Spagna '82: Italia-Brasile, Paolo Rossi riscrive la storia del Mundial

Spagna '82: Italia-Brasile, Paolo Rossi riscrive la storia del Mundial

Il 5 luglio di 40 anni fa l'indimenticabile impresa della Nazionale di Bearzot contro la Seleçao stellare di Santana. Tripletta per Pablito e azzurri in semifinale: la Coppa è sempre più vicina

Paolo Valenti/Edipress

05.07.2022 ( Aggiornata il 05.07.2022 00:01 )

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Il Brasile è il calcio. Pochi Paesi, forse nessuno, collegano con immediatezza il loro nome allo sport più seguito al mondo come quello sudamericano, che di un gioco inventato da un popolo europeo ha saputo dare una declinazione neolatina che lo ha reso uno spettacolo radicalmente diverso rispetto alla sua matrice originaria. La Seleção di Telê Santana arrivata in Spagna nel 1982 è una delle rappresentative che nella storia del Brasile ha saputo dar meglio forma a questa trasformazione. Sciorina un gioco che sa di musica, modellato sul ritmo del samba che la sua fedele torcida balla ovunque: dalle strade che percorre in avvicinamento allo stadio fin dentro all’impianto stesso dove i verdeoro si esibiscono. Sì, di esibizione bisogna parlare: perché il Brasile del 1982 quando scende in campo esprime un gioco che si eleva con naturalezza alle soglie dell’empireo. Il pallone viaggia tra le morbide carezze che gli regalano i tocchi raffinati di umani che hanno i piedi con la sensibilità delle mani. È un percorso armonioso, con poche interruzioni, improvvisamente accelerato solo dalla necessità di raggiungere la meta. Umani che sembrano non faticare nel gestire a piacimento le rotazioni di una sfera che disegna parabole e iperboli, linee rette o arcuate, segmenti brevi o bisettrici. Undici titolari che solo un capriccio della storia non consacrerà alla liturgia del calcio: Valdir Peres, tra i migliori portieri brasiliani degli anni Settanta; Leandro a destra, in costante appoggio laterale alla manovra della squadra; Luizinho e Oscar a presidiare la difesa; Júnior (si, proprio lui: Leovegildo Lins da Gama Júnior, che nella testa e nelle gambe ha gli spazi del centrocampo) spostato sulla sinistra per via dell’opulenza di quella squadra; Falcão, Cerezo e Socrates a ricamare nelle zone centrali del campo con passo, tecnica e illuminazioni geniali; Eder che corre sulla fascia sinistra cercando il tiro dalla distanza; Zico a raccontare il calcio sulla trequarti e Serginho che prova ad approfittare di quello che accade davanti al portiere avversario.

Italia-Brasile, cronaca di un miracolo sportivo

Quando, il 5 luglio del 1982, l’Italia di Bearzot deve affrontare questa aristocrazia calcistica, l’atmosfera che circonda la Nazionale non ha più i toni plumbei che l’avevano accompagnata alla vigilia del match precedente con l’Argentina. La vittoria contro i campioni del mondo uscenti (termine appropriato dopo la sconfitta rimediata da Maradona e compagni anche nella partita col Brasile, nella quale il Pibe esce di scena senza gloria in seguito a un’espulsione comminatagli per un brutto fallo su Batista) ha riacceso un entusiasmo sopito da tempo che i più, però, immaginano passeggero. Perché la squadra si è risvegliata, ha mostrato carattere e gioco: ma quel Brasile appare lontano anni luce dalla disponibilità tecnica di una Nazionale che non sembra in grado di potersi imporre a quei sacerdoti del pallone. Per superare il mini girone che porta in semifinale, gli azzurri hanno solo un risultato disponibile: la vittoria, per via di una differenza reti che premia i verdeoro. Ma come può una squadra appena riemersa da un tunnel di grigiore agonistico pensare di battere quel Brasile? Nessuno riesce davvero a crederci sul serio: i pessimisti auspicano una sconfitta con uno scarto ridotto, gli scaramantici incrociano le dita. I più ottimisti mirano a un pareggio dignitoso, che ci permetta di uscire con onore dal mondiale, imbattuti anche contro la squadra che lo vincerà.

È ancora tanto il timore che si annida nel petto non solo di chi ha fatto un lungo viaggio per arrivare al Sarrià ma anche dei milioni di italiani che, già in vacanza o scappati anzitempo dagli impegni di lavoro, alle 17.15 di un torrido pomeriggio estivo non sanno che stanno per vivere uno dei momenti più epici della storia dell’Italia. Bearzot, che insieme ai suoi ragazzi è probabilmente l’unico a pensare che ci sia un modo per vincere la partita, mette in campo gli stessi undici che hanno steso l’Argentina. È difficile capire le sue emozioni nonostante le continue inquadrature della televisione, che lo riprendono elegantissimo con l’abito ufficiale della Federazione (giacca chiara, camicia azzurra e cravatta blu). Uno sguardo che trasuda concentrazione, forse tensione: certamente non paura. Perché il Vecio sa di calcio, le vittorie e le sconfitte le ha conosciute dapprima in campo e poi in panchina ed è consapevole che gli invincibili non esistono. Lo ha sicuramente detto ai suoi ragazzi, li ha caricati a dovere con qualche frase ad effetto, ricordandogli che lui in loro ci ha sempre creduto, anche quando tutto il mondo gli urlava contro rabbia, disprezzo e ingiurie.

Quella partita, che vista da fuori sembra una montagna troppo alta da scalare, diventa il pertugio stretto nel quale inserirsi per afferrare lo scalpo della gloria. E quei ragazzi, da come sono scesi in campo, sembra che in quel pertugio abbiano tutte le intenzioni di passare, perché già al quinto minuto, su un lungo cross dalla sinistra di Cabrini, Paolo Rossi sfugge alle marcature e segna di testa incrociando sul secondo palo. È un’esplosione di gioia e adrenalina che dura sette minuti, il tempo necessario al Brasile per riprendere possesso del gioco e spingere al gol Socrates, preciso nell’infilare Zoff da pochi metri sul primo palo dopo un bell’assist in verticale di Zico.

Ecco, adesso i brasiliani ci travolgeranno: lo pensano in molti. Non i giocatori con la maglia col tricolore sul petto, che di quello che si dice all’esterno hanno imparato a non preoccuparsi. Loro continuano a giocare attenti, ad essere proiettati sulle proprie forze e sugli errori degli avversari. Come quello che commette Cerezo quando effettua un passaggio orizzontale indeciso sul quale Rossi si avventa lucido: scatto in verticale di pochi metri fino al limite dell’area e poi un tiro forte, a spaccare la porta e le inquietudini che lo avevano tormentato negli ultimi due anni. Arriva l’intervallo, l’Italia vince 2-1. Ma può durare?

Nella ripresa i verdeoro spingono sull’acceleratore: hanno capito che quella partita non è semplice, che per arrivare almeno al pareggio è necessario dare tutto. Lo sa bene Falcão, che in Italia gioca da due anni e conosce bene il nostro calcio, la nostra mentalità orientata al risultato, il tatticismo esasperato che inaridisce fantasia e ispirazione di qualsiasi avversario. Forse non è un caso che sia lui, al 68’, a realizzare il gol del pareggio, dopo aver fintato il passaggio in appoggio sull’accorrente Cerezo che disorienta i nostri difensori e gli consente di avere il tempo per aggiustare al meglio il pallone sul sinistro col quale esplode un diagonale violento e preciso alla destra di Zoff, che non può far altro che osservare la traiettoria del Tango che entra in rete.

Per il Brasile sarebbe sufficiente il 2-2 per passare. Ma non è questo il loro stile, la loro mentalità, il loro modo di vivere il Mondiale. Con quella squadra bisogna attaccare ancora per cercare la vittoria. Per gli azzurri, però, continuare a crederci costa solo la necessità di tener lontana la fatica dal cervello. Così, quando al 74’ Rossi intercetta un tiro mal riuscito di Tardelli dal limite dell’area e insacca da pochi metri il gol del 3-2, l’esultanza più sfrenata torna a irrorare i corpi accaldati di tutti gli italiani: quelli in campo, quelli sugli spalti e coloro che stanno seguendo la partita in televisione.

Per tutti c’è un quarto d’ora di tensione atroce da dover subire, nel quale altri due colpi ben assestati alle coronarie sono un gol annullato ad Antognoni per un fuorigioco che vede solo la terna arbitrale e la più importante parata della carriera di Zoff, che inchioda sulla linea un pericoloso colpo di testa di Oscar. Il triplice fischio di Klein consegna alla storia una partita di intensità straordinaria. L’Italia, in soli sei giorni, da Cenerentola dei gironi si trasforma nella Nazionale più bella del reame, togliendo lo scettro proprio al Brasile. Paolo Rossi indossa nuovamente il mantello di Pablito, lasciato per troppo tempo in naftalina. E Bearzot, dopo aver sopportato l’onta degli improperi di chiunque, abbraccia i suoi ragazzi con sguardo soddisfatto e fiero: anche stavolta la sua Italia arriverà tra le prime quattro nazionali del mondo. Ma a questo punto accontentarsi sarebbe un peccato mortale.

Italia-Brasile 3-2 del 5 luglio 1982: il tabellino

ITALIA: Zoff (C), Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati (34’ pt Bergomi), Scirea, Conti, Tardelli (31’ st Marini), Rossi, Antognoni, Graziani. A DISP.: Baresi, Vierhowod, Dossena, Bordon, Causio, Massaro, Altobelli, Selvaggi, Galli. CT: Enzo Bearzot.

BRASILE: Valdir Peres, Leandro, Oscar, Luizinho, Júnior, Cerezo, Falção, Socrates (C), Serginho (26’ st Paulo Isidoro), Zico, Eder. A DISP.: Sergio, Edevaldo, Fonseca, Edinho, Pedrinho, Batista, Renato, Dinamite, Dirceu, Carlos. CT: Telê Santana.

ARBITRO: Klein (Israele). MARCATORI: 5’ pt, 25’ pt e 29’ st Rossi (I), 12’ pt Socrates (B), 23’ st Falção (B).

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