Leicester-Roma: Claudio Ranieri, "Sir" nella Capitale e "Sor" in Inghilterra

Leicester-Roma: Claudio Ranieri, "Sir" nella Capitale e "Sor" in Inghilterra

A Testaccio era conosciuto come “Er Principino”; sbarcato Oltremanica ha fatto valere le sue doti di carattere e la profonda conoscenza di uomini e tattiche fino al miracolo con le Foxes

Redazione Edipress

28.04.2022 ( Aggiornata il 28.04.2022 13:20 )

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C’è una Roma che è tanto più autentica quanto più è lontana dal centro. O perlomeno, c’era, sperando che un po’ della sua anima continui a sopravvivere. A sopravviverle. È quella Roma che viene superficialmente definita “di periferia” da tutti quegli avventurieri dell’analisi sociologica che pensano di emulare Pasolini e invece superano a stento i luoghi comuni delle pellicole di Alvaro Vitali, con tutto il rispetto; senza nemmeno arrivare ai bozzetti volgarotti ma autentici di Tomas Milian quando indossava i panni del “Monnezza”. 

Tra Testaccio e Catanzaro 

È a causa di generalizzazioni così superficiali che uno come Claudio Ranieri è stato troppo spesso definito tout court “testaccino doc”: come se il rione di San Saba non fosse uno di quei microcosmi dalle caratteristiche irreplicabili che formano il mosaico di Roma. Come se la Piramide Cestia fosse soltanto uno spartitraffico secolare messo lì a fare ombra. Classe 1951, proteine e responsabilizzazioni non sono mai mancate a casa sua, sin da quando nella bottega di suo padre macellaio aiutava a tagliare la carne, si incaricava delle consegne. Poi c’era il pallone, un’attitudine meritata sul campo e sui campetti, doti non discutibili ma da rivedere per quanto riguarda gli utilizzi, al primo importante gradino salito subito dopo aver scoperto che il divertimento custodiva la bravura: il provino al campo delle Tre Fontane, dove si allenava la Roma, lo supera come attaccante. Bravo a trattare la palla, ma non certo prolifico per quanto riguarda il numero delle realizzazioni. È qui che ci prendiamo il lusso di una breve digressione, ma doverosa, per sottolineare che personaggi come Antonio Trebiciani per il mondo del calcio saranno sempre tanto utili quanto poco, troppo poco citati. Fu lui, pigmalione di Francesco Rocca e Agostino Di Bartolomei tra gli altri, a dirgli che se avesse voluto combinare qualcosa da professionista, avrebbe dovuto arretrare, di molto, il suo raggio d’azione. È così che Claudio Ranieri sboccia al calcio dei grandi, esordendo il 4 novembre 1973, Genoa-Roma 2-1. Sei partite con la squadra capitolina, che è anche quella del cuore per Ranieri, poi il trasferimento a Catanzaro, città della quale oggi è cittadino onorario. In otto anni il difensore è il giocatore che avrà indossato più volte la maglia del Catanzaro in campionato: 225. Ci scappano anche 6 reti, che per un difensore è tutto valore aggiunto. Nel 1982 passa al Catania e contribuisce alla promozione in A degli etnei. La carriera si chiude a Palermo nel 1986. L’idea è quella di fare l’allenatore.

Alla conquista dell’Europa

Forse, viste le attitudini naturali mostrate con gli scarpini ai piedi come guida dei compagni, lo era stato in parte sin dall’inizio, anche se questo potrebbe sembrare uno di quei luoghi comuni che a un uomo come Ranieri potrebbero far sbocciare sul viso la curva di un sorriso dei suoi, che basterebbe a sintetizzare tutte le componenti del suo modo di essere: un quarto di schiettezza romana, ma esibita sempre senza tonalità sguaiate; uno di signorilità innata, quella che spesso ai cosiddetti “signori” manca; uno di forbita paraculaggine e l’ultimo quarto di saggezza , che c’era sempre stata in lui e che l’esperienza ha temprato di stagione in stagione, di panchina in panchina. Il suo profilo di uomo innanzitutto, poi di tecnico e di comunicatore è stato apprezzato e rispettato in ognuna delle piazze importanti e difficili d’Italia: a Roma come a Milano, a Torino come a Firenze, a Napoli come a Genova. Indipendentemente dai risultati o dalle critiche, quelle che prima o poi toccano a tutti, nei suoi confronti non si è mai arrivati all’offesa; pur in un ambiente triviale come sa essere quello del calcio, nei suoi confronti nessuno è mai sceso sotto la soglia della decenza e del rispetto. È un trofeo pure questo, a ben vedere. Se come cartina di tornasole della sua adattabilità al calcio degli altri citassimo soltanto l’esperienza grandiosa col Leicester, faremmo un torto a quei suoi tanti anni di carriera: Spagna, Francia, Grecia, ovviamente tanta Inghilterra, laddove è sempre riuscito a condire il suo aplomb con la spezia di una elegante veracità: è riuscito a essere Sor Claudio anche in terra d’Albione, così come a Roma, sin dai tempi in cui nel rione lo chiamavano “Er Principino”, era Sir Claudio ancora prima di saperlo. A luglio 2015 lo chiama il Leicester City, missione salvezza. Quale altro obiettivo, se no?

L'irripetibile capolavoro con il Leicester

Accolto con scetticismo, in quell’estate i bookmakers ritengono più probabile Boris Johnson pettinato con cura che i Foxes campioni d’Inghilterra. All’esordio batte per 4-2 il Sunderland. Dopo una serie di risultati, che lo portano a sorpresa nella parte alta della classifica, alla tredicesima giornata la squadra delle Midlands si trova da sola al primo posto. Fuoco di paglia, sentenzia tutta Europa. Il 10 aprile 2016 ottiene la matematica qualificazione alla Champions League per l’anno successivo, manco a dirlo la prima nella storia del club. Il 2 maggio, il Leicester è per la prima volta campione d’Inghilterra: chi ha puntato su Ranieri campione diviene ricco sul serio, a parte le acconciature del futuro premier. 

Il titolo nazionale forse più miracoloso, apparentemente, nella storia del calcio. Ma tutto è tranne che un miracolo: è un capolavoro di maestria e gestione degli uomini, a molti dei quali Ranieri è riuscito a infondere la convinzione di essere calciatori che possono aspirare a molto di più di quanto credano. 

E se la Roma è stata ed è la compagna di una vita, il Leicester è stato l’amante che s’è presa una parte della sua anima.

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