Affermazione larga della Juventus nel secondo match di Champions League sul campo della Dinamo Zagabria. Partita senza storia, conclusa 4-0 per i bianconeri, a segno con Pjanic, Higua&iacute;n, Dybala ed un'autorete.  Traversone da destra di Dani Alves per Higua&iacute;n, destro alto. Ci prova Hernanes dalla distanza, ma il suo mancino termina largo. Al 24&deg; Pjanic sblocca il punteggio con una zampata di fronte a Semper, servito dall'erroraccio del centrale Sigali. La Dinamo cerca di scuotersi e coglie una traversa con Schildenfeld, ma arriva il bis bianconero: &egrave; il 31&deg; minuto, lancio millimetrico di Pjanic per Higua&iacute;n che indisturbato stoppa di petto e batte il portiere in uscita. Nella ripresa Allegri inserisce Pjaca e Cuadrado passando a quattro dietro, poi mette in ghiaccio la vittoria con il bolide mancino della Joya Dybala al 57&deg;: una botta precisa a mezz'altezza da 30 metri che non lascia scampo a Semper. Risultato chiuso a 5 minuti dalla fine grazie alla punizione di Dani Alves, toccata in barriera da Schildenfeld e smanacciata in rete da Semper.  Zagabria (Croazia), stadio Maksimir, 27 settembre 2016 Dinamo Zagabria-Juventus 0-4 Dinamo Zagabria (4-3-3): Semper; Situm, Sigali, Schildenfeld, Pivaric; Antolic (72&deg; Paulo Machado), Benkovic, Jonas (48&deg; Fiolic); Soudani, Fernandes (58&deg; Hodzic), Pavicic. (In panchina: Peric, Henriquez, Gojak, Livakovic). Allenatore: Zeljko Sopic. Juventus (3-5-2): Buffon; Barzagli (68&deg; Pjaca), Bonucci, Chiellini; Dani Alves, Khedira, Hernanes, Pjanic (46&deg; Cuadrado), Evra; Dybala, Higua&iacute;n (71&deg; Mandzukic). (In panchina: Alex Sandro, Lemina, Neto, Sturaro). Allenatore: Massimiliano Allegri. Arbitro: De Sousa (Portogallo). Reti: 24&deg; Pjanic, 31&deg; Higua&iacute;n, 57&deg; Dybala, 85&deg; aut. Semper. Note: nessun ammonito, spettatori 23.875.  Fabio Ornano @fabio_ornano  &nbsp;

La Juventus cala il poker d'assi a Zagabria

Mangiando la banana, come nell'immaginario di qualche curva e di buona parte delle tribune &egrave; logico per un 'negro', Dani Alves non ha purtroppo sconfitto il razzismo ma lo ha di sicuro messo in ridicolo. Senza la trombonista retorica dell'antirazzismo, che al razzismo contribuisce perch&eacute; a tutti piace essere 'contro' e 'scorretti', o almeno pensare di essere tali. Clamoroso non tanto il gesto, quanto la clamorosa lucidit&agrave; nel raccogliere la banana lanciatagli a da un tifoso del Villarreal e mangiarla: lezione anche a chi dice che i calciatori sotto pressione non sanno ragionare, giustificando cos&igrave; ogni idiozia dei propri idoli. Lo scherno, come meccanismo di controllo sociale, pu&ograve; molto di pi&ugrave; dei tem&igrave;ni in bella copia e anche delle leggi: in un contesto di riprovazione sociale non ci sarebbero evasione fiscale, rifiuti gettati in mezzo alla strada, partite accomodate, simulatori da area di rigore, direttori sportivi maneggioni. Senza tanti aspiranti Moggi non sarebbe mai esistito Moggi, in altre parole. Poi ci vogliono anche i fatti concreti, e il gesto diventato un 'instant classic', del laterale destro del Barcellona (uno dei quattro, insieme a Messi, Iniesta e Xavi, da cui &egrave; dipeso tutto questo ciclo), ne ha oscurato uno importante: cio&egrave; che senza bisogno di sofisticate tecnologie il Villarreal ha individuato il lanciatore della banana, grazie alla testimonianza di alcuni vicini di posto (in Italia gli stessi dei tem&igrave;ni antirazzisti non la chiamerebbero denuncia ma 'delazione'), e lo ha cancellato a vita dalla possibilit&agrave; di acquistare un biglietto per il Madrigal. Un Daspo calcistico, giustizia privata efficace come quella di Charles Bronson e molto pi&ugrave; significativa di quella pubblica, che molti ipocritamente invocano quasi fosse un'autorizzazione a delinquere. Il Villarreal ha chiaramente detto che un tifoso cos&igrave; non lo vuole e non sappiamo quante altre societ&agrave; nel mondo avrebbero il coraggio di dissociarsi in questo modo da un loro 'consumatore'.

A lezione da Dani Alves e Villarreal

Con Bar&ccedil;a e Villarreal, gli ultimi anni di calcio spagnolo hanno visto nel Sevilla una delle squadre dall&rsquo;identit&agrave; pi&ugrave; forte. Scampato dal fallimento agli inizi del decennio, ricostruendo ha costruito un miracolo: una gestione al tempo stesso virtuosa dal punto di vista economico (scoperta e valorizzazione di elementi della cantera o di talenti stranieri poco conosciuti, su tutti Dani Alves) e sempre pi&ugrave; competitiva sul campo, con l&rsquo;impronta inconfondibile di uno stile di gioco di inconsueta intensit&agrave; per un calcio come quello spagnolo, dominato dalla &ldquo;pausa&rdquo;.  L&rsquo;ingranaggio si &egrave; per&ograve; inceppato: l&rsquo;indecorosa eliminazione dai preliminari di Champions con il Braga &egrave; il punto d&rsquo;arrivo di un declino evidente nelle ultime due stagioni. Fra le prime quattro solo per il livello un po&rsquo; in ribasso della Liga, il circolo virtuoso tecnico-economico &egrave; a rischio: gli acquisti pi&ugrave; recenti effettuati dal prima infallibile direttore sportivo Monchi si sono rivelati degli insuccessi (Konko, Romaric, Chevant&oacute;n e Arouna Kon&eacute; sono solo alcuni degli esempi), mentre la mancata vendita di pezzi da novanta che per motivi anagrafici potranno soltanto veder scendere la propria valutazione (questa era l&rsquo;estate giusta per monetizzare da Luis Fabiano), unita ai mancati introiti della Champions, impedir&agrave; probabilmente la ricerca di obiettivi pi&ugrave; ambiziosi nelle prossime sessioni di mercato.  Sul campo il Sevilla si &egrave; trasformato in una squadra paurosamente statica e legata in tutto e per tutto alle iniziative individuali dei suoi due grandi uomini di fascia, Jes&uacute;s Navas e Perotti. Non si andava da nessuna parte, e cos&igrave; &egrave; gi&agrave; saltato il tecnico Antonio &Agrave;lvarez, uomo del club che gi&agrave; aveva dovuto mettere una pezza la stagione passata a un altro esonero in corsa, quello di Manolo Jim&eacute;nez. Ora tocca a Gregorio &ldquo;Goyo&rdquo; Manzano, tecnico da sempre sottovalutato, eccellente in palcoscenici minori (al punto di portare il Mallorca 2003 alla conquista della Copa del Rey, e ad un inimmaginabile quasi-quarto posto lo scorso anno) ma mai testato in una grande, se si esclude un Atl&eacute;tico Madrid che comunque nel 2003-2004 ancora si leccava le ferite della recente retrocessione. Laureato in psicologia, tatticamente flessibile, Manzano ha avuto un ottimo inizio, con una vittoria fortunosa in casa del Borussia Dortmund e un 3-1 invece assai convincente in Liga con l&rsquo;Atl&eacute;tico. Ora lo Sporting, ma soprattutto il Camp Nou nel turno successivo.  (a cura di Valentino Tola)

Alla ricerca del Sevilla perduto

Il pressing alto &egrave; ricorrente nel calcio attuale. Recuperi palla pi&ugrave; vicino alla porta avversaria, aggiri il problema della costruzione della manovra per le squadre meno dotate, e, giocando a zona, rispondi razionalmente all&rsquo;esigenza di mantenere ordinata la squadra non appena recuperi palla. Un giocatore che marca a uomo potr&agrave; invece trovarsi in una zona del campo poco congeniale quando la sua squadra comincer&agrave; una nuova azione d&rsquo;attacco. Per avere transizioni pi&ugrave; agevoli fra le due fasi, meglio affrontare il problema alla radice: non assegnare guardie del corpo al fuoriclasse avversario, ma tagliargli direttamente i rifornimenti. Disturbare l&rsquo;azione dove nasce, e cio&egrave; dai piedi dai difensori.  Dall&rsquo;esigenza del pressing alto segue l&rsquo;esigenza di evitare il pressing alto. In Spagna, dove il lancio direttamente sugli attaccanti &egrave; poco diffuso, ci&ograve; si traduce nella necessit&agrave; di &ldquo;pulire&rdquo; i primi passaggi: oltre che precisi devono essere non orizzontali, permettere a tutta la squadra di guadagnare posizioni, e ai centrocampisti di ricevere fronte alla porta, senza farsi risucchiare troppo indietro. Senza il primo passaggio non ci sono gli altri, non c&rsquo;&egrave; &ldquo;tiqui-taca&rdquo;.  Tale esigenza pu&ograve; venire soddisfatta collettivamente, con movimenti senza palla che garantiscano valide opzioni di passaggio sin dalla difesa, e individualmente, con giocatori che abbiano nelle corde questo primo passaggio. Nel primo caso, un esempio classico &egrave; la difesa a tre che il Bar&ccedil;a adopera in fase di possesso: Busquets/Mascherano arretra sulla stessa linea dei difensori, consentendo a Puyol e Piqu&eacute; di allargarsi per evitare il pressing degli attaccanti avversari. Tenta una soluzione simile anche l&rsquo;Almer&iacute;a di Juanma Lillo. Nel secondo caso, il paradigma &egrave; il citato Gerard Piqu&eacute;, ribattezzato dai pi&ugrave; entusiasti &ldquo;Piqu&eacute;nbauer&rdquo;: al di l&agrave; del folklore, il centrale catalano &egrave; straordinario per come va oltre la dimensione del semplice difensore, in una prospettiva di calcio davvero &ldquo;totale&rdquo;.  Ma nulla dice che debbano essere per forza i centrali a portare palla e assicurare questo primo passaggio. Anche dalla fascia si pu&ograve;. Celebre il Dani Alves regista occulto del Sevilla di Juande Ramos, funzione svolta anche da Filipe (ora all&rsquo;Atl&eacute;tico Madrid) al Deportivo e dal madridista Marcelo, curioso esemplare di terzino che calca poco la linea di fondo ma che assicura al pallone un&rsquo;uscita sempre impeccabile dalla metacampo difensiva. E  tutta la squadra respira.  (a cura di Valentino Tola)

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Alla ricerca del Sevilla perduto

Il primo passaggio è quello che conta