Osvaldo Ardiles, dinamismo a tutto campo tra Argentina e Tottenham

Osvaldo Ardiles, dinamismo a tutto campo tra Argentina e Tottenham

Nato il 3 agosto del 1952, dopo aver vinto il Mondiale con l’Albiceleste il centrocampista si trasferì a White Hart Lane: gioie e dolori in un periodo storico segnato dalla guerra delle Falkland

Paolo Valenti/Edipress

03.08.2022 ( Aggiornata il 03.08.2022 10:53 )

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Al di là delle polemiche suggerite dalla situazione ambientale che contornò l’evento, la nazionale argentina vincitrice dei mondiali del 1978 era una squadra costituita da grandi giocatori che crearono un gruppo unito, proiettato a ottenere un successo difficilmente ripetibile. Ne danno contezza nomi come quelli di Kempes, Passarella, Bertoni, Luque e Houseman, che ancora oggi echeggiano nella memoria dei calciofili come musica suonata da strumenti finemente accordati.

Osvaldo Ardiles, centrocampista verticale

In quell’orchestra di interpreti raffinati si inseriva a pieno titolo Osvaldo César Ardiles, centrocampista estremamente dinamico che in quella nazionale svolgeva un ruolo unico che il CT Menotti aveva saputo riconoscergli, imponendolo a un’opinione pubblica inizialmente restia a comprenderne il valore. Forse perché nei canoni del calcio sudamericano il centrocampista che gioca nel mezzo veniva all’epoca identificato appieno nell’organizzatore di gioco statico, propenso alle trame orizzontali, quelle gestite sotto ritmo, pronto a tenere palla e a dispensarla con giocate illuminate ma estemporanee. In questo identikit, Ardiles non poteva riconoscersi perché già proiettato nel calcio a cadenze più elevate che sarebbe arrivato negli anni successivi. Limitato nella statura (raggiungeva a stento il metro e settanta), trovava nel ritmo e nella qualità dei piedi i suoi punti di forza, che sapeva combinare in un’interpretazione del gioco verticale più per istinto che per richiesta degli allenatori. Inseguendo sapeva distruggere; ripartendo in velocità ribaltava l’azione, porgendo assist ai compagni o chiedendo sponda per aprire gli spazi o andare a concludere. Guizzante più che potente, dotato di tecnica che declinava con razionalità più che nell’indulgenza dell’effimero, non fu un caso che, dopo la vittoria del Mundial, attraversò l’Atlantico per diventare protagonista a Londra, sponda Tottenham.

L’esperienza al Tottenham di Ardiles

Per paradosso, anche in Inghilterra il suo calcio già affacciato sul futuro inizialmente ebbe qualche difficoltà a essere apprezzato, su campi dove l’unica fonte di gioco sembravano essere i cross in mezzo all’area. Conquistò prima i tifosi di White Hart Lane, poi i trofei: nel 1981 e nel 1982 la FA Cup, nel 1984 la Coppa Uefa. Incidentalmente divenne anche attore, scritturato da John Huston per una parte nel film “Fuga per la vittoria” dove recitò insieme ad altri calciatori come Pelé, John Work, Bobby Moore, Paul van Himst e Kazimierz Deyna. E da Pitòn, soprannome che aveva guadagnato in Argentina, divenne più semplicemente Ossie.

Argentina, Inghilterra e la guerra delle Falkland-Malvinas

La madrepatria e l’Inghilterra: due mondi, due culture che in quei soprannomi così differenti rappresentavano una diversità che in Ardiles aveva trovato il modo di coesistere armoniosamente. Al contrario dei governi dei due Paesi, che nella primavera del 1982, a poche settimane dall’inizio del Mondiale nel quale Osvaldo e i suoi compagni avrebbero dovuto difendere il titolo conquistato quattro anni prima, si scontrarono in una guerra stupida che colpì profondamente la vita di Ardiles: la famosa vicenda delle Falkland-Malvinas, quattro scogli al largo dell’oceano Atlantico che i generali argentini in crisi di consenso e una lady di ferro che non aveva nessuna intenzione di subire sgarbi si contesero, lasciando sul campo di battaglia circa 900 vittime. Allo stadio i tifosi avversari lo bersagliarono di cori insultanti ai quali solo in parte quelli del Tottenham si opposero. A sua difesa, nell’ultima partita che giocò prima di andare in ritiro premondiale con l’Albiceleste (la semifinale di FA Cup Leicester-Tottenham), alcuni supporters mostrarono uno striscione: ”Argentina can keep the Falkland, we’ll keep Ossie” (“l’Argentina può tenersi le Falkland, noi terremo Ossie”). Era una situazione lacerante per una persona intelligente e sensibile come il Pitòn-Ossie, che non poteva immaginare che tra i morti di quella breve guerra ci sarebbe stato anche Josè Leonidas Ardiles, suo cugino di primo grado.

La terra di mezzo

Quel lutto lo costrinse ad affrontare il periodo più difficile della sua carriera, che qualche anno più tardi il centrocampista ricordò con queste parole: ”Ero diviso tra il Paese in cui ero cresciuto e quello che mi aveva accolto come un figlio, e in cui vivevo. La morte di mio cugino mi prostrò terribilmente: la guerra l’avevo sempre considerata un evento lontano, e invece mi era entrata in casa”. Un periodo nel quale Ardiles non era a casa in nessun posto, visto come una sorta di rinnegato in Argentina e un nemico in Gran Bretagna. Il destino di chi vede il mondo con equilibrio e sa riconoscerne pregi e difetti in ogni situazione, senza lasciarsi condizionare da punti di vista parziali. In quel momento restare in Inghilterra non sembrava più la migliore delle opzioni. Così l’argentino di Londra iniziò la stagione 1982-83 col Paris Saint Germain: le ferite della guerra avevano bisogno di essere curate dal tempo. Che non fu molto, in realtà, perché Ossie tornò al Tottenham già all’inizio del 1983. Ma ormai il meglio era scritto nel suo passato, in quella terra di mezzo tra Sudamerica ed Europa che solo lui e pochi altri erano riusciti a svelare.

 

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