Roma-Napoli, Massimo Agostini: "Città fantastiche che porto nel cuore"

Roma-Napoli, Massimo Agostini: "Città fantastiche che porto nel cuore"

Due stagioni in giallorosso e altrettante in azzurro per il Condor ex Cesena: "Mi trovai bene con Eriksson. Non andavo d’accordo con Guerini. L’arrivo di Boskov cambiò tutto"

Jacopo Pascone/Edipress

23.10.2022 ( Aggiornata il 23.10.2022 11:05 )

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Massimo Agostini, bomber riminese che ha girato e segnato tanto in giro per l’Italia. A Cesena un veterano come Patrizio Sala lo soprannominò “Condor”: “Durante le partitelle pressavo a destra e sinistra. In una giornata di pioggia con il campo infangato planai come un “Condor” su una pozzanghera per recuperare un pallone. Patrizio mi chiamò così, tutti risero: ancora oggi resta il mio tratto distintivo”. Condorago è infatti il suo nome utente su Instagram, mentre nella sua immagine del profilo WhatsApp posa con cappellino e polo della Roma davanti a dei grattacieli: “Una foto scattata a Dubai! Prima del Covid ci ritrovavamo con gli ex Roma per giocare tornei tra vecchie glorie. Per due anni di seguito abbiamo fatto un torneo di calcetto indoor a Dubai: la prima volta arrivammo terzi, mentre l’anno seguente vincemmo battendo il Barcellona in finale. Organizza Alessio Scarchilli, che è quello che ha un po’ i contatti di tutti”.

Rimasto legatissimo alla Capitale, Agostini vestì la maglia giallorossa per due stagioni, allenato da Eriksson e Liedholm: “Ho trovato l’allenatore più giovane della Serie A, Eriksson aveva solo 38 anni, ma era un mister all’avanguardia, lavorava molto con i giovani: con lui mi sono trovato bene. Purtroppo in quel campionato a causa dei tanti infortuni non riuscimmo a ripetere l’ottimo girone d’andata e chiudemmo settimi”. Buona a livello personale la stagione con Eriksson, meno quella col Barone: “Mi sarebbe piaciuto averlo con qualche anno in meno. L’ho incontrato sulla mia strada al tramonto della sua carriera. Inizialmente sembrava dovessi comporre la coppia d’attacco titolare con il nuovo arrivato Rudi Voeller, ma il mister mi relegò in panchina. A volte mi schierò addirittura esterno, ruolo non mio... a livello gestionale non mi trovai con Liedholm, anche se arrivammo terzi”.

Un rapporto che non sboccia e che, nell’estate del 1988, porta all’addio del “Condor”: “Ero partito da Cesena con il sogno di giocare in una grande e di restarci per tanti anni. La Roma lo era. Eravamo una squadra fortissima: a livello di compagni non potevo chiedere di meglio. Con mia moglie ci sposammo lì, la città era fantastica, era tutto bello. C’è poco da fare: Roma è Roma. Ma nel calcio non tutto va sempre come deve andare. È stata la città più bella in cui ho vissuto, ma andando via ho fatto la scelta migliore per la mia carriera”.

Nonostante le pressioni del presidente, Agostini torna a casa grazie a uno scambio di mercato che accontenterà tutti: “Dino Viola aveva impedito il mio trasferimento a Firenze (ero stato chiamato proprio da Eriksson), voleva tenermi un altro anno, ma io non me la sentivo di passare un’altra stagione con Liedholm. In quell’occasione ci fu lo scambio con Rizzitelli: io tornai a Cesena e Ruggiero arrivò a Roma”. Proprio a un Napoli-Roma è legato uno dei più bei ricordi del Massimo Agostini calciatore: “Ci sfidammo nel Derby del Sud al San Paolo, giocai titolare e pareggiammo 0-0. Al triplice fischio mi trovai di fronte Diego. Mi venne incontro per salutarmi: istintivamente gli chiesi la maglia. Non feci in tempo a parlare che già se la stava levando. La presi, lo salutai, stavo per andarmene quando mi disse: ‘Agostini, Condor, ma la tua non me la dai?’ Fu una cosa meravigliosa: cosa se ne faceva Maradona con la maglia di Agostini? Negli anni lo conobbi meglio: veniva tutte le estati a trovare Salvatore Bagni a Cesenatico... Un giorno mi autografò quella famosa maglia”.

Quando approda al Napoli nell’ultimo giorno del mercato 1994, Agostini è un bomber maturo, con tanti anni di esperienza, capocannoniere dell’ultima edizione della Serie B con 18 reti. Ma il suo destino e quello degli azzurri potevano incrociarsi molto tempo prima: “Dopo Cesena Bigon mi voleva a Napoli. Rinunciai a causa della salute di mia figlia: era nata con una malformazione ai reni e preferii restare a Cesena. In bianconero poi conobbi un altro grande allenatore come Lippi che mi diede tanta fiducia, con lui facemmo un anno bellissimo. Bigon continuava a pressarmi, ma mia figlia peggiorava e il Napoli non mi garantiva nel contratto le cure mediche adeguate. A gennaio ero già arrivato a 9 gol, ero uno degli attaccanti italiani che segnava con più costanza e mi volle il Milan. La società mi rassicurò dicendomi di pensare solo a fare il calciatore, a tutto il resto avrebbero pensato il presidente Berlusconi e lo staff medico. Se la bambina avesse avuto bisogno di visite all’estero avrebbero pensato anche a quelle. Dissi subito sì a gennaio e mantenni la parola data in estate, nonostante il grande interessamento dell’Inter”.

Il “Condor” arriva a Napoli dopo aver giocato con Milan, Parma e Ancona: “L’anno prima di arrivare ero ad Ancona, eliminammo il Napoli nel secondo turno di Coppa Italia: 3-2 grazie a una mia doppietta, giocai una grande partita. Dopo quella gara Moxedano cominciò a cercarmi, ma il mio cartellino era ancora del Parma. Presi un accordo col Napoli, ma dovetti aspettare fino all’ultimo giorno di mercato quando Tanzi con una mega offerta strappò Branca alla Roma, liberando così la mia cessione”. In azzurro ritrova Guerini, stesso allenatore che aveva all’Ancona: “Con lui avevo avuto una brutta discussione durante la prima stagione nelle Marche, eravamo molto distaccati, ma io pensavo solo a giocare e feci comunque benissimo. Non so sinceramente se mi volesse o meno a Napoli, ma poco importa: io già avevo l’accordo col presidente. Volevo tornare in una grande squadra e il Napoli, anche se ridimensionata, lo era”.

L’inizio è un disastro, la panchina di Guerini salta dopo un 5-1 subito all’Olimpico contro la Lazio: “Arrivò Boskov e cambiò tutto! Diede la scossa all’ambiente e ricompattò il gruppo”. Il debutto di Vuja esattamente 28 anni fa, era il 23 ottobre quando Agostini stese il Bari con una doppietta (3-0). La stagione prese la retta via e il Napoli sfiorò l’impresa: “Per un minuto non siamo andati in Coppa Uefa. All’ultima di campionato la nostra partita finì con un paio di minuti d’anticipo: battemmo in casa il Parma 1-0 grazie a un mio rigore. L’Inter pareggiava 1-1 contro il Padova, sugli spalti i 70mila del San Paolo cominciarono a fare festa: se i nerazzurri non avessero vinto saremmo andati in Uefa. Eravamo già negli spogliatoi e a un certo punto il frastuono più totale si trasformò in silenzio, lo stadio ammutolì: era arrivata la notizia del 2-1 segnato da Delvecchio”.

Nella seconda stagione la squadra non riesce a ripetersi, nel rendimento del “Condor” incide un problema fisico: “Mi strappai sotto la pianta del piede e da lì non riuscii più a trovare la condizione giusta. La ferita mi tormentò per tutta la stagione; continuai a giocarci sopra incappando anche in delle brutte figure. Si creò una spaccatura con i tifosi che mi accusavano di non segnare più, di non essere più il calciatore della passata stagione. Ma non capivano il dolore che provassi e quanto soffrissi all’idea di non poter dare il mio contributo al 100%. Fui proprio io a dire a Boskov di non schierarmi contro la Juve”. Come per Roma, anche per Napoli solo parole d’amore: “Quando partii per Napoli qualcuno mi diede del matto, in molti mi dicevano che lì non si viveva bene. Io prima di credere a certe cose voglio viverle: devo dire che dopo Roma, Napoli è stata la città più bella in cui sono stato. A Napoli arrivi col sorriso e quando riparti piangi”.

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