale irlandese. Ha cambiato parecchie casacche in carriera, cogliendo le migliori soddisfazioni in Premier League con il Tottenham. L'avventura all'Inter tra il luglio ed il dicembre 2000 non gli regal&ograve; grandi soddisfazioni. Dal 2011 milita negli Stati Uniti con i Los Angeles Galaxy, di cui si mantiene quale migliore terminale offensivo. Le sue 67 reti con la maglia dell'Irlanda lo rendono pressoch&eacute; irraggiungibile anche in futuro, e ne fanno il pi&ugrave; prolifico giocatore in attivit&agrave; per le squadre nazionali a livello mondiale. Suo il primato anche delle presenze, ormai prossimo ai 150 &ldquo;caps&rdquo;. Il Commissario Tecnico: Martin O'Neill (1.3.1952) Centrocampista di buona qualit&agrave; attivo negli anni '70 e '80, O'Neill ha legato in modo indelebile il suo nome all'epoca dorata del Nottingham Forest, con cui ha vinto 8 trofei tra cui 2 Coppe dei Campioni e una Supercoppa Europea. Membro per 13 anni anche della Nazionale nordirlandese, prese parte al Mondiale di Spagna '82 totalizzando 64 presenze e 8 reti. Come tecnico ha ottenuto ottimi risultati partendo dalle retrovie con il Wycombe, diventando l'allenatore di maggior successo nella storia del club. Poi ha guidato Leicester City, facendosi di nuovo notare con una striscia di belle stagioni in Premier League, ed in seguito il Celtic Glasgow per un quinquennio farcito da altri 7 trofei. Ha assunto il ruolo di selezionatore irlandese nel novembre 2013, affiancato da Roy Keane come assistant coach. <a href="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2016/04/28/oneill.jpg"><img class=" size-full wp-image-32539 aligncenter" src="http://cdn.guerinsportivo.it/images/2016/04/28/oneill.jpg" alt="Martin O'Neill" width="2060" height="1236" /></a> I nomi della rosa: PORTIERI: David FORDE (20.12.1979, Millwall &ndash; ING), Darren RANDOLPH (12.5.1987, West Ham United &ndash; ING), Rob ELLIOT (30.4.1986, Newcastle United &ndash; ING), Keiren WESTWOOD (23.10.1984, Sheffield Wednesday &ndash; ING), Stephen HENDERSON (2.5.1988, Charlton Athletic &ndash; ING), Shay GIVEN (20.4.1976, Stoke City - ING). DIFENSORI: John O'SHEA (30.4.1981, Sunderland &ndash; ING), S&eacute;amus COLEMAN (11.10.1988, Everton &ndash; ING), Stephen WARD (20.8.1985, Burnley &ndash; ING), Paul McSHANE (6.1.1986, Reading &ndash; ING), Ciar&aacute;n CLARK (26.9.1989, Aston Villa &ndash; ING), Richard KEOGH (11.8.1986, Derby County &ndash; ING), Alex PEARCE (9.11.1988, Bristol City &ndash; ING), Cyrus CHRISTIE (30.9.1992, Derby County &ndash; ING), Shane DUFFY (1.1.1992, Blackburn Rovers &ndash; ING), Matt DOHERTY (16.1.1992, Wolverhampton Wanderers &ndash; ING), Greg CUNNINGHAM (31.1.1991, Preston North End &ndash; ING), Marc WILSON (17.8.1987, Stoke City - ING). CENTROCAMPISTI: Aiden McGEADY (4.4.1986, Sheffield Wednesday &ndash; ING), Glenn WHELAN (13.1.1984, Stoke City &ndash; ING), James McCARTHY (12.11.1990, Everton &ndash; ING), James McCLEAN (22.4.1989, West Bromwich Albion &ndash; ING), Wes HOOLAHAN (20.5.1982, Norwich City &ndash; ING), Robbie BRADY (14.1.1992, Norwich City &ndash; ING), David MEYLER (29.5.1989, Hull City &ndash; ING), Stephen QUINN (4.4.1986, Reading &ndash; ING), Anthony PILKINGTON (6.6.1988, Cardiff City &ndash; GAL), Stephen GLEESON (3.8.1988, Birmingham City &ndash; ING), Jonny HAYES (9.7.1987, Aberdeen &ndash; SCO), Alan JUDGE (11.11.1988, Brentford &ndash; ING), Eunan O'KANE (10.7.1990, Bournemouth &ndash; ING), Darron GIBSON (25.10.1987, Everton &ndash; ING), Paul GREEN (10.4.1983, Rotherham United &ndash; ING), Jeff HENDRICK (31.1.1992, Derby County &ndash; ING), Harry ARTER (28.12.1989, Bournemouth &ndash; ING), Christopher FORRESTER (17.12.1992, Peterborough - ING). ATTACCANTI: Shane LONG (22.1.1987, Southampton &ndash; ING), Daryl MURPHY (15.3.1983, Ipswich Town &ndash; ING), Robbie KEANE (8.7.1980, Los Angeles Galaxy &ndash; USA), Jonathan WALTERS (20.9.1983, Stoke City &ndash; ING), Simon COX (28.4.1987, Reading &ndash; ING), Anthony STOKES (25.7.1988, Hibernian &ndash; SCO), David McGOLDRICK (29.11.1987, Ipswich Town &ndash; ING), Adam ROONEY (21.4.1988, Aberdeen - SCO). Cos&igrave; nelle qualificazioni: Gruppo D (Germania 22, Polonia 21, IRLANDA 18, Scozia 15, Georgia 9, Gibilterra 0) 7/9/2014, Tbilisi, Georgia-Irlanda 1-2 (McGeady 2) 11/10/2014, Dublino, Irlanda-Gibilterra 7-0 (Keane 3 (1 rig.), McClean 2, J. Perez aut., Hoolahan) 14/10/2014, Gelsenkirchen, Germania-Irlanda 1-1 (O'Shea) 14/11/2014, Glasgow, Scozia-Irlanda 1-0 29/3/2015, Dublino, Irlanda-Polonia 1-1 (Long) 13/6/2015, Dublino, Irlanda-Scozia 1-1 (Walters) 4/9/2015, Faro/Loul&eacute;, Gibilterra-Irlanda 0-4 (Christie, Keane 2 (1 rig.), Long) 7/9/2015, Dublino, Irlanda-Georgia 1-0 (Walters) 8/10/2015, Dublino, Irlanda-Germania 1-0 (Long) 11/10/2015, Varsavia, Polonia-Irlanda 2-1 (Walters rig.) Play-off 13/11/2015, Zenica, Bosnia-Irlanda 1-1 (Brady) 16/11/2015, Dublino, Irlanda-Bosnia 2-0 (Walters 2 (1 rig.) ) Probabile formazione (4-2-3-1): Randolph &ndash; Coleman, Keogh, O'Shea (Clark), Brady &ndash; McCarthy, Whelan &ndash; Walters, Hoolahan, McGeady (McClean) &ndash; Murphy (Long, Keane). Fase finale - Gruppo E 13/6, Parigi, Irlanda-Svezia 18/6, Bordeaux, Belgio-Irlanda 22/6, Lilla, Italia-Irlanda Pronostico: primo turno ________________________________ Fabio Ornano

L'Irlanda si qualific&ograve; per la prima volta agli Europei per l'edizione 1988 in Germania Ovest, esordendo con una clamorosa vittoria per 1-0 sull'Inghilterra. Da allora, i biancoverdi non sono riusciti a tornare sulla ribalta continentale prima di Euro 2012, guidati da Giovanni Trapattoni, dove vennero sconfitti in tutte e 3 le partite. Sulla strada per questa rassegna continentale, gli uomini di Martin O'Neill hanno colto un grande risultato di prestigio, battendo i campioni del mondo in carica della Germania all'Aviva Stadium di Dublino. Giunti terzi nel girone dietro tedeschi e polacchi, hanno staccato il pass eliminando la Bosnia nel doppio spareggio: eroe dei play-off Joe Walters, autore della doppietta decisiva nella gara di ritorno. Come da tradizione, la rosa &egrave; quasi esclusivamente composta da elementi militanti in Inghilterra o comunque nel calcio britannico. L'unico che si sottrae a questa &ldquo;regola&rdquo; &egrave; l'eterno Robbie Keane, 35enne capocannoniere di sempre della Nazionale irlandese. Dovrebbe recitare il ruolo di semplice comparsa.  La stella: Robbie Keane &Egrave; tra i giocatori irlandesi pi&ugrave; noti degli ultimi 15 anni, attaccante rapido, agile e puntuale sotto porta. Ovviamente non &egrave; pi&ugrave; un ragazzino: ma la sua grande esperienza sar&agrave; per l'ultima volta il valore aggiunto della Nazionale irlandese. Ha cambiato parecchie casacche in carriera, cogliendo le migliori soddisfazioni in Premier League con il Tottenham. L'avventura all'Inter tra il luglio ed il dicembre 2000 non gli regal&ograve; grandi soddisfazioni. Dal 2011 milita negli Stati Uniti con i Los Angeles Galaxy, di cui si mantiene quale migliore terminale offensivo. Le sue 67 reti con la maglia dell'Irlanda lo rendono pressoch&eacute; irraggiungibile anche in futuro, e ne fanno il pi&ugrave; prolifico giocatore in attivit&agrave; per le squadre nazionali a livello mondiale. Suo il primato anche delle presenze, ormai prossimo ai 150 &ldquo;caps&rdquo;.  Il Commissario Tecnico: Martin O'Neill (1.3.1952) Centrocampista di buona qualit&agrave; attivo negli anni '70 e '80, O'Neill ha legato in modo indelebile il suo nome all'epoca dorata del Nottingham Forest, con cui ha vinto 8 trofei tra cui 2 Coppe dei Campioni e una Supercoppa Europea. Membro per 13 anni anche della Nazionale nordirlandese, prese parte al Mondiale di Spagna '82 totalizzando 64 presenze e 8 reti. Come tecnico ha ottenuto ottimi risultati partendo dalle retrovie con il Wycombe, diventando l'allenatore di maggior successo nella storia del club. Poi ha guidato Leicester City, facendosi di nuovo notare con una striscia di belle stagioni in Premier League, ed in seguito il Celtic Glasgow per un quinquennio farcito da altri 7 trofei. Ha assunto il ruolo di selezionatore irlandese nel novembre 2013, affiancato da Roy Keane come assistant coach.    I nomi della rosa: PORTIERI: David FORDE (20.12.1979, Millwall &ndash; ING), Darren RANDOLPH (12.5.1987, West Ham United &ndash; ING), Rob ELLIOT (30.4.1986, Newcastle United &ndash; ING), Keiren WESTWOOD (23.10.1984, Sheffield Wednesday &ndash; ING), Stephen HENDERSON (2.5.1988, Charlton Athletic &ndash; ING), Shay GIVEN (20.4.1976, Stoke City - ING).  DIFENSORI: John O'SHEA (30.4.1981, Sunderland &ndash; ING), S&eacute;amus COLEMAN (11.10.1988, Everton &ndash; ING), Stephen WARD (20.8.1985, Burnley &ndash; ING), Paul McSHANE (6.1.1986, Reading &ndash; ING), Ciar&aacute;n CLARK (26.9.1989, Aston Villa &ndash; ING), Richard KEOGH (11.8.1986, Derby County &ndash; ING), Alex PEARCE (9.11.1988, Bristol City &ndash; ING), Cyrus CHRISTIE (30.9.1992, Derby County &ndash; ING), Shane DUFFY (1.1.1992, Blackburn Rovers &ndash; ING), Matt DOHERTY (16.1.1992, Wolverhampton Wanderers &ndash; ING), Greg CUNNINGHAM (31.1.1991, Preston North End &ndash; ING), Marc WILSON (17.8.1987, Stoke City - ING).  CENTROCAMPISTI: Aiden McGEADY (4.4.1986, Sheffield Wednesday &ndash; ING), Glenn WHELAN (13.1.1984, Stoke City &ndash; ING), James McCARTHY (12.11.1990, Everton &ndash; ING), James McCLEAN (22.4.1989, West Bromwich Albion &ndash; ING), Wes HOOLAHAN (20.5.1982, Norwich City &ndash; ING), Robbie BRADY (14.1.1992, Norwich City &ndash; ING), David MEYLER (29.5.1989, Hull City &ndash; ING), Stephen QUINN (4.4.1986, Reading &ndash; ING), Anthony PILKINGTON (6.6.1988, Cardiff City &ndash; GAL), Stephen GLEESON (3.8.1988, Birmingham City &ndash; ING), Jonny HAYES (9.7.1987, Aberdeen &ndash; SCO), Alan JUDGE (11.11.1988, Brentford &ndash; ING), Eunan O'KANE (10.7.1990, Bournemouth &ndash; ING), Darron GIBSON (25.10.1987, Everton &ndash; ING), Paul GREEN (10.4.1983, Rotherham United &ndash; ING), Jeff HENDRICK (31.1.1992, Derby County &ndash; ING), Harry ARTER (28.12.1989, Bournemouth &ndash; ING), Christopher FORRESTER (17.12.1992, Peterborough - ING).  ATTACCANTI: Shane LONG (22.1.1987, Southampton &ndash; ING), Daryl MURPHY (15.3.1983, Ipswich Town &ndash; ING), Robbie KEANE (8.7.1980, Los Angeles Galaxy &ndash; USA), Jonathan WALTERS (20.9.1983, Stoke City &ndash; ING), Simon COX (28.4.1987, Reading &ndash; ING), Anthony STOKES (25.7.1988, Hibernian &ndash; SCO), David McGOLDRICK (29.11.1987, Ipswich Town &ndash; ING), Adam ROONEY (21.4.1988, Aberdeen - SCO).  Cos&igrave; nelle qualificazioni: Gruppo D (Germania 22, Polonia 21, IRLANDA 18, Scozia 15, Georgia 9, Gibilterra 0) 7/9/2014, Tbilisi, Georgia-Irlanda 1-2 (McGeady 2) 11/10/2014, Dublino, Irlanda-Gibilterra 7-0 (Keane 3 (1 rig.), McClean 2, J. Perez aut., Hoolahan) 14/10/2014, Gelsenkirchen, Germania-Irlanda 1-1 (O'Shea) 14/11/2014, Glasgow, Scozia-Irlanda 1-0 29/3/2015, Dublino, Irlanda-Polonia 1-1 (Long) 13/6/2015, Dublino, Irlanda-Scozia 1-1 (Walters) 4/9/2015, Faro/Loul&eacute;, Gibilterra-Irlanda 0-4 (Christie, Keane 2 (1 rig.), Long) 7/9/2015, Dublino, Irlanda-Georgia 1-0 (Walters) 8/10/2015, Dublino, Irlanda-Germania 1-0 (Long) 11/10/2015, Varsavia, Polonia-Irlanda 2-1 (Walters rig.)  Play-off 13/11/2015, Zenica, Bosnia-Irlanda 1-1 (Brady) 16/11/2015, Dublino, Irlanda-Bosnia 2-0 (Walters 2 (1 rig.) )  Probabile formazione (4-2-3-1): Randolph &ndash; Coleman, Keogh, O'Shea (Clark), Brady &ndash; McCarthy, Whelan &ndash; Walters, Hoolahan, McGeady (McClean) &ndash; Murphy (Long, Keane).  Fase finale - Gruppo E 13/6, Parigi, Irlanda-Svezia 18/6, Bordeaux, Belgio-Irlanda 22/6, Lilla, Italia-Irlanda  Pronostico: primo turno  ________________________________  Fabio Ornano

Euro 2016, l'Irlanda e l'eterno Robbie Keane

Il commissario tecnico della Nazionale argentina, Gerardo Martino, ha diramato la lista dei 25 convocati per le prossime sfide contro Brasile e Colombia. Il guaio &egrave; che non figurano Messi e Aguero, ancora alle prese con i rispettivi infortuni, e la precariet&agrave; del reparto avanzato dell'Albiceleste &egrave; stata edulcorata dalle sobrie chiamate di Higuain, Tevez, Dybala, Lavezzi, Di Maria, Correa, Lamela, Pastore e Gaitan. Alcuni di loro, nel tempo, hanno dovuto arretrare - per forza di cose - la propria zona di competenza, ma questo non ci esime dal considerarli a tutti gli effetti dei trequartisti e, quindi, dei surplus dal centrocampo in su. Per quanto riguarda Gaitan (Benfica), che in mezzo a tutti quei nomi potrebbe passare per lo scemo del villaggio, c'&egrave; da dire che &egrave; soltanto il meno mediatico, il che rende l'idea del concetto che vogliamo far passare. Il vero impiccio, per&ograve;, non tarder&agrave; ad arrivare e riguarder&agrave; i vari Icardi, Vietto, Driussi, Carrillo, Bou, il figlio del 'Cholo', tutta gente che ora o tra qualche anno dovr&agrave; necessariamente indossare la maglia della Nazionale, anche perch&eacute; basta dare un'occhiata alle statistiche per rendersi conto che pi&ugrave; o meno tutti - per il complesso gioco dei procuratori - hanno ricevuto almeno una volta la chiamata. La sterminata produzione offensiva di talenti a disposizione del 'Tata', oltre a rappresentare ragionevolmente un rischio - non &egrave; facile gestire una situazione del genere -, riesce a tratti nell'ingrato compito di imbarazzare gli altri. Partendo dal Brasile ed escludendo Neymar e s&igrave;, mettiamo anche Oscar, Willian e il bavarese Douglas Costa, cosa resta? Hulk, Ricardo Oliveira, Renato Augusto, Firmino, Coutinho e cos&igrave; via. Buoni giocatori alcuni, impresentabile il resto. E non abbiamo parlato di Diego Tardelli o Robinho. L'Italia risponde con Pell&eacute;, Eder, Zaza, El Shaarawy, Candreva e i campioni del mondo della Germania con M&uuml;ller, &Ouml;zil, G&ouml;tze, Sch&uuml;rrle, Kruse, Bellarabi, Reus e la triste esperienza semsetrale di Podolski all'Inter. Morata, Diego Costa, Paco, Nolito, Isco, Silva, Pedro per la Spagna (sono soltanto alcuni nomi, sia chiaro) e Rooney, Kane, Sterling, Welbeck, Walcott, Sturridge e il "ranieriano" Vardy per l'Inghilterra. Doveroso inserire anche la Francia con Benzema, Giroud, Martial, Fekir, Griezmann, Lacazette e Valbuena. Ora &egrave; bene dosare la parola "campione" e fare il paragone tra il parco attaccanti dell'Argentina e quello delle altre Nazionali. @damorirne

Il commissario tecnico della Nazionale argentina, Gerardo Martino, ha diramato la lista dei 25 convocati per le prossime sfide contro Brasile e Colombia. Il guaio &egrave; che non figurano Messi e Aguero, ancora alle prese con i rispettivi infortuni, e la precariet&agrave; del reparto avanzato dell'Albiceleste &egrave; stata edulcorata dalle sobrie chiamate di Higuain, Tevez, Dybala, Lavezzi, Di Maria, Correa, Lamela, Pastore e Gaitan. Alcuni di loro, nel tempo, hanno dovuto arretrare - per forza di cose - la propria zona di competenza, ma questo non ci esime dal considerarli a tutti gli effetti dei trequartisti e, quindi, dei surplus dal centrocampo in su. Per quanto riguarda Gaitan (Benfica), che in mezzo a tutti quei nomi potrebbe passare per lo scemo del villaggio, c'&egrave; da dire che &egrave; soltanto il meno mediatico, il che rende l'idea del concetto che vogliamo far passare. Il vero impiccio, per&ograve;, non tarder&agrave; ad arrivare e riguarder&agrave; i vari Icardi, Vietto, Driussi, Carrillo, Bou, il figlio del 'Cholo', tutta gente che ora o tra qualche anno dovr&agrave; necessariamente indossare la maglia della Nazionale, anche perch&eacute; basta dare un'occhiata alle statistiche per rendersi conto che pi&ugrave; o meno tutti - per il complesso gioco dei procuratori - hanno ricevuto almeno una volta la chiamata. La sterminata produzione offensiva di talenti a disposizione del 'Tata', oltre a rappresentare ragionevolmente un rischio - non &egrave; facile gestire una situazione del genere -, riesce a tratti nell'ingrato compito di imbarazzare gli altri. Partendo dal Brasile ed escludendo Neymar e s&igrave;, mettiamo anche Oscar, Willian e il bavarese Douglas Costa, cosa resta? Hulk, Ricardo Oliveira, Renato Augusto, Firmino, Coutinho e cos&igrave; via. Buoni giocatori alcuni, impresentabile il resto. E non abbiamo parlato di Diego Tardelli o Robinho. L'Italia risponde con Pell&eacute;, Eder, Zaza, El Shaarawy, Candreva e i campioni del mondo della Germania con M&uuml;ller, &Ouml;zil, G&ouml;tze, Sch&uuml;rrle, Kruse, Bellarabi, Reus e la triste esperienza semsetrale di Podolski all'Inter. Morata, Diego Costa, Paco, Nolito, Isco, Silva, Pedro per la Spagna (sono soltanto alcuni nomi, sia chiaro) e Rooney, Kane, Sterling, Welbeck, Walcott, Sturridge e il "ranieriano" Vardy per l'Inghilterra. Doveroso inserire anche la Francia con Benzema, Giroud, Martial, Fekir, Griezmann, Lacazette e Valbuena. Ora &egrave; bene dosare la parola "campione" e fare il paragone tra il parco attaccanti dell'Argentina e quello delle altre Nazionali.  @damorirne

Martino, l'uomo pi&ugrave; invidiato del pianeta

Quanto spazio avr&agrave; Martin Odegaard nel Real Madrid? Quasi nessuno, se parliamo di questa e forse anche della prossima stagione, ma l'importante per Florentino Perez era averlo tolto agli altri grandi club europei dal punto di vista tecnico e soprattutto mediatico. Per una cifra risibile anche di questi tempi, cio&egrave; circa 4 milioni di euro (fonte AS), il Real si &egrave; cos&igrave; assicurato il sedicenne fenomeno norvegese, pi&ugrave; giovane giocatore nella storia dei campionati Europei con la sua presenza contro la Bulgaria a 15 anni e 300 giorni di et&agrave;. Una discreta notizia per lo Stromsgodset, che rischiava di perderlo per niente, una cattiva notizia per il calcio. Perch&eacute; la bulimia dei grandi club sta distruggendo anche l'unica ragion d'essere dei medio-piccoli, cio&egrave; quella di puntare su giovani o su talenti sottovalutati. Odegaard sottovalutato non &egrave;, soltanto per Freddy Adu ci ricordiamo un pompaggio mediatico cos&igrave; insistente a 16 anni (il norvegese li ha computi lo scorso 17 dicembre) e non &egrave; andata alla fine benissimo: all'ultima rilevazione l'ora 25enne ex 'Nuovo Pel&eacute;' risulta senza contratto, dopo una dimenticabile esperienza in Serbia nello Jagodina. Per&ograve; Odegaard &egrave; giovane e anche per uno della personalit&agrave; di Ancelotti sar&agrave; difficile resistere alle pressioni ambientali per vedere all'opera, almeno nei finali di partite stravinte, il baby-fenomeno, al quale il Real ha dato un ingaggio da 2 milioni di euro lordi a stagione per 6 anni. Significativo che prima di firmare con i campioni d'Europa abbia visitato, almeno per educazione, i centri sportivi di Barcellona, Bayern Monaco e Liverpool (squadra di cui qualche mese fa si dichiarava tifoso, del resto in Scandinavia la Premier League &egrave; sacra), mentre un paio di anni fa sembrava vicinissimo al Manchester United. Tutte club, come del resto il Real, in cui non avrebbe avuto alcuna possibilit&agrave; di giocare da titolare visto che a questi i giocatori offensivi (Odegaard pu&ograve; giocare in tutti ruoli dell'attacco, tranne che da punta centrale) non mancano di certo. Cosa vogliamo dire? Di sicuro che lo sviluppo fisico e soprattutto psicologico non assicura che un sedicenne fortissimo diventi un ventenne almeno forte. Ma questo &egrave; un problema degli Odegaard, che hanno fatto benissimo a salire sul treno del Real e a monetizzare, un minimo, gi&agrave; subito (nel calcio pu&ograve; succedere di tutto): facile fare i maestrini con i soldi degli altri. Il problema del calcio &egrave; invece che i grandi club e i grandi procuratori gestiscono un numero di calciatori cos&igrave; alto che la concorrenza viene ammazzata nella culla. Pi&ugrave; di un tetto alle spese o alle rose, servirebbe un limite al numero di giocatori realmente controllati. Ma questo significherebbe secessione, un rischio che Platini non vuole correre. Twitter @StefanoOlivari

Quanto spazio avr&agrave; Martin Odegaard nel Real Madrid? Quasi nessuno, se parliamo di questa e forse anche della prossima stagione, ma l'importante per Florentino Perez era averlo tolto agli altri grandi club europei dal punto di vista tecnico e soprattutto mediatico. Per una cifra risibile anche di questi tempi, cio&egrave; circa 4 milioni di euro (fonte AS), il Real si &egrave; cos&igrave; assicurato il sedicenne fenomeno norvegese, pi&ugrave; giovane giocatore nella storia dei campionati Europei con la sua presenza contro la Bulgaria a 15 anni e 300 giorni di et&agrave;. Una discreta notizia per lo Stromsgodset, che rischiava di perderlo per niente, una cattiva notizia per il calcio. Perch&eacute; la bulimia dei grandi club sta distruggendo anche l'unica ragion d'essere dei medio-piccoli, cio&egrave; quella di puntare su giovani o su talenti sottovalutati. Odegaard sottovalutato non &egrave;, soltanto per Freddy Adu ci ricordiamo un pompaggio mediatico cos&igrave; insistente a 16 anni (il norvegese li ha computi lo scorso 17 dicembre) e non &egrave; andata alla fine benissimo: all'ultima rilevazione l'ora 25enne ex 'Nuovo Pel&eacute;' risulta senza contratto, dopo una dimenticabile esperienza in Serbia nello Jagodina. Per&ograve; Odegaard &egrave; giovane e anche per uno della personalit&agrave; di Ancelotti sar&agrave; difficile resistere alle pressioni ambientali per vedere all'opera, almeno nei finali di partite stravinte, il baby-fenomeno, al quale il Real ha dato un ingaggio da 2 milioni di euro lordi a stagione per 6 anni. Significativo che prima di firmare con i campioni d'Europa abbia visitato, almeno per educazione, i centri sportivi di Barcellona, Bayern Monaco e Liverpool (squadra di cui qualche mese fa si dichiarava tifoso, del resto in Scandinavia la Premier League &egrave; sacra), mentre un paio di anni fa sembrava vicinissimo al Manchester United. Tutte club, come del resto il Real, in cui non avrebbe avuto alcuna possibilit&agrave; di giocare da titolare visto che a questi i giocatori offensivi (Odegaard pu&ograve; giocare in tutti ruoli dell'attacco, tranne che da punta centrale) non mancano di certo. Cosa vogliamo dire? Di sicuro che lo sviluppo fisico e soprattutto psicologico non assicura che un sedicenne fortissimo diventi un ventenne almeno forte. Ma questo &egrave; un problema degli Odegaard, che hanno fatto benissimo a salire sul treno del Real e a monetizzare, un minimo, gi&agrave; subito (nel calcio pu&ograve; succedere di tutto): facile fare i maestrini con i soldi degli altri. Il problema del calcio &egrave; invece che i grandi club e i grandi procuratori gestiscono un numero di calciatori cos&igrave; alto che la concorrenza viene ammazzata nella culla. Pi&ugrave; di un tetto alle spese o alle rose, servirebbe un limite al numero di giocatori realmente controllati. Ma questo significherebbe secessione, un rischio che Platini non vuole correre.  Twitter @StefanoOlivari

Odegaard e la concorrenza ammazzata nella culla

Le sensazioni destate dal 'derby del mondo' visto al Bernabeu sono ancora troppo vive per parlarne con toni meno che esaltatori. Fra l'altro nemmeno possiamo pi&ugrave; estrarre il prontuario da bar e fare affermazioni del genere 'In Spagna ci sono solo due squadre'. Prima di tutto perch&eacute; in questa stagione ce ne sono tre: l'Atletico Madrid di Diego Simeone &egrave; in testa a pari punti con il Real che fattura il quadruplo, un punto avanti al Barcellona. E poi perch&eacute; nel resto d'Europa, con l'unica eccezione della Premier League, il campionato nazionale &egrave; spesso una formalit&agrave;: Bayern Monaco, Juventus e PSG sono ormai troppo forti per i rispettivi contesti, ma anche in paesi pi&ugrave; piccoli raramente la competizione &egrave; pi&ugrave; interessante che in Spagna (il Salisburgo &egrave; appena diventato campione d'Austria con 8 giornate di anticipo), dove nella peggiore delle ipotesi si assiste a un duopolio. Rimandiamo ai prossimi giorni lo sdottoramento sui massimi sistemi e sulla necessit&agrave; di un vero campionato europeo, passando all'impresa del Barcellona. Incredibile non in senso sportivo, difficile sostenere che Martino abbia a disposizione giocatori inferiori a quelli di Ancelotti, ma per il clima da fine ciclo che in Catalogna si respira ormai dall'estate 2012, quella dell'addio di Guardiola per l'anno sabbatico a New York prima e per il Bayern poi. Il 4 a 3 di Madrid &egrave; figlio di numeri tecnici clamorosi, da entrambe le parti, di errori arbitrali che permettono a tutti e due i club di accusare l'altro di condizionare gli arbitri, ma anche di una rabbia che nel Barcellona non si vedeva da tantissimo e che aveva fatto dire proprio a Guardiola che si trattava di una squadra ormai impossibile da motivare. Questo non toglie che 'Tata' Martino sia uno degli allenatori meno adatti a guidare una squadra che gioca con il pilota automatico, paradossalmente ma nemmeno tanto in questa fase ai blaugrana servirebbe pi&ugrave; un Mourinho che un Guardiola. Di sicuro il ciclo non &egrave; finito, a prescindere dai trofei che verranno alzati nella stagione: Messi ha 27 anni e sta selezionando gli impegni da affrontare al massimo molto meglio che nel passato, Iniesta ha 30 anni ma &egrave; sempre immenso, Xavi ne ha 34 ma &egrave; ancora una versione accettabile di Xavi. Nella nostra logica da eterno presente e da playstation sono sempre 'giovani', ma giocano insieme in prima squadra da esattamente 10 anni (l'ultimo ad esordire &egrave; stato Messi, nel 2004, 6 anni dopo Xavi e 2 dopo Iniesta). Ecco, intorno a questi tre pu&ograve; diventare forte praticamente qualunque calciatore di serie A e fino a quando saranno vivi e motivati sar&agrave; inutile la ricerca di quella prima punta che per tutte le altre squadre del mondo &egrave; fondamentale ma che per il Barca sarebbe quasi dannosa: per preservare la superiorit&agrave; numerica meglio avere (oltre ad un avversario spesso espulso, ieri &egrave; toccato a Sergio Ramos) in mezzo un Messi libero o un Fabregas finto centravanti, rispetto anche un fenomeno come Benzema. Al di l&agrave; di chi &egrave; tifoso del Real Madrid, per evidenti motivi, non capiamo l'antipatia e l'attesa del crollo che nei media c'&egrave; intorno al Barcellona. Reo di giocare a calcio, come manifesto programmatico (e lo ha fatto anche in tempi bui), e addirittura spesso di vincere. Gli altri, anche quelli forti, al massimo vincono ma non ti inchiodano davanti allo schermo anche se della parit&agrave; non ti importa niente.

Il lentissimo declino del Barcellona

Pi&ugrave; di 200 partite, quasi tutte di calcio, probabilmente truccate prendendo in considerazione solo 4 mesi di attivit&agrave; (600 all'anno, quindi, facendo una proiezione) e di fatto la sola Europa. "Cos&igrave; poche?". Questa la domanda sorta spontanea dopo il convegno di Bruxelles voluto da alcuni eurodeputati (l'italiano Iacolino di Forza Italia, il belga socialista Tarabella), durante cui la Federbet ha presentato i risultati della sua indagine. Fra i relatori i pubblici ministeri di Cremona e Bari, Di Martino e Angelillis, oltre che il presidente del Parlamento europeo, l'antiberlusconiano&nbsp;Martin Schulz. In concreto, cosa si pu&ograve; fare? Secondo Schulz una legge penale europea con applicabilit&agrave; estesa a tutti gli stati membri. Buona la teoria, ma impossibile la pratica visto che molte centrali di scommettitori hanno sede in Asia e in Europa hanno solo manovalanza addetta alla corruzione di calciatori. Interessante l'intervento di Angelillis, che ha ricordato la necessit&agrave; delle intercettazioni, che per la frode sportiva non &egrave; consentita a meno che non sia ritenuta in abbinamento ad altri tipi di reato. Da persone della strada, nel vero senso dell'espressione, ci facciamo quindi la domanda: ma senza intercettazioni di cosa stiamo a parlare? Dobbiamo aspettare che il calciatore Tizio si penta dei suoi taroccamenti e mandi ai magistrati una lettera in cui confessa tutto? Abbiamo umilmente chiesto informazioni (gratis) ad alcuni avvocati penalisti e la sintesi delle risposte &egrave; stata chiara. Essendo un'attivit&agrave; invasiva, le intercettazioni (anche di e-mail) sono consentite solo per alcuni reati, indicati nell'articolo 266 del codice di procedura penale. Quindi delitti non colposi per i quali &egrave; prevista una pena superiore a 5 anni, delitti legati a droga, armi, minacce, usura, pornografia minorile, contrabbando. Traducendo dal legalese, la pena per frode sportiva &egrave; in Italia al massimo di due anni (con le aggravanti e solo in caso di alterazione di una partita legata a concorsi a pronostici) ed in molti stati della cosiddetta Unione Europa questo reato neppure esiste. Con la legge attuale bisogna quindi sperare, si fa per dire, che la frode sportiva avvenga insieme ad altri tipi di reato. Certo &egrave; che la semplice analisi dei flussi indicherebbe da sola quali campionati abolire, senza attendere l'intervento della magistratura. Ma ci sarebbe la rivolta di tante piccole e medie realt&agrave;, con piccoli ingaggi e una piccola etica sportiva, a colpi di 'Gi&ugrave; le mani da'. Lo stesso calcioscommesse del 2011 ha riempito piazze di poveretti disposti a credere al loro campione anche contro l'evidenza.

Pi&ugrave; di 200 partite, quasi tutte di calcio, probabilmente truccate prendendo in considerazione solo 4 mesi di attivit&agrave; (600 all'anno, quindi, facendo una proiezione) e di fatto la sola Europa. "Cos&igrave; poche?". Questa la domanda sorta spontanea dopo il convegno di Bruxelles voluto da alcuni eurodeputati (l'italiano Iacolino di Forza Italia, il belga socialista Tarabella), durante cui la Federbet ha presentato i risultati della sua indagine. Fra i relatori i pubblici ministeri di Cremona e Bari, Di Martino e Angelillis, oltre che il presidente del Parlamento europeo, l'antiberlusconiano&nbsp;Martin Schulz. In concreto, cosa si pu&ograve; fare? Secondo Schulz una legge penale europea con applicabilit&agrave; estesa a tutti gli stati membri. Buona la teoria, ma impossibile la pratica visto che molte centrali di scommettitori hanno sede in Asia e in Europa hanno solo manovalanza addetta alla corruzione di calciatori. Interessante l'intervento di Angelillis, che ha ricordato la necessit&agrave; delle intercettazioni, che per la frode sportiva non &egrave; consentita a meno che non sia ritenuta in abbinamento ad altri tipi di reato. Da persone della strada, nel vero senso dell'espressione, ci facciamo quindi la domanda: ma senza intercettazioni di cosa stiamo a parlare? Dobbiamo aspettare che il calciatore Tizio si penta dei suoi taroccamenti e mandi ai magistrati una lettera in cui confessa tutto? Abbiamo umilmente chiesto informazioni (gratis) ad alcuni avvocati penalisti e la sintesi delle risposte &egrave; stata chiara. Essendo un'attivit&agrave; invasiva, le intercettazioni (anche di e-mail) sono consentite solo per alcuni reati, indicati nell'articolo 266 del codice di procedura penale. Quindi delitti non colposi per i quali &egrave; prevista una pena superiore a 5 anni, delitti legati a droga, armi, minacce, usura, pornografia minorile, contrabbando. Traducendo dal legalese, la pena per frode sportiva &egrave; in Italia al massimo di due anni (con le aggravanti e solo in caso di alterazione di una partita legata a concorsi a pronostici) ed in molti stati della cosiddetta Unione Europa questo reato neppure esiste. Con la legge attuale bisogna quindi sperare, si fa per dire, che la frode sportiva avvenga insieme ad altri tipi di reato. Certo &egrave; che la semplice analisi dei flussi indicherebbe da sola quali campionati abolire, senza attendere l'intervento della magistratura. Ma ci sarebbe la rivolta di tante piccole e medie realt&agrave;, con piccoli ingaggi e una piccola etica sportiva, a colpi di 'Gi&ugrave; le mani da'. Lo stesso calcioscommesse del 2011 ha riempito piazze di poveretti disposti a credere al loro campione anche contro l'evidenza.

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