Storie Mondiali, 1974: la punizione al contrario durante Zaire-Brasile

Storie Mondiali, 1974: la punizione al contrario durante Zaire-Brasile

Durante la partita tra zairesi e brasiliani avvenne un episodio che per tanto tempo abbiamo interpretato come bizzarro: il gesto della disperazione di Joseph Mwepu Ilunga

Paolo Marcacci/Edipress

06.12.2022 ( Aggiornata il 06.12.2022 14:54 )

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Determinati gesti - non possiamo parlare di gesta in questo caso, o forse sì, decida il lettore dopo aver conosciuto i fatti per come realmente si svolsero - sono destinati a passare alla storia ma a svelarsi per quello che fu il loro autentico valore solamente tanto, a volte troppo, tempo dopo. E bisognerebbe anche ricordarsi il monito di Honoré de Balzac, il quale amava ricordare che “per giudicare un uomo bisogna almeno conoscere il segreto del suo pensiero, delle sue sventure, delle sue emozioni”. Mai citazione fu più appropriata, vista la storia che ci accingiamo a raccontare.

Le squadre africane si qualificano per la prima volta al Campionato Mondiale di calcio, siamo negli anni ’70 del Novecento ed è un momento di rivoluzione culturale all’interno dell’universo sportivo. Infatti è solo dal 1970 che la FIFA ha deciso di farle entrare alle qualificazioni Mondiali.

Germania, 1974, il primo Mondiale tedesco. Il 22 giugno del 1974, nella partita tra Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) e Brasile, ci fu un episodio che, per l’appunto, divenne storia, ma entrò nella memoria collettiva dalla porta sbagliata.

Mobutu Sese Seko, il dittatore zairese

Per inquadrare l’antefatto, non possiamo prescindere dal nominare Mobutu Sese Seko, eccentrico e all’occorrenza sanguinario dittatore dello Zaire, già Congo Belga, oggi Repubblica Democratica del Congo. Guadagnatosi l’appoggio dell’Occidente e la protezione della CIA dopo avere rovesciato il governo democraticamente eletto di Patrice Lumumba, vide l’occasione delle qualificazioni alla Coppa del Mondo non come una forma di libertà sportiva, bensì come sinonimo di propaganda e possibile biglietto da visita per la rispettabilità internazionale. Del resto, soltanto qualche mese dopo, Mobutu sarebbe riuscito a portare a Kinshasa l’evento più memorabile del ventesimo secolo, a livello sportivo, vale a dire l’incontro tra George Foreman e Muhammad Ali per il titolo mondiale dei Pesi Massimi. Tra l’altro, quasi ossessionato dalla sua passione per i felini, aveva già cambiato il soprannome dei giocatori della Nazionale da “Leoni” in “Leopardi”, anche per richiamare il suo immancabile copricapo. Politica e calcio, mai come in quel momento sono state l’una la rovina dell’altro.

Il Mondiale '74 dello Zaire

La qualificazione a Germania ‘74 valse ai calciatori zairesi un appartamento e un’automobile, oltre che lo status di eroi nazionali. Per lo Zaire la fase a gironi fu complicata: seppur con buone prestazioni la squadra perse 2 a 0 contro la Scozia dello “Squalo” Joe Jordan, poi venne il turno contro la Jugoslavia. Questa segnò in primis il destino del Campionato, per la nazionale africana, poi qualcosa di molto più importante per i giocatori: la loro stessa vita. Il dittatore, indignato dall’epilogo della prima partita, informò i calciatori che non avrebbero avuto, al ritorno in patria, il compenso di quarantacinquemila dollari stabilito già prima della partenza. Vani i tentativi da parte della squadra di non giocare; l’unico modo per uscirne era sabotare la partita e così accadde, nella maniera più autolesionista possibile: lo Zaire perse di proposito 9 a 0 contro la Jugoslavia. Dopo diciotto minuti i Leopardi, in maglia verde, si ritrovarono sotto di tre gol; al termine del primo tempo una telefonata da Kinshasa impose la sostituzione del portiere Kazadi con il brevilineo Tubilandu, un metro e sessantanove. Dopo la debacle, il commissario tecnico Vidinic, jugoslavo, venne accusato di aver permesso ai suoi giocatori di subire così tante reti in modo da consentire ai suoi connazionali, avversari per un giorno, una migliore differenza reti per il passaggio di turno.

Zaire-Brasile: la punizione al contrario

La punizione che rimase nella storia non fu però quella subita dalla nazionale balcanica. L’ultima partita del Mondiale dello Zaire, che merita il presente della narrazione, è quella contro il Brasile ed è qui che il centrocampista Joseph Mwepu Ilunga regala il frammento che verrà poi rinominato dall’immaginario collettivo “punizione al contrario”. Il dittatore Mobutu, ormai cieco dalla rabbia nei confronti della sua squadra, minaccia i giocatori che sì, in quest’ultima partita, contro un tale avversario, possono ovviamente anche perdere ma non con più di tre gol di scarto, altrimenti al ritorno in patria lui farà uccidere tutti i giocatori e le loro famiglie.
Non è un proclama autoritario con l’intento di terrorizzare chi aveva osato protestare: la minaccia va intesa alla lettera.
All’ottantacinquesimo minuto il Brasile sta vincendo tre a zero. All’ennesima punizione per i verdeoro Ilunga capisce che il tempo che manca può essere eterno lo stesso, soprattutto se del calcio piazzato se ne incarica uno come Rivellino, che già sta allontanandosi per la rincorsa. È in quel momento che il centrocampista africano esce dalla barriera e calcia la palla lontano dalla porta e (soprattutto) da Rivelino che, ormai pronto per battere la punizione, rimane allibito dal gesto. Un’azione a primo impatto da pazzi, quella di Ilunga, che si scoprirà essere stata invece eroica solo anni dopo. Per tanto tempo, in effetti, complice la riproposizione di quelle immagini a “Mai dire goal” della Gialappa’s Band, abbiamo interpretato l’episodio come qualcosa di bizzarro, con un taglio ridicolo. La verità è che Mwepu, che è stato un professionista a tutti gli effetti, quel giorno con quel gesto così sorprendente fece tutto ciò che poteva per tentare di salvare se stesso e i suoi compagni, anche perché da quel momento in poi anche i calciatori brasiliani capirono che per i loro avversari era, letteralmente, una questione di vita o di morte.

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