Helmut Haller e il lungo viaggio tra Bologna, Juventus e Germania Ovest

Helmut Haller e il lungo viaggio tra Bologna, Juventus e Germania Ovest

Dapprima trequartista raffinato nei rossoblù di Fulvio Bernardini, poi ala coi bianconeri, seppe brillare anche con la maglia della Nazionale, tanto da essere eletto centrocampista tedesco del ventesimo secolo

Paolo Valenti/Edipress

11.10.2022 ( Aggiornata il 11.10.2022 16:51 )

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La valigia sul letto è quella di un lungo viaggio… Forse Haller non lo sapeva, non lo immaginava. O probabilmente lo dava per scontato che un lungo viaggio ci sarebbe stato, dal momento che, prima di dedicarsi totalmente al calcio, aveva fatto il camionista ad Augusta, città della Baviera sud occidentale dove i tedeschi, solitamente, sono meno austeri di quelli di Francoforte e Amburgo. A differenza di lui, che di austero aveva davvero poco: sguardo sorridente, divertito dall’imponderabilità della vita, alla quale sapeva contribuire con le sue giocate intelligenti quanto imprevedibili, in campo e fuori.

Il viaggio per Bologna 

La valigia per andar via da Augusta la preparò nel 1962, destinazione Bologna. Per prenderlo si mosse addirittura Renato Dall’Ara, che per lui ebbe una folgorazione: "Vale tre volte Sívori, perché Sívori ha il sinistro, Haller ha due piedi", diceva il presidente rossoblù, pronto a sborsare, per il suo acquisto, ben 750.000 marchi. Il ragazzo non deluse le attese: fondamentali ben assestati, dribbling, lanci per gli attaccanti che mandavano in visibilio il professor Bernardini. Un trequartista da stropicciarsi gli occhi, uno "capace di creare possibilità eccezionali, inventare passaggi stupendi per un compagno che gli andava a genio", parole del sor Fuffo per descriverne le capacità. Il suo peso nell’economia del Bologna anni Sessanta viveva di riflesso anche nelle prestazioni degli attaccanti: sia Ezio Pascutti che, ancor di più, Harald Nielsen (capocannoniere in serie A sia nel 1963 che nel 1964) coi suoi assist andavano in doppia cifra e vincevano lo scudetto, l’ultimo nella storia dei felsinei, il primo e unico assegnato tramite uno spareggio, quello giocato all’Olimpico di Roma il 7 giugno 1964. "Tu non chiama. Io vedo e ti dà" è la frase, diventata celebre, che destinava ai compagni che gli chiedevano il pallone.

L’esperienza juventina 

Della Bologna dotta rispettava gli stilemi coi suoi tratteggi artistici; di quella gaudente sapeva apprezzare le divagazioni e il cibo. Abitudini che conferma anche nel 1968 quando, dopo 208 partite dipanate in sei stagioni, il buon Helmut cede al fascino della fidanzata d’Italia. Alla Juventus di Heriberto Herrera deve rimettersi in discussione: Torino è diversa nelle sue regole gerarchiche, nelle sue atmosfere dagli echi monarchici. Haller, a ridosso dei trent’anni, è sufficientemente scaltro per capire come adattarsi senza rinunciare al bello della vita. Non fa storie quando, per esigenze di squadra, gli viene chiesto di far scivolare il suo raggio d’azione sulla fascia destra: la sua efficacia in campo non ne risente e così i vertici bianconeri chiudono un occhio quando vengono a conoscenza dei suoi diversivi notturni. Ma a tutto c’è un limite: così, quando dopo la sconfitta rimediata nella partita di ritorno dei quarti di finale di Coppa Uefa contro il Wolverhampton il 22 marzo 1972, Haller, nonostante il divieto, viene trovato da Vycpálek e il direttore generale Giuliano a bere in un night, la società non può esimersi dal punirlo. Una sanzione che fa male, perché la partita che il tedesco non va a giocare è un importantissimo derby col Toro che, alla fine, i bianconeri perdono. Ma nell’occasione Boniperti è inflessibile: l’esempio, soprattutto per i giovani che si accingono a fare carriera con la Juventus, è più importante di un derby perso. Tanto, alla fine, tutto finisce bene: al termine della stagione Haller e i suoi compagni vincono lo scudetto, bissando il successo l’anno successivo, l’ultimo in Italia per il tedesco che, al momento giusto, decide di tornare in patria.

Con la Germania Ovest

Saper andar via e saper ritornare. Il non più giovanissimo Helmut torna ad Augusta per dare una mano, colmo di glorie e di acciacchi, alla squadra che lo aveva lanciato, fino a terminare la carriera a quarant’anni, quando negli spogliatoi può permettersi il lusso di non esser criticato da nessuno. Lui che, oltre agli scudetti con Bologna e Juventus, era riuscito a brillare anche nella Mannschaft, con la quale aveva disputato tre Mondiali (1962, 1966 e 1970) ergendosi a protagonista in quello d’Inghilterra, dove ottenne due secondi posti: quello con la Germania Ovest e quello nella classifica dei cannonieri, frutto di sei gol che lo posizionarono alle spalle del solo Eusebio. Lasciò la sua impronta anche nella finale contro i padroni di casa, aprendo le marcature con una rete che cullò un sogno di soli sei minuti, sufficientemente emozionante per spingere Helmut a portarsi a casa il pallone di quella partita. Un pallone che restituì solo dopo trent’anni. Bizzarrie di un campione il cui ricordo, oggi, è probabilmente sottovalutato, considerando anche che nel 1999 venne eletto centrocampista tedesco del secolo. Un riconoscimento che restituisce il suo pieno valore, considerando che Haller non vinse i Mondiali, spese i momenti salienti della sua carriera in Italia e venne preferito rispetto ad altri numerosi colleghi di altissimo profilo.

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