Ademir, incolpevole vittima del Maracanazo

Ademir, incolpevole vittima del Maracanazo

Fu il centravanti del Brasile sconfitto in casa dall'Uruguay nel Mondiale del 1950, di cui fu anche capocannoniere con 9 gol. Attaccante prolifico e completo, fu una bandiera del Vasco da Gama

Alessandro Ruta/Edipress

08.11.2022 17:51

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Senza il Maracanazo saremmo qui a parlare di Ademir come di uno dei più grandi attaccanti nella storia del calcio brasiliano. In realtà lo è comunque, però i risultati sono tutto e il centravanti verdeoro che fu capocannoniere al Mondiale del 1950, e di cui ricorre il centesimo anniversario della nascita l'8 novembre, visse in prima persona il dramma sportivo di quella sconfitta contro l'Uruguay. Così, nonostante cifre clamorose, è finito abbastanza dimenticato.

Brutte sensazioni

Ademir è morto nel 1996, ma già qualche anno prima, in una delle tante interviste rilasciate come commento a ciò che successe quel fatidico pomeriggio del 16 luglio 1950 a Rio de Janeiro, disse: "Il giorno della partita contro l'Uruguay fu tremendo, vennero a salutarci centinaia di persone tra politici e tifosi. Noi non potemmo né prepararci né rilassarci, mangiammo qualcosa solo sul pullman, nel tragitto verso il Maracanà. Insomma, sensazioni bruttissime". Così "Mascellone", quello era il suo soprannome, "Queixada", che di quel Brasile era di fatto il centravanti ma in grado di giostrare in tutte le posizioni dell'attacco, schierato a 5 come si usava all'epoca.

Nato a Recife l'8 novembre del 1922, Ademir è stato una bandiera del Vasco da Gama. Figlio di una famiglia tutto sommato non indigente (il padre vendeva automobili, la mamma era una casalinga), i suoi genitori avrebbero voluto farne un dentista o un medico, una specie di Socrates ante litteram. Fisico robusto e possente, quasi un metro e ottanta che per l'epoca non era pochissimo, il suo avvicinamento al calcio è dovuto involontariamente al padre, che collabora con il Recife e se lo porta dietro, facendogli scoprire il mondo del pallone già da ragazzino.

Ma sarà appunto col Vasco da Gama, che paga al Recife la cifra pazzesca di 800mila reais nel 1942, che Ademir diventerà il più forte attaccante del Brasile, insostituibile in maglia verdeoro con cui segnerà 37 gol in 41 partite: una media sensazionale che lo colloca al settimo posto in assoluto tra i migliori marcatori della Seleçao.

Nove e mezzo

Trentasette gol di cui 9 in quel Mondiale strepitoso numericamente parlando per lui che fu il 1950. La storia è conosciutissima, il Mondiale in casa per un Brasile all'apparenza imbattibile. Con quella strana formula per cui non fu una finale vera e propria ma un gironcino all'italiana con un "fatidico" scontro diretto come ultimo atto tra i padroni di casa, allora primi, e l'Uruguay, che avrebbe dovuto vincere per forza. La partita che diventerà celebre con il nome di "Maracanazo", insomma.

Ademir in quella gara non segna, ma fornisce l'assist per l'1-0 di Friaça. Sembra tutto fatto, è l'inizio del secondo tempo, l'Uruguay è sotto e il Maracanà riempito da 180mila spettatori ribolle. Potrebbe bastare un pareggio, ma è solo l'inizio del dramma sportivo: l'1-1 di Schiaffino, il 2-1 di Ghiggia, il portiere Moacir Barbosa ritenuto responsabile principale della sconfitta, la maglia bianca indossata fin lì bandita in favore della verdeoro.

La sconfitta più bruciante nella storia del calcio brasiliano senza nessun dubbio. Ma Ademir agli occhi dei tifosi non c'entra niente. Non può essere un colpevole uno che ha segnato 9 gol in 6 partite, di cui 4 in un colpo solo contro la Svezia. Del resto è totalmente ambidestro, forte fisicamente, bravo di testa e con un fiuto pazzesco. Una sorta di "nove e mezzo", centravanti e pure fantasista all'occorrenza. Tutto svanito in un attimo, in quel maledetto pomeriggio del Maracanà. Poco importava l'essere diventato il capocannoniere del Mondiale.

I successi veri li otterrà in patria, coi vari campionati vinti in maglia Vasco de Gama, con cui segna 301 gol in 429 partite. Una carriera che si tronca definitivamente solo dopo un doppio tremendo infortunio alle gambe. Perché Ademir era fatto così, generoso fino all'ultimo: non solo verso il proprio club, ma proprio in generale, anche con gli amici. Sarà lui infatti a costringere, quasi con la forza, Mané Garrincha a ricoverarsi in ospedale quando la situazione psicofisica del grande attaccante brasiliano è ormai ingestibile.

Nel frattempo Ademir era diventato giornalista sportivo, scrivendo sul quotidiano "O Dia". E a chi gli faceva i complimenti lui umilmente glissava: "Io il migliore del Brasile 1950? Figuriamoci, quello era il maestro Zizinho".

 

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