Milan-Inter, i derby di Fulvio Collovati:”Se sbagliavi eri marchiato a vita”

Milan-Inter, i derby di Fulvio Collovati:”Se sbagliavi eri marchiato a vita”

Nel 1982, anno in cui vinse il Mondiale, il difensore cambiò sponda del Naviglio suscitando polemiche. In questa intervista racconta le sue esperienze milanesi rivelando anche aneddoti inediti

Paolo Valenti/Edipress

02.09.2022 23:30

  • Link copiato

Il suo nome appartiene alla storia. Non solo del calcio italiano, anche di quello mondiale. Già, perché la notte dell’11 luglio 1982 era tra i ragazzi forsennati di gioia che correvano per il Santiago Bernabeu di Madrid a celebrare la vittoria più bella mai ottenuta dalla Nazionale italiana. Fulvio Collovati, classe 1957, proprio quell’estate in cui raggiungeva l’apice della carriera, era protagonista di uno dei trasferimenti più discussi di un calciomercato che non faceva ancora girare soldi e calciatori con la fluidità di oggi: passava dal Milan, squadra nella quale era cresciuto, di cui era tifoso e che era appena retrocesso in Serie B, all’Inter. Una scelta non indolore, che pagò con molte critiche, che gli permise di conoscere dall’interno la realtà di quelli che per anni erano stati i suoi avversari più diretti. Chi meglio di lui, quindi, per parlare di Milan, Inter e del Derby della Madonnina?

Fulvio, nel 1982 il Milan retrocesse e tu fosti costretto a lasciarlo perché Bearzot ti disse che giocando in B avresti perso la Nazionale. Dovevi cambiare squadra. Ma perché proprio l’Inter, tu che dei rossoneri eri una bandiera?

“Il messaggio era chiaro. Avevo già fatto un anno nel quale giocavo il sabato con l’Italia e la domenica in B col Milan. Ma un’altra stagione così, ammesso e non concesso che la squadra fosse subito risalita in Serie A, avrebbe comportato il rischio di perdere l’azzurro. Fu una scelta che condivisi con la mia famiglia e la Nazionale. Perché proprio l’Inter? Fu la società che mi cercò con più insistenza. Oggi i giocatori fanno valere la loro volontà ma all’epoca era molto diverso. Mi avevano cercato anche la Fiorentina e la Juventus ma l’Inter fu quella che mi volle con più determinazione. Del resto all’epoca decidevano le società e l’Inter era una squadra di prestigio. Andai senza pormi grossi problemi”.

A Baresi non venne fatto lo stesso discorso?

“Questo non lo so. E’ vero, anche Baresi era nel giro della Nazionale ma finché ci fu Bearzot il titolare era Scirea”.

Come venisti accolto dall’ambiente nerazzurro?

“Dalla tifoseria molto bene, non ci fu assolutamente scetticismo. Forse anche perché già allora in casa Inter c’era molta più rivalità con la Juventus che col Milan. In squadra, poi, avevo sei compagni di Nazionale che giocavano con me: i vari Oriali, Altobelli, Bergomi mi aiutarono ad integrarmi. Dall’altra parte non fu così: lasciando il Milan fui considerato ingiustamente un traditore, nonostante avessi fatto anche la Serie B coi rossoneri”.

Tu sei entrato nelle giovanili del Milan molto presto. In quegli anni credevi di riuscire ad arrivare in Serie A??

“A tredici anni sei spensierato, nel Milan ogni anno ti ponevi l’obiettivo di essere confermato. Questo, ovviamente, significava fare tutti i passaggi: allievi, juniores, primavera. Insomma, non pensi subito di diventare un giocatore. Anche perché non è così scontato: devi avere le qualità, il DNA, la voglia di allenarti e fare sacrifici. Io li ho fatti, in qualche maniera ho perso un po’ la mia adolescenza. Allenarsi col Milan non è come allenarsi con la squadretta sotto casa, devi farlo quasi tutti i giorni. E poi c’era la scuola. Di conseguenza io non uscivo la sera coi miei amici”.

Quali erano le tue caratteristiche tecniche?

"Ero un difensore moderno già cinquanta anni fa, non lo dico con presunzione. Oggi si parla molto dei difensori che devono costruire dal basso, avere i piedi buoni, impostare più che marcare. Io avevo la predisposizione per la costruzione perché da ragazzino avevo giocato anche mezzala. Liedholm nel 1977 mi mise mediano per marcare Antognoni. Poi, non essendo velocissimo, sono andato a fare prima il terzino e poi lo stopper. Però non mi scottava il pallone tra i piedi, anche se ovviamente non ero un fuoriclasse. Per cui cercavo di giocare con intelligenza, cercando di capire i tempi di gioco e andare sull’anticipo”.

Oggi c’è un difensore nel quale, almeno in parte, ti rivedi?

“Ti dico di no. Ma nello stesso modo in cui non c’è un giocatore simile a Scirea. Oggi i difensori non sanno marcare bene perché non gli viene insegnato, non gli spiegano la postura nell’affrontare l’avversario. Oggi c’è il difensore veloce ma meno tecnico, oppure quello che, appunto, non sa marcare bene. Era un calcio diverso, non si può fare un paragone".

Torniamo ai tuoi primi anni da professionista. Albertosi, Collovati, Maldera; De Vecchi, Bet, Baresi… quasi una litania sacra per i tifosi rossoneri. Che ricordi hai di quella formazione che cominciava così?

“Era una squadra che con me, Baresi e Maldera aveva una difesa giovanissima aiutata da due giocatori esperti come Bet e Albertosi. Un Milan che non aveva la punta da venti reti ma che mandava in gol tutti gli altri giocatori. Era una squadra che, al netto di Rivera, che però era sul viale del tramonto, non possedeva campionissimi. Però aveva un gioco di squadra che ci fece vincere lo scudetto”.

6 novembre 1983, il tuo primo derby da ex finì 2-0 per l’Inter e tu segnasti la prima rete. Te lo ricordi?

“Certo che me lo ricordo! Fu un gol in mischia: alcuni dettero la rete a Serena perché lui disse che il gol era suo ma la realtà era diversa, fui io a segnare”.

I milanisti come ti accolsero?

“Puoi immaginarti. Ci furono degli striscioni per i quali mia moglie pianse. Purtroppo gli imbecilli e i deficienti sono sempre dietro l’angolo: fui riempito di insulti dall’inizio alla fine della partita. Però mi tolsi la soddisfazione di vincere il derby”.

In quei frangenti non ci si riesce a isolare dal contesto, a lasciar correre?

“Non è possibile fregarsene degli insulti, però alla fine prevale il fatto che tu sei un professionista e devi giocare”.

Nei derby giocati con l’Inter, qualche ex compagno ti ha mai rinfacciato in campo la tua provenienza?

“No, assolutamente nessuno. Anche perché il Milan era molto cambiato da quando io me n’ero andato, i giocatori erano diversi”.

Cosa ti viene in mente se ti parlo di Mark Hateley?

“Un avversario leale che mi ha fatto un gran gol, che è diventato un manifesto della rabbia dei milanisti nei miei confronti. Una rete meravigliosa che può succedere di prendere quando giochi centinaia di partite in Serie A. Era un’azione in cui noi stavamo uscendo, poi sulla sinistra perdemmo palla, Virdis la prese e io corsi all’indietro mentre lui andò proprio incontro saltando cinquanta centimetri più di me. Con Mark, poi, siamo diventati amici. Gli dico sempre che fece un gran gol".

Il derby che ricordi con più piacere disputato col Milan e quello con l’Inter.

“Con l’Inter quello di cui abbiamo parlato prima, nel quale feci gol e mi presi gli insulti. Col Milan uno in cui vincemmo con un gol di Maldera. In quell’occasione Liedholm tenne fuori Rivera. Ricordo che giocammo molto bene (12 novembre 1978, Milan-Inter 1-0, ndr)"

E i due più brutti?

"Col Milan ci fu un derby che perdemmo 2-0, segnò Beccalossi su un cross da calcio d’angolo (28 ottobre 1979, Inter-Milan 2-0, ndr). Con l’Inter quello del gol di Hateley”.

In cosa sono diversi i tifosi di Inter e Milan?

“Considera che anche quando eravamo in B, col Milan c’erano sempre ottantamila persone allo stadio. Il tifoso interista, quando la squadra perde, è un po’ più critico".

Oltre che a Milano tu hai giocato il derby a Roma e a Genova. Cosa ha di unico la stracittadina milanese?

“Adesso non ti saprei dire perché è cambiato tutto. Ma ai miei tempi San Siro era davvero la Scala del calcio. Ti mettevi in testa che era come andare a teatro: non potevi fallire. Se sbagliavi eri marchiato per tutta la vita. Oggi c’è più pazienza nell’aspettare i giocatori. All’epoca non ti veniva dato tempo: bastava fallire due partite e ti trovavi a giocare in una provinciale. Era questa la differenza che c’era giocando nell’Inter e nel Milan".

C’è qualche aneddoto di campo che ti è capitato in un derby e che vuoi raccontare?

“Quel derby vinto con gol di Maldera io marcavo Altobelli. Gli feci un falletto e lui da dietro mi dette una manata. Io esagerai un pochino per quella reazione, tanto che l’arbitro Michelotti lo espulse. Quando diventammo compagni all’Inter mi ricordò quell’episodio: 'Non t’ho neanche toccato, hai fatto una scena' mi diceva. Me l’ha sempre rinfacciato! A volte in campo si diventa anche un po’ attori. Un altro aneddoto è legato al derby di ritorno sempre di quell’anno, che pareggiammo 2-2 negli ultimi minuti dopo che eravamo sotto 2-0, al quale io non partecipai. Il motivo? All’epoca facevo il militare, mi allenavo alla Cecchignola e il mercoledì facevamo delle partite. Bene, ricordo che prima di quel derby di ritorno giocammo contro il Colleferro su un campo in terra battuta: mi procurai una distorsione al ginocchio che mi tenne fuori un mese. Ero proprio demoralizzato”.

Condividi

  • Link copiato

Commenti