Napoli-Udinese, Fausto Pizzi: "Io con il 10 di Maradona: che brividi"

Napoli-Udinese, Fausto Pizzi: "Io con il 10 di Maradona: che brividi"

Quella storica maglia gli fu "assegnata” dai compagni: "Un’emozione unica e un attestato di stima". Prima di approdare in Campania aveva giocato due stagioni in Friuli. Intervista al doppio ex della gara

Jacopo Pascone/Edipress

12.11.2022 09:51

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Milanese doc, centrocampista cresciuto nelle file del settore giovanile dell’Inter, Fausto Pizzi ha indossato anche la maglia di Udinese e Napoli. Approda in Friuli nella finestra di mercato autunnale del 1993, una stagione sfortunata seguita dalla risalita immediata in Serie A, grazie anche ai gol di Fausto. Veste l’azzurro nell’estate del ’95, quando, rientrato a Parma dalla comproprietà con l’Udinese, funge come pedina di scambio nell’affare Cannavaro.

Hai giocato in tanti ruoli, qual era la tua posizione più congeniale in campo?

"Nel settore giovanile dell’Inter giocavo trequartista. Il mio idolo era Beccalossi, la domenica facevo il raccattapalle a San Siro per vederlo, mi piaceva tantissimo, mi rispecchiavo in lui: ero quella tipologia di giocatore, estroso e fantasioso. Poi nei primi anni ’90, con la rivoluzione di Sacchi e il passaggio della maggior parte delle squadre al 4-4-2, il ruolo del trequartista andò un po’ sparendo. O giocavi come Donadoni, adattandoti a fare l’esterno, sfruttando la grande corsa; o ti adattavi a fare la seconda punta. Per via della facilità nel trovare il gol, mi adattai a fare la seconda punta, alcune volte giocai addirittura come centravanti. Feci campionati a Vicenza e Parma in cui segnai tantissimo, per poi fare ritorno all’Inter dove Trapattoni mi chiese di fare il mediano".

Addirittura?

"Avevamo una squadra sbilanciatissima: due punte, Klinsmann e Serena; Matthaus aveva preso il posto di Matteoli come centrocampista ma aveva una grandissima propensione offensiva; Berti si inseriva tantissimo. Mancava un giocatore che potesse dare un po' di equilibrio. Lo feci volentieri perchè all’Inter devo tantissimo. Il mio sogno era indossare la maglia della prima squadra, mi adattai senza problemi, nonostante il cambio drastico di posizione. La mia duttilità mi ha dato la possibilità di ritagliarmi spazio ovunque, ha fatto comodo a tantissimi allenatori".

A quale tecnico sei più legato?

"Galeone è stato un maestro, uno degli allenatori più bravi e preparati che abbia mai avuto. Ma ho avuto tanti tecnici straordinari: non posso non citare Trapattoni, Scala e Boskov; per tre mesi mi ha allenato anche Ancelotti. Un breve periodo nel quale mi accorsi subito delle sue qualità innate: accomunava sia competenza che doti nella relazione, caratteristiche che difficilmente trovi, infatti poi è diventato il numero 1".

Come finisti all’Udinese?

"Ero a Parma, giocavo e non giocavo. Si fece male Georges Grun, difensore belga fortissimo, e la società doveva sostituirlo. Nel mercato di novembre comprarono Sensini dall’Udinese che in cambio mi voleva a tutti i costi. Pur di giocare accettai".

Arrivasti in una situazione complicata...

"L’Udinese era già praticamente spacciata. Feci benissimo, con 5-6 gol in metà campionato e tante buone prestazioni. Ci fu addirittura un momento in cui riagganciammo la zona salvezza, ma tutto finì nello scontro diretto contro la Cremonese. Loro erano tre punti sopra alla penultima giornata. Stavamo vincendo 3-0 con la doppietta del povero Stefano Borgonovo... in un quarto d’ora ci pareggiarono 3-3".

E l’anno dopo?

"La squadra non venne smantellata, restarono tutti i giocatori importanti (Desideri, Calori, Helveg...), presero poi attaccanti come Poggi e Carnevale. Facemmo un campionato strepitoso e risalimmo subito in A. In quella stagione giocai attaccante e segnai diversi gol (11, ndr), fu il mio modo per sdebitarmi con la piazza. Quando andai via ricevetti una miriade di testimonianze d’affetto, ricordo che i tifosi fecero “casino” sotto la sede. Io non volevo partire, ma ero in comproprietà tra Parma e Udinese, le due società non trovarono l’accordo e si andò alle buste: il Parma offrì di più".

Come finisti a Napoli? 

"Nell’operazione Cannavaro. Io e Fabian Ayala andammo a Napoli e Fabio approdò in gialloblù. La cessione di Cannavaro praticamente salvò la squadra dal fallimento. La società proveniva dalla turbolenta gestione Moxedano-Gallo – poi in quella stagione tornò Ferlaino – ma non ci fece comunque mancare nulla, anche se non si potevano fare investimenti".

Che ricordi hai di quella stagione in azzurro?

"Ricordo con piacere il gol che feci fare a Carmelo Imbriani in un Napoli-Inter, che costò la panchina proprio ad Ottavio Bianchi, che pochi anni prima aveva vinto lo scudetto in azzurro. Piazzai un bellissimo assist... Nonostante le difficoltà partimmo fortissimo, arrivammo addirittura ad insidiare il primo posto. Facemmo un partitone a Torino con la Juve, che poi si giocò il campionato con il Milan. Siamo andati oltre quello che potevamo fare".

Ricordi quello che successe all’ultima giornata?

"Certo, segnai all’Udinese da ex. Quell’anno giocai tantissimo da centrocampista centrale, Boskov aveva una stima altissima nei miei confronti, addirittura mi candidò pubblicamente per la Nazionale: in un’intervista dichiarò che avrei potuto essere la giusta alternativa ad Albertini; che centrocampisti come me non ce n’erano tanti in Italia. Proprio in prossimità di quel match mi disse che – nonostante la posizione da regista – avevo nelle corde qualche gol in più. Allora scommise: “Se oggi fai gol, io pago te bottiglia di champagne”. Segnai l’1-1 su rigore e corsi verso la panchina. Ci stringemmo in un abbraccio molto caloroso e gli ricordai la nostra scommessa. Proprio di recente ho trovato una foto molto bella di quel momento".

Com’era Vuja?

"Boskov era una persona fantastica, a cui noi tutti giocatori eravamo molto legati: gli volevamo bene. È uno dei pochi papà gentiluomini che ho avuto come allenatore".

E la maglia numero 10?

"Un’emozione unica, una cosa che ho sempre ricordato negli anni in occasione dei compleanni di Maradona o delle ricorrenze. Fu un grande attestato di stima nei miei confronti che arrivò direttamente dai miei compagni: sono loro che mi proposero di vestire la 10. Era la prima stagione in cui apparivano i nomi dietro le maglie (1995- 96, ndr), ci trovavamo in ritiro al Ciocco in Toscana quando una delegazione di miei compagni, guidata dal capitano Roberto Bordin, venne a trovarmi in camera. Mi dissero che avrebbero voluto darmi la 10! Sapevo cosa rappresentava quella maglia per Napoli e per i tifosi: ancora oggi a raccontarlo mi vengono i brividi, in considerazione poi del fatto che dopo un paio d’anni è stata definitivamente ritirata".

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