L'estate italiana di Totò Schillaci

L'estate italiana di Totò Schillaci

Ripercorriamo il magico Mondiale di Italia 90, quando il bomber siciliano fece innamorare di sé tutto il Paese

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Quando, domenica scorsa, il suo volto è comparso sul tabellone dell'Olimpico per il minuto di silenzio che ha preceduto Roma-Udinese, nel fragore degli applausi venati da una sorta di malinconia per il tempo che anticipa se stesso e che si porta via troppo presto una parte di ciò che eravamo, per ogni volta che strappa una figurina dall'album di una vita fa, abbiamo riflettuto sul fatto che Totò Schillaci era tornato nel "suo" stadio: quello nel quale da un subentro non atteso era nata la sua leggenda, forse poi esauritasi nel ritorno a una carriera "normale" seppure spesa nella seconda parte ad alti livelli, tra una Juventus quasi grande e un'Inter spendacciona. Però era stato all'Olimpico, sotto il cielo di Roma, che un'Italia grata, persino un po' illusa, e un mondo curioso avevano aperto gli occhi sugli occhi suoi, accesi dalla sorpresa di vedere una fame antica saziata a cucchiaiate di caviale in mondovisione. «Quando segno gioisco insieme con gli italiani, dalle Alpi alla Sicilia. Compresi gli emigrati all’estero che ci vedono in tv da tutto il mondo».

A parlare era di nuovo il ragazzino nato a Palermo in Via della Sfera e poi cresciuto al CEP, dove tanti destini possono pungersi coi ricci di mare che gli ambulanti vendono su banchetti traballanti come le speranze di chi si ostina senza avere nemmeno il lusso di illudersi. Così diceva, anche se già ricco, già juventino, già Totò.

In Nazionale Salvatore Schillaci aveva esordito il 31 marzo del 1990, a Basilea, amichevole Italia-Svizzera 0-1.

 

 

Arriva Italia 90

 

Il 9 giugno dello stesso anno, allo Stadio Olimpico, è già Coppa del Mondo, Italia-Austria, stagnante 0-0 che si protrae quasi fino alla fine. Quasi. Schillaci entra al minuto 75 e al minuto 79 stacca di testa tra le maglie difensive austriache su cross di Vialli da destra. Esordio perfetto, gol vittoria e occhi spiritati.

Il 19 giugno contro la Cecoslovacchia, sempre nella Capitale, su una conclusione di Giannini non trattenuta da Stejskal Totò entra di testa sotto misura anticipando quasi anche se stesso: è l'1-0 del 9' minuto, al 78' raddoppierà Roberto Baggio.

Sei giorni dopo, a Roma arriva il coriaceo Uruguay di Fonseca e del Principe Francescoli, che blocca gli Azzurri sullo 0 - 0 per un'ora abbondante. Al minuto 65, Baggio trova il corridoio per Serena che fa viaggiare Schillaci in verticale all'altezza della lunetta: sinistro potente e leggermente a spiovere, il fortino uruguaiano viene giù. Lo stesso Serena raddoppierà al minuto 65.

Il 30 giugno, contro l'Irlanda, un'Italia sempre più in fiducia, in un Olimpico sempre più ribollente di passione, la spunta sui ragazzi di Jack Charlton perché Schillaci al minuto 38 raccoglie la respinta corta del portiere Pat Bonner su conclusione di Donadoni da fuori e scolpisce l'1-0 sotto il cielo di Roma.

 

 

La semifinale contro l’Argentina

 

Il quinto gol coincide con il ricordo più amaro, ossia quello della semifinale al San Paolo di Napoli contro l'Argentina di Maradona. Al minuto 18 l'Italia va in vantaggio quando Goycoechea non trattiene una conclusione ravvicinata di Vialli che Schillaci ribadisce in rete. Il resto è storia nota: il pareggio di Caniggia in seguito all'uscita a vuoto di Zenga, i supplementari, i fatali rigori.

Il 7 luglio, al San Nicola di Bari, sorrisi velati d'amarezza e gratitudine da parte del pubblico per il cammino degli Azzurri, nella finalina per il terzo posto contro l'Inghilterra. Al minuto 86 Totò trasforma il rigore del 2-1 battendo una leggenda come Shilton. Italia terza e Schillaci capocannoniere della Coppa del Mondo.

 

È il nostro omaggio non a un personaggio divenuto talmente popolare da restare più impresso di un fuoriclasse, ma a un ragazzo di Palermo sul volto del quale la fatica di emergere aveva lasciato solchi più profondi rispetto all'età anagrafica; uno del quale Gianni Brera disse che per i suoi lineamenti, per la sua storia e per gli occhi spiritati, più di "Totò" il soprannome adatto sarebbe stato "Turi", l'autentico diminutivo di Salvatore in Sicilia: come un personaggio di Giovanni Verga, con una fatica millenaria alle spalle e una faccia che contempla lineamenti di rassegnazione pur nei rari casi in cui la sorte la sconfigge. Forse è per questo che, quando gli chiesero quale fosse il suo più grande rimpianto non pensò alla mancata Coppa del Mondo, perché rispose «Non aver potuto studiare».

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