Ignazio Arcoleo: l'allenatore del Palermo tra destino e alchimia

Ignazio Arcoleo: l'allenatore del Palermo tra destino e alchimia

Il tecnico siciliano, fortemente attaccato al territorio, plasmò una squadra unica. E quell’aneddoto su Giovanni Falcone…

Ettore Zanca/Edipress

15.02.2023 ( Aggiornata il 15.02.2023 09:16 )

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Gli inglesi lo definirebbero “underrated”: sottovalutato. O forse riusciva a fare i miracoli solo se respirava “odore di limoni e gelsomini”, come canterebbero i Tinturia. Ignazio Arcoleo nasce il 15 febbraio 1948 a Palermo, con i rosanero da calciatore ebbe anche l’onore dei gradi di capitano. Un buon centrocampista ricordato con affetto anche a Genova, sponda Grifone. E le due città, checché se ne dica, si somigliano tanto in temperamento calcistico e mugugno.

Quando Barraco era meglio di un futuro campione del mondo

Prima di approdare sulla panchina del Palermo, Arcoleo dispensò calcio da letteratura pregiata con un Trapani che sfiorò la B sotto la sua guida nel 1995, sfumata in un playoff all’ultimo minuto, dopo aver scritto la storia con tre promozioni dai dilettanti alla C1. Da quella squadra passò anche un certo Marco Materazzi, ricordato a metà tra commozione paterna e ironia da Arcoleo: “Si allenava ai fondamentali fino alle nove di sera con le luci fioche del campo e seguiva tutti i consigli che gli davo. Anche se per me il vero talento di quella squadra era Nino”. Ovvero Antonino Barraco che lo seguirà nella sua opera più riuscita in un’alchimia tra anagrafe, esperienza e ardore giovanile: il cosiddetto “Palermo dei Picciotti”.

Il miracolo nasce col Parma

Nel 1995 il Palermo ha grossi problemi finanziari dovuti alle gestioni precedenti e stipendi non pagati. Ma la piazza rosanero sa perfettamente da una vita che a volte si può mangiare bene con poco, essendo patria conclamata dello street food, come lo chiamano adesso. Il presidente Ferrara chiama al capezzale proprio mister Ignazio che mette su una squadra fatta a metà tra vecchi leoni di categoria, Scarafoni, Iachini, Biffi, un giovane e promettente Rizzolo, i picciotti Galeoto, Vasari, Tedesco, tra gli altri, e due portieri più che affidabili come Berti e Sicignano. Il primo lampo abbagliante di quella squadra è contro il Parma, annichilito in una sera palermitana di fine agosto per 3-0, e poteva anche finire peggio per i Ducali allenati da Nevio Scala, con un Tanino Vasari scatenato. Quella squadra sarà lustro per gli occhi e per i tifosi con un settimo posto finale solo per un calo nel girone di ritorno e con lo stop in Coppa Italia ai quarti con la futura vincitrice: la Fiorentina di Batistuta. La squadra giocava con ottime reminiscenze di fuorigioco, aggressiva, affamata e ben messa in campo. Fu merito delle doti da allenatore/psicologo di Arcoleo e del suo parlare la stessa lingua, o meglio, dialetto di tanti opliti rosanero.

Arcoleo: “Io e Giovanni Falcone sulla stessa strada” 

Quel Palermo fu la gradazione massima della carriera di Arcoleo, poi proseguita con autorevolezza ma senza altri acuti. Da sempre molto legato alla sua terra e alla sua città, rimase profondamente colpito dalle stragi di mafia del 1992. In particolare ha un ricordo nitido dell’attentato di Capaci dove morirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Infatti si era trovato a passare dalla stessa strada poche ore prima. Come dice lui stesso: “Allenavo a Trapani, il presidente Bulgarella mi aveva chiesto di rimanere a pranzo prima di due giorni di vacanza, accettai ma sapevo che sarei rimasto fino a sera perché il presidente amava parlare di calcio. Un impegno imprevisto lo fece andare via subito dopo pranzo e io raggiunsi Palermo. Qualche ora dopo ci fu l’esplosione. Se fossi rimasto sarei passato proprio verso quell’ora”. Storia, destino e ricordi di Ignazio Arcoleo. Mister, alchimista, precursore, rosanero. Sempre.

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