Quanto vale la Fiorentina? Dopo il duro comunicato dei Della Valle, che di fatto mette il club sul mercato, questa sarebbe la prima domanda da farsi. Secondo lo studio KPMG dell'anno scorso il club viola varrebbe intorno ai 150 milioni di euro. I Della Valle la valutano almeno 200, ma la storia insegna che non esiste un prezzo 'giusto' per un club basandosi sulla struttura di costi e ricavi. Molto dipende dalle potenzialit&agrave; che gli eventuali acquirenti vedranno. Una certezza &egrave; quanto la Fiorentina sia stata pagata dai Della Valle: meno di 3 milioni di euro, visto che di fatto fu acquistato soltanto il marchio.  Vale la pena di ricordare l'operazione Florentia, portata avanti nell'estate 2002 dall'allora sindaco di Firenze Leonardo Domenici in seguito alla mancata iscrizione della Fiorentina al campionato di serie B (il fallimento sarebbe stato ufficializzato in settembre): in quella fase per prendere il controllo della societ&agrave; sarebbe bastata una ventina di milioni di euro, fra pendenze da saldare nell'immediato (il buco lasciato da Cecchi Gori era per&ograve; superiore ai 100 milioni) e aumento di capitale, trovandosi comunque proprietari di un club prestigioso ed in serie B, non in C2. In concreto non si fece avanti nessuno: fiorentino, marchigiano, tedesco o congolese che fosse. Ci si dovette inventare da zero la Florentia Viola, nuova societ&agrave; in tutto e per tutto, affidandola con una strana velocit&agrave; (un club libero da debiti e con il diritto all'uso del Franchi avrebbe fatto gola a tanti) ai Della Valle, con partenza dalla C2.  Dopo quella prima stagione, con Cavasin in panchina al posto dell'esonerato Vierchowod, arriv&ograve; la promozione in C1. Nel frattempo, con la 'vera' Fiorentina fallita, i Della Valle acquistarono il marchio e i colori per 2,5 milioni di euro e li associarono alla Florentia che cos&igrave; ridivent&ograve; a tutti gli effetti Fiorentina (con tanti saluti ai creditori). Di l&igrave; a poco sarebbe arrivato dal vituperato 'sistema' un altro regalo, con la promozione d'ufficio in serie B per meriti storici, saltando quindi la Cayenna della C1 e da l&igrave; in poi la Fiorentina sarebbe tornata nel calcio che conta, con anche due qualificazioni alla Champions League ottenute con Prandelli in panchina. Nel frattempo i Della Valle avevano pi&ugrave; volte ricapitalizzato il club con soldi veri. Arrivando mentre stiamo scrivendo queste righe a metterci circa 220 milioni di euro, tenendo conto dei vari versamenti.  Non &egrave; sfuggito ai pi&ugrave; l'auspicio, nel comunicato, che si facciano avanti 'fiorentini veri'. Un passaggio un po' ironico e un po' velenoso, visto che nella sostanza quando le cose non sono andate bene veniva subito imputato ai Della Valle di essere marchigiani e non tifosi della Viola dalla nascita. Di sicuro andando a ritroso &egrave; impossibile trovare una propriet&agrave; (lasciamo stare i presidenti, a volte solo di facciata) non fiorentina o toscana, di nascita o di adozione. Superando l'era Cecchi Gori (1990-2002), quella Pontello (1980-1990) e quelle Ugolini (di fatto tutti gli anni Settanta), Baglini (seconda met&agrave; dei Sessanta, con il secondo scudetto della storia viola: in panchina il Petisso Pesaola), Longinotti (prima met&agrave; dei Sessanta), Befani (Enrico Befani fu il presidente del primo scudetto, con Bernardini in panchina), fino ad arrivare ovviamente al leggendario marchese Ridolfi, la storia parla chiaro. Non tutti fiorentini in senso stretto, ma comunque toscani e gravitanti su Firenze. Insomma, la Fiorentina non &egrave; una squadra 'nazionale' come la Juventus e come in gran parte sono Inter e Milan, si possono s&igrave; trovare tifosi viola in varie parti d'Italia ma parliamo di poche persone. Senza contare che fino a poco fa i club milanesi erano di Moratti e Berlusconi e che la Juventus tuttora fa capo a una famiglia che si pu&ograve; considerare torinese. Se l'ottavo posto di un marchigiano non andava bene, cosa si dir&agrave; di quello di un cinese?

La fiorentinit&agrave; dei Della Valle

Il problema della Fiorentina &egrave; che non &egrave; l'Udinese, nel senso che nessun tifoso viola accetta che il suo club sia considerato una stazione di transito ed in ogni caso una vetrina per aspirare a realt&agrave; pi&ugrave; importanti. Per&ograve; la realt&agrave; di Firenze &egrave; questa, con l'aggravante di un rosso di bilancio che Pozzo non accetterebbe mai e che invece i Della Valle devono ripianare ogni anno invidiando chi con gli stessi risultati ha molta pi&ugrave; visibilit&agrave;. Solo nell'ultima stagione la Fiorentina &egrave; costata all'imprenditore marchigiano met&agrave; di quanto Thohir ha speso per la maggioranza dell'Inter (esempio non casuale, quella nerazzurra &egrave; la squadra per cui Della Valle tifa e di cui &egrave; stato anche consigliere) ed il futuro non promette di essere pi&ugrave; a buon mercato. Al netto della sfortuna cosmica dei vari Gomez, Rossi, Bernardeschi, eccetera, tutto l'ambiente &egrave; a met&agrave; del guado e la tentazione di far tornare i conti vendendo Cuadrado &egrave; fortissima. Poi ci sarebbe il discorso Montella, che non vuole rovinare la sua immagine di emergente alla luce anche di quanto si sta muovendo a Milano e Napoli. Diciamo che si sta guardando intorno, come anche la propriet&agrave;.  Il calciomercato dei club &egrave; decisamente pi&ugrave; interessante di quello dei giocatori e negli ultimi tempi si &egrave; infiammato perch&eacute; tenere a galla realt&agrave; medie costa quasi come puntare in alto. Si &egrave; cos&igrave; scatenata una sorta di sindrome del proprietario medio, che magari avrebbe i soldi per puntare pi&ugrave; in alto ma &egrave; intrappolato in realt&agrave; con limiti di vario tipo (banalmente anche soltanto demografici) e a volte senza nemmeno l'entusiasmo 'etnico' derivante dall'essere nativo del posto. Per questo Squinzi pensa che il suo Milan (almeno, questo Milan minore) non sarebbe di un altro pianeta rispetto al Sassuolo, per questo Ghirardi sta prendendo in considerazione l'idea di liberarsi del Parma dopo sette anni nel complesso positivi ma con il torto di essere arrivati dopo i fasti di Tanzi (del resto i tifosi della Lazio rimpiangono Cragnotti). &Egrave; ricomparso sui nostri schermi Rezart Taci, il petroliere albanese che vagheggiava l'acquisto del Milan, si sta aggirando per l'Italia l'emissario di un fondo americano che chiede informazioni a tutti (anche a realt&agrave; pi&ugrave; depresse del Parma), addirittura ci sarebbe un gruppo di procuratori con un imprenditore testa di legno che avrebbe bisogno di un club italiano che gli dia pi&ugrave; opportunit&agrave; di quelle avute in Svizzera. Questo risulta a noi, ma una rapida rassegna stampa impone di citare anche le voci su Zanetti (il signor Segafredo, deluso dalla vicenda Bologna), su Giampaolo Montali come capocordata, addirittura su Massimo Moratti che sotto mentite spoglie darebbe una mano a Ghirardi. Viene il sospetto che nessuno sappia qualcosa... Di certo, anzi certissimo, c'&egrave; solo che Ghirardi &egrave; stanco, come Della Valle e come (il Guerino ne ha scritto nei giorni scorsi) De Laurentiis. Situazione che render&agrave; pi&ugrave; stabile la panchina di Donadoni, se solo dar&agrave; un segnale di vita o almeno di chiarezza nelle scelte tattiche e umane.  Dal vertice fra Thohir e Moratti non &egrave; uscito l'esonero di Mazzarri, come in molti pensavano e come forse Moratti auspicava. Il fatto stesso che si sia tornati a parlare di Leonardo, da mesi disoccupato di superlusso residente a Milano, significa che certe voci escono dal mondo morattiano e soprattutto che questo mondo non intende mollare la presa sull'Inter (a Cagliari e Parma possono sempre andare amici) &nbsp;perch&eacute; adesso il pallino &egrave; di Thohir ma fra due anni chiss&agrave;. Culturalmente avverso ad assumere un traghettatore, l'imprenditore indonesiano &egrave; il segretario del partito anti-esonero ma non &egrave; di sicuro sordo e il fatto che dall'annuncio delle formazioni sia stato tolto causa fischi il nome dell'allenatore (!) non d&agrave; una grande immagine del club. E quindi? Nel derby delle camicie bianche in discussione il risultato pi&ugrave; logico sarebbe il pareggio.  Twitter @StefanoOlivari

La sindrome del proprietario medio

Appare ormai evidente che il tavolo della pace verr&agrave; apparecchiato. Il 14 dicembre a Roma, nella palazzina H del Coni. In parte ne ha gi&agrave; scritto oggi Stefano Olivari, io mi limito qui alla possibile presenza di Diego Della Valle, data oggi per probabile dal Corriere della Sera insieme all&rsquo;immancabile Galliani. Continuo a non capire se sar&agrave; davvero cos&igrave; o se la candidatura dell&rsquo;imprenditore marchigiano non parta piuttosto da ambienti giornalistici, dove sappiamo essere molto forte l&rsquo;influenza di DDV e del suo amico LCDM (Luca Cordero di Montezemolo). La ragione &egrave; sempre la solita: il primo tavolo di pace l&rsquo;avrebbe proposto il patr&ograve;n viola. Ma siamo sicuri che nessun altro presidente, magari meno mediatico di lui, abbia avanzato un&rsquo;idea simile qualche tempo prima? In fin dei conti non &egrave; una cosa originalissima, cui nessun altro abbia mai pensato. Ma Diego Della Valle piace, ammalia soprattutto i direttori. L&rsquo;unico che non lo tratt&ograve; in guanti di velluto, cinque anni fa, ha smesso di farlo. E allora tutti a omettere le cose pi&ugrave; sgradevoli del personaggio. Per esempio che abbia ricevuto una condanna penale per frode sportiva meno di un mese fa. Va bene che in Italia i precedenti fanno curriculum, ma non ci scagliamo sempre contro gli inquisiti del Parlamento? Lui per primo, comprando paginate sui quotidiani. &Egrave; diverso se stanno in qualche importante Patto di sindacato? Altra cosa piuttosto ridicola &egrave; il Cartellino Viola, l&rsquo;iniziativa di premiare ogni week-end il miglior gesto di fair-play. Non perch&eacute; sia sbagliato, ma perch&eacute; sa tanto di marketing, almeno a me. Tra un mese nessuno lo ricorder&agrave; pi&ugrave; nessuno, esattamente come il terzo tempo varato sempre da Della Valle un paio di anni fa. Il Cartellino Viola &egrave; servito a fare qualche articolo in bella scrittura, un paio di pagine romantiche, nelle quali si invitava la Lega calcio a prendere esempio. E poi? Stop, finita l&igrave;. Perch&eacute; gi&agrave; avanza la prossima collezione estate-inverno, con qualche boutade nuova. Della Valle &egrave; tanto cool, moderno, trasversale e globale, che forse sono io a non capirlo con le mie vecchie scarpe. Vorrei chiedere a Giuseppe Gazzoni Frascara cosa ne pensi, ad esempio. O a Cesare Prandelli, attaccato come traditore della Fiorentina, che infatti ha iniziato a volare dopo l&rsquo;uscita del Ct azzurro. Come no?

Della Valle incantata

Il giorno successivo al botta e risposta tra Gianni Petrucci, presidente del Coni, e Andrea Agnelli, presidente della Juve, &egrave; molto interessante scorrere la rassegna stampa che ne esce fuori. Giusto per capire i poteri forti dell&rsquo;Italia. Per tutti i quotidiani sportivi, la notizia &egrave; la creazione di un tavolo futuro in cui dirimere le vicende dello scudetto 2006 e del risarcimento chiesto dalla Juve. Ma qui finiscono le analogie. Sulle presenze al tavolo le ipotesi divergono. Date per scontate quelle di Petrucci - padrone di casa - e di Agnelli e Moratti (che ha gi&agrave; risposto s&igrave; ieri sera), secondo Tuttosport si aggiungerebbero l&rsquo;ininfluente Giancarlo Abete (presidente della Federcalcio), Maurizio Beretta (numero due della Lega, perch&eacute; l&rsquo;uno &egrave; Lotito) e il neoministro Gnudi, forse perch&eacute; invitato proprio da Agnelli nella conferenza stampa di ieri. Ma la Gazzetta dello Sport non la pensa cos&igrave;. Il ministro Gnudi non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;, in compenso ci sono Pagnozzi (segretario generale del Coni), ma soprattutto Adriano Galliani e Diego Della Valle. Curiosa la presenza di quest&rsquo;ultimo, appena condannato per frode sportiva a Napoli. La motivazione starebbe nel fatto di essere stato il primo a lanciare l&rsquo;idea di un tavolo del calcio, ma viene da pensare che il suo ruolo di socio influentissimo di Rcs conti di pi&ugrave;. Addirittura incomprensibile Galliani. Motivazione ufficiale: perch&eacute; il Milan ha fatto la storia del calcio italiano. Ma allora perch&eacute; non il Napoli, la Roma, la Lazio, che a loro modo hanno partecipato a scriverla? Vorrei dire persino il Genoa, il Bologna, il Torino, la Pro Vercelli, che qualcosa hanno vinto anche loro. Vai a capire.

Aggiungi un posto al tavolo

Leggo oggi sul Corriere dello Sport una bella intervista di Andrea Fan&igrave; a Ignazio Scardina, unico giornalista a finire nel processo dei processi, quello di Napoli. Tutti hanno parlato in questi giorni, da Moggi a Bergamo, da Lotito a Della Valle, gli ultimi due esclusi da incarichi sportivi per via della sentenza di frode sportiva. Ma nessuno aveva sentito sin qui l&rsquo;urgenza di ascoltare Ignazio Scardina. Ammetto di avere pensato parecchie volte a lui in questi cinque anni di indagini e di tribunale. E di avere atteso con curiosit&agrave;, l&rsquo;altra sera, il verdetto che lo riguardava. Penso per il fatto banalissimo di essere un collega o forse perch&eacute; nelle grandi tragedie della storia se ne nascondono ogni volta alcune pi&ugrave; piccole, personali, ma umanamente intense. Non conosco Scardina di persona, se non per averlo incontrato casualmente in una stanza romana della Casagit dieci anni fa. Scambiammo due battute, sapevo solamente che curava la Domenica Sportiva ed era il numero due o tre di Rai Sport. Lo rivedo nella fotografia pubblicata oggi sullo stesso Corsport. &Egrave; invecchiato, smagrito, cupo, ma soprattutto con gli occhi tristi e sprofondati nel dolore, come se avesse gi&agrave; visto quello che gli altri uomini non hanno ancora visto. Nell&rsquo;intervista ha parlato della sua famiglia, che l&rsquo;ha salvato, della sua vita saltata in aria con una telefonata di un carabiniere, di un&rsquo;odissea in cui scompaiono tanti falsi amici e resta solo chi ti vuole bene. Davvero. Le tragedie hanno pochi salvagenti. Ha avuto anche un infarto, Scardina, ha visto la Rai farsi parte civile contro di lui. Sicuramente sbagli&ograve; a dare troppa confidenza a Luciano Moggi, a occuparsi dei guai finanziari del discutibile Pieroni, a non tenere altissimo il confine tra s&egrave; e l&rsquo;interlocutore (avrei comunque voluto sentire le telefonate di altri dirigenti con certi giornalisti amici), ma ha pagato un prezzo altissimo, esorbitante. Fino a quei cinque secondi letti dal giudice Casoria: &laquo;Scardina Ignazio, assolto&raquo;. Chi gli ridar&agrave; la gioia e la pienezza della vita, quella che abbracciamo ogni mattina facendo colazione?

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Si sono dimenticati Scardina