Il Mondiale dell'Arancia Meccanica di Cruijff

Il Mondiale dell'Arancia Meccanica di Cruijff

La cavalcata dell'irripetibile nazionale olandese nell'estate del '74. I ragazzi di Michels  si arresero in finale ai tedeschi, ma l'eredità che hanno lasciato vale più di una coppa

Redazione Edipress

25.04.2022 ( Aggiornata il 25.04.2022 08:04 )

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Jongbloed; Suurbier, Rijsbergen, Haan, Krol; Jansen, Neeskens, van Hanegem; Rep, Rensenbrink, Cruijff. Allenatore: Rinus Michels. Una messa cantata, l’elenco di quei miti di un calcio che non conosceva le “rose ampie” ma si basava sulle granitiche certezze di una formazione-monolite, che i tifosi potevano snocciolare a memoria. Gli undici che al sole pallido di una Germania con la Guerra Mondiale che si allontanava sempre di più, mentre quella Fredda continuava a ricordarle ciò che era stato, si apprestavano a scendere in campo nella finale del Campionato del Mondo del 1974. Di fronte, i padroni di casa campioni d’Europa della Germania Ovest, capitanati dal Kaiser, Franz Beckenbauer. La strada per arrivare a quel pomeriggio del 7 luglio 1974, di fronte agli oltre 75.000 stipati nell’imponente Olympiastadion di Monaco di Baviera, non è stata facile, anzi.

Una lunga assenza

Non è un mistero, infatti, che degli Oranje non si abbiano tracce nella principale competizione per nazionali dall’edizione successiva il loro esordio in Italia, nel 1934: quattro anni dopo, in Francia, la breve corsa dei Paesi Bassi s’interruppe agli ottavi per mano della Cecoslovacchia. Da quel mondiale che precedette la guerra e che obbligò il calcio internazionale a fermarsi fino al Maracanazo del 1950, gli olandesi vissero un lungo confino: iniziarono a riaffacciarsi sui grandi palcoscenici solo con l’arrivo degli anni ‘70. Quattro Coppe dei Campioni consecutive per le squadre olandesi, una del Feijenoord di van Hanegem guidato da Ernst Happel; tre dell’Ajax di Cruijff, guidato da Rinus Michels prima e ?tefan Kovács poi. Eppure, nonostante gli straordinari successi internazionali delle squadre di club, l’Olanda non riuscì a partecipare neppure alla fase finale degli Europei del 1972. 

L'Arancia Meccanica verso il Mondiale 1974

La rincorsa ai Mondiali del ‘74 inizia il 1° novembre del 1972, al De Kuip di Rotterdam, gremito per l’occasione. Si capisce subito che c’è qualcosa di nuovo nell’aria e che quel soprannome, Arancia Meccanica, che identificherà l’Olanda di Cruijff nell’immaginario collettivo, è quanto di più appropriato possibile per indicare ”l’ultra-violenza” con cui stordisce gli avversari. Cruijff, che nel 1973 volerà nella Barcellona che si ribella anche agli ultimi scampoli della dittatura di Franco, è ormai baluardo di una nazionale che l’ha visto esordire appena diciannovenne: 7 settembre 1966, qualificazioni agli Europei italiani; Olanda-Ungheria 2-2, Johan realizza la rete del momentaneo 2-0. La sorte dei predestinati. La Coppa del Mondo in Germania inizia, per Cruijff e compagni, il 15 giugno. È vero che il calcio olandese arriva da un fantastico poker con le proprie squadre nella Coppa dei Campioni, ma è altrettanto vero che – vista la concorrenza – la formazione di Michels non può comunque essere considerata la favorita del torneo. Ci sono le finaliste di Mexico ‘70, seppur profondamente cambiate: il Brasile, dopo dodici anni, affronta questa particolare competizione senza Pelè; l’Italia, dal canto suo, punta sul gruppo di giocatori della Lazio fresca Campione d’Italia, capitanati da Giorgio Chinaglia; quello del CT Valcareggi si rivelerà un errore fatale, con una Nazionale spaccata in clan che – dopo aver rischiato la figuraccia contro Haiti – non riuscirà a superare il girone eliminatorio. C’è poi l’Argentina, che è sempre l’Argentina; la sorprendente Polonia di Lato e la Germania Ovest, reduce da una finale persa immeritatamente nel 1966 e dalla storica e sfortunata semifinale con l’Italia del 1970. C’è, infine, una novità che caratterizza l’edizione del 1974: la mitica Coppa Rimet va in pensione; chi si aggiudicherà la vittoria finale, potrà infatti alzare al cielo di Monaco la nuova Coppa del Mondo FIFA. È un piccolo, ulteriore, segnale di un calcio in evoluzione che sta già vivendo la sua nuova rivoluzione: nel decennio precedente ha contato e vissuto sulle magie dei vari Pelè, Di Stefano, Puskás ed Eusebio, ma ora è alla ricerca di un nuovo emblema in cui riconoscersi. Mentre Cruijff si appresta a colmare definitivamente quel vuoto calcistico lasciato dai miti che l’hanno preceduto, su un polveroso campetto nei pressi di Buenos Aires un ragazzino di nome Diego Armando, maglia numero 10 sulle spalle, palleggia sognando di giocare e vincere quel mondiale che è speranza, obiettivo, miraggio per ogni bambino che vive dell’amore che solo quella sfera sa dare. Ma questa è un’altra storia, che passerà anche attraverso quella Barcellona che per Johan sarà seconda casa e madre.

PODCAST - Johan Cruijff: il profeta del calcio totale

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Una rivoluzione epocale che negli anni ’70 ha cambiato il modo di interpretare il gioco. Il numero 14 dell’Ajax e della nazionale olandese ne è stato il massimo esponente

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Il Mondiale 1974 dell'Olanda

Il primo ostacolo si chiama Uruguay; ostacolo, si fa per dire, poiché la gara è una sorta di monologo che delizia i palati fini; doppietta di Rep con gol in apertura e chiusura di partita e primi due punti in cascina. Cruijff segna una gran rete con sombrero incorporato, ma in fuorigioco. Dopo esser stati fermati sullo 0-0 dalla Svezia, i tulipani giocano l’ultima gara del girone il 23 giugno contro la Bulgaria al Westfalenstadion, l’attuale Signal Iduna Park. Due volte Neeskens, poi Rep e de Jong, su splendido assist di Cruijff, firmano il 4-1 finale: primo posto e qualificazione al secondo girone, quello che precede le finali. Brasile, Germania Est e Argentina: procede così il cammino degli olandesi verso la gloria; si rafforza qui quel soprannome, Arancia Meccanica, che sa di calcistica violenza per quanto riguarda l’annientamento dell’avversario a livello, tecnico, tattico, fisico. Crujiff è stato fino a questo momento quasi in disparte, sebbene abbia sfornato assist e guadagnato rigori. Non basta però, a colui che dei Drughi di arancio vestiti – sfruttando il parallelo con il capolavoro cinematografico di Kubrik  – è il capo indiscusso. Il 26 giugno si gioca a Gelsenkirken, patria dell’acciaio: farebbe comodo intorno alle caviglie per parare i colpi dei mai teneri argentini. Bastano 11’ perché il Profeta del gol – Ciotti dixit – decida di imprimere il suo marchio su questo suo unico – lui ancora non lo sa  – Mondiale. Tocco in profondità di Van Hanegem; controllo di destro, aggiramento del portiere Carnevali col sinistro ed è 1-0. Il canovaccio della gara non cambia: si continua a giocare quasi esclusivamente a una sola porta. Krol, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, rafforza le condizioni di una partita a senso unico; Rep a poco più di un quarto d’ora dal termine buca ancora di testa Carnevali su assist di Cruijff: emblematica la reazione di Rinus Michels, che ghigna sfregandosi le mani per la soddisfazione e la crescente convinzione che sia lui il “Ludovico Van”, direttore di un’orchestra che inizia a suonare “la gran nona”. Il suggello non può che essere del capitano, numero 14 sulle spalle, che non conosce banalità neanche per la rete del 4-0: il suo esterno destro, da posizione defilata, sublima una gara perfetta. La Germania Est – seppur gratificata dalla storica vittoria su quella Ovest nel primo girone – non può rappresentare un ostacolo per l’inarrestabile onda arancione. Neeskens e Rensenbrink sbrigano la pratica proiettando la squadra alla penultima delle fatiche che la separano da una storica finale di Coppa del mondo. Dall’altra parte c’è il Brasile, pallido ricordo della squadra mitologica di quattro anni prima, se non per la classe di Jairzinho e, soprattutto, Rivelino. 4 punti a testa, differenza reti migliore per l’Olanda che, come tutte le squadre votate mentalmente al gioco e allo spettacolo, non si accontenta del pari. Il Brasile, in blu per l’occasione, sembra quel gran boxeurche, pugno dopo pugno, gambe molli e riflessi lenti, percepisce la forza devastante dell’avversario e il fatto che il ring, per sopraggiunti limiti d’età, ha iniziato a respingerlo. I verdeoro si aggrappano all’orgoglio e tirano fuori tutta la cattiveria possibile: sono tante le entrate ben oltre il limite del consentito ed è quasi un miracolo che terminino la partita con un solo uomo in meno. L’Olanda non si spaventa, produce il suo gioco fino al meritato gol del vantaggio: assist dalla destra di Cruijff e Neeskens, in spaccata, batte Émerson Leao con un’imprendibile traiettoria a pallonetto. Passano 14’, siamo al 64’, e un fuorigioco si mostra insensibile, negando un fantastico gol in lob al capitano olandese. È nel giro completo di lancette successivo, però, che la “gran nona del Ludovico Van” raggiunge finalmente il suo quarto movimento, l’inno alla gioia. Krol serve Rensenbrink, il quale si gira e lancia ancora il futuro libero del Napoli sulla fascia sinistra: il cross di prima è certo di pregevole fattura ma è innalzato a pennellata immortale dal tuffo in spaccata di Cruijff, lì, al centro dell’area di rigore, dove confeziona, con la leggiadria di una farfalla e la rapacità di un bomber, il capolavoro del 2-0. Gioco, partita, incontro.

Quello che avviene all’Olympiastadion quel 7 luglio 1974 è quasi un dettaglio nella nostra storia. Il 2-1 con cui la Germania Ovest si laurea Campione del Mondo trasmette solo la freddezza statica di un risultato. Il calore della leggenda si può spesso offrire, nello sport, sedendo al tavolo degli sconfitti, come avvenne quel giorno: “Se avessimo vinto noi quella finale – ebbe a dire Cruijff – nessuno parlerebbe ancora oggi di quanto fossimo bravi e della perfezione del calcio che giocavamo”.

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