Antonio Cassano, il talento infinito di Bari Vecchia tra genio e sregolatezza

Antonio Cassano, il talento infinito di Bari Vecchia tra genio e sregolatezza

Nasceva il 12 luglio del 1982 uno dei più grandi calciatori della nostra storia. Eterno incompiuto, viene ricordato per il grande feeling con Totti e per gli anni alla Samp

Alessio Abbruzzese/Edipress

12.07.2022 13:17

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Luci e ombre, bene e male, genio e sregolatezza. Sarà colpa della cultura pop, della Marvel o della Disney, fatto sta che da ormai molto tempo tutti noi utilizziamo queste dicotomie come chiavi di lettura dell’animo umano e non solo. Al bando le sfaccettature, le sfumature, nei nostri giudizi tagliamo sempre nettamente tra bianco e nero. Sebbene sia per lo più sbagliato, o quantomeno semplicistico limitarsi a questa contrapposizione netta, c’è un personaggio del nostro calcio che più di tantissimi altri è stato divisivo, estremo, costretto ad essere giudicato sempre senza mezze misure: luci e ombre, bene e male, genio e sregolatezza. Parliamo di Antonio Cassano, uno dei calciatori italiani più talentosi di sempre, che nasceva a Bari il 12 luglio del 1982.

 El Pibe di Bari Vecchia

 Per un curioso caso del destino, sembra che il calcio e il piccolo Antonio siano legati da un filo conduttore sin proprio dall’inizio. Mamma Giovanna partorisce alle prime luci del 12 luglio 1982: solo qualche ora prima l’Italia ha alzato al cielo di Madrid la sua terza coppa del mondo, il Paese è in festa. Come capita spesso nelle storie di grandi sportivi, anche l’infanzia del giovane Cassano non è semplice: nato e cresciuto a Bari Vecchia, lascia ben presto la scuola, rischiando di finire travolto dalla durezza dell’ambiente che frequenta. Come dirà lui stesso anni più tardi, con molta probabilità se non fosse riuscito a diventare calciatore, sarebbe finito suo malgrado in quel vortice di microcriminalità che gli  avrebbe inevitabilmente rovinato la vita. Per sua fortuna, il fato ha altri piani. Ad Antonio piace giocare a calcio, è ipnotizzato dalla sfera, e come dice mamma Giovanna: “Sta lì tutto il giorno, non smette mai di palleggiare”. Gioca con la Primavera del Bari, quando Eugenio Fascetti si rende conto del suo talento e lo porta con sé in prima squadra. Esordisce in A in un derby contro il Lecce, poi la settimana successiva l’allenatore di Viareggio decide di schierarlo titolare contro l’Inter. È il 18 dicembre del 1999, una data spartiacque nella vita di Cassano. Il giovane talento  alla vigilia non può immaginare che quella sarà probabilmente la serata più importante della sua carriera, in cui regalerà al mondo del calcio una perla senza precedenti. Al San Nicola la partita è sull’uno pari quando mancano pochi minuti al termine, poi il lampo di genio: un lancio lungo dalla difesa arriva a Cassano sull’out di sinistra, il giovane talento stoppa in corsa con il tacco, mandandosi la palla prima sulla testa e poi a terra. Con il primo, fantascientifico tocco taglia fuori Blanc, poi rientra sul destro e salta anche Panucci, prima di tirare e segnare. È un gol incredibile, segnato davanti al suo pubblico a nemmeno diciotto anni compiuti. Il mondo del calcio si rende conto di essere davanti ad un fenomeno, un ragazzo con delle capacità tecniche sbalorditive.

 Gli anni a Roma, il Real Madrid e le cassanate

 Nel 2001 arriva a Roma, fortemente voluto dal presidente Sensi e da Fabio Capello, dopo un lungo braccio di ferro con la Juventus. Nella Capitale formerà una delle coppie più iconiche del calcio italiano moderno con Francesco Totti: i due si trovano a meraviglia, le loro giocate spesso si completano dando vita ad azioni efficaci e al contempo bellissime. Qui si inizia ad intravedere il carattere burrascoso del ragazzo: nella finale di ritorno della Coppa Italia 2002/03 Cassano perde la testa, manda a quel paese l’arbitro Rosetti e lo apostrofa platealmente come “cornuto”, con tanto di inequivocabile gesto della mano. Purtroppo alla lunga le sue debolezze, dovute principalmente a momenti di blackout causati dalla mancata gestione della rabbia, da una scolarizzazione pressoché nulla e forse anche a dei cattivi consigli, ne condizioneranno negativamente la carriera. Negli anni romani Cassano è un astro nascente del calcio mondiale, trova la maglia della Nazionale e continua a duettare splendidamente con Totti. Nessuno può immaginare che rimarrà il momento migliore della sua carriera. Nel 2006, dopo un anno funesto in casa Roma e il definitivo litigio con il sergente di ferro Spalletti, Cassano parte per la Spagna, acquistato dal Real Madrid. L’avventura iberica non comincia nel migliore dei modi: Antonio è appesantito, viene soprannominato “El gordito”, si presenta in ritardo di un’ora alla conferenza stampa di presentazione perché ancora non era arrivata a Madrid la sua Ferrari, vestito con la celebre giacca con pelliccia, capo d’abbigliamento che definire pacchiano sarebbe un eufemismo. Il feeling con i tifosi madridisti non decollerà mai, neanche con l’arrivo di Capello, deluso dai comportamenti eccentrici del Pibe de Bari, catturato una volta dalle telecamere mentre imita parodicamente l’allenatore friulano. Dopo la parentesi in Spagna torna in Italia, dove conoscerà degli anni di complessiva tranquillità alla Samp, formando una grande coppia d’attacco con Giampaolo Pazzini. La sua carriera, a detta di molti ormai sprecata e che avrebbe meritato ben altri palcoscenici, continua imperterrita a seguire quella dicotomia di genio e sregolatezza di cui parlavamo sopra: grandi colpi sul campo alternati dalle celebri “cassanate”, termine coniato proprio da Fabio Capello ai tempi di Madrid. Nel 2011 approda al Milan, dove vincerà lo scudetto, mentre l’anno successivo passa all’Inter, squadra di cui era tifoso sin da bambino. Poi Parma, ancora Samp prima di appendere gli scarpini al chiodo nel 2017. Oggi fa ogni tanto scalpore per qualche esternazione sopra le righe, in televisione o sulla “Bobo tv”, cercando di cimentarsi in un campo, quello della comunicazione, di certo non suo. A noi cultori del calcio, e del bel calcio, piace ricordarlo solo per la genialità dimostrata in quel rettangolo verde, quando per far parlare di sé gli bastava allacciare gli scarpini, scendere in campo e illuminare come solo lui sapeva fare.

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