Storie Mondiali: Argentina ‘78 e la “marmelada peruana”

Storie Mondiali: Argentina ‘78 e la “marmelada peruana”

Per arrivare a disputare la finale del torneo, l’Albiceleste affrontò il Perù con l’obbligo di goleada. Il 6-0 con cui vinse suscitò polemiche e sospetti di cui si discute ancora oggi

Paolo Valenti/Edipress

14.12.2022 ( Aggiornata il 14.12.2022 10:34 )

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Quando, nel mese di marzo del 1976, la giunta militare guidata dal generale Jorge Rafael Videla prese il potere in Argentina, al calcio d’inizio del Mondiale di calcio mancavano poco più di due anni e l’apparato organizzativo, fino a quel momento, non aveva brillato per efficienza e tempismo. In altre parole c’era più di qualche preoccupazione legata alla buona riuscita della manifestazione che però sfumò nel momento in cui i principali esponenti della dittatura compresero il valore strumentale al quale avrebbero potuto piegare il campionato del mondo. Fu così che, grazie anche alle risorse ingenti che si decise di utilizzare, il Mondiale argentino si svolse senza alcun disguido organizzativo: troppo importante il ritorno di immagine internazionale che avrebbe garantito per fallire la gestione dell’evento. La nazione, in qualche modo, ritrovò una parte della sua unità, volendo dimostrare al mondo di potercela fare. A Cesar Luis Menotti e ai calciatori venne chiesto di dare il loro meglio: a quello che serviva fuori dal campo per vincere ci avrebbero pensato i politici.

Le premesse del Mondiale argentino

Ai nastri di partenza non si presentava una vera e propria favorita, anche se Germania Ovest, Olanda e Brasile sembravano avere qualcosa più delle altre. Difficile, inizialmente, capire le reali possibilità dei padroni di casa, altalenanti nei risultati raccolti nelle partite premondiale e con una formazione titolare individuata solo all’ultimo momento. 
L’Italia partì accompagnata da sfiducia e perplessità che, come anche in altre occasioni, alla fine vennero dissipate sul campo. Le critiche alla rinnovata Nazionale guidata da Enzo Bearzot, che aveva fallito l’appuntamento con gli Europei del 1976, si basavano sulle poco brillanti esibizioni che gli azzurri avevano fornito nelle ultime amichevoli disputate prima dell’inizio del campionato del mondo. Bearzot, però, se ne preoccupava il giusto: sapeva che, investendo su un gruppo unito, avrebbe avuto un ritorno quando le partite avrebbero avuto davvero importanza. Quell’unità fu uno dei segreti del convincente Mondiale argentino giocato dall’Italia, che alla fine arrivò quarta e fece scoprire al mondo due giovani ragazzi che avrebbero scritto tra le pagine più belle della storia del nostro calcio: Antonio Cabrini e Paolo Rossi.

 

Argentina-Perù: la “marmelada peruana”

Nel 1978 venne riproposta la formula già utilizzata in Germania quattro anni prima che, dopo il primo turno, prevedeva la costituzione di due gironi di semifinale che avrebbero promosso le vincitrici alla finale e le seconde classificate alla disputa dell’incontro per il terzo posto. Una formula che espose le ultime partite a dubbi e supposizioni che inquinarono l’atmosfera della competizione. Esempio emblematico, la cui eco nemmeno gli anni sono riusciti a sopire, fu il match che giocarono Argentina e Perù il 21 giugno 1978. Era l’ultima gara del girone di semifinale che, per via dei risultati fin lì verificatisi, costringeva i padroni di casa a dover battere il Perù con una doppia opzione: tre gol di scarto segnandone almeno cinque oppure vincendo con quattro reti di differenza. Calcoli precisi possibili perché i padroni di casa poterono giocare quel match sapendo già il punteggio finale del Brasile, appaiato a pari punti prima dello svolgimento delle ultime rispettive partite e vincitore per 3-1 sulla Polonia poche ore prima del fischio d’inizio di Argentina-Perù. Il risultato con cui l’Albiceleste superò la nazionale andina fu clamoroso: un 6-0 che alimentò mille sospetti per l’arrendevolezza con cui i peruviani si fecero travolgere nel secondo tempo. Le polemiche sorsero già prima del match, quando balzò all’evidenza che il portiere Quiroga era argentino di Rosario (la città dove si disputava la partita) naturalizzato peruviano, tanto che la Federazione brasiliana chiese di non schierarlo in campo. Nel tempo si disse anche che i brasiliani offrirono ai giocatori biancorossi 10.000 dollari a testa per non perdere con più di tre gol di scarto e che l’Argentina promise il rifornimento al Perù di ingenti forniture di grano. Tutte insinuazioni pesanti ma mai definitivamente accertate. Anche se nel 2018 l’ex centrocampista del Perù José Velásquez rilasciò un’intervista che non lasciava adito a molti dubbi: ”I dirigenti si vendettero la partita, molti vi hanno indagato. Il fatto che non ci siano prove non significa che non sia successo. Videla entrò nel nostro spogliatoio prima del calcio d'inizio insieme al segretario di Stato statunitense, Kissinger, per augurarci una buona partita e ricordarci che i nostri Paesi avevano sempre collaborato e vantavano ottime relazioni. Suonò tutto come una minaccia velata, fu come dirci che se non avesse vinto l'Argentina sarebbe successo il putiferio. E anche sei giocatori si sono venduti, ma posso nominarne solo quattro perché ce ne sono due famosi e danneggerei le loro carriere: sono Rodolfo Manzo, Raúl Gorriti, Juan José Muñante e Ramón Quiroga”. Insomma, a distanza di quarant’anni, di quella “marmelada peruana” si continua a parlare molto.

I protagonisti della vittoria

Alla fine la Coppa riuscì a finire nelle mani di Daniel Passarella, capitano di una squadra che, seppur aiutata dai pesanti condizionamenti che impedirono al Brasile di giungere in finale e all’Olanda di disputarla in un clima sereno, dimostrò valori indiscutibili che passavano per le giocate di calciatori del calibro di Ardiles, Bertoni, Houseman e del capocannoniere della competizione: Mario Kempes, tornato in patria per regalare alla sua gente momenti di felicità assoluta.   

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