Julinho, l’ala destra terribile che fece sognare la Fiorentina

Julinho, l’ala destra terribile che fece sognare la Fiorentina

Giocatore dall’incredibile estro, alla corte di Fulvio Bernardini vinse il primo storico scudetto viola e sfiorò il trionfo in Coppa dei Campioni

Alessio Abbruzzese/Edipress

11.01.2023 12:50

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È una mite mattinata di gennaio del 2003 quando Julinho, al secolo Julio Botelho, lascia questa terra, circondato dall’affetto dei suoi cari nella sua San Paolo. Pochi giorni dopo, come aveva disposto lui stesso, il feretro in cui giacciono le sue spoglie mortali viene coperto da un drappo viola, testimone eterno del suo incondizionato amore per la Fiorentina. Un amore più che ricambiato da tutti quei tifosi fiorentini abbastanza attempati da ricordarne le gesta, e poi dai più giovani a cui queste sono state tramandate.

I primi anni in Brasile e il Mondiale del 1954

Julinho è stato senza dubbio il primo calciatore che ha fatto sognare ad occhi aperti tutti i tifosi viola, trascinando letteralmente quella formazione agli ordini di Fulvio Bernardini sulla vetta più alta del calcio italiano. Per raccontare la storia del talento brasiliano bisogna partire da più lontano, proprio da quella San Paolo che gli dà i natali e che lo vede tirare i primi calci ad un pallone. Figlio di un droghiere, inizia a giocare in strada, come la quasi totalità dei suoi coetanei, prima di vestire la maglia del Club Atletico Juventus e poi del Portuguesa, società che lo traghetta nel calcio che conta. Julinho è un calciatore eccezionale: la sua figura longilinea e il baffo lo rendono ben presto un personaggio iconico. Il brasiliano è un esterno, anzi a dirla tutta è “l’esterno” per eccellenza, l’ala più forte di tutti, un Garrincha ante-litteram che difficilmente lascia scampo agli avversari. Il suo habitat naturale è la fascia destra, che percorre avanti e indietro instancabilmente con la sfera o senza, rendendosi spesso protagonista di finte che ipnotizzano i malcapitati difensori. Con la Portuguesa diventa celebre in patria, non solo come giocatore dal grande estro, ma anche come vero e proprio gentleman del rettangolo verde: Julinho non viene ammonito mai, e non stiamo utilizzando un’iperbole, semplicemente non subisce mai nessuna sanzione da parte dell’arbitro. È un giocatore che fa della correttezza il suo baluardo, non risponde mai alle provocazioni degli arcigni difensori dell’epoca, se non con le sue mirabolanti gesta di fromboliere del pallone di cuoio. 

La ribalta internazionale la raggiunge durante il Mondiale del 1954, per l’esattezza il 27 giugno, quando al Wankdorfstadion va in scena quella che sarà ricordata come “la Battaglia di Berna”. I brasiliani affrontano nei quarti di finale della competizione la Squadra DOro, la temibile Ungheria di Puskas (che in quella partita non era però presente), Kocsis e Hidegkuti, in una partita durissima: al 65’, quando i magiari sono già in vantaggio per 3 a 1, Julinho raccoglie un pallone al limite dell’area, lo stoppa accentrandosi e lascia partire un tiro di collo esterno che si insacca sul secondo palo. Un gol da stropicciarsi gli occhi, uno dei più belli del torneo.

Julinho, gli anni fantastici a Firenze e la vittoria dello scudetto

Julinho diventa uno dei calciatori più desiderati dai club europei e, incredibilmente, ad aggiudicarsi le sue prestazioni sportive è la Fiorentina, che versa la cifra monstre di 5.500 dollari nelle casse del Portuguesa. C’è un’altra curiosità legata al trasferimento in Italia del brasiliano: la società toscana, per tesserarlo da oriundo, si mette alla ricerca di un avo italiano, e inizialmente sembra trovarlo. Si tratta di un tale Bottelli, di Lucca, nonno materno del calciatore. Tempo dopo si scoprirà che questo signore era in realtà un prete, morto dunque senza figli né discendenza, ma ormai Julinho e la Fiorentina avevano ampiamente dato vita al loro sodalizio.

Alla corte di Fulvio Bernardini scrive la storia del club: i fiorentini si innamorano perdutamente del talento brasiliano, che con le sue galoppate sforna un numero esorbitante di assist per Montuori e Virgili. La formula funziona eccome: la Fiorentina si rende protagonista di un campionato perfetto e si appunta il tricolore sulla maglia per la prima volta nella sua storia. L’anno successivo la squadra toscana raggiunge la finale di Coppa dei Campioni, competizione appena nata, dove si arrende solamente al Real Madrid di Gento e Di Stefano. Al termine della seconda stagione in Italia Julinho decide di tornare in patria, per non lasciare sola sua madre, divenuta da poco vedova: Bernardini lo convince a tornare ma nell’estate del ’58 non può più nulla e lo lascia tornare nel suo Brasile. Vestirà la maglia del Palmeiras fino al 1967, anno in cui decide di appendere gli scarpini al chiodo. Dalle parti di Firenze uno così forse non si è più visto, come diceva lo stesso Bernardini: “un’ala può arrivare a Julinho, non oltre”.

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