C&rsquo;&egrave; una Roma che &egrave; tanto pi&ugrave; autentica quanto pi&ugrave; &egrave; lontana dal centro. O perlomeno, c&rsquo;era, sperando che un po&rsquo; della sua anima continui a sopravvivere. A sopravviverle. &Egrave; quella Roma che viene superficialmente definita &ldquo;di periferia&rdquo; da tutti quegli avventurieri dell&rsquo;analisi sociologica che pensano di emulare Pasolini e invece superano a stento i luoghi comuni delle pellicole di Alvaro Vitali, con tutto il rispetto; senza nemmeno arrivare ai bozzetti volgarotti ma autentici di Tomas Milian quando indossava i panni del &ldquo;Monnezza&rdquo;.&nbsp; <h2>Tra Testaccio e Catanzaro&nbsp;</h2> &Egrave; a causa di generalizzazioni cos&igrave; superficiali che uno come Claudio Ranieri &egrave; stato troppo spesso definito tout court &ldquo;testaccino doc&rdquo;: come se il rione di San Saba non fosse uno di quei microcosmi dalle caratteristiche irreplicabili che formano il mosaico di Roma. Come se la Piramide Cestia fosse soltanto uno spartitraffico secolare messo l&igrave; a fare ombra.&nbsp;Classe 1951, proteine e responsabilizzazioni non sono mai mancate a casa sua, sin da quando nella bottega di suo padre macellaio aiutava a tagliare la carne, si incaricava delle consegne. Poi c&rsquo;era il pallone, un&rsquo;attitudine meritata sul campo e sui campetti, doti non discutibili ma da rivedere per quanto riguarda gli utilizzi, al primo importante gradino salito subito dopo aver scoperto che il divertimento custodiva la bravura: il provino al campo delle Tre Fontane, dove si allenava la Roma, lo supera come attaccante. Bravo a trattare la palla, ma non certo prolifico per quanto riguarda il numero delle realizzazioni. &Egrave; qui che ci prendiamo il lusso di una breve digressione, ma doverosa, per sottolineare che personaggi come Antonio Trebiciani per il mondo del calcio saranno sempre tanto utili quanto poco, troppo poco citati. Fu lui, pigmalione di Francesco Rocca e Agostino Di Bartolomei tra gli altri, a dirgli che se avesse voluto combinare qualcosa da professionista, avrebbe dovuto arretrare, di molto, il suo raggio d&rsquo;azione. &Egrave; cos&igrave; che Claudio Ranieri sboccia al calcio dei grandi, esordendo il 4 novembre 1973, Genoa-Roma 2-1. Sei partite con la squadra capitolina, che &egrave; anche quella del cuore per Ranieri, poi il trasferimento a Catanzaro, citt&agrave; della quale oggi &egrave; cittadino onorario. In otto anni il difensore &egrave; il giocatore che avr&agrave; indossato pi&ugrave; volte la maglia del Catanzaro in campionato: 225. Ci scappano anche 6 reti, che per un difensore &egrave; tutto valore aggiunto. Nel 1982 passa al Catania e contribuisce alla promozione in A degli etnei. La carriera si chiude a Palermo nel 1986. L&rsquo;idea &egrave; quella di fare l&rsquo;allenatore. <h2>Alla conquista dell&rsquo;Europa</h2> Forse, viste le attitudini naturali mostrate con gli scarpini ai piedi come guida dei compagni, lo era stato in parte sin dall&rsquo;inizio, anche se questo potrebbe sembrare uno di quei luoghi comuni che a un uomo come Ranieri potrebbero far sbocciare sul viso la curva di un sorriso dei suoi, che basterebbe a sintetizzare tutte le componenti del suo modo di essere: un quarto di schiettezza romana, ma esibita sempre senza tonalit&agrave; sguaiate; uno di signorilit&agrave; innata, quella che spesso ai cosiddetti &ldquo;signori&rdquo; manca; uno di forbita paraculaggine e l&rsquo;ultimo quarto di saggezza , che c&rsquo;era sempre stata in lui e che l&rsquo;esperienza ha temprato di stagione in stagione, di panchina in panchina. Il suo profilo di uomo innanzitutto, poi di tecnico e di comunicatore &egrave; stato apprezzato e rispettato in ognuna delle piazze importanti e difficili d&rsquo;Italia: a Roma come a Milano, a Torino come a Firenze, a Napoli come a Genova. Indipendentemente dai risultati o dalle critiche, quelle che prima o poi toccano a tutti, nei suoi confronti non si &egrave; mai arrivati all&rsquo;offesa; pur in un ambiente triviale come sa essere quello del calcio, nei suoi confronti nessuno &egrave; mai sceso sotto la soglia della decenza e del rispetto. &Egrave; un trofeo pure questo, a ben vedere. Se come cartina di tornasole della sua adattabilit&agrave; al calcio degli altri citassimo soltanto l&rsquo;esperienza grandiosa col Leicester, faremmo un torto a quei suoi tanti anni di carriera: Spagna, Francia, Grecia, ovviamente tanta Inghilterra, laddove &egrave; sempre riuscito a condire il suo aplomb con la spezia di una elegante veracit&agrave;: &egrave; riuscito a essere Sor Claudio anche in terra d&rsquo;Albione, cos&igrave; come a Roma, sin dai tempi in cui nel rione lo chiamavano &ldquo;Er Principino&rdquo;, era Sir Claudio ancora prima di saperlo. A luglio 2015 lo chiama il Leicester City, missione salvezza. Quale altro obiettivo, se no? <h2></h2> <h2>L'irripetibile capolavoro con il Leicester</h2> Accolto con scetticismo, in quell&rsquo;estate i bookmakers ritengono pi&ugrave; probabile Boris Johnson pettinato con cura che i Foxes campioni d&rsquo;Inghilterra. All&rsquo;esordio batte per 4-2 il Sunderland. Dopo una serie di risultati, che lo portano a sorpresa nella parte alta della classifica, alla tredicesima giornata la squadra delle Midlands si trova da sola al primo posto. Fuoco di paglia, sentenzia tutta Europa. Il 10 aprile 2016 ottiene la matematica qualificazione alla Champions League per l&rsquo;anno successivo, manco a dirlo la prima nella storia del club. Il 2 maggio, il Leicester &egrave; per la prima volta campione d&rsquo;Inghilterra: chi ha puntato su Ranieri campione diviene ricco sul serio, a parte le acconciature del futuro premier.&nbsp; Il titolo nazionale forse pi&ugrave; miracoloso, apparentemente, nella storia del calcio. Ma tutto &egrave; tranne che un miracolo: &egrave; un capolavoro di maestria e gestione degli uomini, a molti dei quali Ranieri &egrave; riuscito a infondere la convinzione di essere calciatori che possono aspirare a molto di pi&ugrave; di quanto credano.&nbsp; E se la Roma &egrave; stata ed &egrave; la compagna di una vita, il Leicester &egrave; stato l&rsquo;amante che s&rsquo;&egrave; presa una parte della sua anima.

        C&rsquo;&egrave; una Roma che &egrave; tanto pi&ugrave; autentica quanto pi&ugrave; &egrave; lontana dal centro. O perlomeno, c&rsquo;era, sperando che un po&rsquo; della sua anima continui a sopravvivere. A sopravviverle. &Egrave; quella Roma che viene superficialmente definita &ldquo;di periferia&rdquo; da tutti quegli avventurieri dell&rsquo;analisi sociologica che pensano di emulare Pasolini e invece superano a stento i luoghi comuni delle pellicole di Alvaro Vitali, con tutto il rispetto; senza nemmeno arrivare ai bozzetti volgarotti ma autentici di Tomas Milian quando indossava i panni del &ldquo;Monnezza&rdquo;.&nbsp; Tra Testaccio e Catanzaro&nbsp; &Egrave; a causa di generalizzazioni cos&igrave; superficiali che uno come Claudio Ranieri &egrave; stato troppo spesso definito tout court &ldquo;testaccino doc&rdquo;: come se il rione di San Saba non fosse uno di quei microcosmi dalle caratteristiche irreplicabili che formano il mosaico di Roma. Come se la Piramide Cestia fosse soltanto uno spartitraffico secolare messo l&igrave; a fare ombra.&nbsp;Classe 1951, proteine e responsabilizzazioni non sono mai mancate a casa sua, sin da quando nella bottega di suo padre macellaio aiutava a tagliare la carne, si incaricava delle consegne. Poi c&rsquo;era il pallone, un&rsquo;attitudine meritata sul campo e sui campetti, doti non discutibili ma da rivedere per quanto riguarda gli utilizzi, al primo importante gradino salito subito dopo aver scoperto che il divertimento custodiva la bravura: il provino al campo delle Tre Fontane, dove si allenava la Roma, lo supera come attaccante. Bravo a trattare la palla, ma non certo prolifico per quanto riguarda il numero delle realizzazioni. &Egrave; qui che ci prendiamo il lusso di una breve digressione, ma doverosa, per sottolineare che personaggi come Antonio Trebiciani per il mondo del calcio saranno sempre tanto utili quanto poco, troppo poco citati. Fu lui, pigmalione di Francesco Rocca e Agostino Di Bartolomei tra gli altri, a dirgli che se avesse voluto combinare qualcosa da professionista, avrebbe dovuto arretrare, di molto, il suo raggio d&rsquo;azione. &Egrave; cos&igrave; che Claudio Ranieri sboccia al calcio dei grandi, esordendo il 4 novembre 1973, Genoa-Roma 2-1. Sei partite con la squadra capitolina, che &egrave; anche quella del cuore per Ranieri, poi il trasferimento a Catanzaro, citt&agrave; della quale oggi &egrave; cittadino onorario. In otto anni il difensore &egrave; il giocatore che avr&agrave; indossato pi&ugrave; volte la maglia del Catanzaro in campionato: 225. Ci scappano anche 6 reti, che per un difensore &egrave; tutto valore aggiunto. Nel 1982 passa al Catania e contribuisce alla promozione in A degli etnei. La carriera si chiude a Palermo nel 1986. L&rsquo;idea &egrave; quella di fare l&rsquo;allenatore. Alla conquista dell&rsquo;Europa Forse, viste le attitudini naturali mostrate con gli scarpini ai piedi come guida dei compagni, lo era stato in parte sin dall&rsquo;inizio, anche se questo potrebbe sembrare uno di quei luoghi comuni che a un uomo come Ranieri potrebbero far sbocciare sul viso la curva di un sorriso dei suoi, che basterebbe a sintetizzare tutte le componenti del suo modo di essere: un quarto di schiettezza romana, ma esibita sempre senza tonalit&agrave; sguaiate; uno di signorilit&agrave; innata, quella che spesso ai cosiddetti &ldquo;signori&rdquo; manca; uno di forbita paraculaggine e l&rsquo;ultimo quarto di saggezza , che c&rsquo;era sempre stata in lui e che l&rsquo;esperienza ha temprato di stagione in stagione, di panchina in panchina. Il suo profilo di uomo innanzitutto, poi di tecnico e di comunicatore &egrave; stato apprezzato e rispettato in ognuna delle piazze importanti e difficili d&rsquo;Italia: a Roma come a Milano, a Torino come a Firenze, a Napoli come a Genova. Indipendentemente dai risultati o dalle critiche, quelle che prima o poi toccano a tutti, nei suoi confronti non si &egrave; mai arrivati all&rsquo;offesa; pur in un ambiente triviale come sa essere quello del calcio, nei suoi confronti nessuno &egrave; mai sceso sotto la soglia della decenza e del rispetto. &Egrave; un trofeo pure questo, a ben vedere. Se come cartina di tornasole della sua adattabilit&agrave; al calcio degli altri citassimo soltanto l&rsquo;esperienza grandiosa col Leicester, faremmo un torto a quei suoi tanti anni di carriera: Spagna, Francia, Grecia, ovviamente tanta Inghilterra, laddove &egrave; sempre riuscito a condire il suo aplomb con la spezia di una elegante veracit&agrave;: &egrave; riuscito a essere Sor Claudio anche in terra d&rsquo;Albione, cos&igrave; come a Roma, sin dai tempi in cui nel rione lo chiamavano &ldquo;Er Principino&rdquo;, era Sir Claudio ancora prima di saperlo. A luglio 2015 lo chiama il Leicester City, missione salvezza. Quale altro obiettivo, se no?  L'irripetibile capolavoro con il Leicester Accolto con scetticismo, in quell&rsquo;estate i bookmakers ritengono pi&ugrave; probabile Boris Johnson pettinato con cura che i Foxes campioni d&rsquo;Inghilterra. All&rsquo;esordio batte per 4-2 il Sunderland. Dopo una serie di risultati, che lo portano a sorpresa nella parte alta della classifica, alla tredicesima giornata la squadra delle Midlands si trova da sola al primo posto. Fuoco di paglia, sentenzia tutta Europa. Il 10 aprile 2016 ottiene la matematica qualificazione alla Champions League per l&rsquo;anno successivo, manco a dirlo la prima nella storia del club. Il 2 maggio, il Leicester &egrave; per la prima volta campione d&rsquo;Inghilterra: chi ha puntato su Ranieri campione diviene ricco sul serio, a parte le acconciature del futuro premier.&nbsp; Il titolo nazionale forse pi&ugrave; miracoloso, apparentemente, nella storia del calcio. Ma tutto &egrave; tranne che un miracolo: &egrave; un capolavoro di maestria e gestione degli uomini, a molti dei quali Ranieri &egrave; riuscito a infondere la convinzione di essere calciatori che possono aspirare a molto di pi&ugrave; di quanto credano.&nbsp; E se la Roma &egrave; stata ed &egrave; la compagna di una vita, il Leicester &egrave; stato l&rsquo;amante che s&rsquo;&egrave; presa una parte della sua anima.        

A Testaccio era conosciuto come &ldquo;Er Principino&rdquo;; sbarcato Oltremanica ha fatto valere le sue doti di carattere e la profonda conoscenza di uomini e tattiche fino al miracolo con le Foxes

Leicester-Roma: Claudio Ranieri, "Sir" nella Capitale e "Sor" in Inghilterra

A volte pu&ograve; capitare di essere la persona giusta nel frangente storico sbagliato. Cos&igrave; l&rsquo;esperienza di Claudio Ranieri sulla panchina del Chelsea, pi&ugrave; che positiva se si considera la storia del club fino a quel momento, ha la sfortuna di collocarsi tra le due gestioni vincenti di Gianluca Vialli e di Jos&eacute; Mourinho, nonch&eacute; prima dell&rsquo;avvento di Roman Abramovich, vero spartiacque nella storia dei Blues. Non va per&ograve; dimenticato che sar&agrave; lui a gettare le basi del Chelsea vincente del XXI secolo. La prima apparizione del tecnico romano a Stamford Bridge &egrave; datata 1&deg; ottobre 2000 contro il Liverpool. <h2>Un Chelsea italiano</h2> L&rsquo;inizio in Premier League non &egrave; esaltante, con una vittoria e due pareggi nelle prime quattro giornate. Vialli, reduce da ottimi risultati, viene esonerato a causa del deteriorarsi dei rapporti con lo spogliatoio. Viene scelto Ranieri, da poco un allenatore di caratura &ldquo;internazionale&rdquo; grazie alla discreta esperienza a Valencia e quella assai meno gloriosa con l&rsquo;Atletico Madrid. &Egrave; un Chelsea a forti tinte tricolori, quello preso in mano dal futuro King Claudio. Oltre a Christian Panucci, Roberto Di Matteo e Gianfranco Zola, la rosa annovera il portiere Carlo Cudicini e i centrocampisti Gabriele Ambrosetti e Samuele Dalla Bona. C&rsquo;&egrave; poi un ventenne, figlio di un imprenditore bergamasco, prelevato anni prima dal settore giovanile dell&rsquo;Atalanta insieme a Dalla Bona. Con il Chelsea metter&agrave; insieme solo due presenze e la sua carriera calcistica avr&agrave; vita breve. Si chiama Luca Percassi e dieci anni pi&ugrave; tardi diventer&agrave; amministratore delegato degli orobici, dopo l&rsquo;acquisto del club da parte di suo padre Antonio. <h2>La sfida al Liverpool di Houllier</h2> Ranieri schiera un 3-4-3 che punta sull&rsquo;assortimento della coppia di centrocampo Dalla Bona-Wise, con il secondo pi&ugrave; trequartista, e sull&rsquo;estro del tridente offensivo Zola-Hasselbaink-Gudjohnsen, alla prima presenza da titolare. Il dirimpettaio &egrave; il Liverpool di G&eacute;rard Houllier che in campionato stenta, ma che concluder&agrave; la stagione con una Coppa Uefa, le due coppe nazionali e un terzo posto in classifica. Contro avversari come Steven Gerrard e Michael Owen non si prospetta una partita facile. Eppure la gara viene subito indirizzata sui binari giusti quando il portiere dei Reds Sander Westerveld, sugli sviluppi di un corner, butta il pallone nella propria porta, cercando di coprire il suo errore protestando per un fallo subito. Non passa neanche un minuto e i tre davanti combinano alla perfezione, portando al raddoppio di Hasselbaink. Nel secondo tempo la difesa del Liverpool d&agrave; ancora una mano al Chelsea. Retropassaggio sbagliato, palla sui piedi di Gudjohnsen che dribbla Westerveld e segna a porta vuota il 3-0 finale. <h2>Ranieri al Chelsea</h2> Il bilancio di Ranieri sulla panchina dei Blues &egrave; di due sesti posti, un quarto e un secondo posto, una finale di FA Cup e una semifinale di Champions League. Dopodich&eacute; Abramovich decider&agrave; che &egrave; arrivato il momento del salto di qualit&agrave; e ingagger&agrave; Mourinho, che anni dopo rinfaccer&agrave; al collega il motivo di tale scelta: &laquo;Nel 2004, dopo essere arrivato al Chelsea e aver chiesto perch&eacute; stavano cambiando Ranieri, mi hanno risposto che volevano vincere e con lui non sarebbe mai capitato&raquo;. Il 2016 far&agrave; cambiare idea a molti.

        A volte pu&ograve; capitare di essere la persona giusta nel frangente storico sbagliato. Cos&igrave; l&rsquo;esperienza di Claudio Ranieri sulla panchina del Chelsea, pi&ugrave; che positiva se si considera la storia del club fino a quel momento, ha la sfortuna di collocarsi tra le due gestioni vincenti di Gianluca Vialli e di Jos&eacute; Mourinho, nonch&eacute; prima dell&rsquo;avvento di Roman Abramovich, vero spartiacque nella storia dei Blues. Non va per&ograve; dimenticato che sar&agrave; lui a gettare le basi del Chelsea vincente del XXI secolo. La prima apparizione del tecnico romano a Stamford Bridge &egrave; datata 1&deg; ottobre 2000 contro il Liverpool. Un Chelsea italiano L&rsquo;inizio in Premier League non &egrave; esaltante, con una vittoria e due pareggi nelle prime quattro giornate. Vialli, reduce da ottimi risultati, viene esonerato a causa del deteriorarsi dei rapporti con lo spogliatoio. Viene scelto Ranieri, da poco un allenatore di caratura &ldquo;internazionale&rdquo; grazie alla discreta esperienza a Valencia e quella assai meno gloriosa con l&rsquo;Atletico Madrid. &Egrave; un Chelsea a forti tinte tricolori, quello preso in mano dal futuro King Claudio. Oltre a Christian Panucci, Roberto Di Matteo e Gianfranco Zola, la rosa annovera il portiere Carlo Cudicini e i centrocampisti Gabriele Ambrosetti e Samuele Dalla Bona. C&rsquo;&egrave; poi un ventenne, figlio di un imprenditore bergamasco, prelevato anni prima dal settore giovanile dell&rsquo;Atalanta insieme a Dalla Bona. Con il Chelsea metter&agrave; insieme solo due presenze e la sua carriera calcistica avr&agrave; vita breve. Si chiama Luca Percassi e dieci anni pi&ugrave; tardi diventer&agrave; amministratore delegato degli orobici, dopo l&rsquo;acquisto del club da parte di suo padre Antonio.  La sfida al Liverpool di Houllier Ranieri schiera un 3-4-3 che punta sull&rsquo;assortimento della coppia di centrocampo Dalla Bona-Wise, con il secondo pi&ugrave; trequartista, e sull&rsquo;estro del tridente offensivo Zola-Hasselbaink-Gudjohnsen, alla prima presenza da titolare. Il dirimpettaio &egrave; il Liverpool di G&eacute;rard Houllier che in campionato stenta, ma che concluder&agrave; la stagione con una Coppa Uefa, le due coppe nazionali e un terzo posto in classifica. Contro avversari come Steven Gerrard e Michael Owen non si prospetta una partita facile. Eppure la gara viene subito indirizzata sui binari giusti quando il portiere dei Reds Sander Westerveld, sugli sviluppi di un corner, butta il pallone nella propria porta, cercando di coprire il suo errore protestando per un fallo subito. Non passa neanche un minuto e i tre davanti combinano alla perfezione, portando al raddoppio di Hasselbaink. Nel secondo tempo la difesa del Liverpool d&agrave; ancora una mano al Chelsea. Retropassaggio sbagliato, palla sui piedi di Gudjohnsen che dribbla Westerveld e segna a porta vuota il 3-0 finale.  Ranieri al Chelsea Il bilancio di Ranieri sulla panchina dei Blues &egrave; di due sesti posti, un quarto e un secondo posto, una finale di FA Cup e una semifinale di Champions League. Dopodich&eacute; Abramovich decider&agrave; che &egrave; arrivato il momento del salto di qualit&agrave; e ingagger&agrave; Mourinho, che anni dopo rinfaccer&agrave; al collega il motivo di tale scelta: &laquo;Nel 2004, dopo essere arrivato al Chelsea e aver chiesto perch&eacute; stavano cambiando Ranieri, mi hanno risposto che volevano vincere e con lui non sarebbe mai capitato&raquo;. Il 2016 far&agrave; cambiare idea a molti.       

Il 1&deg; ottobre 2000, una vittoria contro i Reds guidati da Houllier diede il via all&rsquo;esperienza dell'allenatore italiano sulla panchina dei Blues

Chelsea-Liverpool 3-0, la prima volta di Claudio Ranieri a Stamford Bridge

La storia del calcio &egrave; piena di esoneri folli, ma quello di Claudio Ranieri dalla guida del Leicester City riesce lo stesso a distinguersi anche se queste scelte fanno parte del gioco. Perch&eacute; stiamo parlando di quello che nel 2016 &egrave; stato allenatore dell'anno FIFA, perch&eacute; la sua squadra &egrave; campione d'Inghilterra in carica dopo un'impresa storica, sia pure favorita dal suicidio delle grandi annunciate, perch&eacute; una rosa che in Premier League &egrave; da lotta per la salvezza (come del resto lo era quella dell'anno scorso) sta giustamente lottando per la salvezza ed &egrave; negli ottavi di Champions League, perch&eacute; in estate &egrave; stato perso il giocatore chiave (Kant&eacute;, decisivo anche nel Chelsea di Conte) e gli altri eroi del titolo, a partire da Vardy, sono tutti tornati alla normalit&agrave; come era prevedibile, senza che i tanti acquisti riuscissero a dare qualcosa di importante. Insomma, non c'&egrave; da gridare allo scandalo perch&eacute; di esoneri demenziali &egrave; pieno anche il calcio italiano e Ranieri lo sa meglio di noi, ma bisogna sottolineare che questo &egrave; ben lontano dalla mentalit&agrave; di dirigenti e tifosi inglesi. Non che i 27 anni di Ferguson sulla stessa panchina siano la norma, ma di sicuro un allenatore che ha fatto bene raramente &egrave; stato cacciato, dallo stesso club in cui ha fatto bene, dopo pochi mesi. Guarda caso, questo fenomeno si verifica spesso con proprietari non inglesi (esempi recenti: Chelsea con Mourinho, Manchester City con Mancini e Pellegrini). Qualcuno sui media inglesi ha paragonato il Leicester City al Nottingham Forest di Brian Clough, che dopo il sorprendente titolo nazionale del 1978 e le ancora pi&ugrave; incredibili Coppe dei Campioni delle due stagioni seguenti si ridimension&ograve;, ma il livello della rosa del Leicester City &egrave; molto pi&ugrave; basso mentre il Forest rimase una buonissima squadra per tutti gli anni Ottanta arrivando sempre con Clough allenatore fino alla nascita della Premier League. Semmai il paragone pu&ograve; starci con il predecessore di Ranieri sulla panchina dei Foxes, Nigel Pearson, che dopo alcuni ottime stagioni in Championship aveva ottenuto la promozione e poi una tiratissima salvezza in Premier League. Con Ranieri la questione &egrave; semplice: la decisione &egrave; stata presa direttamente dal proprietario Vichai Srivaddhanaprabha (anche se la faccia ce l'ha messa il figlio) che avr&agrave; tante qualit&agrave; ma di sicuro in Thailandia non ha respirato la cultura del calcio inglese e come nel caso Pearson si &egrave; comportato come se il Leicester City fosse un'azienda come tutte le altre, dove il bravo manager &egrave; sostituibile sempre con un altro bravo manager. I drammi della vita sono altri e la riconoscenza nel calcio non pu&ograve; esistere, ma per un tifoso o un appassionato di calcio inglese l'esonero di Ranieri rimane &nbsp;privo di senso anche se le costosissime scelte di mercato, da lui avallate, sono state tutte fra il mediocre e il fallimentare: Slimani, Ndidi, Musa e Mendy, solo per citare gli acquisti finanziariamente pi&ugrave; sanguinosi, senza contare i rinnovi a cifre mostruose per giocatori che si sono ridimensionati, Vardy in testa. E quindi? Ranieri ha in questa stagione commesso diversi sbagli, ma esonerarlo dopo ci&ograve; che ha dimostrato &egrave; autolesionistico.

La storia del calcio &egrave; piena di esoneri folli, ma quello di Claudio Ranieri dalla guida del Leicester City riesce lo stesso a distinguersi anche se queste scelte fanno parte del gioco. Perch&eacute; stiamo parlando di quello che nel 2016 &egrave; stato allenatore dell'anno FIFA, perch&eacute; la sua squadra &egrave; campione d'Inghilterra in carica dopo un'impresa storica, sia pure favorita dal suicidio delle grandi annunciate, perch&eacute; una rosa che in Premier League &egrave; da lotta per la salvezza (come del resto lo era quella dell'anno scorso) sta giustamente lottando per la salvezza ed &egrave; negli ottavi di Champions League, perch&eacute; in estate &egrave; stato perso il giocatore chiave (Kant&eacute;, decisivo anche nel Chelsea di Conte) e gli altri eroi del titolo, a partire da Vardy, sono tutti tornati alla normalit&agrave; come era prevedibile, senza che i tanti acquisti riuscissero a dare qualcosa di importante. Insomma, non c'&egrave; da gridare allo scandalo perch&eacute; di esoneri demenziali &egrave; pieno anche il calcio italiano e Ranieri lo sa meglio di noi, ma bisogna sottolineare che questo &egrave; ben lontano dalla mentalit&agrave; di dirigenti e tifosi inglesi. Non che i 27 anni di Ferguson sulla stessa panchina siano la norma, ma di sicuro un allenatore che ha fatto bene raramente &egrave; stato cacciato, dallo stesso club in cui ha fatto bene, dopo pochi mesi. Guarda caso, questo fenomeno si verifica spesso con proprietari non inglesi (esempi recenti: Chelsea con Mourinho, Manchester City con Mancini e Pellegrini). Qualcuno sui media inglesi ha paragonato il Leicester City al Nottingham Forest di Brian Clough, che dopo il sorprendente titolo nazionale del 1978 e le ancora pi&ugrave; incredibili Coppe dei Campioni delle due stagioni seguenti si ridimension&ograve;, ma il livello della rosa del Leicester City &egrave; molto pi&ugrave; basso mentre il Forest rimase una buonissima squadra per tutti gli anni Ottanta arrivando sempre con Clough allenatore fino alla nascita della Premier League. Semmai il paragone pu&ograve; starci con il predecessore di Ranieri sulla panchina dei Foxes, Nigel Pearson, che dopo alcuni ottime stagioni in Championship aveva ottenuto la promozione e poi una tiratissima salvezza in Premier League. Con Ranieri la questione &egrave; semplice: la decisione &egrave; stata presa direttamente dal proprietario Vichai Srivaddhanaprabha (anche se la faccia ce l'ha messa il figlio) che avr&agrave; tante qualit&agrave; ma di sicuro in Thailandia non ha respirato la cultura del calcio inglese e come nel caso Pearson si &egrave; comportato come se il Leicester City fosse un'azienda come tutte le altre, dove il bravo manager &egrave; sostituibile sempre con un altro bravo manager. I drammi della vita sono altri e la riconoscenza nel calcio non pu&ograve; esistere, ma per un tifoso o un appassionato di calcio inglese l'esonero di Ranieri rimane &nbsp;privo di senso anche se le costosissime scelte di mercato, da lui avallate, sono state tutte fra il mediocre e il fallimentare: Slimani, Ndidi, Musa e Mendy, solo per citare gli acquisti finanziariamente pi&ugrave; sanguinosi, senza contare i rinnovi a cifre mostruose per giocatori che si sono ridimensionati, Vardy in testa. E quindi? Ranieri ha in questa stagione commesso diversi sbagli, ma esonerarlo dopo ci&ograve; che ha dimostrato &egrave; autolesionistico.

Ranieri, un esonero poco inglese

Dopo i meritati festeggiamenti per la grande impresa del Leicester City, uniti all'invidia dei paesi dove vincono sempre gli stessi, in molti hanno esaltato l'esperienza e l'equilibrio di Claudio Ranieri. Che in caso di retrocessione, scenario che a inizio stagione era possibile almeno quanto lo era per il Newcastle, sarebbero stati ragionamenti e ironie sul quasi 65enne 'bollito' e da pensionare. Che adesso ha un luminoso futuro davanti a s&eacute;, dalla Champions League con la squadra attuale alla possibilit&agrave; di tornare su una grande panchina. Ma fino a quale et&agrave; si pu&ograve; allenare sul campo, senza stare dietro le quinte come direttore tecnico o cose simili? Nella Premier League 2015-16, guardando a come si &egrave; chiusa, dietro a Ranieri ci sono il 64enne Van Gaal al Manchester United, il 63enne Pellegrini che sta per lasciare il Manchester City a Guardiola, il 62enne Allardyce&nbsp;fresco di salvezza con il Sunderland e il 61enne Guidolin allo Swansea, E davanti a lui il settantenne Hiddink, che al di l&agrave; del suo futuro al Chelsea non vuole smettere di allenare, pi&ugrave; il 67enne Wenger&nbsp;eternamente all'Arsenal. Ben otto over 60 su venti allenatori, un clamoroso 40%: non semplici gestori ma quasi tutti personaggi che hanno lasciato e lasciano un segno. Siccome siamo italiani il confronto &egrave; istantaneo: la serie A 2015-16 si chiuder&agrave; avendo come allenatore pi&ugrave; anziano il 71enne Reja all'Atalanta, seguito dal 68enne Ventura al Torino, dal 66enne Delneri al Verona e dal 62enne Castori guida di un Carpi quasi eroico. E guardando la classifica alle spalle del ragazzino Allegri, 49 anni, si nota che sono sono considerati tecnici di grande tendenza i 57enni Sarri e Spalletti, anche loro con foto d'infanzia in bianco e nero. Non infliggiamo queste statistiche anche per gli altri grandi campionati e veniamo alla conclusione: cos&igrave; come non ci sono pi&ugrave; le mezze stagioni, non esistono pi&ugrave; nemmeno le mezze misure per quanto riguarda gli allenatori. Fra la fascia dei santoni e degli uomini di esperienza e quella degli ex giocatori paracadutati su una panchina importante con poca gavetta (facile l'esempio di Brocchi, ma si potrebbe fare anche quello di Guardiola) ci sono in proporzione meno allenatori in carriera che nel passato. Considerazioni sui singoli a parte, in generale il vecchio e il giovane sono migliori parafulmini mediatici, anche perch&eacute; creano istintiva simpatia, ma soprattutto migliori aziendalisti.

Dopo i meritati festeggiamenti per la grande impresa del Leicester City, uniti all'invidia dei paesi dove vincono sempre gli stessi, in molti hanno esaltato l'esperienza e l'equilibrio di Claudio Ranieri. Che in caso di retrocessione, scenario che a inizio stagione era possibile almeno quanto lo era per il Newcastle, sarebbero stati ragionamenti e ironie sul quasi 65enne 'bollito' e da pensionare. Che adesso ha un luminoso futuro davanti a s&eacute;, dalla Champions League con la squadra attuale alla possibilit&agrave; di tornare su una grande panchina. Ma fino a quale et&agrave; si pu&ograve; allenare sul campo, senza stare dietro le quinte come direttore tecnico o cose simili? Nella Premier League 2015-16, guardando a come si &egrave; chiusa, dietro a Ranieri ci sono il 64enne Van Gaal al Manchester United, il 63enne Pellegrini che sta per lasciare il Manchester City a Guardiola, il 62enne Allardyce&nbsp;fresco di salvezza con il Sunderland e il 61enne Guidolin allo Swansea, E davanti a lui il settantenne Hiddink, che al di l&agrave; del suo futuro al Chelsea non vuole smettere di allenare, pi&ugrave; il 67enne Wenger&nbsp;eternamente all'Arsenal. Ben otto over 60 su venti allenatori, un clamoroso 40%: non semplici gestori ma quasi tutti personaggi che hanno lasciato e lasciano un segno. Siccome siamo italiani il confronto &egrave; istantaneo: la serie A 2015-16 si chiuder&agrave; avendo come allenatore pi&ugrave; anziano il 71enne Reja all'Atalanta, seguito dal 68enne Ventura al Torino, dal 66enne Delneri al Verona e dal 62enne Castori guida di un Carpi quasi eroico. E guardando la classifica alle spalle del ragazzino Allegri, 49 anni, si nota che sono sono considerati tecnici di grande tendenza i 57enni Sarri e Spalletti, anche loro con foto d'infanzia in bianco e nero. Non infliggiamo queste statistiche anche per gli altri grandi campionati e veniamo alla conclusione: cos&igrave; come non ci sono pi&ugrave; le mezze stagioni, non esistono pi&ugrave; nemmeno le mezze misure per quanto riguarda gli allenatori. Fra la fascia dei santoni e degli uomini di esperienza e quella degli ex giocatori paracadutati su una panchina importante con poca gavetta (facile l'esempio di Brocchi, ma si potrebbe fare anche quello di Guardiola) ci sono in proporzione meno allenatori in carriera che nel passato. Considerazioni sui singoli a parte, in generale il vecchio e il giovane sono migliori parafulmini mediatici, anche perch&eacute; creano istintiva simpatia, ma soprattutto migliori aziendalisti.

L'et&agrave; di Ranieri

Il 5000 a 1 con cui l'estate scorsa alcuni bookmaker pagavano il campionato vinto dal Leicester City, quota poi ovviamente precitata quasi subito, ha fatto notizia anche al di l&agrave; dell'aspetto finanziario. In fondo il bagno di sangue non c'&egrave; stato: i principali bookmaler inglesi hanno dichiarato di avere pagato o dover pagare, tradotto in euro, circa 11 milioni di euro per questo tipo di scommessa (escludendo quindi il gioco sulle singole partite), mentre ovviamente le dimensioni mondiali e ancora di pi&ugrave; quelle illegali del gioco non sono quantificabili. Relativamente pochi soldi, comunque, basandoci soltanto sul gioco legale. Significativo &egrave; che ancora a settembre il Leicester City si potesse giocare in zona 1000 e ancora pi&ugrave; significativo che molti (circa la met&agrave;) scommettitori a marzo abbiano accettato di incassare meno, ma in anticipo, dal William Hill o dal Ladbrokes della situazione pur di avere la sicurezza della vincita: segno che buona parte di quelli che avevano puntato sul Leicester City, per affetto o per puro azzardo, credevano in fondo a questa squadra nemmeno di fronte all'evidenza di una stagione fantastica. &Egrave; comunque sicuro che in Premier League, dove le cosiddette 'piccole' sono piccole in relazione al Chelsea o al Manchester United ma non rispetto al resto d'Europa (e quindi sono competitive sul mercato dei giocatori di fascia media), un 5000 a 1 non si vedr&agrave; pi&ugrave;. Bravi e fortunati quei pochi che ci hanno creduto, fortunati anche a vivere in Inghilterra. Perch&eacute; chi oggi volesse da noi puntare sullo scudetto 2016-17 del Sassuolo (quindi dopo le quote di Juventus, Napoli, Roma, Inter, Fiorentina, Milan e Lazio) porterebbe a casa 66 volte la posta. Si vede che i nostri quotisti, in possesso evidentemente di informazioni che noi non abbiamo, ritengono un miracolo italiano pi&ugrave; probabile di quello del Leicester City.

Il 5000 a 1 con cui l'estate scorsa alcuni bookmaker pagavano il campionato vinto dal Leicester City, quota poi ovviamente precitata quasi subito, ha fatto notizia anche al di l&agrave; dell'aspetto finanziario. In fondo il bagno di sangue non c'&egrave; stato: i principali bookmaler inglesi hanno dichiarato di avere pagato o dover pagare, tradotto in euro, circa 11 milioni di euro per questo tipo di scommessa (escludendo quindi il gioco sulle singole partite), mentre ovviamente le dimensioni mondiali e ancora di pi&ugrave; quelle illegali del gioco non sono quantificabili. Relativamente pochi soldi, comunque, basandoci soltanto sul gioco legale. Significativo &egrave; che ancora a settembre il Leicester City si potesse giocare in zona 1000 e ancora pi&ugrave; significativo che molti (circa la met&agrave;) scommettitori a marzo abbiano accettato di incassare meno, ma in anticipo, dal William Hill o dal Ladbrokes della situazione pur di avere la sicurezza della vincita: segno che buona parte di quelli che avevano puntato sul Leicester City, per affetto o per puro azzardo, credevano in fondo a questa squadra nemmeno di fronte all'evidenza di una stagione fantastica. &Egrave; comunque sicuro che in Premier League, dove le cosiddette 'piccole' sono piccole in relazione al Chelsea o al Manchester United ma non rispetto al resto d'Europa (e quindi sono competitive sul mercato dei giocatori di fascia media), un 5000 a 1 non si vedr&agrave; pi&ugrave;. Bravi e fortunati quei pochi che ci hanno creduto, fortunati anche a vivere in Inghilterra. Perch&eacute; chi oggi volesse da noi puntare sullo scudetto 2016-17 del Sassuolo (quindi dopo le quote di Juventus, Napoli, Roma, Inter, Fiorentina, Milan e Lazio) porterebbe a casa 66 volte la posta. Si vede che i nostri quotisti, in possesso evidentemente di informazioni che noi non abbiamo, ritengono un miracolo italiano pi&ugrave; probabile di quello del Leicester City.

La grande scommessa su Ranieri

Il Verona 1985, la Danimarca 1992, il Kaiserslautern 1998, la Grecia 2004. E il Leicester 2016. La formazione di Claudio Ranieri va ad aggiungersi ai capitoli pi&ugrave; sorprendenti del grande romanzo calcistico. Probabilmente, il successo delle Foxes in questa Premier League ha un significato persino superiore agli altri citati. Parliamo di un club storicamente lontano dalle zone di vertice (nel proprio palmar&egrave;s non figuravano fino a ieri n&eacute; un campionato n&eacute; una Fa Cup), di una squadra che lo scorso anno alla trentesima di campionato era in ultima posizione e di un sodalizio capace di lasciarsi alle spalle squadre infinitamente pi&ugrave; attrezzate. L&rsquo;entusiasmo con cui tutto il mondo ha seguito le gesta della formazione inglese &egrave; la controprova dell&rsquo;impresa di questi giocatori, semisconosciuti al grande pubblico fino a un anno fa, osannati oggi. Spesso le squadre piccole che partono lanciate alla lunga cedono il passo al ritorno delle grandi. Il Leicester ha avuto il merito di crederci fino alla fine, ragionando sempre e solo &ldquo;sulla prossima partita&rdquo;, senza chiedersi troppo fino a che punto si sarebbe potuto spingere. Cos&igrave; facendo, ha visto avvicinarsi sempre pi&ugrave; la scritta del traguardo e ha provato con tutte le sue energie a non arrendersi nello sprint finale, sospinto da un pubblico in visibilio che inizialmente cantava &ldquo;We are gonna win the league&rdquo; quasi per scherzo e che alla lunga ha capito di non essere di fronte alla solita rivelazione che prima o poi sarebbe scoppiata. Gi&agrave;, davanti c'era una squadra che stava facendo sul serio, determinata a sfruttare l&rsquo;irripetibile congiunzione di fattori che vedeva tutte le grandi in crisi o in ristrutturazione. Si &egrave; creato un vuoto di potere, con il Chelsea in ritardo sin dalle prime giornate, il Liverpool in fase di allestimento, l&rsquo;Arsenal eternamente incompiuto, il Manchester City concentrato pi&ugrave; sul fronte europeo che su quello domestico e il Manchester United pieno di contraddizioni tattiche e strategiche. In questo &ldquo;vuoto&rdquo; si sono inseriti a tutta forza Tottenham e Leicester. E ad entrambe va il merito di aver dato vita a una delle pi&ugrave; belle e pazze corse per il titolo. Ripercorriamo la stagione e le tappe fondamentali dei nuovi campioni d'Inghilterra. LE RIMONTE INIZIALI Il primo passo di questa pazzesca maratona viene mosso l&rsquo;8 agosto, alla prima giornata di campionato: al King Power Stadium i padroni di casa battono 4-2 il Sunderland. Vardy, Mahrez (doppietta) e Albrighton calano il poker, prima delle reti di Defoe e Fletcher che addolciscono la sconfitta. Ha inizio cos&igrave; la stagione di una squadra data dai bookmakers 5000-1. Sette giorni dopo, altra vittoria, questa volta in casa del West Ham, contro una delle migliori squadre della stagione. E poi l&rsquo;1-1 interno col Tottenham, quando nessuno poteva ancora prevedere che sarebbe stato lo scontro diretto per il titolo: al gol di Alli segnato all&rsquo;81&rsquo; replica Mahrez dopo un minuto. Il pari con gli Spurs inaugura una serie di risultati in rimonta, indici della forza caratteriale del collettivo. Capita anche nell&rsquo;1-1 esterno col Bournemouth, con la partita rimessa in piedi da un rigore di Vardy a cinque minuti dal termine, e soprattutto nella gara con l&rsquo;Aston Villa del 13 settembre: Grealish e Gil portano i Villans avanti di due reti, ma nel finale si consuma il prepotente ritorno dei blu di Ranieri: De Laet (ceduto nel mercato di gennaio), Vardy e Dyer ribaltano l&rsquo;incontro da 0-2 a 3-2. E non &egrave; finita: anche nella trasferta contro lo Stoke City, Vardy e soci rimontano due reti di svantaggio, limitandosi per&ograve; al pareggio. La personalit&agrave; c'&egrave;. La squadra segna molto, ma deve mettere a punto i meccanismi difensivi. L&rsquo;AUTUNNO CALDO DI JAMIE VARDY Alla settima giornata arriva il primo k.o. ed &egrave; di quelli pesanti: l&rsquo;Arsenal si scatena e vince 5-2 al King Power Stadium. Il classico fuoco di paglia di inizio stagione sembra spegnersi, ma non &egrave; cos&igrave;: dopo la batosta con i Gunners, il Leicester vince 2-1 in casa del Norwich e dopo la sosta per le nazionali impatta 2-2 a Southampton, rimontando con la doppietta di Vardy l&rsquo;ennesimo svantaggio di due gol. Il pari ottenuto nel recupero carica l&rsquo;ambiente e le volpi ottengono quattro successi consecutivi su Crystal Palace (primo cleen sheet della stagione: si festeggia con i giocatori che cucinano la pizza su idea del tecnico), West Bromwich, Watford e Newcastle. Il Leicester si prende la vetta solitaria e la costante &egrave; rappresentata dai gol di Jamie Vardy, sul quale la stampa mondiale comincia a puntare gli occhi. Il 29 novembre, l&rsquo;attaccante entra nella storia: nell&rsquo;1-1 contro il Manchester United va a segno per l&rsquo;undicesima partita consecutiva, battendo il record dell&rsquo;olandese Ruud Van Nistelrooij, che si ferm&ograve; a dieci, proprio con la maglia dei Red Devils. L&rsquo;APPANNAMENTO NATALIZIO L&rsquo;agenda di dicembre si presenta fitta di appuntamenti terribili. Dopo il 3-0 allo Swansea (tris di Mahrez), le Foxes attendono a casa loro il Chelsea campione in carica, in piena crisi di risultati: il 2-1 vidimato dai soliti Vardy e Mahrez costa la panchina a Jos&eacute; Mourinho, vecchio nemico di Ranieri, ma pronto questa volta a porgere i suoi complimenti al tecnico italiano e ad auguragli di vincere il titolo. Ma per ora, siamo nel campo delle ipotesi remote. Il Leicester vince anche a Goodison Park contro l&rsquo;Everton, per&ograve; incappa nel periodo natalizio in una piccola serie di passi falsi. Sette giorni dopo il 3-2 ai Toffees, Morgan e compagni tornano a Liverpool, questa volta per sfidare la compagine di J&uuml;rgen Klopp: Benteke rovina il Boxing Day e decide l'incontro. A cavallo tra 2015 e 2016, capitano i due 0-0 contro Manchester City e Bournemouth. Buon risultato il primo, amaro il secondo, anche perch&eacute; Mahrez spreca un calcio di rigore. LE IMPRESE CON SPURS, REDS E CITIZENS Alla ripresa delle ostilit&agrave; dopo il turno di Coppa d&rsquo;Inghilterra, il Leicester espugna White Hart Lane con un gol del gigante Robert Huth. &Egrave; una vittoria pesantissima sull&rsquo;economia del campionato. Il duello tra i bomber Vardy e Kane finisce senza vincitori n&eacute; vinti (la punta del Tottenham sar&agrave; fermata da una grande parata di Schmeichel), ma i tre punti presi grazie al gol del difensore tedesco restituiscono linfa alla squadra di Ranieri, che alla 20&ordf; giornata aveva perso la testa della classifica a favore dell&rsquo;Arsenal. L&rsquo;1-1 contro l&rsquo;Aston Villa &egrave; fonte di delusione, anche perch&eacute; arriva al cospetto dell&rsquo;ultima in classifica. Ma dalla 23&ordf;, i blu ritrovano il primato solitario e inanellano una serie di vittorie che fa davvero pensare che il sogno di una intera citt&agrave; possa presto trasformarsi in realt&agrave;. Il successo sullo Stoke City, la vendetta sul Liverpool (2-0, altra doppietta di Vardy) e soprattutto il magnifico 3-1 dell&rsquo;Etihad Stadium rifilato al Manchester City, in quella che &egrave; probabilmente la gemma della stagione, mandano un messaggio forte e chiaro al campionato: il Leicester non molla. Quest&rsquo;ultima partita segna il momento-chiave della stagione: la vittoria sull'undici di Pellegrini porta a cinque i punti di vantaggio sugli Spurs ed estromette i Citizens dalla corsa per il primo posto. L&rsquo;ULTIMO K.O. Il 14 febbraio i nostri eroi cadono in casa dell&rsquo;Arsenal, unica squadra della stagione capace di prendersi tutti e sei i punti disponibili contro i futuri campioni d&rsquo;Inghilterra. La sconfitta fa male, perch&eacute; giunge nel recupero, grazie a un colpo di testa del rientrante Welbeck. Quella dell&rsquo;Emirates &egrave; stata gara di cuore, lotta e sacrificio; inoltre &egrave; stata chiusa in inferiorit&agrave; numerica per via dell&rsquo;espulsione del terzino destro Danny Simpson. Anche per questo tornare da Londra senza nemmeno un punto provoca disappunto nei tifosi delle volpi, preoccupati di aver assistito a una sconfitta che si sarebbe ripercossa pure sul morale dei loro beniamini. Sar&agrave; invece l&rsquo;ultima della stagione. I ragazzi di Ranieri sanno che un&rsquo;altra occasione cos&igrave; ghiotta di mettere le mani sul titolo, per un piccolo club come il Leicester, non si presenter&agrave; a breve. Dunque, anzich&eacute; piangersi addosso per la caduta dell&rsquo;Emirates Stadium, cominciano a pedalare forte per andare a conquistarsi quella fetta di gloria che nella contea del Leicestershire non hanno mai assaggiato neanche lontanamente. Contro il Norwich il giusto spirito della squadra permette di ritrovare subito ci&ograve; era stato perso con l&rsquo;Arsenal: le volpi vincono infatti con un gol al 90&rsquo; di Leonardo Ulloa, attaccante argentino che aveva reso possibile la salvezza nel 2014-15 e che teoricamente avrebbe dovuto giocare titolare anche quest'anno al fianco di Okazaki. L&rsquo;esplosione di Vardy ha tolto il posto da titolare all&rsquo;ex punta di San Lorenzo e Almeria, ma questi, un idolo dalle parti del King Power Stadium, ha sempre risposto presente quando &egrave; stato chiamato in causa. Lo rivedremo anche nel finale di stagione, contro West Ham e Swansea. L&rsquo;1 marzo, il Leicester pareggia in casa contro il West Bromwich nel turno infrasettimanale (reti di Drinkwater e King). Sembra un passo falso, ma il giorno seguente accade l&rsquo;impensabile: l&rsquo;Arsenal cade in casa con lo Swansea, il Manchester City viene travolto dal Liverpool, il Tottenham cade ad Upton Park contro il West Ham. Il giro a vuoto si trasforma addirittura in un punto guadagnato. LA PORTA CHIUSA DI SCHMEICHEL Dalla ventinovesima giornata, diventa protagonista la retroguardia. Schmeichel mette il lucchetto alla propria porta e la compagine delle Midlands Orientali comincia ad ottenere una serie di vittorie di misura e senza reti al passivo. Prima c&rsquo;&egrave; quella col Watford, bollata da Mahrez (tre punti importantissimi, perch&eacute; nel frattempo gli Spurs perdono ulteriore terreno nel derby contro l&rsquo;Arsenal); in seconda battuta l&rsquo;1-0 sul Newcastle, maturato grazie alla fantastica rovesciata del nipponico Shinji Okazaki; in seguito, l&rsquo;1-0 al Crystal Palace, ancora con gol di Mahrez; ed infine, l&rsquo;1-0 al Southampton con il primo centro stagionale del capitano Wes Morgan. Contro il Sunderland decide invece una doppietta di Vardy, tornato al gol dopo un digiuno di sei partite. Sei reti che fruttano quindici punti e difesa imbattuta in cinque match. La vittoria del campionato &egrave; a un passo. Espugnato il campo del Sunderland, fanno il giro del mondo le immagini di un commosso Claudio Ranieri, uscito dallo Stadium of Light con gli occhi lucidi. IL MOMENTO DELLA FESTA Alla gara contro il West Ham il Leicester si presenta da prima della classe e con un confortante vantaggio di sette punti sul Tottenham. Gli Hammers per&ograve; giocano un brutto scherzo e fermano le Foxes sul 2-2, al termine di una partita ricca di colpi di scena: sotto per 1-0, nel finale i londinesi pareggiano con Carroll su rigore e sorpassano con Cresswell. Il Leicester trova il pari al 90&rsquo; con il bomber di riserva Ulloa, dando ancora una volta dimostrazione di compattezza e ostentando una focosa voglia di lottare fino all&rsquo;ultimo. Il vantaggio sugli Spurs per&ograve; si assottiglia a cinque lunghezze e, quel che &egrave; peggio, la squadra perde Vardy per due match: espulso contro il West Ham per simulazione, il cannoniere si prende due giornate di squalifica e dovr&agrave; saltare le gare con Swansea e Manchester United. Contro i gallesi, la pratica viene sbrigata da Mahrez, Ulloa (doppietta) e Albrighton. Contro i Red Devils, c'&egrave; il primo match-point: vincendo all&rsquo;Old Trafford, la squadra si garantirebbe la vittoria del campionato, altrimenti il discorso verrebbe rinviato alla partita casalinga contro l&rsquo;Everton in programma il 7 maggio, opppure gufando alla televisione il Tottenham, impegnato nel &ldquo;monday night&rdquo; contro il Chelsea. Nel &ldquo;teatro dei sogni&rdquo;, la squadra del presidente thailandese Vichai Srivaddhanaprabha ottiene un 1-1 di prestigio ma insufficiente a far partire la festa. Al gol di Martial in apertura, risponde Morgan con un gol di potenza. Si arriva allo storico 2 maggio. I tifosi sono divisi: sperare che vinca il Chelsea o augurarsi di festeggiare sul campo battendo l'Everton nel turno seguente? Viste le scene di giubilo, verrebbe da dire che sia andata bene cos&igrave;. Nel posticipo del luned&igrave;, il Chelsea recupera due gol agli Spurs, fermandoli sul 2-2 in un derby nervosissimo. Il gol di Hazard a sette minuti dalla fine &egrave; quello che vale il titolo. Nei pub e nelle vie di Leicester si fa festa, si ride, si urla, si piange di gioia. Il calcio inglese conosce finalmente un nuovo vincitore (era dal Nottingham Forest 1978 che non compariva un nome inedito nell&rsquo;albo d&rsquo;oro). Claudio Ranieri, che clamorosamente non ha assistito al match di Stamford Bridge, in quanto stava rientrando in aereo da una toccata e fuga in Italia (lo aveva detto alla vigilia: &laquo;Sar&ograve; l'ultima persona a sapere se avremo vinto o no il campionato&raquo;), si ritaglia un posto nella &ldquo;hall of fame&rdquo; del calcio. Poco importa se nelle passate avventure ha vinto meno di quel che avrebbe dovuto o raccolto meno di quel che ha seminato. Una vittoria del genere vale forse pi&ugrave; di una bacheca piena di trofei. Giovanni Del Bianco

Il Verona 1985, la Danimarca 1992, il Kaiserslautern 1998, la Grecia 2004. E il Leicester 2016. La formazione di Claudio Ranieri va ad aggiungersi ai capitoli pi&ugrave; sorprendenti del grande romanzo calcistico. Probabilmente, il successo delle Foxes in questa Premier League ha un significato persino superiore agli altri citati. Parliamo di un club storicamente lontano dalle zone di vertice (nel proprio palmar&egrave;s non figuravano fino a ieri n&eacute; un campionato n&eacute; una Fa Cup), di una squadra che lo scorso anno alla trentesima di campionato era in ultima posizione e di un sodalizio capace di lasciarsi alle spalle squadre infinitamente pi&ugrave; attrezzate. L&rsquo;entusiasmo con cui tutto il mondo ha seguito le gesta della formazione inglese &egrave; la controprova dell&rsquo;impresa di questi giocatori, semisconosciuti al grande pubblico fino a un anno fa, osannati oggi. Spesso le squadre piccole che partono lanciate alla lunga cedono il passo al ritorno delle grandi. Il Leicester ha avuto il merito di crederci fino alla fine, ragionando sempre e solo &ldquo;sulla prossima partita&rdquo;, senza chiedersi troppo fino a che punto si sarebbe potuto spingere. Cos&igrave; facendo, ha visto avvicinarsi sempre pi&ugrave; la scritta del traguardo e ha provato con tutte le sue energie a non arrendersi nello sprint finale, sospinto da un pubblico in visibilio che inizialmente cantava &ldquo;We are gonna win the league&rdquo; quasi per scherzo e che alla lunga ha capito di non essere di fronte alla solita rivelazione che prima o poi sarebbe scoppiata. Gi&agrave;, davanti c'era una squadra che stava facendo sul serio, determinata a sfruttare l&rsquo;irripetibile congiunzione di fattori che vedeva tutte le grandi in crisi o in ristrutturazione. Si &egrave; creato un vuoto di potere, con il Chelsea in ritardo sin dalle prime giornate, il Liverpool in fase di allestimento, l&rsquo;Arsenal eternamente incompiuto, il Manchester City concentrato pi&ugrave; sul fronte europeo che su quello domestico e il Manchester United pieno di contraddizioni tattiche e strategiche. In questo &ldquo;vuoto&rdquo; si sono inseriti a tutta forza Tottenham e Leicester. E ad entrambe va il merito di aver dato vita a una delle pi&ugrave; belle e pazze corse per il titolo. Ripercorriamo la stagione e le tappe fondamentali dei nuovi campioni d'Inghilterra.  LE RIMONTE INIZIALI Il primo passo di questa pazzesca maratona viene mosso l&rsquo;8 agosto, alla prima giornata di campionato: al King Power Stadium i padroni di casa battono 4-2 il Sunderland. Vardy, Mahrez (doppietta) e Albrighton calano il poker, prima delle reti di Defoe e Fletcher che addolciscono la sconfitta. Ha inizio cos&igrave; la stagione di una squadra data dai bookmakers 5000-1. Sette giorni dopo, altra vittoria, questa volta in casa del West Ham, contro una delle migliori squadre della stagione. E poi l&rsquo;1-1 interno col Tottenham, quando nessuno poteva ancora prevedere che sarebbe stato lo scontro diretto per il titolo: al gol di Alli segnato all&rsquo;81&rsquo; replica Mahrez dopo un minuto. Il pari con gli Spurs inaugura una serie di risultati in rimonta, indici della forza caratteriale del collettivo. Capita anche nell&rsquo;1-1 esterno col Bournemouth, con la partita rimessa in piedi da un rigore di Vardy a cinque minuti dal termine, e soprattutto nella gara con l&rsquo;Aston Villa del 13 settembre: Grealish e Gil portano i Villans avanti di due reti, ma nel finale si consuma il prepotente ritorno dei blu di Ranieri: De Laet (ceduto nel mercato di gennaio), Vardy e Dyer ribaltano l&rsquo;incontro da 0-2 a 3-2. E non &egrave; finita: anche nella trasferta contro lo Stoke City, Vardy e soci rimontano due reti di svantaggio, limitandosi per&ograve; al pareggio. La personalit&agrave; c'&egrave;. La squadra segna molto, ma deve mettere a punto i meccanismi difensivi.  L&rsquo;AUTUNNO CALDO DI JAMIE VARDY Alla settima giornata arriva il primo k.o. ed &egrave; di quelli pesanti: l&rsquo;Arsenal si scatena e vince 5-2 al King Power Stadium. Il classico fuoco di paglia di inizio stagione sembra spegnersi, ma non &egrave; cos&igrave;: dopo la batosta con i Gunners, il Leicester vince 2-1 in casa del Norwich e dopo la sosta per le nazionali impatta 2-2 a Southampton, rimontando con la doppietta di Vardy l&rsquo;ennesimo svantaggio di due gol. Il pari ottenuto nel recupero carica l&rsquo;ambiente e le volpi ottengono quattro successi consecutivi su Crystal Palace (primo cleen sheet della stagione: si festeggia con i giocatori che cucinano la pizza su idea del tecnico), West Bromwich, Watford e Newcastle. Il Leicester si prende la vetta solitaria e la costante &egrave; rappresentata dai gol di Jamie Vardy, sul quale la stampa mondiale comincia a puntare gli occhi. Il 29 novembre, l&rsquo;attaccante entra nella storia: nell&rsquo;1-1 contro il Manchester United va a segno per l&rsquo;undicesima partita consecutiva, battendo il record dell&rsquo;olandese Ruud Van Nistelrooij, che si ferm&ograve; a dieci, proprio con la maglia dei Red Devils.  L&rsquo;APPANNAMENTO NATALIZIO L&rsquo;agenda di dicembre si presenta fitta di appuntamenti terribili. Dopo il 3-0 allo Swansea (tris di Mahrez), le Foxes attendono a casa loro il Chelsea campione in carica, in piena crisi di risultati: il 2-1 vidimato dai soliti Vardy e Mahrez costa la panchina a Jos&eacute; Mourinho, vecchio nemico di Ranieri, ma pronto questa volta a porgere i suoi complimenti al tecnico italiano e ad auguragli di vincere il titolo. Ma per ora, siamo nel campo delle ipotesi remote. Il Leicester vince anche a Goodison Park contro l&rsquo;Everton, per&ograve; incappa nel periodo natalizio in una piccola serie di passi falsi. Sette giorni dopo il 3-2 ai Toffees, Morgan e compagni tornano a Liverpool, questa volta per sfidare la compagine di J&uuml;rgen Klopp: Benteke rovina il Boxing Day e decide l'incontro. A cavallo tra 2015 e 2016, capitano i due 0-0 contro Manchester City e Bournemouth. Buon risultato il primo, amaro il secondo, anche perch&eacute; Mahrez spreca un calcio di rigore.  LE IMPRESE CON SPURS, REDS E CITIZENS Alla ripresa delle ostilit&agrave; dopo il turno di Coppa d&rsquo;Inghilterra, il Leicester espugna White Hart Lane con un gol del gigante Robert Huth. &Egrave; una vittoria pesantissima sull&rsquo;economia del campionato. Il duello tra i bomber Vardy e Kane finisce senza vincitori n&eacute; vinti (la punta del Tottenham sar&agrave; fermata da una grande parata di Schmeichel), ma i tre punti presi grazie al gol del difensore tedesco restituiscono linfa alla squadra di Ranieri, che alla 20&ordf; giornata aveva perso la testa della classifica a favore dell&rsquo;Arsenal. L&rsquo;1-1 contro l&rsquo;Aston Villa &egrave; fonte di delusione, anche perch&eacute; arriva al cospetto dell&rsquo;ultima in classifica. Ma dalla 23&ordf;, i blu ritrovano il primato solitario e inanellano una serie di vittorie che fa davvero pensare che il sogno di una intera citt&agrave; possa presto trasformarsi in realt&agrave;. Il successo sullo Stoke City, la vendetta sul Liverpool (2-0, altra doppietta di Vardy) e soprattutto il magnifico 3-1 dell&rsquo;Etihad Stadium rifilato al Manchester City, in quella che &egrave; probabilmente la gemma della stagione, mandano un messaggio forte e chiaro al campionato: il Leicester non molla. Quest&rsquo;ultima partita segna il momento-chiave della stagione: la vittoria sull'undici di Pellegrini porta a cinque i punti di vantaggio sugli Spurs ed estromette i Citizens dalla corsa per il primo posto.  L&rsquo;ULTIMO K.O. Il 14 febbraio i nostri eroi cadono in casa dell&rsquo;Arsenal, unica squadra della stagione capace di prendersi tutti e sei i punti disponibili contro i futuri campioni d&rsquo;Inghilterra. La sconfitta fa male, perch&eacute; giunge nel recupero, grazie a un colpo di testa del rientrante Welbeck. Quella dell&rsquo;Emirates &egrave; stata gara di cuore, lotta e sacrificio; inoltre &egrave; stata chiusa in inferiorit&agrave; numerica per via dell&rsquo;espulsione del terzino destro Danny Simpson. Anche per questo tornare da Londra senza nemmeno un punto provoca disappunto nei tifosi delle volpi, preoccupati di aver assistito a una sconfitta che si sarebbe ripercossa pure sul morale dei loro beniamini. Sar&agrave; invece l&rsquo;ultima della stagione. I ragazzi di Ranieri sanno che un&rsquo;altra occasione cos&igrave; ghiotta di mettere le mani sul titolo, per un piccolo club come il Leicester, non si presenter&agrave; a breve. Dunque, anzich&eacute; piangersi addosso per la caduta dell&rsquo;Emirates Stadium, cominciano a pedalare forte per andare a conquistarsi quella fetta di gloria che nella contea del Leicestershire non hanno mai assaggiato neanche lontanamente. Contro il Norwich il giusto spirito della squadra permette di ritrovare subito ci&ograve; era stato perso con l&rsquo;Arsenal: le volpi vincono infatti con un gol al 90&rsquo; di Leonardo Ulloa, attaccante argentino che aveva reso possibile la salvezza nel 2014-15 e che teoricamente avrebbe dovuto giocare titolare anche quest'anno al fianco di Okazaki. L&rsquo;esplosione di Vardy ha tolto il posto da titolare all&rsquo;ex punta di San Lorenzo e Almeria, ma questi, un idolo dalle parti del King Power Stadium, ha sempre risposto presente quando &egrave; stato chiamato in causa. Lo rivedremo anche nel finale di stagione, contro West Ham e Swansea. L&rsquo;1 marzo, il Leicester pareggia in casa contro il West Bromwich nel turno infrasettimanale (reti di Drinkwater e King). Sembra un passo falso, ma il giorno seguente accade l&rsquo;impensabile: l&rsquo;Arsenal cade in casa con lo Swansea, il Manchester City viene travolto dal Liverpool, il Tottenham cade ad Upton Park contro il West Ham. Il giro a vuoto si trasforma addirittura in un punto guadagnato.  LA PORTA CHIUSA DI SCHMEICHEL Dalla ventinovesima giornata, diventa protagonista la retroguardia. Schmeichel mette il lucchetto alla propria porta e la compagine delle Midlands Orientali comincia ad ottenere una serie di vittorie di misura e senza reti al passivo. Prima c&rsquo;&egrave; quella col Watford, bollata da Mahrez (tre punti importantissimi, perch&eacute; nel frattempo gli Spurs perdono ulteriore terreno nel derby contro l&rsquo;Arsenal); in seconda battuta l&rsquo;1-0 sul Newcastle, maturato grazie alla fantastica rovesciata del nipponico Shinji Okazaki; in seguito, l&rsquo;1-0 al Crystal Palace, ancora con gol di Mahrez; ed infine, l&rsquo;1-0 al Southampton con il primo centro stagionale del capitano Wes Morgan. Contro il Sunderland decide invece una doppietta di Vardy, tornato al gol dopo un digiuno di sei partite. Sei reti che fruttano quindici punti e difesa imbattuta in cinque match. La vittoria del campionato &egrave; a un passo. Espugnato il campo del Sunderland, fanno il giro del mondo le immagini di un commosso Claudio Ranieri, uscito dallo Stadium of Light con gli occhi lucidi.  IL MOMENTO DELLA FESTA Alla gara contro il West Ham il Leicester si presenta da prima della classe e con un confortante vantaggio di sette punti sul Tottenham. Gli Hammers per&ograve; giocano un brutto scherzo e fermano le Foxes sul 2-2, al termine di una partita ricca di colpi di scena: sotto per 1-0, nel finale i londinesi pareggiano con Carroll su rigore e sorpassano con Cresswell. Il Leicester trova il pari al 90&rsquo; con il bomber di riserva Ulloa, dando ancora una volta dimostrazione di compattezza e ostentando una focosa voglia di lottare fino all&rsquo;ultimo. Il vantaggio sugli Spurs per&ograve; si assottiglia a cinque lunghezze e, quel che &egrave; peggio, la squadra perde Vardy per due match: espulso contro il West Ham per simulazione, il cannoniere si prende due giornate di squalifica e dovr&agrave; saltare le gare con Swansea e Manchester United. Contro i gallesi, la pratica viene sbrigata da Mahrez, Ulloa (doppietta) e Albrighton. Contro i Red Devils, c'&egrave; il primo match-point: vincendo all&rsquo;Old Trafford, la squadra si garantirebbe la vittoria del campionato, altrimenti il discorso verrebbe rinviato alla partita casalinga contro l&rsquo;Everton in programma il 7 maggio, opppure gufando alla televisione il Tottenham, impegnato nel &ldquo;monday night&rdquo; contro il Chelsea. Nel &ldquo;teatro dei sogni&rdquo;, la squadra del presidente thailandese Vichai Srivaddhanaprabha ottiene un 1-1 di prestigio ma insufficiente a far partire la festa. Al gol di Martial in apertura, risponde Morgan con un gol di potenza. Si arriva allo storico 2 maggio. I tifosi sono divisi: sperare che vinca il Chelsea o augurarsi di festeggiare sul campo battendo l'Everton nel turno seguente? Viste le scene di giubilo, verrebbe da dire che sia andata bene cos&igrave;. Nel posticipo del luned&igrave;, il Chelsea recupera due gol agli Spurs, fermandoli sul 2-2 in un derby nervosissimo. Il gol di Hazard a sette minuti dalla fine &egrave; quello che vale il titolo. Nei pub e nelle vie di Leicester si fa festa, si ride, si urla, si piange di gioia. Il calcio inglese conosce finalmente un nuovo vincitore (era dal Nottingham Forest 1978 che non compariva un nome inedito nell&rsquo;albo d&rsquo;oro). Claudio Ranieri, che clamorosamente non ha assistito al match di Stamford Bridge, in quanto stava rientrando in aereo da una toccata e fuga in Italia (lo aveva detto alla vigilia: &laquo;Sar&ograve; l'ultima persona a sapere se avremo vinto o no il campionato&raquo;), si ritaglia un posto nella &ldquo;hall of fame&rdquo; del calcio. Poco importa se nelle passate avventure ha vinto meno di quel che avrebbe dovuto o raccolto meno di quel che ha seminato. Una vittoria del genere vale forse pi&ugrave; di una bacheca piena di trofei.  Giovanni Del Bianco

Leicester, i momenti-chiave della stagione

Una vittoria dal sapore antico, quella del Leicester, con soli quattordici giocatori utilizzati per pi&ugrave; di venti partite. Aspettando di vedere Gary Lineker condurre la puntata di &ldquo;Match of the day&rdquo; in mutande (questa la penitenza per la sua scommessa persa), tiriamo le somme sui personaggi che hanno scritto una delle pi&ugrave; belle pagine della storia del calcio e rendiamo omaggio a quelli che sono stati gli uomini-simbolo di questa incredibile cavalcata. N&rsquo;GOLO KANT&Eacute; Alex Ferguson lo ha incoronato il miglior giocatore della stagione per distacco. Motorino inesauribile, &egrave; stato la vera chiave della squadra. Morde, recupera palloni, d&agrave; equilibrio, non si stanca mai: il sogno di ogni allenatore. Di lui si dice: &ldquo;Il 70% del pianeta &egrave; coperto d&rsquo;acqua. Il restante 30% lo copre Kant&eacute;&rdquo;. Fino a tre stagioni fa giocava nella seconda divisione francese. Oggi &egrave; considerato il miglior rubapalloni in circolazione. JAMIE VARDY L&rsquo;uomo della stagione. Il terminale d&rsquo;attacco capace di passare in poche stagioni dalla fabbrica al record di reti consecutive in Premier League (ha superato Van Nistelrooij segnando undici partite di fila), dai campi della Conference (la quinta serie inglese) alla maglia della nazionale.&nbsp; In una stagione irripetibile, ha trovato spazio anche per un gol di tacco segnato alla Germania.Ventidue gol segnati in questa Premier, lo rivedremo in Francia all&rsquo;Europeo. Un trascinatore con un furore agonistico fuori dal comune. RIYAD MAHREZ Comprato per 400.000 sterline, Mahrez &egrave; entrato al Leicester in punta di piedi. Ora &egrave; una delle stelle del calcio inglese, tanto da essere stato incoronato &ldquo;Giocatore dell&rsquo;anno&rdquo;, primo africano a fregiarsi di tale premio. A lui Ranieri ha dato libert&agrave; d&rsquo;azione. Sprigionando la sua classe, Mahrez ha inventato le pi&ugrave; belle giocate della squadra, trovando un feeling pazzesco con Jamie Vardy. Partendo dalla fascia e accentrandosi, ha confezionato assist e&nbsp; gol pesanti (diciassette reti segnate, vicecannoniere della squadra). Memorabile la tripletta allo Swansea lo scorso dicembre. In inverno i rigori sbagliati contro Bournemouth e Aston Villa sono costati quattro punti al club: &egrave; stato bravo a non smarrirsi. WES MORGAN Il capitano. Una roccia. Un tir. Con Huth ha formato una splendida coppia di centrali difensivi. Segna il primo gol della stagione alla trentaduesima giornata: un colpo di testa valso l&rsquo;1-0 al Southampton. Una volta sbloccatosi, ha replicato con la rete che di fatto ha consegnato il titolo alla squadra: quella dell&rsquo;1-1 messa a segno all&rsquo;Old Trafford. KASPER SCHMEICHEL Figlio d&rsquo;arte, ha condotto una stagione degna del padre Peter, stella del Manchester United degli anni Novanta. Decisivo con molte parate basse, ha fatto spesso ripartire l&rsquo;azione con i suoi rinvii lunghissimi. Assieme a Morgan, &egrave; l&rsquo;unico che ha giocato tutti i minuti del campionato. DANNY DRINKWATER Altro uomo nuovo del football inglese &egrave; questo centrocampista di scuola Manchester United, alla seconda stagione in Premier League. Praticamente perfetto, si &egrave; integrato a meraviglia con Kant&eacute; e si &egrave; guadagnato la chiamata della nazionale inglese, debuttando contro l&rsquo;Olanda lo scorso marzo. CLAUDIO RANIERI &ldquo;Claudio Ranieri? Really?&rdquo;. Il tweet di Gary Lineker al momento del suo ingaggio non fu proprio un'affettuosa dimostrazione d&rsquo;entusiasmo. Ranieri veniva da una terribile esperienza come Ct della Grecia e non godeva in quel momento di grande credito. In un anno, il tecnico romano ha capovolto i giudizi negativi, portando al titolo un team che si era salvato a fatica la scorsa stagione. &Egrave; il terzo italiano ad imporsi in Inghilterra (gli altri sono Ancelotti e Mancini). Un trionfo meritato per un uomo perbene e per un allenatore che in carriera non era mai riuscito a vincere un massimo campionato, limitandosi alla piazza d&rsquo;onore. Incredibile che sia riuscito ad ottenere a Leicester ci&ograve; che &egrave; sfuggito in piazze ben pi&ugrave; blasonate. Non &egrave; mai tardi per entrare nella storia. Giovanni Del Bianco

Una vittoria dal sapore antico, quella del Leicester, con soli quattordici giocatori utilizzati per pi&ugrave; di venti partite. Aspettando di vedere Gary Lineker condurre la puntata di &ldquo;Match of the day&rdquo; in mutande (questa la penitenza per la sua scommessa persa), tiriamo le somme sui personaggi che hanno scritto una delle pi&ugrave; belle pagine della storia del calcio e rendiamo omaggio a quelli che sono stati gli uomini-simbolo di questa incredibile cavalcata.  N&rsquo;GOLO KANT&Eacute; Alex Ferguson lo ha incoronato il miglior giocatore della stagione per distacco. Motorino inesauribile, &egrave; stato la vera chiave della squadra. Morde, recupera palloni, d&agrave; equilibrio, non si stanca mai: il sogno di ogni allenatore. Di lui si dice: &ldquo;Il 70% del pianeta &egrave; coperto d&rsquo;acqua. Il restante 30% lo copre Kant&eacute;&rdquo;. Fino a tre stagioni fa giocava nella seconda divisione francese. Oggi &egrave; considerato il miglior rubapalloni in circolazione.  JAMIE VARDY L&rsquo;uomo della stagione. Il terminale d&rsquo;attacco capace di passare in poche stagioni dalla fabbrica al record di reti consecutive in Premier League (ha superato Van Nistelrooij segnando undici partite di fila), dai campi della Conference (la quinta serie inglese) alla maglia della nazionale.&nbsp; In una stagione irripetibile, ha trovato spazio anche per un gol di tacco segnato alla Germania.Ventidue gol segnati in questa Premier, lo rivedremo in Francia all&rsquo;Europeo. Un trascinatore con un furore agonistico fuori dal comune.  RIYAD MAHREZ Comprato per 400.000 sterline, Mahrez &egrave; entrato al Leicester in punta di piedi. Ora &egrave; una delle stelle del calcio inglese, tanto da essere stato incoronato &ldquo;Giocatore dell&rsquo;anno&rdquo;, primo africano a fregiarsi di tale premio. A lui Ranieri ha dato libert&agrave; d&rsquo;azione. Sprigionando la sua classe, Mahrez ha inventato le pi&ugrave; belle giocate della squadra, trovando un feeling pazzesco con Jamie Vardy. Partendo dalla fascia e accentrandosi, ha confezionato assist e&nbsp; gol pesanti (diciassette reti segnate, vicecannoniere della squadra). Memorabile la tripletta allo Swansea lo scorso dicembre. In inverno i rigori sbagliati contro Bournemouth e Aston Villa sono costati quattro punti al club: &egrave; stato bravo a non smarrirsi.  WES MORGAN Il capitano. Una roccia. Un tir. Con Huth ha formato una splendida coppia di centrali difensivi. Segna il primo gol della stagione alla trentaduesima giornata: un colpo di testa valso l&rsquo;1-0 al Southampton. Una volta sbloccatosi, ha replicato con la rete che di fatto ha consegnato il titolo alla squadra: quella dell&rsquo;1-1 messa a segno all&rsquo;Old Trafford.  KASPER SCHMEICHEL Figlio d&rsquo;arte, ha condotto una stagione degna del padre Peter, stella del Manchester United degli anni Novanta. Decisivo con molte parate basse, ha fatto spesso ripartire l&rsquo;azione con i suoi rinvii lunghissimi. Assieme a Morgan, &egrave; l&rsquo;unico che ha giocato tutti i minuti del campionato.  DANNY DRINKWATER Altro uomo nuovo del football inglese &egrave; questo centrocampista di scuola Manchester United, alla seconda stagione in Premier League. Praticamente perfetto, si &egrave; integrato a meraviglia con Kant&eacute; e si &egrave; guadagnato la chiamata della nazionale inglese, debuttando contro l&rsquo;Olanda lo scorso marzo.  CLAUDIO RANIERI &ldquo;Claudio Ranieri? Really?&rdquo;. Il tweet di Gary Lineker al momento del suo ingaggio non fu proprio un'affettuosa dimostrazione d&rsquo;entusiasmo. Ranieri veniva da una terribile esperienza come Ct della Grecia e non godeva in quel momento di grande credito. In un anno, il tecnico romano ha capovolto i giudizi negativi, portando al titolo un team che si era salvato a fatica la scorsa stagione. &Egrave; il terzo italiano ad imporsi in Inghilterra (gli altri sono Ancelotti e Mancini). Un trionfo meritato per un uomo perbene e per un allenatore che in carriera non era mai riuscito a vincere un massimo campionato, limitandosi alla piazza d&rsquo;onore. Incredibile che sia riuscito ad ottenere a Leicester ci&ograve; che &egrave; sfuggito in piazze ben pi&ugrave; blasonate. Non &egrave; mai tardi per entrare nella storia.  Giovanni Del Bianco

Leicester, i protagonisti dell'impresa

La stagione fantastica del Leicester City impone una domanda: quanto contano i soldi nella lega pi&ugrave; ricca del mondo? Perch&eacute; &egrave; vero che il club posseduto da&nbsp;Vichai Srivaddhanaprabha ha un fatturato da medio-grande di serie A ed un'azionista di maggioranza pesantissimo, ma &egrave; anche vero che questo fatturato &egrave; un quarto di quello del Manchester United. Per rispondere alla domanda non occorre grande memoria, perch&eacute; la Premier League &egrave; nata soltanto nel 1992, dalla frattura fra i club della allora First Division e la storica federazione, cio&egrave; la Football League: per motivi di diritti televisivi, ma non solo, i club scelsero l'indipendenza senza totalmente staccarsi dal concetto europeo di diritto sportivo, favorendo quindi un certo ricambio ad ogni livello (soprattutto a quelli bassi, a causa del 'doping' del cosiddetto paracadute per le retrocesse). Dal 1992 ad oggi in Premier League hanno infatti giocato 47 squadre diverse, alcune anche espressione di realt&agrave; geopolitiche piccolissime. La realt&agrave; per&ograve; dice che a vincerla sono state soltanto in sei, includendo nel conteggio il Leicester City: Manchester United, Chelsea, Arsenal, Manchester City e quel Blackburn Rovers che da 4 anni annaspa nelle zone medio-basse del Championship. Il paragone con il titolo 1994-95 dei Rovers &egrave; un po' forzato, perch&eacute; la squadra allenata da Kenny Dalglish arrivava dal secondo posto dell'anno precedente ed era al suo terzo anno consecutivo in Premier League (il Leicester al secondo), poi perch&eacute; era ricchissima anche in rapporto alle rivali e soprattutto davvero competitiva sul mercato dei migliori calciatori. Era la squadra di Alan Shearer, Sutton, Le Saux, Hendry, Flowers, Berg, Sherwood, eccetera: non esattamente un dream team di Palloni d'Oro, ma comunque un gruppo di giocatori conosciuti attorno alla stella della nazionale inglese. Se per&ograve; togliamo Shearer, notiamo che si trattava di giocatori che avevano trovato nei Rovers la loro dimensione, per poi magari guadagnare di pi&ugrave; altrove. Potrebbe essere il caso di Vardy, Mahrez, Drinkwater... Insomma, due realt&agrave; diverse ma con qualche punto in comune, come anche il gravitare su una citt&agrave; pi&ugrave; grande (Blackburn su Manchester, Leicester su Birmingham). In ogni caso in 24 anni soltanto due volte la Premier League &egrave; stata vinta da squadre che con il nostro metro definiremmo di provincia, al di l&agrave; della ricchezza del proprietario. Un po' poco, se vogliamo parlare di NBA o NFL del calcio, molto in rapporto allo zero italiano.

La stagione fantastica del Leicester City impone una domanda: quanto contano i soldi nella lega pi&ugrave; ricca del mondo? Perch&eacute; &egrave; vero che il club posseduto da&nbsp;Vichai Srivaddhanaprabha ha un fatturato da medio-grande di serie A ed un'azionista di maggioranza pesantissimo, ma &egrave; anche vero che questo fatturato &egrave; un quarto di quello del Manchester United. Per rispondere alla domanda non occorre grande memoria, perch&eacute; la Premier League &egrave; nata soltanto nel 1992, dalla frattura fra i club della allora First Division e la storica federazione, cio&egrave; la Football League: per motivi di diritti televisivi, ma non solo, i club scelsero l'indipendenza senza totalmente staccarsi dal concetto europeo di diritto sportivo, favorendo quindi un certo ricambio ad ogni livello (soprattutto a quelli bassi, a causa del 'doping' del cosiddetto paracadute per le retrocesse). Dal 1992 ad oggi in Premier League hanno infatti giocato 47 squadre diverse, alcune anche espressione di realt&agrave; geopolitiche piccolissime. La realt&agrave; per&ograve; dice che a vincerla sono state soltanto in sei, includendo nel conteggio il Leicester City: Manchester United, Chelsea, Arsenal, Manchester City e quel Blackburn Rovers che da 4 anni annaspa nelle zone medio-basse del Championship. Il paragone con il titolo 1994-95 dei Rovers &egrave; un po' forzato, perch&eacute; la squadra allenata da Kenny Dalglish arrivava dal secondo posto dell'anno precedente ed era al suo terzo anno consecutivo in Premier League (il Leicester al secondo), poi perch&eacute; era ricchissima anche in rapporto alle rivali e soprattutto davvero competitiva sul mercato dei migliori calciatori. Era la squadra di Alan Shearer, Sutton, Le Saux, Hendry, Flowers, Berg, Sherwood, eccetera: non esattamente un dream team di Palloni d'Oro, ma comunque un gruppo di giocatori conosciuti attorno alla stella della nazionale inglese. Se per&ograve; togliamo Shearer, notiamo che si trattava di giocatori che avevano trovato nei Rovers la loro dimensione, per poi magari guadagnare di pi&ugrave; altrove. Potrebbe essere il caso di Vardy, Mahrez, Drinkwater... Insomma, due realt&agrave; diverse ma con qualche punto in comune, come anche il gravitare su una citt&agrave; pi&ugrave; grande (Blackburn su Manchester, Leicester su Birmingham). In ogni caso in 24 anni soltanto due volte la Premier League &egrave; stata vinta da squadre che con il nostro metro definiremmo di provincia, al di l&agrave; della ricchezza del proprietario. Un po' poco, se vogliamo parlare di NBA o NFL del calcio, molto in rapporto allo zero italiano.

Leicester City e Blackburn Rovers, due imprese ogni tanto

Quella che sta compiendo il Leicester City in Premier League &egrave; un'impresa sportiva enorme, ma non si tratta di un miracolo o di Cenerentola che si presenta a un ballo dove non &egrave; invitata. Se il Chievo, quattordicesimo l'anno scorso in serie A come quattordicesima si era qualificata la squadra allora allenata da Nigel Pearson, vincesse lo scudetto questo s&igrave; sarebbe un miracolo. Quello che hanno fatto Ranieri, Vardy, Mahrez, Kant&eacute; e compagni, oltre a entusiasmare chi ama gli outsider, &egrave; invece l'aver messo in evidenza l'equivoco di fondo della Premier League: avere fatturati e budget enormi non &egrave; che aumenti il numero di fuoriclasse sul mercato, ma di sicuro aumenta le quotazioni dei giocatori di fascia medio-alta o media. Il primo effetto &egrave; quello di dare ossigeno ai bilanci di chi questi giocatori te li vende, il secondo &egrave; quella di generare aspettative insensate visto che la differenza fra la rosa di Manchester United e Leicester City &egrave; inferiore a quella fra Juventus e Chievo. Non parliamo di valori di mercato, quelli s&igrave; gonfiati dal... mercato, ma di valori sportivi. Poi nel calcio vale tutto, anche considerare ben spese le decine di milioni per Darmian, Schneiderlin, Depay, Martial, eccetera, ma il fatto che in pochi mesi le loro quotazioni siano diminuite di un terzo dice gi&agrave; tutto. Le 'Cenerentola' inglese dovrebbe chiudere la stagione in corso con un fatturato valutabile in 160 milioni di euro. Siamo vicini a quello dell'Inter e sopra quello del Napoli, anche per i particolari meccanismi redistributori della Premier League. Che per&ograve; non impediscono al Manchester United di avere un fatturato esattamente quadruplo rispetto a quello dei Foxes e alle altre quattro grandi (Liverpool, Arsenal , Manchester City, Chelsea) di averne uno pi&ugrave; che triplo. Si torna al discorso dei giocatori medi strapagati: chi ha Messi non lo vende e chi non lo ha deve avere la competenza per non riempirsi la rosa di zavorra sopravvalutata. Non &egrave; un caso che gli uomini copertina, da Vardy a Mahrez, da Schmeichel a Morgan, siano stati a loro tempo acquistati praticamente per niente, mentre altre colonne di questa stagione come Kant&eacute; e Okazaki sono state pagate al loro giusto prezzo, in ogni caso quello di una buona riserva di un nostro grande club. Insomma, competenza dei dirigenti e di Ranieri unita anche a spalle coperte perch&eacute; il proprietario, il thailandese&nbsp;Vichai Srivaddhanaprabha, ha un patrimonio personale valutato in 3 miliardi di euro e governa un gruppo che ne fattura 100 all'anno. Insomma, non proprio il Chievo. Questo non toglie che Ranieri abbia compiuto un'impresa bellissima, in rapporto al materiale umano a disposizione e alla direzione che sta prendendo il calcio.

Quella che sta compiendo il Leicester City in Premier League &egrave; un'impresa sportiva enorme, ma non si tratta di un miracolo o di Cenerentola che si presenta a un ballo dove non &egrave; invitata. Se il Chievo, quattordicesimo l'anno scorso in serie A come quattordicesima si era qualificata la squadra allora allenata da Nigel Pearson, vincesse lo scudetto questo s&igrave; sarebbe un miracolo. Quello che hanno fatto Ranieri, Vardy, Mahrez, Kant&eacute; e compagni, oltre a entusiasmare chi ama gli outsider, &egrave; invece l'aver messo in evidenza l'equivoco di fondo della Premier League: avere fatturati e budget enormi non &egrave; che aumenti il numero di fuoriclasse sul mercato, ma di sicuro aumenta le quotazioni dei giocatori di fascia medio-alta o media. Il primo effetto &egrave; quello di dare ossigeno ai bilanci di chi questi giocatori te li vende, il secondo &egrave; quella di generare aspettative insensate visto che la differenza fra la rosa di Manchester United e Leicester City &egrave; inferiore a quella fra Juventus e Chievo. Non parliamo di valori di mercato, quelli s&igrave; gonfiati dal... mercato, ma di valori sportivi. Poi nel calcio vale tutto, anche considerare ben spese le decine di milioni per Darmian, Schneiderlin, Depay, Martial, eccetera, ma il fatto che in pochi mesi le loro quotazioni siano diminuite di un terzo dice gi&agrave; tutto. Le 'Cenerentola' inglese dovrebbe chiudere la stagione in corso con un fatturato valutabile in 160 milioni di euro. Siamo vicini a quello dell'Inter e sopra quello del Napoli, anche per i particolari meccanismi redistributori della Premier League. Che per&ograve; non impediscono al Manchester United di avere un fatturato esattamente quadruplo rispetto a quello dei Foxes e alle altre quattro grandi (Liverpool, Arsenal , Manchester City, Chelsea) di averne uno pi&ugrave; che triplo. Si torna al discorso dei giocatori medi strapagati: chi ha Messi non lo vende e chi non lo ha deve avere la competenza per non riempirsi la rosa di zavorra sopravvalutata. Non &egrave; un caso che gli uomini copertina, da Vardy a Mahrez, da Schmeichel a Morgan, siano stati a loro tempo acquistati praticamente per niente, mentre altre colonne di questa stagione come Kant&eacute; e Okazaki sono state pagate al loro giusto prezzo, in ogni caso quello di una buona riserva di un nostro grande club. Insomma, competenza dei dirigenti e di Ranieri unita anche a spalle coperte perch&eacute; il proprietario, il thailandese&nbsp;Vichai Srivaddhanaprabha, ha un patrimonio personale valutato in 3 miliardi di euro e governa un gruppo che ne fattura 100 all'anno. Insomma, non proprio il Chievo. Questo non toglie che Ranieri abbia compiuto un'impresa bellissima, in rapporto al materiale umano a disposizione e alla direzione che sta prendendo il calcio.

La favola del Leicester e la classe media della Premier League

Con il Leicester City Claudio Ranieri rischia seriamente di vincere la Premier League e di compiere una delle pi&ugrave; grandi imprese nella storia del calcio, quindi oltre ai problemi normali che deve fronteggiare un allenatore deve anche sorbirsi gli elogi sperticati di chi lo aveva dato per bollito non pochi mesi fa ma gi&agrave; da anni. Eppure in quasi trent'anni di carriera Ranieri ha fallito, nel senso pi&ugrave; proprio dell'espressione, soltanto una volta, sulla panchina della nazionale greca (memorabile la sconfitta con le Far Oer nelle qualificazioni a Euro 2016) e all'Atletico Madrid. In tutti gli altri casi ha fatto il suo, raggiungendo gli obbiettivi prefissati e andando spesso oltre, tranne quando ha ereditato situazioni gi&agrave; compromesse come all'Inter dopo l'esonero di Gasperini. Nemmeno gli antipatizzanti del tecnico romano possono dimenticare le esperienze con Cagliari (in due anni dalla C alla A), Napoli, Fiorentina (promozione e Coppa Italia), Valencia (qualificazione alla Champions League), Chelsea (semifinale in Champions League e campionato sfiorato), Parma, Juventus (due qualificazioni in Champions League con la squadra post-Calciopoli), Roma (scudetto sfiorato) e Monaco (promozione e qualificazione in Champions League). Insomma, celebrati allenatori con chilometraggio inferiore hanno collezionato molti pi&ugrave; brutte figure di Ranieri, eppure vengono considerati profeti anche in patria. &Egrave; questione anche di come si viene 'battezzati' mediaticamente: se sei un predestinato rimani predestinato. Non &egrave; un complotto contro Ranieri, ma incapacit&agrave; di ammettere gli errori. Twitter @StefanoOlivari

Con il Leicester City Claudio Ranieri rischia seriamente di vincere la Premier League e di compiere una delle pi&ugrave; grandi imprese nella storia del calcio, quindi oltre ai problemi normali che deve fronteggiare un allenatore deve anche sorbirsi gli elogi sperticati di chi lo aveva dato per bollito non pochi mesi fa ma gi&agrave; da anni. Eppure in quasi trent'anni di carriera Ranieri ha fallito, nel senso pi&ugrave; proprio dell'espressione, soltanto una volta, sulla panchina della nazionale greca (memorabile la sconfitta con le Far Oer nelle qualificazioni a Euro 2016) e all'Atletico Madrid. In tutti gli altri casi ha fatto il suo, raggiungendo gli obbiettivi prefissati e andando spesso oltre, tranne quando ha ereditato situazioni gi&agrave; compromesse come all'Inter dopo l'esonero di Gasperini. Nemmeno gli antipatizzanti del tecnico romano possono dimenticare le esperienze con Cagliari (in due anni dalla C alla A), Napoli, Fiorentina (promozione e Coppa Italia), Valencia (qualificazione alla Champions League), Chelsea (semifinale in Champions League e campionato sfiorato), Parma, Juventus (due qualificazioni in Champions League con la squadra post-Calciopoli), Roma (scudetto sfiorato) e Monaco (promozione e qualificazione in Champions League). Insomma, celebrati allenatori con chilometraggio inferiore hanno collezionato molti pi&ugrave; brutte figure di Ranieri, eppure vengono considerati profeti anche in patria. &Egrave; questione anche di come si viene 'battezzati' mediaticamente: se sei un predestinato rimani predestinato. Non &egrave; un complotto contro Ranieri, ma incapacit&agrave; di ammettere gli errori.  Twitter @StefanoOlivari

La scoperta di Ranieri

Dall'8 agosto, giorno dell'esordio stagionale in Premier contro il Sunderland, &egrave; andato a segno per ben 14 volte e nelle uniche due gare che lo hanno visto assistere alle realizzazioni dei compagni ha, tuttavia, regalato un contributo determinante con due assist. Jamie Vardy &egrave; l'uomo del momento. Nelle contee dell'Inghilterra, in Lapponia o in Manciuria. Non esistono confini quando il respiro della passione incrocia storie del genere. Il pareggio della scorsa settimana tra Leicester e Manchester United ha accolto l'undicesima rete consecutiva, guarda caso proprio contro quella che per anni &egrave; stata la raggiante dimora di Ruud Van Nistelrooy, fermatosi a quota dieci e a cavallo tra il 2002-2003 e il 2003-2004. C'&egrave; un piccolo particolare che rende il tutto un po' pi&ugrave; curioso. Batistuta, nel novembre del '94, realizz&ograve; l'undicesima rete di fila fulminando Zenga su rigore e superando Ezio Pascutti, non certo l'ultimo arrivato. Allora sulla panchina della Fiorentina figurava Claudio Ranieri, lo stesso che adesso impartisce nozioni di calcio al nostro eroe e condivide la vetta del campionato inglese insieme al City. Il lavoro in fabbrica, l'esplosione tardiva - o meglio, qualcuno ha visto lungo - dopo il cospicuo tempo passato nei bassifondi del football e l'esordio in Nazionale, insperato a pensarci soltanto dodici mesi fa. Meglio Vardy che mai, come accaduto a molti protagonisti a noi tanto cari in proporzioni pi&ugrave; o meno ridotte. Cosa passa nella testa di un 24enne che gioca da trequartista in C2 e con la maglia numero 10 del Chieti? Tutto, magari un salto di categoria di l&igrave; a poco, ma indubbiamente non il pensiero di poter cambiare ruolo, decidere una semifinale mondiale e calciare il rigore della vittoria sotto gli occhi del mondo. Chiedete a Fabio Grosso, riguardando gli episodi chiave di Germania 2006. Macchina del tempo, torniamo a Italia 90. Un anno (e qualche mese) &egrave; il periodo che basta a Tot&ograve; Schillaci per transitare dalla posizione di met&agrave; classifica in B con il suo Messina alla medaglia d'argento del Pallone d'Oro, passando per le sei reti al Mondiale. Un'amichevole tra i dilettanti della Caratese e la Juventus permette a Moreno Torricelli di svestirsi della divisa da falegname e di indossare quella bianconera, ritrovandosi dal nulla su un palcoscenico gremito di gente. L'abnegazione e il duro lavoro sono le qualit&agrave; che autorizzano Giaccherini a parcheggiare per sempre il Pandino prima e la Fiesta dopo e che gli fanno guadagnare la stima di Conte e Prandelli. Firenze &egrave; la citt&agrave; che ospita l'esordio in A di Christian Rigan&ograve; dopo vent'anni tra Promozione, Eccellenza, Dilettanti, C2, C1 e B e Messina quella di Riccardo Zampagna. Questi ultimi, per&ograve;, appartengono pi&ugrave; alla sfera del nostalgico, territorio indiscusso di Dario H&uuml;bner e Igor Protti. Ultima nota, gli undici minuti di gloria che Mazzarri concede a Peppe Mascara nel settembre del 2011: debutto in Champions a 32 anni nel vittorioso incontro del Napoli contro il Villarreal di Pepito Rossi, Diego Lopez e Cristian Zapata. @damorirne

Dall'8 agosto, giorno dell'esordio stagionale in Premier contro il Sunderland, &egrave; andato a segno per ben 14 volte e nelle uniche due gare che lo hanno visto assistere alle realizzazioni dei compagni ha, tuttavia, regalato un contributo determinante con due assist. Jamie Vardy &egrave; l'uomo del momento. Nelle contee dell'Inghilterra, in Lapponia o in Manciuria. Non esistono confini quando il respiro della passione incrocia storie del genere.  Il pareggio della scorsa settimana tra Leicester e Manchester United ha accolto l'undicesima rete consecutiva, guarda caso proprio contro quella che per anni &egrave; stata la raggiante dimora di Ruud Van Nistelrooy, fermatosi a quota dieci e a cavallo tra il 2002-2003 e il 2003-2004. C'&egrave; un piccolo particolare che rende il tutto un po' pi&ugrave; curioso. Batistuta, nel novembre del '94, realizz&ograve; l'undicesima rete di fila fulminando Zenga su rigore e superando Ezio Pascutti, non certo l'ultimo arrivato. Allora sulla panchina della Fiorentina figurava Claudio Ranieri, lo stesso che adesso impartisce nozioni di calcio al nostro eroe e condivide la vetta del campionato inglese insieme al City.  Il lavoro in fabbrica, l'esplosione tardiva - o meglio, qualcuno ha visto lungo - dopo il cospicuo tempo passato nei bassifondi del football e l'esordio in Nazionale, insperato a pensarci soltanto dodici mesi fa. Meglio Vardy che mai, come accaduto a molti protagonisti a noi tanto cari in proporzioni pi&ugrave; o meno ridotte. Cosa passa nella testa di un 24enne che gioca da trequartista in C2 e con la maglia numero 10 del Chieti? Tutto, magari un salto di categoria di l&igrave; a poco, ma indubbiamente non il pensiero di poter cambiare ruolo, decidere una semifinale mondiale e calciare il rigore della vittoria sotto gli occhi del mondo. Chiedete a Fabio Grosso, riguardando gli episodi chiave di Germania 2006.  Macchina del tempo, torniamo a Italia 90. Un anno (e qualche mese) &egrave; il periodo che basta a Tot&ograve; Schillaci per transitare dalla posizione di met&agrave; classifica in B con il suo Messina alla medaglia d'argento del Pallone d'Oro, passando per le sei reti al Mondiale. Un'amichevole tra i dilettanti della Caratese e la Juventus permette a Moreno Torricelli di svestirsi della divisa da falegname e di indossare quella bianconera, ritrovandosi dal nulla su un palcoscenico gremito di gente.  L'abnegazione e il duro lavoro sono le qualit&agrave; che autorizzano Giaccherini a parcheggiare per sempre il Pandino prima e la Fiesta dopo e che gli fanno guadagnare la stima di Conte e Prandelli. Firenze &egrave; la citt&agrave; che ospita l'esordio in A di Christian Rigan&ograve; dopo vent'anni tra Promozione, Eccellenza, Dilettanti, C2, C1 e B e Messina quella di Riccardo Zampagna. Questi ultimi, per&ograve;, appartengono pi&ugrave; alla sfera del nostalgico, territorio indiscusso di Dario H&uuml;bner e Igor Protti. Ultima nota, gli undici minuti di gloria che Mazzarri concede a Peppe Mascara nel settembre del 2011: debutto in Champions a 32 anni nel vittorioso incontro del Napoli contro il Villarreal di Pepito Rossi, Diego Lopez e Cristian Zapata.  @damorirne

La cuginanza italiana di Jamie Vardy

Vardy, Ighalo, Mahrez. Il podio attuale della classifica marcatori del campionato inglese propone un trio lontano dalle grandi piazze ed esente dai nomi pi&ugrave; sbandierati, che negli ultimi anni hanno colonizzato la lista dei cannonieri. Il nigeriano Ighalo milita nel Watford, gli altri due nel Leicester City, sorpresa di questa prima parte di stagione (&egrave; attualmente terzo e a -3 punti dalla vetta occupata da Arsenal e Manchester City e ha perso solo una partita. E inoltre, i "foxes" vantano il secondo miglior attacco del campionato e ). Davanti a Rooney, Giroud, Sanchez,&nbsp; Diego Costa e Ag&uuml;ero, al momento ci sono loro. Magari non durer&agrave;, ma ventate di novit&agrave; come queste sono sempre da guardare con piacere. Jamie Vardy in particolare &egrave; l&rsquo;uomo nuovo della stagione in corso. A 28 anni sta strappando applausi a scena aperta, ha realizzato undici gol in undici partite e pu&ograve; puntare il record di reti in gare consecutive. Per ora, ha segnato in otto match di fila. Nel mirino ha Ruud Van Nistelrooij, che arriv&ograve; a dieci nel 2003. Non male per un giocatore alla seconda stagione in Premier e che nel 2012 si trovava in Conference, nel quinto gradino del football inglese. Al Fleetwood, Vardy fece talmente bene (31 gol in 36 partite), che l&rsquo;anno seguente fu comprato dal Leicester per un milione di sterline, record per un giocatore della Non-League. Uno scatto di tre categorie. Un anno di ambientamento in Championship, con quattro gol segnati e poi lo zampino sulla promozione del 2014, con quattordici reti. E poi, il debutto in Premier; e anche qua, dopo un primo anno discreto, con cinque gol, la definitiva esplosione che gli ha permesso di esordire con la maglia dell&rsquo;Inghilterra. Dalla fabbrica alla nazionale, nel giro di pochi anni: quella di Vardy &egrave; una delle storie pi&ugrave; curiose di questa stagione. A goderne i frutti &egrave; Claudio Ranieri, che dopo anni di magra (esonerato prima dal Monaco e poi dalla nazionale greca) si sta finalmente togliendo qualche soddisfazione. Anche grazie alle reti del ventiquattrenne algerino Riyad Mahrez, autore di sette gol in dieci partite. Schierato alle spalle di Verdy o pi&ugrave; preferibilmente largo a destra, anche lui &egrave; alla seconda stagione di Premier, dopo tanti anni passati in Francia nelle fila del Le Havre, una mezza stagione in Championship con il Leicester e l'annata del debutto dello scorso campionato. Mancino, viene spesso utilizzato sulla corsia opposta per liberarsi al tiro, cosa che finora gli &egrave; riuscita spesso e bene. Un po&rsquo; leggerino di fisico e poco "cattivo" agonisticamente, si fa valere sulla corsa e grazie a una buona tecnica. Mahrez aveva quindici anni quando mor&igrave; suo padre, nel 2006: da allora ha deciso di tuffarsi con tutta la sua forza nel mondo del calcio, lavorando per trasformarlo da una&nbsp; passione al proprio mestiere, anche per onorare suo padre Ahmed, ex calciatore che aveva intravisto le qualit&agrave; di suo figlio, prevedendogli un futuro da professionista. Odion Ighalo invece ha un passato nella nostra Serie A, ma non esattamente memorabile: sei partite e un gol con la maglia dell&rsquo;Udinese, tre partite e zero gol con quella del Cesena. Sempre nell&rsquo;orbita delle squadre dei Pozzo (ha giocato quattro stagioni e mezzo nel Granada), &egrave; stato spesso un giocatore da &ldquo;Serie B&rdquo;, nel senso che in doppia cifra &egrave; andato nella Segunda Division del 2009-10 (sedici reti) e nel Championship del 2014-15, gi&agrave; con la maglia del Watford (venti, record personale). Quest&rsquo;anno &egrave; partito forte anche in Premier, campionato dove ha messo piede per la prima volta. Nello scorso week end ha realizzato una doppietta al West Ham, permettendo agli &ldquo;hornets&rdquo; di stazionare in un confortante centro classifica (aveva gi&agrave; segnato due gol in una partita sola contro il Newcastle). Sette dei dieci gol complessivi della squadra portano il suo nome. L&rsquo;ultima volta che si laure&ograve; re dei bomber un calciatore non facente parte delle cinque grandi d&rsquo;Inghilterra, fu nella stagione 1999-2000. Ai tempi fu Kevin Phillips ad imporsi, quando militava nel Sunderland (e che ha concluso la carriera nel Leicester, proprio quando arrivava Vardy). Chiss&agrave; che da questa stagione non possa uscirne da leader uno che non faccia parte delle solite cinque. Sabato prossimo, intanto, ci sar&agrave; proprio Leicester-Watford. La sfida dei nuovi bomber. Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Vardy, Ighalo, Mahrez. Il podio attuale della classifica marcatori del campionato inglese propone un trio lontano dalle grandi piazze ed esente dai nomi pi&ugrave; sbandierati, che negli ultimi anni hanno colonizzato la lista dei cannonieri. Il nigeriano Ighalo milita nel Watford, gli altri due nel Leicester City, sorpresa di questa prima parte di stagione (&egrave; attualmente terzo e a -3 punti dalla vetta occupata da Arsenal e Manchester City e ha perso solo una partita. E inoltre, i "foxes" vantano il secondo miglior attacco del campionato e ). Davanti a Rooney, Giroud, Sanchez,&nbsp; Diego Costa e Ag&uuml;ero, al momento ci sono loro. Magari non durer&agrave;, ma ventate di novit&agrave; come queste sono sempre da guardare con piacere.  Jamie Vardy in particolare &egrave; l&rsquo;uomo nuovo della stagione in corso. A 28 anni sta strappando applausi a scena aperta, ha realizzato undici gol in undici partite e pu&ograve; puntare il record di reti in gare consecutive. Per ora, ha segnato in otto match di fila. Nel mirino ha Ruud Van Nistelrooij, che arriv&ograve; a dieci nel 2003. Non male per un giocatore alla seconda stagione in Premier e che nel 2012 si trovava in Conference, nel quinto gradino del football inglese. Al Fleetwood, Vardy fece talmente bene (31 gol in 36 partite), che l&rsquo;anno seguente fu comprato dal Leicester per un milione di sterline, record per un giocatore della Non-League. Uno scatto di tre categorie. Un anno di ambientamento in Championship, con quattro gol segnati e poi lo zampino sulla promozione del 2014, con quattordici reti. E poi, il debutto in Premier; e anche qua, dopo un primo anno discreto, con cinque gol, la definitiva esplosione che gli ha permesso di esordire con la maglia dell&rsquo;Inghilterra.  Dalla fabbrica alla nazionale, nel giro di pochi anni: quella di Vardy &egrave; una delle storie pi&ugrave; curiose di questa stagione. A goderne i frutti &egrave; Claudio Ranieri, che dopo anni di magra (esonerato prima dal Monaco e poi dalla nazionale greca) si sta finalmente togliendo qualche soddisfazione. Anche grazie alle reti del ventiquattrenne algerino Riyad Mahrez, autore di sette gol in dieci partite. Schierato alle spalle di Verdy o pi&ugrave; preferibilmente largo a destra, anche lui &egrave; alla seconda stagione di Premier, dopo tanti anni passati in Francia nelle fila del Le Havre, una mezza stagione in Championship con il Leicester e l'annata del debutto dello scorso campionato. Mancino, viene spesso utilizzato sulla corsia opposta per liberarsi al tiro, cosa che finora gli &egrave; riuscita spesso e bene. Un po&rsquo; leggerino di fisico e poco "cattivo" agonisticamente, si fa valere sulla corsa e grazie a una buona tecnica. Mahrez aveva quindici anni quando mor&igrave; suo padre, nel 2006: da allora ha deciso di tuffarsi con tutta la sua forza nel mondo del calcio, lavorando per trasformarlo da una&nbsp; passione al proprio mestiere, anche per onorare suo padre Ahmed, ex calciatore che aveva intravisto le qualit&agrave; di suo figlio, prevedendogli un futuro da professionista.  Odion Ighalo invece ha un passato nella nostra Serie A, ma non esattamente memorabile: sei partite e un gol con la maglia dell&rsquo;Udinese, tre partite e zero gol con quella del Cesena. Sempre nell&rsquo;orbita delle squadre dei Pozzo (ha giocato quattro stagioni e mezzo nel Granada), &egrave; stato spesso un giocatore da &ldquo;Serie B&rdquo;, nel senso che in doppia cifra &egrave; andato nella Segunda Division del 2009-10 (sedici reti) e nel Championship del 2014-15, gi&agrave; con la maglia del Watford (venti, record personale). Quest&rsquo;anno &egrave; partito forte anche in Premier, campionato dove ha messo piede per la prima volta. Nello scorso week end ha realizzato una doppietta al West Ham, permettendo agli &ldquo;hornets&rdquo; di stazionare in un confortante centro classifica (aveva gi&agrave; segnato due gol in una partita sola contro il Newcastle). Sette dei dieci gol complessivi della squadra portano il suo nome.  L&rsquo;ultima volta che si laure&ograve; re dei bomber un calciatore non facente parte delle cinque grandi d&rsquo;Inghilterra, fu nella stagione 1999-2000. Ai tempi fu Kevin Phillips ad imporsi, quando militava nel Sunderland (e che ha concluso la carriera nel Leicester, proprio quando arrivava Vardy). Chiss&agrave; che da questa stagione non possa uscirne da leader uno che non faccia parte delle solite cinque. Sabato prossimo, intanto, ci sar&agrave; proprio Leicester-Watford. La sfida dei nuovi bomber.  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Vardy, Mahrez, Ighalo. I nuovi bomber del calcio inglese

Si sapeva che prima o poi sarebbe arrivata la risposta di Jos&eacute; Mourinho. Questa volta, la polemica ingaggiata dallo Special One, appare ancora pi&ugrave; singolare delle altre perch&eacute; il duellante a distanza &egrave; Montserrat Seara, la moglie di Benitez. Lei ha dichiarato che &laquo;Rafa deve aggiustare i casini lasciati dall'amico&raquo; e lui ha replicato con un poco elegante &laquo;Si occupi della dieta del marito&raquo;. Noi abbiamo raccolto le frasi che maggiormente hanno caratterizzato la storia dell'allenatore portoghese, spesso al di l&agrave; del buon costume. &laquo;Vi prego di non chiamarmi arrogante, ma sono campione d'Europa e credo di essere speciale&raquo;. &laquo;Se avessi voluto un lavoro facile, lavorando con la grande protezione di quello che avevo gi&agrave; fatto, sarei rimasto al Porto &ndash; una bella sedia blu, una Champions League, Dio, e dopo Dio, io&raquo;. &laquo;Come diciamo in Portogallo, hanno portato un bus e lo hanno lasciato davanti alla porta. Sarei frustrato se fossi un tifoso che ha pagato &pound;50 per vedere questa partita (Chelsea-Tottenham), perch&eacute; loro sono venuti per difendersi&raquo;. &laquo;Penso che Ars&egrave;ne Wenger sia un guardone. Ci sono alcune persone che, quando sono a casa, hanno un grande telescopio per vedere cosa accade nelle altre famiglie. Lui parla, parla e parla del Chelsea&raquo;. &laquo;Come si dice "imbrogliare" in catalano? Barcellona &egrave; una citt&agrave; culturale con molti grandi teatri e questi ragazzi hanno imparato molto bene. Lionel Messi ha imparato a recitare&raquo;. &laquo;Sir Alex Ferguson &egrave; rimasto diversi anni, mi pare tre, al Manchester senza vincere nulla, eppure &egrave; ancora al suo posto. Stessa cosa per Wenger, anche lui al terzo anno senza titoli, ma ancora al suo posto. Se fosse stato per i tifosi, avrei avuto il contratto per vent'anni, perch&eacute; la gente mi adora&raquo;. &laquo;Se fossi il ct di un'altra squadra, non potrei affrontare il Portogallo. Sarebbe sbagliato. Sono completamente contrario ai c.t. stranieri, credo che le nazionali dovrebbero mettere insieme non solo i migliori giocatori di un Paese, ma anche il miglior tecnico. Allenare una nazionale non &egrave; come guidare un club. &Egrave; un lavoro per gente cui non piace lavorare troppo&raquo;. &laquo;Io non sono un pirla&raquo;. &laquo;Ranieri? Ha vinto poco ed &egrave; troppo vecchio per cambiare mentalit&agrave;&raquo;. &laquo;Si parla tanto di Kak&agrave; che ha vinto il Pallone d&rsquo;oro, di Messi e di Cristiano Ronaldo, ma quando lavoro due tre giorni con Ibra, capisco che lui &egrave; speciale&raquo;. &laquo;Perch&eacute; mi attaccano tutti? Facile, perch&eacute; sanno che il giorno dopo le prime pagine dei giornali si occuperanno di loro. &Egrave; tutta pubblicit&agrave; gratis&raquo;. &laquo;Lo Monaco? Io conosco Monaco de Tibete, Monaco Montecarlo, Bayern Monaco, Gran Prix di Monaco. Se questo Lo Monaco vuole essere conosciuto per parlare di me, mi deve pagare tanto. Io ho gi&agrave; degli sponsor che mi pagano per fare pubblicit&agrave;. Non vengo pagato per fare pubblicit&agrave; a Monaco&raquo;. &laquo;Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia migliore di me&raquo;. &laquo;Mi sembra che gli italiani non siano tanto innamorati di calcio come io pensavo, sono innamorati pi&ugrave; dello show televisivo&raquo;. &laquo;Io ho studiato cinque ore al giorno l'italiano per diversi mesi per poter comunicare con voi giornalisti, con i tifosi e pensate che vi abbia mancato di rispetto? Parla poi Ranieri che dopo cinque anni in Inghilterra ha avuto difficolt&agrave; a dire good morning e good afternoon&raquo;. &laquo;Dopo una partita non mi sentirete mai criticare i miei giocatori. Io non mi nascondo mai, mi piace che loro si sentano protetti&raquo;. &laquo;La mia squadra &egrave; sempre la pi&ugrave; forte, era cos&igrave; quando allenavo l'Uniao Leiria, figurarsi oggi che sono all'Inter&raquo;. &laquo;Se Balotelli si allenasse al 50% rispetto a giocatori come Zanetti e gli altri, sarebbe tra i pi&ugrave; forti al mondo. Lui invece si allena al 25% degli altri e ha solo 18 anni&raquo;. &laquo;A me non piace la prostituzione intellettuale, a me piace l'onest&agrave; intellettuale. Mi sembra che negli ultimi giorni ci sia una grandissima manipolazione intellettuale, un grande lavoro organizzato per cambiare l'opinione pubblica per un mondo che non &egrave; il mio&raquo;. &laquo;Non si parla di una Roma con grandissimi giocatori, tanti che avrei voluto avere con me, e che finir&agrave; la stagione con zero tituli. Non si &egrave; parlato di un Milan che finir&agrave; la stagione con zero tituli. Con giocatori, tradizione, cultura vincente, tutto quello di cui si ha bisogno per vincere tituli&raquo;. &laquo;Non &egrave; vero che sono&nbsp; antipatico, e nemmeno che sono sempre incazzato. Neppure Ges&ugrave; piaceva a tutti&raquo;. &laquo;Zanetti? Sapevo che &egrave; una forza della natura, ma non pensavo fosse questo uomo. E poi il suo passaporto deve essere sbagliato. Non pu&ograve; avere 36 anni, devono essere al massimo 25-26&raquo;. &laquo;Ho espresso un'opinione da uomo libero in un Paese libero, e subito ho sentito il rumore dei nemici. Questo mi piace: ho parlato e ora sono tutti qui&raquo;. &laquo;Credo che la gente si sia un po' stufata di vedermi vincere. Dicono che sono un difensivista, ma non &egrave; verit&agrave;, e poi un allenatore difensivo vince una volta, non due, tre o 17 volte. I titoli parlano per me&raquo;. &laquo;Sarei un mediocre? Rispetto le opinioni di tutti, anche quelle di Zeman. Scusi, ma dove gioca questo Zeman? Ah, &egrave; un allenatore. Non lo sapevo, cercher&ograve; su Google&raquo;. &laquo;Potrei scrivere un libro di 200 pagine sui miei due anni all'Inter con Mario Balotelli ma non sarebbe un romanzo drammatico, piuttosto una commedia perch&eacute; &egrave; un ragazzo divertente&raquo;. &laquo;Boateng? Non cerco fotomodelli, il Chelsea insegue calciatori. Nell'ultimo anno ha fatto pi&ugrave; cambi di look che gol&raquo;. &laquo;Cambi giusti? Si chiama culo!&raquo;. &laquo;La domanda &egrave; por qu&eacute;, por qu&eacute;?&raquo; &laquo;Pogba piace a tutti, ma ci sono cose che si possono fare e altre che non si possono fare. Mi piace anche la Torre Eiffel, ma non posso averla nel mio giardino&raquo;. @damorirne

Si sapeva che prima o poi sarebbe arrivata la risposta di Jos&eacute; Mourinho. Questa volta, la polemica ingaggiata dallo Special One, appare ancora pi&ugrave; singolare delle altre perch&eacute; il duellante a distanza &egrave; Montserrat Seara, la moglie di Benitez. Lei ha dichiarato che &laquo;Rafa deve aggiustare i casini lasciati dall'amico&raquo; e lui ha replicato con un poco elegante &laquo;Si occupi della dieta del marito&raquo;. Noi abbiamo raccolto le frasi che maggiormente hanno caratterizzato la storia dell'allenatore portoghese, spesso al di l&agrave; del buon costume.  &laquo;Vi prego di non chiamarmi arrogante, ma sono campione d'Europa e credo di essere speciale&raquo;.  &laquo;Se avessi voluto un lavoro facile, lavorando con la grande protezione di quello che avevo gi&agrave; fatto, sarei rimasto al Porto &ndash; una bella sedia blu, una Champions League, Dio, e dopo Dio, io&raquo;.  &laquo;Come diciamo in Portogallo, hanno portato un bus e lo hanno lasciato davanti alla porta. Sarei frustrato se fossi un tifoso che ha pagato &pound;50 per vedere questa partita (Chelsea-Tottenham), perch&eacute; loro sono venuti per difendersi&raquo;.  &laquo;Penso che Ars&egrave;ne Wenger sia un guardone. Ci sono alcune persone che, quando sono a casa, hanno un grande telescopio per vedere cosa accade nelle altre famiglie. Lui parla, parla e parla del Chelsea&raquo;.  &laquo;Come si dice "imbrogliare" in catalano? Barcellona &egrave; una citt&agrave; culturale con molti grandi teatri e questi ragazzi hanno imparato molto bene. Lionel Messi ha imparato a recitare&raquo;.  &laquo;Sir Alex Ferguson &egrave; rimasto diversi anni, mi pare tre, al Manchester senza vincere nulla, eppure &egrave; ancora al suo posto. Stessa cosa per Wenger, anche lui al terzo anno senza titoli, ma ancora al suo posto. Se fosse stato per i tifosi, avrei avuto il contratto per vent'anni, perch&eacute; la gente mi adora&raquo;.  &laquo;Se fossi il ct di un'altra squadra, non potrei affrontare il Portogallo. Sarebbe sbagliato. Sono completamente contrario ai c.t. stranieri, credo che le nazionali dovrebbero mettere insieme non solo i migliori giocatori di un Paese, ma anche il miglior tecnico. Allenare una nazionale non &egrave; come guidare un club. &Egrave; un lavoro per gente cui non piace lavorare troppo&raquo;.  &laquo;Io non sono un pirla&raquo;.  &laquo;Ranieri? Ha vinto poco ed &egrave; troppo vecchio per cambiare mentalit&agrave;&raquo;.  &laquo;Si parla tanto di Kak&agrave; che ha vinto il Pallone d&rsquo;oro, di Messi e di Cristiano Ronaldo, ma quando lavoro due tre giorni con Ibra, capisco che lui &egrave; speciale&raquo;.  &laquo;Perch&eacute; mi attaccano tutti? Facile, perch&eacute; sanno che il giorno dopo le prime pagine dei giornali si occuperanno di loro. &Egrave; tutta pubblicit&agrave; gratis&raquo;.  &laquo;Lo Monaco? Io conosco Monaco de Tibete, Monaco Montecarlo, Bayern Monaco, Gran Prix di Monaco. Se questo Lo Monaco vuole essere conosciuto per parlare di me, mi deve pagare tanto. Io ho gi&agrave; degli sponsor che mi pagano per fare pubblicit&agrave;. Non vengo pagato per fare pubblicit&agrave; a Monaco&raquo;.  &laquo;Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia migliore di me&raquo;.  &laquo;Mi sembra che gli italiani non siano tanto innamorati di calcio come io pensavo, sono innamorati pi&ugrave; dello show televisivo&raquo;.  &laquo;Io ho studiato cinque ore al giorno l'italiano per diversi mesi per poter comunicare con voi giornalisti, con i tifosi e pensate che vi abbia mancato di rispetto? Parla poi Ranieri che dopo cinque anni in Inghilterra ha avuto difficolt&agrave; a dire good morning e good afternoon&raquo;.  &laquo;Dopo una partita non mi sentirete mai criticare i miei giocatori. Io non mi nascondo mai, mi piace che loro si sentano protetti&raquo;.  &laquo;La mia squadra &egrave; sempre la pi&ugrave; forte, era cos&igrave; quando allenavo l'Uniao Leiria, figurarsi oggi che sono all'Inter&raquo;.  &laquo;Se Balotelli si allenasse al 50% rispetto a giocatori come Zanetti e gli altri, sarebbe tra i pi&ugrave; forti al mondo. Lui invece si allena al 25% degli altri e ha solo 18 anni&raquo;.  &laquo;A me non piace la prostituzione intellettuale, a me piace l'onest&agrave; intellettuale. Mi sembra che negli ultimi giorni ci sia una grandissima manipolazione intellettuale, un grande lavoro organizzato per cambiare l'opinione pubblica per un mondo che non &egrave; il mio&raquo;.  &laquo;Non si parla di una Roma con grandissimi giocatori, tanti che avrei voluto avere con me, e che finir&agrave; la stagione con zero tituli. Non si &egrave; parlato di un Milan che finir&agrave; la stagione con zero tituli. Con giocatori, tradizione, cultura vincente, tutto quello di cui si ha bisogno per vincere tituli&raquo;.  &laquo;Non &egrave; vero che sono&nbsp; antipatico, e nemmeno che sono sempre incazzato. Neppure Ges&ugrave; piaceva a tutti&raquo;.  &laquo;Zanetti? Sapevo che &egrave; una forza della natura, ma non pensavo fosse questo uomo. E poi il suo passaporto deve essere sbagliato. Non pu&ograve; avere 36 anni, devono essere al massimo 25-26&raquo;.  &laquo;Ho espresso un'opinione da uomo libero in un Paese libero, e subito ho sentito il rumore dei nemici. Questo mi piace: ho parlato e ora sono tutti qui&raquo;.  &laquo;Credo che la gente si sia un po' stufata di vedermi vincere. Dicono che sono un difensivista, ma non &egrave; verit&agrave;, e poi un allenatore difensivo vince una volta, non due, tre o 17 volte. I titoli parlano per me&raquo;.  &laquo;Sarei un mediocre? Rispetto le opinioni di tutti, anche quelle di Zeman. Scusi, ma dove gioca questo Zeman? Ah, &egrave; un allenatore. Non lo sapevo, cercher&ograve; su Google&raquo;.  &laquo;Potrei scrivere un libro di 200 pagine sui miei due anni all'Inter con Mario Balotelli ma non sarebbe un romanzo drammatico, piuttosto una commedia perch&eacute; &egrave; un ragazzo divertente&raquo;.  &laquo;Boateng? Non cerco fotomodelli, il Chelsea insegue calciatori. Nell'ultimo anno ha fatto pi&ugrave; cambi di look che gol&raquo;.  &laquo;Cambi giusti? Si chiama culo!&raquo;.  &laquo;La domanda &egrave; por qu&eacute;, por qu&eacute;?&raquo;  &laquo;Pogba piace a tutti, ma ci sono cose che si possono fare e altre che non si possono fare. Mi piace anche la Torre Eiffel, ma non posso averla nel mio giardino&raquo;.  @damorirne

Mourinho vs Lady Benitez, tutte le frasi dello Special One

Dicevano le nostre nonne che la fretta &egrave; sempre cattiva consigliera. E un po&rsquo; di saggezza popolare in pi&ugrave; sarebbe servita anche a Massimo Moratti, che a mio avviso ne ha dimostrata invece poca, pochissima. E vado a spiegarmi. Un paio di settimane fa, il presidente nerazzurro ha annunciato urbi et orbi la conferma di Andrea Stramaccioni, al quale ha giovato non poco un cognome ideale per i giochi di parole dei cronisti (sono impazziti: Stra-amala, Stramilano, Stracittadina e via cazzeggiando). Risultato: Moratti si &egrave; subito schierato dalla parte del nuovo allenatore, lasciando perdere le piste che lo avevano portato sino a quel punto a inseguire Bielsa, Mazzarri e altri big per la nuova stagione. Stramaccioni ha vinto sull&rsquo;onda popolare. Striscioni fuori dalla Pinetina, consenso generalizzato, un paio di paraculate fatte in conferenza stampa, compreso l&rsquo;omaggio al solito Mourinho (immancabile per chiunque) e la frase in romano-milanese. Non solo: un&rsquo;immagine cavalcata alla grande di nuovo Guardiola. Stramaccioni &egrave; pure partito alla grande: 4 vittorie e 2 pareggi nelle prime sei gare in panchina. Poi ne ha perse due nelle ultime tre, con l&rsquo;unico intermezzo vittorioso del derby, contro un Milan ormai sfiatato e piegato dalla risalita della Juve. Fatto sta che Stramaccioni ha preso l&rsquo;Inter all&rsquo;ottavo posto e l&rsquo;ha portata sul sesto gradino. Un buon risultato, non un exploit impressionante. Anzi, per fare il verso ai giornali, Stratosferico. Pur avendo vinto il derby, ha fatto gli stessi punti del Milan. Otto in meno della Juve. Ha superato da allora solo Roma a e Catania, che si sono fermate da soli. &Egrave; vero: l&rsquo;Inter ha fatto 4 punti in pi&ugrave; del Napoli, suicidatosi a Bologna. Per concludere. Moratti avrebbe potuto decidere oggi, 14 maggio 2012, che Stramaccioni era l&rsquo;ideale per l&rsquo;Inter. Non vorrei, come spesso &egrave; successo nella storia del lider Massimo, che la scelta del momento producesse effetti negativi nel futuro. Lippi fu malsopportato per un&rsquo;intera estate, salvo essere liquidato alla prima giornata del campionato successivo. Leonardo fiut&ograve;, giusto un anno fa, l&rsquo;aria pesante e prese un&rsquo;altra strada. Il rapporto di Moratti con gli allenatori &egrave; da sempre cos&igrave;: si accende e si spegne all&rsquo;improvviso. Da Cuper a Mancini, da Benitez all&rsquo;ultimo Ranieri. Speriamo che sorte diversa tocchi al fortunatissimo Stramaccioni, che tra poche settimane dovr&agrave; ripartire. Il preliminare di Europa League &egrave; gi&agrave; un primo, difficile spartiacque che lo aspetta. Fabio Frosini di Pistoia mi scrive in una mail: vorrebbe Zeman come allenatore. E propone la sua Inter. Eccola: &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Portieri : Viviano ( Bardi) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Terzino destro : Zanetti (Faraoni) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Terzino sinistro : Nagatomo (Jaun Jesus) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centrale destro : Ranocchia (Spolli) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centrale sinistro : Ogbonna (Caldirola) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centrocampista centrale : Capoue (Crisetig) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Mezzo destro : Guarin (Poli) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Mezzo sinistro : Obi (Barrientos) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Attaccante destro : Cuadrado (Alvarez) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centravanti : Milito (Destro) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Attaccante sinistro : Muriel &nbsp;(Ibarbo) twitter@matteomarani

Dicevano le nostre nonne che la fretta &egrave; sempre cattiva consigliera. E un po&rsquo; di saggezza popolare in pi&ugrave; sarebbe servita anche a Massimo Moratti, che a mio avviso ne ha dimostrata invece poca, pochissima. E vado a spiegarmi. Un paio di settimane fa, il presidente nerazzurro ha annunciato urbi et orbi la conferma di Andrea Stramaccioni, al quale ha giovato non poco un cognome ideale per i giochi di parole dei cronisti (sono impazziti: Stra-amala, Stramilano, Stracittadina e via cazzeggiando). Risultato: Moratti si &egrave; subito schierato dalla parte del nuovo allenatore, lasciando perdere le piste che lo avevano portato sino a quel punto a inseguire Bielsa, Mazzarri e altri big per la nuova stagione. Stramaccioni ha vinto sull&rsquo;onda popolare. Striscioni fuori dalla Pinetina, consenso generalizzato, un paio di paraculate fatte in conferenza stampa, compreso l&rsquo;omaggio al solito Mourinho (immancabile per chiunque) e la frase in romano-milanese. Non solo: un&rsquo;immagine cavalcata alla grande di nuovo Guardiola. Stramaccioni &egrave; pure partito alla grande: 4 vittorie e 2 pareggi nelle prime sei gare in panchina. Poi ne ha perse due nelle ultime tre, con l&rsquo;unico intermezzo vittorioso del derby, contro un Milan ormai sfiatato e piegato dalla risalita della Juve. Fatto sta che Stramaccioni ha preso l&rsquo;Inter all&rsquo;ottavo posto e l&rsquo;ha portata sul sesto gradino. Un buon risultato, non un exploit impressionante. Anzi, per fare il verso ai giornali, Stratosferico. Pur avendo vinto il derby, ha fatto gli stessi punti del Milan. Otto in meno della Juve. Ha superato da allora solo Roma a e Catania, che si sono fermate da soli. &Egrave; vero: l&rsquo;Inter ha fatto 4 punti in pi&ugrave; del Napoli, suicidatosi a Bologna. Per concludere. Moratti avrebbe potuto decidere oggi, 14 maggio 2012, che Stramaccioni era l&rsquo;ideale per l&rsquo;Inter. Non vorrei, come spesso &egrave; successo nella storia del lider Massimo, che la scelta del momento producesse effetti negativi nel futuro. Lippi fu malsopportato per un&rsquo;intera estate, salvo essere liquidato alla prima giornata del campionato successivo. Leonardo fiut&ograve;, giusto un anno fa, l&rsquo;aria pesante e prese un&rsquo;altra strada. Il rapporto di Moratti con gli allenatori &egrave; da sempre cos&igrave;: si accende e si spegne all&rsquo;improvviso. Da Cuper a Mancini, da Benitez all&rsquo;ultimo Ranieri. Speriamo che sorte diversa tocchi al fortunatissimo Stramaccioni, che tra poche settimane dovr&agrave; ripartire. Il preliminare di Europa League &egrave; gi&agrave; un primo, difficile spartiacque che lo aspetta.  Fabio Frosini di Pistoia mi scrive in una mail: vorrebbe Zeman come allenatore. E propone la sua Inter. Eccola: &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Portieri : Viviano ( Bardi) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Terzino destro : Zanetti (Faraoni) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Terzino sinistro : Nagatomo (Jaun Jesus) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centrale destro : Ranocchia (Spolli) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centrale sinistro : Ogbonna (Caldirola) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centrocampista centrale : Capoue (Crisetig) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Mezzo destro : Guarin (Poli) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Mezzo sinistro : Obi (Barrientos) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Attaccante destro : Cuadrado (Alvarez) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Centravanti : Milito (Destro) &bull;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Attaccante sinistro : Muriel &nbsp;(Ibarbo)  twitter@matteomarani

Moratti e l'urgenza Stramaccioni

Non credete alla tv (alla tv non bisogna credere mai): Italia-Spagna &egrave; finita 1-1. Sul campo magari no, ve lo concediamo. Ma in senso televisivo &egrave; stato un pareggio, ricco di novit&agrave; nel bene e nel male. Cominciamo dal gol messo a segno. Claudio Ranieri. &Egrave; la nuova seconda voce della Nazionale (ma andr&agrave; anche ospite semi-fisso alla&nbsp;Domenica Sportiva), ed &egrave; un grande acquisto. Finalmente una seconda voce degna di Fabio Capello &ndash; per noi il numero uno in assoluto per competenza, rapidit&agrave; e chiarezza &ndash; o del miglior Mazzola, per stare alle seconde voci Rai: ha preso in mano subito la partita, inquadrandola tatticamente, snocciolando addirittura dati statistici, intervenendo il giusto senza essere invadente, con la giusta ironia, che a un romano viene naturale. Si vede che &egrave; un allenatore e speriamo che lo resti, nel senso che spesso gli allenatori che si mettono a fare i commentatori tecnici in attesa di una nuova squadra in qualche modo escono dal mercato, &egrave; come se i presidenti e i colleghi li considerassero passati dall&rsquo;altra parte della barricata, quella di chi il calcio lo racconta e lo critica, non lo fa. Ma se restasse da questa parte, cio&egrave; la giornalistica, sarebbe un grande arricchimento, e la risoluzione di uno degli annosi problemi di Raisport. Se ripensiamo alla desolazione che negli anni ci ha colto per le banalit&agrave; di Collovati, le divagazioni di Dossena, le analisi rese incomprensibili dalle risate con cui chiude ogni frase di Bagni, beh avere uno che magari non avr&agrave; alzate di ingegno ma scemenze non ne dice e anzi ti fa capire le cose subito, beh altro che una boccata d&rsquo;aria: &egrave; un weekend in alta montagna per uno abituato allo smog di Milano. Ma siccome ogni medaglia ha il suo rovescio, e siccome siamo in Rai dove spesso ogni medaglia ha due rovesci, eccoci a parlare del gol al passivo. Perch&eacute; bene-benissimo la seconda voce, male-malissimo la prima, Bruno Gentili. Che ha raccontato una partita ben diversa. A cominciare dai nomi dei giocatori, che spesso erano sbagliati. Ma un conto &egrave; farlo in radio, perch&eacute; non hai nessuno che ti controlla (a parte chi ti ascolta mentre &egrave; allo stadio o mentre tiene abbassato l&rsquo;audio della tv), e perch&eacute; in fondo conta soprattutto trasmettere il mood di una partita, l&rsquo;emozione, il sentimento, pi&ugrave; che essere precisi in ogni dettaglio. In tv invece devi sbagliare il meno possibile, andare a tempo con le azioni, non attardarti a descrivere ogni singolo tocco: le immagini sono in un senso alleato da cui farti aiutare, nell&rsquo;altro nemico con cui confrontarti. Invece Gentili era tutto tarato sullo stile radio. Facciamo l&rsquo;elenco: i nomi dei giocatori sbagliati, malgrado spesso li si potesse pure leggere in sovrimpressione, il rigore per la Spagna, di cui si &egrave; accorto pi&ugrave; o meno un quarto d&rsquo;ora dopo Ranieri (o Ranieri se n&rsquo;&egrave; accorto un quarto d&rsquo;ora prima), i minispot di cinque secondi (uno pi&ugrave; agghiacciante dell&rsquo;altro, tutti di marche di abbigliamento) lanciato sempre durante un cambio di formazione, ma prima di dire chi entrava e chi usciva e facendoci perdere il momento effettivo della sostituzione. Morale, del compito di correggerlo - e sorreggerlo &ndash; si sono dovuti incaricare i poveri Ranieri e il bordocampista perticone-Antinelli (ma quant&rsquo;&egrave; alto? Sovrastava Prandelli e Casillas, nelle interviste). E s&igrave; che - dopo aver lanciato uno spot che copr&igrave; un gol dell&rsquo;Italia (all&rsquo;Estonia, il 3 settembre dello scorso anno) &ndash; Gentili avrebbe dovuto imparare almeno un po&rsquo; di tempismo sui minibreak, come ama definirli. Un annetto di rodaggio, per via del suo glorioso passato in radio (dove ha lavorato per trent&rsquo;anni, con una bravura quasi pari a quella di Ciotti e Ameri) e della diversit&agrave; del mezzo, glielo si &egrave; concesso volentieri. Ma ora il tempo &egrave; scaduto e duole dire che con ogni probabilit&agrave; il trapianto &egrave; fallito. Forse ne &egrave; conscio anche il nostro, che ieri sera &ndash; all&rsquo;ennesima incertezza - ha tentato una giustificazione: &laquo;La nostra postazione &egrave; in cima allo stadio, praticamente un nido d&rsquo;aquila&raquo;. Ma l&rsquo;impressione &egrave; che nel nido ci potesse essere un altro tipo di uccello. Quale, lo lasciamo dire a voi: da laureati in legge non amiamo le querele. Livio Balestri <a href="mailto:telecommando@hotmail.it">telecommando@hotmail.it</a>

Non credete alla tv (alla tv non bisogna credere mai): Italia-Spagna &egrave; finita 1-1. Sul campo magari no, ve lo concediamo. Ma in senso televisivo &egrave; stato un pareggio, ricco di novit&agrave; nel bene e nel male.  Cominciamo dal gol messo a segno. Claudio Ranieri. &Egrave; la nuova seconda voce della Nazionale (ma andr&agrave; anche ospite semi-fisso alla&nbsp;Domenica Sportiva), ed &egrave; un grande acquisto. Finalmente una seconda voce degna di Fabio Capello &ndash; per noi il numero uno in assoluto per competenza, rapidit&agrave; e chiarezza &ndash; o del miglior Mazzola, per stare alle seconde voci Rai: ha preso in mano subito la partita, inquadrandola tatticamente, snocciolando addirittura dati statistici, intervenendo il giusto senza essere invadente, con la giusta ironia, che a un romano viene naturale. Si vede che &egrave; un allenatore e speriamo che lo resti, nel senso che spesso gli allenatori che si mettono a fare i commentatori tecnici in attesa di una nuova squadra in qualche modo escono dal mercato, &egrave; come se i presidenti e i colleghi li considerassero passati dall&rsquo;altra parte della barricata, quella di chi il calcio lo racconta e lo critica, non lo fa. Ma se restasse da questa parte, cio&egrave; la giornalistica, sarebbe un grande arricchimento, e la risoluzione di uno degli annosi problemi di Raisport. Se ripensiamo alla desolazione che negli anni ci ha colto per le banalit&agrave; di Collovati, le divagazioni di Dossena, le analisi rese incomprensibili dalle risate con cui chiude ogni frase di Bagni, beh avere uno che magari non avr&agrave; alzate di ingegno ma scemenze non ne dice e anzi ti fa capire le cose subito, beh altro che una boccata d&rsquo;aria: &egrave; un weekend in alta montagna per uno abituato allo smog di Milano.  Ma siccome ogni medaglia ha il suo rovescio, e siccome siamo in Rai dove spesso ogni medaglia ha due rovesci, eccoci a parlare del gol al passivo. Perch&eacute; bene-benissimo la seconda voce, male-malissimo la prima, Bruno Gentili. Che ha raccontato una partita ben diversa. A cominciare dai nomi dei giocatori, che spesso erano sbagliati. Ma un conto &egrave; farlo in radio, perch&eacute; non hai nessuno che ti controlla (a parte chi ti ascolta mentre &egrave; allo stadio o mentre tiene abbassato l&rsquo;audio della tv), e perch&eacute; in fondo conta soprattutto trasmettere il mood di una partita, l&rsquo;emozione, il sentimento, pi&ugrave; che essere precisi in ogni dettaglio. In tv invece devi sbagliare il meno possibile, andare a tempo con le azioni, non attardarti a descrivere ogni singolo tocco: le immagini sono in un senso alleato da cui farti aiutare, nell&rsquo;altro nemico con cui confrontarti. Invece Gentili era tutto tarato sullo stile radio. Facciamo l&rsquo;elenco: i nomi dei giocatori sbagliati, malgrado spesso li si potesse pure leggere in sovrimpressione, il rigore per la Spagna, di cui si &egrave; accorto pi&ugrave; o meno un quarto d&rsquo;ora dopo Ranieri (o Ranieri se n&rsquo;&egrave; accorto un quarto d&rsquo;ora prima), i minispot di cinque secondi (uno pi&ugrave; agghiacciante dell&rsquo;altro, tutti di marche di abbigliamento) lanciato sempre durante un cambio di formazione, ma prima di dire chi entrava e chi usciva e facendoci perdere il momento effettivo della sostituzione. Morale, del compito di correggerlo - e sorreggerlo &ndash; si sono dovuti incaricare i poveri Ranieri e il bordocampista perticone-Antinelli (ma quant&rsquo;&egrave; alto? Sovrastava Prandelli e Casillas, nelle interviste). E s&igrave; che - dopo aver lanciato uno spot che copr&igrave; un gol dell&rsquo;Italia (all&rsquo;Estonia, il 3 settembre dello scorso anno) &ndash; Gentili avrebbe dovuto imparare almeno un po&rsquo; di tempismo sui minibreak, come ama definirli.  Un annetto di rodaggio, per via del suo glorioso passato in radio (dove ha lavorato per trent&rsquo;anni, con una bravura quasi pari a quella di Ciotti e Ameri) e della diversit&agrave; del mezzo, glielo si &egrave; concesso volentieri. Ma ora il tempo &egrave; scaduto e duole dire che con ogni probabilit&agrave; il trapianto &egrave; fallito. Forse ne &egrave; conscio anche il nostro, che ieri sera &ndash; all&rsquo;ennesima incertezza - ha tentato una giustificazione: &laquo;La nostra postazione &egrave; in cima allo stadio, praticamente un nido d&rsquo;aquila&raquo;. Ma l&rsquo;impressione &egrave; che nel nido ci potesse essere un altro tipo di uccello. Quale, lo lasciamo dire a voi: da laureati in legge non amiamo le querele.  Livio Balestri  telecommando@hotmail.it

Non credete alla tv: Italia-Spagna &egrave; finita 1-1!!

Tema caldo del giorno, l'atterraggio dell'&laquo;Aeroplanino&raquo; Montella sulla panchina della Roma. Ranieri, dopo quattro sconfitte consecutive, ha detto basta: la cocente rimonta subita contro il Genoa lo ha convinto a dimettersi. Un partita strana, stranissima, quella di Marassi, che ha sancito la conclusione dell'avventura - a tratti splendida - di Ranieri a Trigoria, ma ha pure visto il ritorno al gol di Alberto Paloschi. Che forse si sentir&agrave; un briciolo in colpa, per&ograve; dopo aver trascorso il 2010 in infermeria pi&ugrave; che in campo (colpa della crescita, 5 centimetri guadagnati fanno male sia ai portieri che alle giunture) sentiva il bisogno di buttarla dentro di nuovo. Per recuperare il tempo perso, poi, ha voluto strafare, siglando la prima doppietta in Serie A. Che difficilmente scorder&agrave;: ha buona memoria, anzi ottima, al punto da ricordarsi persino la prima partita giocata. Bonate Sotto-Cividatese 10-0, lui aveva sei anni ma quella batosta non l'ha dimenticata. E, nel caso in cui la memoria dovesse fare cilecca, ecco pronto un altro rimedio: un tatuaggio, indelebile, in modo da prevenire qualsiasi amnesia. Sul bicipite sinistro il numero 17, in cinese, perch&eacute; nella prima amichevole con il Milan lo aveva sulle spalle, poi tre stelle sulla pancia, a simboleggiare la tripletta rifilata al Genoa nella finale del campionato Allievi 2006-07. Al tempo, Paloschi aveva appena 17 anni. Nato a Chiari il 4 gennaio 1990 e cresciuto a Cividate al Piano, qualche chilometro pi&ugrave; ad ovest, il suo futuro era nel segno del gol. Eppure aveva iniziato all'ala, salvo poi essere convertito da uno dei suoi primi allenatori, Belloli, in centravanti. Gol a grappoli, ma l'Atalanta lo scarta. Il Milan no: ad undici anni supera un provino con i rossoneri, e la settimana dopo gioca contro il Piacenza segnando due reti. Il gol all'esordio, piacevole consuetudine per Paloschi, che si ripete con la prima squadra: Coppa Italia, contro il Catania, e pallone in rete sul finire del 2007. Anno nuovo, e replica sempre contro il Catania, sempre in Coppa Italia, ma la grande occasione arriva mentre Paloschi &egrave; impegnato con la Primavera in Coppa Carnevale, a Viareggio. Assieme a Davide Ancelotti, figlio di Carlo e suo compagno di stanza, sta seguendo Fiorentina-Milan: Gilardino viene ammonito e squalificato perch&eacute; sotto diffida, Pato segna ma poi la caviglia sinistra fa crac, ed ecco la profezia del pi&ugrave; giovane degli Ancelotti: &laquo;Vedrai, Alberto che pap&agrave; ti chiama&raquo;. Detto, fatto: Ancelotti senior convoca Paloschi e, contro il Siena, lo butta nella mischia al 18' della ripresa, rassicurandolo: &laquo;Adesso entri e segni&raquo;. Dote di famiglia, quella degli Ancelotti, di prevedere il futuro, perch&eacute; dopo 18 secondi il pallone &egrave; in rete, e Paloschi festeggia il primo gol in A. Tra il primo gol e la prima doppietta tre anni, per farne tre in una volta sola si augura di non dover aspettare cos&igrave; tanto. Crescita permettendo, l'impressione &egrave; che ci riuscir&agrave;. di&nbsp;Antonio Giusto

Tema caldo del giorno, l'atterraggio dell'&laquo;Aeroplanino&raquo; Montella sulla panchina della Roma. Ranieri, dopo quattro sconfitte consecutive, ha detto basta: la cocente rimonta subita contro il Genoa lo ha convinto a dimettersi. Un partita strana, stranissima, quella di Marassi, che ha sancito la conclusione dell'avventura - a tratti splendida - di Ranieri a Trigoria, ma ha pure visto il ritorno al gol di Alberto Paloschi. Che forse si sentir&agrave; un briciolo in colpa, per&ograve; dopo aver trascorso il 2010 in infermeria pi&ugrave; che in campo (colpa della crescita, 5 centimetri guadagnati fanno male sia ai portieri che alle giunture) sentiva il bisogno di buttarla dentro di nuovo. Per recuperare il tempo perso, poi, ha voluto strafare, siglando la prima doppietta in Serie A. Che difficilmente scorder&agrave;: ha buona memoria, anzi ottima, al punto da ricordarsi persino la prima partita giocata. Bonate Sotto-Cividatese 10-0, lui aveva sei anni ma quella batosta non l'ha dimenticata. E, nel caso in cui la memoria dovesse fare cilecca, ecco pronto un altro rimedio: un tatuaggio, indelebile, in modo da prevenire qualsiasi amnesia. Sul bicipite sinistro il numero 17, in cinese, perch&eacute; nella prima amichevole con il Milan lo aveva sulle spalle, poi tre stelle sulla pancia, a simboleggiare la tripletta rifilata al Genoa nella finale del campionato Allievi 2006-07. Al tempo, Paloschi aveva appena 17 anni. Nato a Chiari il 4 gennaio 1990 e cresciuto a Cividate al Piano, qualche chilometro pi&ugrave; ad ovest, il suo futuro era nel segno del gol. Eppure aveva iniziato all'ala, salvo poi essere convertito da uno dei suoi primi allenatori, Belloli, in centravanti. Gol a grappoli, ma l'Atalanta lo scarta. Il Milan no: ad undici anni supera un provino con i rossoneri, e la settimana dopo gioca contro il Piacenza segnando due reti. Il gol all'esordio, piacevole consuetudine per Paloschi, che si ripete con la prima squadra: Coppa Italia, contro il Catania, e pallone in rete sul finire del 2007. Anno nuovo, e replica sempre contro il Catania, sempre in Coppa Italia, ma la grande occasione arriva mentre Paloschi &egrave; impegnato con la Primavera in Coppa Carnevale, a Viareggio. Assieme a Davide Ancelotti, figlio di Carlo e suo compagno di stanza, sta seguendo Fiorentina-Milan: Gilardino viene ammonito e squalificato perch&eacute; sotto diffida, Pato segna ma poi la caviglia sinistra fa crac, ed ecco la profezia del pi&ugrave; giovane degli Ancelotti: &laquo;Vedrai, Alberto che pap&agrave; ti chiama&raquo;. Detto, fatto: Ancelotti senior convoca Paloschi e, contro il Siena, lo butta nella mischia al 18' della ripresa, rassicurandolo: &laquo;Adesso entri e segni&raquo;. Dote di famiglia, quella degli Ancelotti, di prevedere il futuro, perch&eacute; dopo 18 secondi il pallone &egrave; in rete, e Paloschi festeggia il primo gol in A. Tra il primo gol e la prima doppietta tre anni, per farne tre in una volta sola si augura di non dover aspettare cos&igrave; tanto. Crescita permettendo, l'impressione &egrave; che ci riuscir&agrave;.  di&nbsp;Antonio Giusto

Paloschi il predestinato

Ho aspettato un paio di giorni prima di scrivere di Francesco Totti e dell'umiliante sostituzione subita a Genova. Ho voluto prima vedere gli sviluppi, leggere attentamente le parole dei protagonisti, sentire le reazione del capitano. Conclusione? Per me Totti &egrave; stato bravo, direi inappuntabile.  Con una crociata personale, o con due parole riversate con livore davanti ai microfoni, avrebbe potuto sfasciare l'ambiente romanista all'istante, gi&agrave; poco coeso leggendo sul Guerino in edicola della situazione di De Rossi. Colpisce da settimane anche il palese nervosismo di Ranieri, ormai mourinizzato nelle risposte. Sappiamo quanto conti Francesco nella Capitale, quanto una sua battaglia troverebbe automatica eco nella stampa e nell'etere giallorosso. Ma lui si &egrave; astenuto. Certo: l'insoddisfazione era palese, gli si leggeva sul volto e tra le risposte frenate, con la lingua schiacciata in mezzo ai denti. Ma come dargli torto?  Domenica a pranzo, come molti di voi, stavo davanti al video, in piena digestione da pranzo. A un certo punto sono sobbalzato: ma come, davvero Totti veniva mandato in campo nel recupero di partita? Anch'io&nbsp;- come ha detto Francesco caustico - ho pensato a una sostituzione per perdere tempo. Peccato che la Roma fosse in svantaggio e lui l'uomo che la rappresenta in Italia e in Europa da almeno 15 anni.  Ranieri ha detto di non essersi accorto del tempo mancante. Gli credo poco. Stavolta ha mancato di rispetto a un giocatore-simbolo. Se pensa sul serio che Totti stia ancora al centro del progetto giallorosso, come dice per tutelarsi, non puoi riservargli quel trattamento.&nbsp;Assurdo, inutile e persecutorio. Capisco anche che gestire un campione di 34 anni, il pi&ugrave; grande calciatore nella storia del club e della citt&agrave;, sia complesso, persino ingombrante. Ma tra gli arnesi di un allenatore - e Ranieri &egrave; esperto come pochi - c'&egrave; anche questo nel kit richiesto.  Spero per il bene della Roma che la situazione possa risanarsi in fretta, perch&eacute; la squadra &egrave; buona. Se dovessi fare una scommessa, a fine anno vedo molto pi&ugrave; la permanenza di Totti che non quella di Ranieri. A ogni modo,  stavolta ha ragione il primo e torto il secondo, senza se e senza ma.  Pur capendo infine il nervosismo di Totti per l'affronto subito, &egrave; stato sbagliato (come altre volte) prendersela con Palombo o con altri avversari. Non era colpa loro, ma di uno soltanto.

Ho aspettato un paio di giorni prima di scrivere di Francesco Totti e dell'umiliante sostituzione subita a Genova. Ho voluto prima vedere gli sviluppi, leggere attentamente le parole dei protagonisti, sentire le reazione del capitano. Conclusione? Per me Totti &egrave; stato bravo, direi inappuntabile.

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