Sergio Santarini: non il cuore ma il "cervello di Roma"

Sergio Santarini: non il cuore ma il "cervello di Roma"

Nato a Rimini il 10  settembre 1947 ma romano d’adozione. Emblema di un reparto arretrato ed in generale di un calcio che non c’è più. Quinto giocatore giallorosso, dopo Totti, Losi, Giannini e De Rossi per presenze con la fascia al braccio: 148 partite

Valerio Ciaccio/Edipress

10.09.2022 12:31

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C’era un tempo in cui l’impostazione della marcatura difensiva divideva gli allenatori in schiere come se si trattasse di politica, lo stesso tempo in cui i difensori centrali di una squadra venivano chiamati stopper e libero. La figura di Sergio Santarini permette di mantenere vivido il ricordo di quegli anni: fisico armonioso e longilineo, un calciatore raffinato e pulito sia in fase di chiusura che in quella di disimpegno. Un vero signore dentro e fuori dal rettangolo di gioco, talmente introverso e silenzioso da crearsi anche parecchi nemici che non sopportavano tale carattere. Passa quasi l’interezza della sua carriera a Roma, portato nella Capitale dal Mago Herrera, ereditando il ruolo della storica bandiera Giacomo Losi.

La carriera in giallorosso 

Sergio Santarini, dopo qualche anno a far le ossa nella sua Rimini, giunge alla Roma nel 1968 assieme al tecnico Helenio Herrera che volle portare nella Capitale sia lui che il suo ex compagno di squadra all'Inter (e cognato) Aldo Bet. Oltre che per gli argomenti extra-calcistici, spesso i nomi dei due difensori vengono avvicinati perché formano una coppia di centrali molto forte e complementare. Il libero e lo stopper che si conoscono a memoria, giocando con la serenità di due amici sul campo di calcetto mentre calcano i palcoscenici della serie A. Il Mago, dopo otto giornate di campionato, mette fuori dall'undici titolare lo storico capitano Giacomo Losi, preferendogli proprio Santarini. In un primo momento nessuno intravede nell'avvicendamento uno storico passaggio di consegne. Losi viene rimpiazzato degnamente da Sergio Santarini, il quale, agli ordini di Nils Liedholm, guida la “Rometta” meno blasonata di quegli anni ad un ottimo terzo posto nel 1975 e arricchisce il suo palmarès con 3 Coppe Italia.

Nel 1976, dopo la ripicca di Cordova che si sposta dall’altra parte del Tevere sponda Lazio, viene incoronato come capitano dei giallorossi. Diventa leader indiscusso, nonostante la sua poca loquacità dentro e fuori dal campo è un condottiero che trasmette serenità e sicurezza ai propri compagni. La sua tenuta, mentale e fisica, viene conosciuta soprattutto visto che dal 1975 al 1978 gioca tre campionati consecutivi senza saltare mai un incontro. Con il ritorno di Nils Liedholm in panchina nel 1979, però, il gioco a zona non si addice a un Santarini ultratrentenne e meno predisposto fisicamente rispetto a 5 anni prima. Rimane titolare ancora in quel campionato, infine l'ultima stagione disputata per lo più in panchina prima di andare a svernare a Catanzaro nel 1981. Solo dopo aver messo in bacheca l'ultima Coppa Italia romana.

Nazionale, un amore mai sbocciato

Se c'è un grande rammarico nella carriera di Santarini, è sicuramente quello di aver indossato la maglia azzurra solamente due volte nella sua vita. Dolore sempre affievolito da quel suo modo leggero e al contempo cinico di affrontare la quotidianità. Sergio imparò dal papà a leggere le delusioni e la stanchezza come fossero la normalità, visto che lavorò una vita trasportando camion prima di mettersi in proprio e riuscire a dare un apporto importante alla sua famiglia. Chissà se Santa, una volta che le cose iniziarono ad andare meglio economicamente a casa, avrebbe mai pensato di vestire anche solo una volta la casacca della Nazionale italiana di calcio preferendola al suo amore del tempo: il basket. Una volta intrapresa la carriera calcistica, quello che è sempre stato lampante era la stima e la considerazione che i più avevano per il forte difensore riminese. Meno chiare furono le scelte e le motivazioni che lo tennero fuori dal giro degli “azzurrabili” durante tutto il suo sentiero sui campi da gioco. 

Le speranze piano piano si spensero del tutto. Dopo l'esordio in un freddo pomeriggio di novembre del 1971, proprio a Roma, contro l'Austria, Santarini rientò nel giro della Nazionale con Fulvio Bernardini in panchina. Il dolce epilogo sembrava scritto, quando un allenatore ed ex capitano storico romanista, potè riportare in campo con l'Italia un altro giallorosso che in quel momento portava la fascia al braccio. Fu purtroppo un disastro, con uno scialbo 0-0 che pesò in maniera definitiva sul Santarini azzurro quando in realtà la prestazione fu altamente insufficiente da parte di tutti i giocatori italiani scesi sul rettangolo di gioco. Con una Roma in ripresa dopo il buio con Herrera, suscitò grande scalpore la decisione di Bearzot di farlo fuori dalla spedizione del 1978 in Argentina, che vide i padroni di casa trionfare grazie alle gesta del grande Mario Kempes e compagni. Se c'è stato qualcosa che lo ha fatto borbottare sempre nonostante il suo animo mite, questa è stata la Nazionale. Con Aldo Bet avrebbero sognato di replicare la coppia d'oro anche con gli azzurri, invece si dimostrarono ''gemelli'' anche in questo perché anche lo stopper di Mareno di Piave collezionò solamente 2 presenze.

Il cervello di Roma

“Santa” trascorse in totale, da calciatore, tredici anni in giallorosso. Oltre alle 344 partite di campionato (5 gol) ha giocato con la Roma 70 volte in Coppa Italia (1 gol), 9 volte in Coppa delle Coppe e 6 in Coppa Uefa. Ritornò nel 1996/97 per affiancare il tecnico argentino Carlos Bianchi, nell’anno in cui la squadra della Capitale rischió seriamente di perdere un giovane Francesco Totti direzione Sampdoria. Nell’epoca del calcio atletico, viene sovente definito “libero col piumino da cipria”, un difensore in guanti bianchi, un atleta troppo raffinato per poter piacere agli appassionati del calcio di ogni latitudine. Ha sempre goduto del rispetto di tutti, questo sì. Ma fra il rispetto e l’amore fanatico che altri suoi colleghi suscitano, la distanza è parecchia. Se si chiedesse ad un tifoso del tempo quale fosse il rapporto della gradinata con lui, si percepirà senza ombra di dubbio l'amaro in bocca di chi vide un legame stupendo ma mai sbocciato del tutto. Proprio per questo, nonostante sia nei primi posti in classifica per presenze in giallorosso, e quinto nella speciale classifica dei giocatori romanisti ad aver indossato la fascia da capitano, divenne idolo della Sud ma le due “parti” mantennero, appunto, sempre una certa distanza. Ai tempi, infatti, Santa venne spesso definito il cervello di Roma, e non il cuore. 

Questo perché era abbastanza lontano da qualsiasi rapporto spasmodico e più che farsi guidare dall’istinto si è sempre messo in evidenza, così come in campo, per il suo ponderato modo di agire. Sapendo il clima rovente e appassionato della città, sembra quasi un paradosso che Sergio possa aver portato la fascia al braccio 148 volte. Tutto ciò rappresenta invece una stupenda eccezione che si basó principalmente sul rispetto reciproco fra tifosi e capitano. In quegli anni difficili per una Roma che stentava a spiccare il volo, Santarini fu il capitano quieto che riuscì a trasmettere tranquillità e sicurezza a modo suo. Si era creato un clima a suo modo magico. E nonostante arrivasse da un’Inter bicampione d’Europa negli anni precedenti, essere accettato per quello che era, in un ambiente sportivo come quello romano, fu forse la conquista più bella e gratificante della sua carriera. Prima di trasferirsi in Calabria, la ciliegina venne apposta sulla torta il 17 giugno 1981. Nonostante fosse fuori dai piani in quell'annata, Liedholm gli regalò la passerella conclusiva facendolo entrare al termine dei supplementari. Sergio al solito rispose presente, segnando anche uno dei rigori decisivi durante la lotteria, portó la Roma a vincere la Coppa Italia contro il Torino nella gara di ritorno dell’Olimpico.

Conclusione romantica di una storia bellissima. Peccato davvero che le strade di Santarini e dei giallorossi si divisero ad un soffio dalla conquista dello scudetto nella stagione 1982-1983, soddisfazione che il libero riminese avrebbe meritato sicuramente di togliersi.

 

 

 

 

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