        La mattina dell&rsquo;8 giugno 1990 l&rsquo;Italia era finalmente pronta a sollevare il sipario sul suo Mondiale e mostrarlo come uno scrigno prezioso agli occhi del pianeta. Citt&agrave; bardate a festa, atmosfera frizzante, strutture ricettive pronte ad accogliere gli stranieri, aria di vacanze anticipate. &Egrave; giusto pensare che quella manifestazione abbia rappresentato una linea di passaggio tra il Paese che negli anni Ottanta aveva vissuto di &ldquo;edonismo reaganiano&rdquo; (per dirla col gergo della trasmissione di Renzo Arbore &ldquo;Quelli della notte&rdquo; che a met&agrave; di quel decennio riempiva di una comicit&agrave; originale la seconda serata televisiva della Rai) e una nuova era nella quale la nazione avrebbe modificato i suoi connotati. E chiss&agrave; se fu solo un caso, o un segno voluto dalla storia, che la partita di apertura di quel torneo venisse giocata a San Siro, in quella Milano da bere iconizzata nelle pubblicit&agrave; dell&rsquo;epoca e raccontata come la capitale economica e morale di una societ&agrave; che di l&igrave; a poco si sarebbe svelata uguale da nord a sud nei suoi vizi peggiori, trovando proprio nel capoluogo lombardo l&rsquo;epicentro iniziale di una crisi di valori fino a quel momento relegata nella vulgata comune ai palazzi romani della politica.  L'Italia organizza il Mondiale&nbsp; Assegnata all&rsquo;Italia il 19 maggio 1984, l&rsquo;organizzazione del Mondiale port&ograve; con s&eacute; sprechi e approssimazioni il cui impatto ha pesantemente gravato sullo Stato anche negli anni seguenti la conclusione della manifestazione. I costi per la costruzione ex novo (o l&rsquo;ammodernamento) degli stadi e delle infrastrutture necessarie ad ospitare l&rsquo;evento subirono una lievitazione ingente in corso d&rsquo;opera. Molti dei lavori vennero ultimati a ridosso dell&rsquo;inizio del torneo, talvolta in maniera approssimativa. Ma, una volta arrivato l&rsquo;8 giugno, le questioni sull&rsquo;argomento vennero messe da parte per lasciare spazio ai campi di gioco e ai suoi protagonisti. Pochi, quel giorno, immaginavano che il carico di emozioni che avrebbe portato il Mondiale italiano sarebbe rimasto impresso nella memoria collettiva della nazione per gli anni a venire, tanto che, ancora oggi, l&rsquo;eco di quell&rsquo;evento riecheggia nei ricordi sempre vividi di chi quelle Notti Magiche le ha vissute in prima persona.   Nacquero le Notti Magiche Notti Magiche accompagnate dalle note di &ldquo;Un&rsquo;estate italiana&rdquo;, singolo interpretato da Edoardo Bennato e Gianna Nannini diventato immediatamente un successo, colonna sonora ideale per i sogni di un popolo che, dopo il Mondiale del 1982, voleva riassaporare la gioia della vittoria in casa propria: un&rsquo;affermazione che avrebbe significato l&rsquo;apogeo per un Paese che da tempo viveva oltre le proprie reali capacit&agrave; economiche. Un successo inseguito da tutti, in primis da Antonio Matarrese, ambizioso presidente della Federcalcio, che da un eventuale trionfo avrebbe acquisito ulteriore prestigio e potere personale. Cercato da Luca Cordero di Montezemolo, giovane manager rampante amato da Gianni Agnelli, messo alla guida del Comitato Organizzatore; sognato da Azeglio Vicini, tecnico di una Nazionale cresciuta a sua immagine e somiglianza, fautore della trasformazione dei suoi ex talentuosi ragazzini dell&rsquo;Under 21 in giocatori pronti a sollevare al cielo di Roma la coppa pi&ugrave; importante del mondo. Italia 90, un Mondiale equilibrato Per raggiungere quell&rsquo;obiettivo bisognava sbaragliare la concorrenza di altre ventitr&eacute; nazionali, allineate su valori piuttosto omogenei che avrebbero dato vita a un campionato molto equilibrato con pochi gol (alla fine la media sar&agrave; di 2,21 a partita) e gare spesso ai limiti della noia, che nella fase a eliminazione diretta avranno pi&ugrave; volte bisogno di tempi supplementari e calci di rigore per trovare un vincitore. Uno spettacolo dall&rsquo;estetica discutibile come la mascotte della manifestazione, quel Ciao che, sin dalla presentazione, sollev&ograve; molte critiche per via della sua smilza essenzialit&agrave;: un pupazzetto tricolore composto da elementi cubici e da un pallone che volevano rappresentare la figura stilizzata di un calciatore.  Mondiali Italia 90: il Camerun sorprende l'Argentina all'esordio Preludio appropriato di quello che si vide in quel mese di calcio fu proprio la partita inaugurale disputata dai campioni uscenti dell&rsquo;Argentina e dal Camerun. L&rsquo;Albiceleste ha ancora in Maradona la sua guida tecnica e spirituale, anche se il Pibe ha addosso quattro anni in pi&ugrave; di quegli eccessi che, a stretto giro, ne condizioneranno pesantemente la carriera e la salute. I Leoni Indomabili fanno della fisicit&agrave; estrema e dell&rsquo;entusiasmo le loro armi migliori e con quelle colpiscono le velleit&agrave; di replicare la vittoria di Messico 86 dei sudamericani. Giocano duro, ai limiti del regolamento e oltre, raccolgono cartellini di ogni colore (a fine partita saranno due gialli e due rossi) ma col gol realizzato da Omam-Biyik al 67&rsquo; vincono e regalano al Mondiale la sua prima, grande sorpresa.       

L&rsquo;8 giugno 1990 la partita tra l&rsquo;Albiceleste e i Leoni Indomabili inaugur&ograve; una delle edizioni della Coppa del Mondo rimasta pi&ugrave; impressa nella memoria collettiva italiana

Argentina-Camerun, a San Siro scoprimmo il Mondiale delle Notti Magiche

        La sua &egrave; stata una lunga storia d&rsquo;amore senza il classico lieto fine, ma fatta di affetto, abnegazione e fedelt&agrave;: Azeglio Vicini, nato il 20 marzo del 1933 a Cesena, avrebbe &ldquo;oggi&rdquo; raggiunto la veneranda et&agrave; di 90 anni, 90, come il numero della paura nella smorfia, 90, come le &ldquo;notti magiche&rdquo; che sul pi&ugrave; bello videro svanire la magia. Uno dei commissari tecnici pi&ugrave; amati della storia della Nazionale italiana, cui vot&ograve; la sua carriera da allenatore e da insegnante, di calcio e di maniere, tanto da attirarsi addosso le ironie su un &ldquo;posto fisso&rdquo;, che comunque onor&ograve; sempre al meglio. Il lavoro di Vicini&hellip; partito da lontano Aveva solamente 35 anni e gi&agrave; un&rsquo;esperienza in panchina, invero sfortunata, a Brescia, sua ultima squadra da giocatore, sua prima squadra da allenatore, luogo in cui decise di vivere e dove si spense il 30 gennaio del 2018, quando entr&ograve; a far parte del settore tecnico della FIGC. Correva l&rsquo;anno 1968. Per dire che la storia di Azeglio Vicini al servizio della Nazionale part&igrave; davvero da lontano&hellip; Nel 1976 la prima svolta della sua carriera in azzurro: gli viene affidata l&rsquo;Under 23, che di l&igrave; a poco verr&agrave; riformata in Under 21. Giusto in tempo per recapitare a Enzo Bearzot dei ragazzi &ldquo;promettenti&rdquo;: Rossi e Cabrini per il Mondiale del 1978 in Argentina e l&rsquo;imberbe ma baffuto Bergomi per l&rsquo;epopea del 1982 in Spagna. Italia 1982 batte Italia 2006  1984-1986, l&rsquo;et&agrave; dell&rsquo;oro con l&rsquo;Under 21 Il capolavoro, per&ograve;, Vicini lo realizz&ograve; un paio d&rsquo;anni pi&ugrave; tardi, quando si imbatt&eacute; in una nidiata di futuri campioni, che accompagn&ograve; sapientemente alla ribalta. Parliamo dell&rsquo;irripetibile biennio dell&rsquo;Under 21 tra il 1984 e il 1986, quando il buon Azeglio faceva incetta di pepite preziose, che neanche Zio Paperone nel Klondike: Zenga in porta, Riccardo Ferri in difesa, De Napoli, Donadoni, Vialli, Mancini. Troppa grazia e la sensazione che mentre si stanno spegnendo gli eroi del 1982, sotto la cenere arda un fuoco destinato a divampare in nome di una nuova generazione di fenomeni, probabilmente la pi&ugrave; forte di sempre. E che pure non vinse nulla, sconfitta ai rigori nella finale degli Europei di categoria dalla Spagna di Luisito Suarez. Italia '90: notti magiche, meno una&hellip; Nonostante il titolo svanito a un passo dal traguardo, la promozione di Vicini a Ct della Nazionale maggiore arriva in modo quasi naturale: Messico &rsquo;86 &egrave; stato un flop e c&rsquo;&egrave; bisogno di ricostruire. Il primo obiettivo sono gli Europei in Germania del 1988: l&rsquo;Italia, pur con qualche reduce ancora in organico, &egrave; giovane e bella e si arrende solamente in semifinale all&rsquo;ultima grande Urss. Next stop Italia &rsquo;90. Giochiamo in casa e la nostra casa &egrave; lo Stadio Olimpico: sulle note di &ldquo;Notti Magiche&rdquo; di Bennato e Nannini la magia si crea davvero. Vicini ha impostato la sua Nazionale sugli ex ragazzi dell&rsquo;Under, ma ha un&rsquo;intuizione: il carneade Tot&ograve; Schillaci da Palermo si &egrave; imposto a suon di gol con la Juventus, se gli passa accanto un pallone, lo butta dentro. E cos&igrave; accade. L&rsquo;Italia fa un percorso netto nel traboccante entusiasmo di un&rsquo;ondata nazionalpopolare senza precedenti. Ma poi arrivano l&rsquo;Argentina e la notte da incubo del San Paolo e la magia che svanisce dagli undici metri, proprio come nella finale con la sua incredibile Under. Vicini ne esce devastato, nella platonica festa del San Nicola di Bari per il terzo posto dopo il successo con l&rsquo;Inghilterra, Azeglio appare svuotato, ma resta comunque in sella, prossima tappa Euro &rsquo;92. Che si chiude con un&rsquo;altra atroce beffa, crudelmente disegnata dal destino: &egrave; sul palo centrato da Rizzitelli che si infrangono le speranze di qualificazione degli azzurri e che si chiude il percorso in Nazionale di Azeglio Vicini.       

Dall&rsquo;Under 21 a Italia '90 e la scommessa Schillaci, dal gol di Caniggia al palo di Rizzitelli: la storia del tecnico cui manc&ograve; solo la ciliegina sulla torta

Azeglio Vicini: il più azzurro di sempre

La morte di Azeglio Vicini, a quasi 85 anni, ci fa dare l&rsquo;addio a un uomo che per tutti, tranne che per familiari e amici stretti, sar&agrave; per sempre il commissario tecnico dell&rsquo;Italia al Mondiale del 1990. Un selezionatore &lsquo;condiviso&rsquo; come Prandelli, Zoff e Bearzot, mai percepito dall&#39;opinione pubblica come uno di parte. Italia &rsquo;90 rimane uno dei pi&ugrave; bei ricordi del nostro calcio, perch&eacute; chiuse il decennio della rinascita e perch&eacute; quella Nazionale era realmente la squadra degli italiani. Nel senso che per una congiuntura storica, ma anche per le scelte di Vicini, quasi tutti tifavano per gli azzurri a prescindere dal proprio tifo a livello di club. Cosa che raramente era accaduta prima (nemmeno nel 1982, tranne che dal 5 all&rsquo;11 luglio) e che quasi mai sarebbe accaduta dopo.  La squadra che Vicini present&ograve; al Mondiale non era identificabile con alcun club, come del resto lo stesso c.t, ed aveva pochi punti di contatto con il ciclo azzurro precedente: di fatto solo Bergomi, visto che Altobelli e Cabrini durarono poco. Fra i giocatori pi&ugrave; rappresentativi, citando chi effettivamente scese in campo, c&rsquo;erano sampdoriani (Vialli, Vierchowod), interisti (Zenga, Bergomi, Ferri), milanisti (Baresi, Maldini, Donadoni), juventini (Schillaci, De Agostini, Baggio appena preso dalla Fiorentina), romanisti (Giannini, Carnevale appena preso dal Napoli), napoletani (De Napoli, Ferrara). Non &egrave; che Vicini avesse progettato a tavolino questa nazionale mosaico, ma all&rsquo;epoca non esisteva un club dominante e gli scudetti dal 1981 al 1991 (in 10 anni 7 vincitori diversi: Juventus, Roma, Verona, Napoli, Milan, Inter e Sampdoria) lo testimoniano in maniera perfetta. Il confronto con la serie A odierna &egrave; impietoso, in ogni senso.  Le idee tattiche di Vicini non erano tanto diverse da quelle del suo predecessore sulla panchina azzurra, anche se con Bearzot c&rsquo;era una cordiale antipatia. Un libero di classe, due marcatori puri, il tornante, il fludificante (per esprimerci come all&rsquo;epoca), due mediani a sostegno dei giocatori di maggior classe da combinare secondo l&rsquo;ispirazione del momento. Vicini inizi&ograve; il suo ciclo con la Nazionale maggiore portandosi in dote l&rsquo;entusiasmo e lo spirito offensivo della sua Under 21, per poi diventare leggermente pi&ugrave; prudente. La formazione con cui esord&igrave; all&rsquo;Europeo 1988, contro la Germania Ovest padrona di casa, era gi&agrave; in pratica quella di Italia &rsquo;90: con l&rsquo;eccezione di Mancini (al suo posto Carnevale), l&rsquo;undici di partenza, il 9 giugno 1990, di Italia-Austria prima partita del nostro Mondiale.  Nella sua autobiografia Vicini ha sostenuto che quel terzo posto non fu un Mondiale buttato, perch&eacute; c&rsquo;erano squadre con qualit&agrave; dei singoli superiore: dalla Germania Ovest di Matth&auml;us all&rsquo;Olanda di Van Basten, dall&rsquo;Argentina di Maradona al Brasile di Careca, senza contare il livello di squadre come l&rsquo;ultima Jugoslavia unita, la Spagna o l&rsquo;Inghilterra incontrata dagli azzurri nella commovente finale per il terzo posto di Bari. Commovente per come le squadre alla fine festeggiarono la fine di Italia &rsquo;90 e di un&rsquo;epoca irripetibile. Di sicuro l&rsquo;ultima in cui il calcio per nazionali aveva la stessa importanza di quello per club. Con questo non vogliamo usare lo schema classico dei coccodrilli, affermando che Vicini sia stato un genio del calcio, perch&eacute; non &egrave; vero e perch&eacute; con il senno di poi proprio al Mondiale fece diversi errori: non seppe dire di no a Vialli mezzo infortunato, non ebbe il coraggio di puntare al 100% su un Baggio in condizioni splendenti, si dimentic&ograve; di Mancini. Certo, senza l&rsquo;uscita di Zenga su Caniggia adesso Vicini avrebbe la statua equestre. Ma &egrave; stato una persona pulita, che ha lavorato ed &egrave; andata in pensione con grande classe, nonostante lo scarso stile con cui Matarrese lo conged&ograve;. Azeglio Vicini, allenatore dell&#39;Italia quando era il massimo.&nbsp; 

La morte dell&#39;ex commissario tecnico dell&#39;Italia &egrave; quella di un allenatore ricordato con affetto, che guid&ograve; una squadra forse sopravvalutata ma che manc&ograve; la finale del Mondiale di un niente. Di certo uno dei pochi c.t. condivisi della nostra storia...

Addio Azeglio Vicini, addio Italia &#39;90

La fine delle notti magiche. Il sogno azzurro interrotto a un passo dalla finale di Roma. Il 3 luglio del 1990, esattamente un quarto di secolo fa, terminava la rincorsa alla quarta stella della nazionale di Azeglio Vicini, che al San Paolo di Napoli si arrese all&rsquo;Argentina di Maradona. L&rsquo;Italia intera era convinta di alzare la Coppa: la nazionale giocava bene, godeva del fattore campo e all&rsquo;appuntamento in semifinale si presentava senza neppure un gol subito. La difesa era ben salda e in attacco c&rsquo;era la forma di Salvatore Schillaci, esploso al momento propizio e capocannoniere del torneo. 1-0 all&rsquo;Austria (Schillaci), 1-0 agli Usa (Giannini), 2-0 alla Cecoslovacchia (Schillaci e Baggio), 2-0 all&rsquo;Uruguay (Schillaci e Serena), 1-0 all&rsquo;Irlanda (Schillaci): questa la rotta d&rsquo;avvicinamento degli Azzurri alla partita contro la Seleccion di Bilardo. Pi&ugrave; incerto il cammino dell&rsquo;Albiceleste campione in carica: clamoroso 0-1 con il Camerun all&rsquo;esordio, 2-0 all&rsquo;Urss (Troglio e Burruchaga), 1-1 con la Romania (Monzon), sofferto 1-0 al Brasile (con la Sele&ccedil;ao che ha denunciato gli argentini, rei di aver corretto una bottiglietta di Gatorade con un sedativo!), 0-0 con la Jugoslavia (vittoria ai rigori). L&rsquo;andamento del match. Per il quinto Mondiale consecutivo, si incrociano i destini di Italia e Argentina. Questa volta per&ograve;, c&rsquo;&egrave; in palio l&rsquo;accesso alla finale. Teatro della sfida, il San Paolo di Napoli, dove Maradona ha appena festeggiato la conquista del secondo scudetto. Alla vigilia del match, El Pibe de Oro chiede ai tifosi napoletani di tifare per lui, agitando il pre-partita. Al 17&rsquo;, Bergomi e compagni passano in vantaggio: un tiro di Vialli, preferito a Baggio, non viene bloccato dal portiere Goycochea: sul pallone si piomba Schillaci, che sblocca il risultato e porta a cinque le sue marcature nel Mondiale. Lungo tutto lo Stivale si festeggia e s'intravede la finale, ma il brusco risveglio &egrave; dietro l'angolo: al 68&rsquo;, Olarticoechea crossa in area, il portiere azzurro Walter Zenga sbaglia il tempo dell&rsquo;uscita, rimanendo a met&agrave; tra porta e pallone e Claudio Caniggia, spietato, sfrutta la chance trafiggendo di testa il nostro estremo difensore, che non subiva gol da 518 minuti (un record per i Mondiali). Si spezza l&rsquo;incanto e l&rsquo;undici di Vicini si fa prendere dalla tensione, non riuscendo pi&ugrave; a costruire pericolose trame di gioco, nemmeno con gli ingressi di Baggio per Giannini e di Serena per Vialli. Si va ai supplementari, dove l&rsquo;arbitro francese Vautrot prende un abbaglio assegnando otto minuti di recupero nel primo tempo. In questo lasso di tempo extra espelle l&rsquo;argentino Giusti, ma nemmeno il "rosso" serve a risvegliare l&rsquo;Italia dal torpore in cui &egrave; improvvisamente piombata.  I rigori. Si arriva ai calci di rigore, accettati quasi con rassegnazione dopo il pari di Caniggia. Dagli undici metri, segnano in sequenza Baresi, Serrizuela, Baggio, Burruchaga, De Agostini e Olarticoechea. Sul 3-3, si consuma il primo errore della serie, quello di Donadoni: la sua conclusione &egrave; respinta da Goycochea; Maradona trasforma il quarto penalty argentino, dando ad Aldo Serena tutto il peso dell'ultimo tiro: l&rsquo;errore del nerazzurro (altra parata di Goycochea), sancisce un&rsquo;amara eliminazione e promuove l&rsquo;Argentina, attesa in finale da una tra Germania Ovest e Inghilterra, squadre affrontate e battute a Messico '86. Le &ldquo;notti magiche inseguendo un gol&rdquo; terminano in lacrime, e il l&rsquo;estate calcistica va in archivio col silenzio irreale piombato su tutta la Penisola. Il giorno dopo l'eliminazione si ha l&rsquo;impressione di un post-sbornia e la gente comincia a realizzare che la festa &egrave; realmente finita, che quell'uscita a vuoto di Zenga &egrave; veramente accaduta e che il Mondiale casalingo non avrebbe avuto la coda da tutti sognata. In pratica, su quella rete di Caniggia e su quei calci di rigore, si chiudono gli anni Ottanta del nostro calcio. Appena un mese prima avevamo conquistato la Coppa dei Campioni (Milan), la Coppa delle Coppe (Samp) e la Coppa Uefa (Juventus, vincitrice sulla Fiorentina). &Egrave;&nbsp;mancata la ciliegina finale, sfumata dal dischetto. E purtroppo per l&rsquo;Italia, i rigori daranno altre delusioni per tutto il decennio entrante.  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Italia 90, 25 anni fa Caniggia beff&ograve; Zenga

In piena &ldquo;campagna elettorale&rdquo; Diego Armando Maradona cavalca il marciume della Fifa per presentarsi come uomo nuovo e denuncia a distanza di venticinque anni, che l&rsquo;Argentina dovette perdere la finale dei Mondiali &lsquo;90 contro la Germania Ovest. Glielo comunic&ograve; prima della partita di Roma il presidente argentino Grondona, capo della federazione albiceleste per trentacinque anni e deceduto lo scorso anno: &laquo;Grondona mi aveva detto che avremmo perso la finale e che ci saremmo dovuti consegnare. Io rifiutai gli dissi che avrei dato tutto per vincere. E inoltre, giuro sulle mie figlie, che Grondona non fece nulla per impedire che ci arbitrasse Codesal&raquo;. Accusa sicuramente grave la prima, anche se forse giunta un pelino a scoppio ritardato. Viene da chiedersi infatti come mai il Pibe de Oro, al quale non &egrave; mai mancato il coraggio nelle esternazioni contro i vertici del calcio, abbia deciso solo oggi di denunciare quel fatto, certamente grave. Quanto all&rsquo;arbitro, che Codesal non fosse uno stinco di santo, &egrave; assodato dalla sua biografia: il ginecologo messicano, per giunta di origini uruguaiane, fu radiato dalla federazione messicana subito dopo il Mondiale; motivo: corruzione. E pensare che ai Mondiali del 2002, disastrosi su tutta la linea per la classe arbitrale, lo ritroveremo nella commissione arbitrale...). Ad ogni modo, non spetta certamente al presidente federale di una delle due squadre impedire che un arbitro diriga una gara e anche in questo caso la denuncia di Maradona &egrave; fallace, a meno che gli argentini non sapessero gi&agrave; prima che Codesal fosse corrotto. La direzione di gara di quella finale del &lsquo;90 fu un autentico scempio. Furono negati un rigore all&rsquo;Argentina e uno alla Germania e ai tedeschi ne fu concesso uno nel finale di gara sin troppo generoso. Fu il penalty che decise la finale: Brehme segn&ograve; il gol e consegn&ograve; il titolo alla Germania Ovest, che si prese la rivincita sugli argentini. In modo ingiusto, trionf&ograve; la nazionale pi&ugrave; forte e che si era battuta meglio durante il Mondiale (gli argentini avevano passato il girone come terzi e all&rsquo;eliminazione diretta hanno battuto in modo discutibile il Brasile e pareggiato gli altri due incontri. In pratica, sono arrivati secondi vincendo solo due gare), cos&igrave; come vinse la squadra &ldquo;giusta&rdquo; nel 1986 (in quel caso furono i tedeschi ad arrampicarsi fino alla finale di Citt&agrave; del Messico con un pizzico di buona sorte). Giovanni Del Bianco

La denuncia fuori tempo massimo di Maradona

Azeglio Vicini &egrave; arrivato felicemente agli 80 anni, ma da quasi 23 il pensiero di quell"uscita di Zenga su Caniggia gli impedisce di guardare alla sua ottima carriera da allenatore (cinque Mondiali da assistente, due con Valcareggi e tre con Bearzot, anche se Bearzot gli preferiva Cesare Maldini, pi&ugrave; Italia "90 da commissario tecnico in capo) con soddisfazione totale. La sua Nazionale, dalla promozione di una fantastica Under 21 (Vialli, Donadoni, De Napoli, Giannini, eccetera) nel 1986 all"eroica e sfortunata partita di Mosca nel 1991 (quella del palo di Rizzitelli), non &egrave; stata la pi&ugrave; vincente della storia azzurra ma &egrave; considerata non solo da lui la pi&ugrave; simpatica. Non tanto per i record di audience televisiva, anche se i 27 milioni di persone per Italia-Argentina sono rimasti imbattuti nonostante in Mondiali successivi l"Italia sia arrivata in finale (1994 con Sacchi) e poi abbia anche alzato la Coppa (2006 con Lippi), ma perch&eacute; quella di Vicini &egrave; stata senza dubbio l"ultima Nazionale per cui abbiano tifato tutti gli italiani, abbattendo le barriere del tifo per club diversi. Molti, forse anche lo stesso Vicini, spiegano questo fenomeno con il fatto che quella fosse una squadra mosaico, non basata su un unico blocco. La squadra pi&ugrave; forte di quegli anni era il Milan, per&ograve; non si ricordano solo Baresi, Maldini e Donadoni. Nella memoria collettiva non a caso rimangono anche Vialli (Sampdoria), Zenga (Inter), Giannini (Roma), De Napoli (Napoli), Schillaci (Juventus) e Baggio (Fiorentina)... Di sicuro questa &egrave; una spiegazione valida come le altre, visto che la simpatia non &egrave; misurabile. Una spiegazione che per&ograve; non spiega come mai anche l"Italia del Mondiale 1978, con 8 juventini titolari (in certi casi 9), fosse amata anche da chi non tifava Juventus. Forse Click here&nbsp;to read more!We are thrilled to introduce our latest online  roulette online  &ndash; &nbsp;SlotsHeaven. la simpatia della squadra di Vicini risiedeva proprio in Vicini, non perch&eacute; lui raccontasse barzellette mentre Sacchi e Lippi erano seriosi, ma perch&eacute; l"allenatore romagnolo &egrave; stato l"ultimo c.t. a non essere stato percepito dalla gente come uomo di parte. Merito della sua carriera da buon calciatore (Vicenza, Sampdoria e Brescia, tre squadre certo non odiate dai tifosi di quelle cinque che valgono pi&ugrave; dell"80% del tifo italiano) e da allenatore quasi sempre per la Figc, con l"eccezione degli inizi al Brescia e della chiusura con Cesena e Udinese. Per la federazione Vicini ha fatto l"osservatore, l"istruttore, l"allenatore di varie squadre giovanili, il c.t. e alla fine, prima della strana era Baggio, il presidente del Settore Tecnico. Una targa di club ce l"hanno invece, come giocatori, Cesare Maldini, Zoff e lo stesso Prandelli, mentre come allenatori &egrave; ancora pi&ugrave; evidente l"appartenenza di Sacchi e Lippi, fra l"altro entrambi imposti (in particolare Sacchi) dai loro club alla federazione quando il loro ciclo era finito. Pi&ugrave; trasversale Trapattoni, che non a caso &egrave; sempre stato trattato con i guanti da tutti i media nonostante come risultati azzurri sia stato il peggiore fra tutti in tecnici citati. Quindi i risultati contano, s&igrave;, e comunque quelli di Vicini sono stati ottimi (mettiamoci anche il terzo posto a Euro 1988), ma quello che rimane &egrave; anche altro. Per fortuna. Auguri mister, era anche il nostro Mondiale e il terzo posto va benissimo. Senza rimpianti.

6 risultati per 'Italia 90'

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