Roma-Inter: l'intervista al doppio ex Herbert Prohaska

Roma-Inter: l'intervista al doppio ex Herbert Prohaska

I ricordi del centrocampista austriaco che in carriera ha vestito entrambe le maglie, vincendo uno scudetto in giallorosso e una Coppa Italia in nerazzurro

Francesco Balzani/Edipress

04.12.2021 ( Aggiornata il 04.12.2021 12:31 )

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Dall’Inter alla Roma dove ha giocato solo una stagione ma verrà ricordato per sempre. Herbert Prohaska, detto Schneckerl per via della capigliatura lunga e riccia e poi “lumachina”, è stato il giocatore austriaco più forte che abbia mai giocato in Italia e il primo straniero ad arrivare dopo la riapertura delle frontiere bloccate dal 1966 al 1980. Quell’anno l’Inter lo strapperà alla concorrenza del Barcellona. Avrebbe dovuto fare il meccanico poi il papà, un manovale appassionato di pallone, ha notato le sue doti e la sua vita è cambiata. Prohaska, una colonna dell’Austria Vienna e della nazionale, è stato per due anni all’Inter vincendo la Coppa Italia 1982, poi è passato alla Roma e si è preso uno storico scudetto da protagonista del centrocampo. In quegli anni, un personaggio di culto. Aveva i baffoni ed era considerato uno da slow foot, da tecnica a ritmo lento: regista cerebrale. "Ma non ero lento – ride subito Herbert -. Questa storia nasce dal fatto che il mio soprannome in Austria era riferito ai miei riccioli, ma in Italia si pensava significasse lumaca e così è andata di moda questa diceria. Ci sono stati giocatori più veloci di me certamente, ma io ero rapido soprattutto col pallone tra i piedi". 

Gli anni a Roma e l'addio forzato

Un’altra diceria riferisce di un rapporto mai sanato con Liedholm per colpa di una pallonata volontaria tirata in faccia allo svedese. "Ma anche questo non è vero. O meglio l’ho colpito davvero ma lui, anche con un occhio gonfio, mi trattò come sempre. La ragione della mia cessione dopo solo una stagione era dovuta al fatto che Falcao trovò un nuovo accordo e il presidente Viola aveva già preso Cerezo. Tutti e due avevano tre anni di contratto, io solo uno. C’era posto solo per due di noi per la regola sugli stranieri. E così mi pagarono l’ultimo anno e mandarono via me. Fu un colpo durissimo perché sarei voluto restare tanti anni alla Roma e la mia famiglia si trovava benissimo in Italia".  Nell’unico in cui ha giocato in giallorosso ha vinto uno scudetto. "E infatti sono diventato una leggenda, forse un caso unico per un giocatore rimasto una sola stagione. Fu memorabile, quei festeggiamenti e quei tifosi resteranno per sempre nel mio cuore. I meriti? La squadra era fortissima e avevamo capito subito che nessuno era meglio di noi, Falcao era il Totti del Brasile e a centrocampo insieme a noi due c’era un certo Ancelotti. Ma il 50 per cento di quello scudetto appartiene a Liedholm. Per me è il più forte allenatore che abbia mai avuto, ed è stato anche un grande giocatore. Eccezionale in tutto".   

L’arrivo in Italia all'Inter

Le prime due stagioni italiane, però Prohaska le gioca nell’Inter che lo aveva acquistato dall’Austria Vienna. "Ricordo quanta attenzione mi dedicavano perché ero il primo straniero a tornare a giocare in Serie A dopo oltre 15 anni. Sembrava di essere in un film di spionaggio. Mi dissero che sarebbe venuto da me a Vienna un direttore sportivo. Lo incontrai in un hotel. Solo lì mi svelò per quale club lavorava. Mi disse che in estate sarebbe stato possibile ingaggiare uno straniero. Ogni club avrebbe potuto ingaggiarne uno. Quando arrivai, mi portarono a San Siro per una foto con un violino in mano: il classico austriaco nell’immaginario mondiale. Ero uno straniero in mezzo a 25 italiani. Ora magari ci sono tre italiani, tutti stranieri e un proprietario americano o cinese. È cambiato tutto". Non è cambiata la differenza di giocare a Milano e Roma. "L’Inter era qualcosa di veramente speciale ma era completamente diverso da Roma. Nel nord Italia la pressione è molto più alta. Ti danno di più a livello organizzativo ma pretendono che stai sul pezzo 24 ore al giorno. L’Inter sognava sempre di conquistare il massimo mentre a Roma tutto era più tranquillo.  Non posso dire niente di negativo sull’Inter, tutto era perfetto tranne forse la filosofia. Abbiamo vinto la Coppa e volevano prendere stranieri nuovi. Ma invece di analizzare i limiti hanno preferito cambiare straniero e così andai via io. E pensare che due anni prima dissero no a Platini per me perché lo ritenevano troppo offensivo per la rosa". Per accettare l’Inter l’austriaco disse no al Barcellona ma pretese alcune clausole: "Hanno subito accettato tutte le mie esigenze come per esempio un insegnante d’italiano. Ma io volevo anche una clausola che mi avrebbe permesso di tornare in Austria nel caso di un impatto negativo. Loro erano molto delusi perché non ero neanche arrivato e già pensavo ad andare via. Allora ci ho riflettuto insieme al mio agente e ho proposto un contratto di dieci anni dicendo che sarei rimasto volentieri 10 anni a Milano perché l’Inter è una grande squadra. Allora hanno accettato la mia prima richiesta. Il Barcellona arrivò tardi, sarebbe stata un’occasione ancora più grande ma ormai ero in parola con l’Inter".  Poi il passaggio alla Roma: "Era un grandissimo club, con tanti campioni. Vedere che oggi fatica a lottare per il quarto posto mi dispiace soprattutto per i tifosi. Spero possa tornare grande al più presto e Mourinho potrebbe aiutare in questo".

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