Marco Amelia, 40 anni da campione del mondo: “È stato meraviglioso”

Marco Amelia, 40 anni da campione del mondo: “È stato meraviglioso”

L’ex numero uno del Livorno si racconta ripercorrendo le tappe fondamentali della carriera: dallo scudetto con la Roma, passando per il Mondiale 2006, fino alla Premier League

Massimiliano Lucchetti/Edipress

02.04.2022 ( Aggiornata il 02.04.2022 08:33 )

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Nato a Frascati il 2 aprile del 1982, Marco Amelia è poi cresciuto calcisticamente nella Roma. Con i giallorossi, nella stagione del debutto della sua lunga carriera, ha conquistato da terzo portiere lo storico scudetto del 2001. A Livorno si è affermato nel calcio che conta, diventando l’unico calciatore della storia amaranto a fregiarsi del titolo di campione del mondo, grazie all’impresa degli azzurri ai Mondiali del 2006. Poi Palermo e Genoa, prima di volare a Milano per conquistare un altro tricolore con i rossoneri. Tra le tante esperienze vissute negli ultimi anni di carriera spicca quella nel Chelsea di Mourinho. “A Londra sono stato molto bene. Grande club, grandi allenatori e giocatori fenomenali, esperienza di vita formativa”. In occasione dei suoi 40 anni ci ha concesso un’intervista in cui ripercorre tutta la sua carriera.

Leggenda metropolitana o verità? Marco Amelia nelle giovanili era un grande centravanti?

“Ma io non so chi ha mai detto questa cosa…. Nella scuola calcio in porta si andava a turno e io fin da subito ero un numero uno, anche se qualche partita la giocavo fuori. Eravamo piccoli e non esistevano i ruoli fissi: c’era un pallone e due porte, questa era la felicità”.

Quando hai capito che la tua vocazione era quella di numero uno?

“In una partita di scuola calcio durante il mio turno in porta parai un rigore e da quel momento mi fermai lì; tra l’altro mio fratello più grande faceva il portiere e alla fine tra i pali ci sono rimasto anche io!”.

Avevi un idolo?

“Sì, avevo un idolo e un modello. L’idolo era Giovanni Cervone, portiere della Roma, e il modello Angelone Peruzzi”.

Lo scudetto a Roma: l’hai vissuto da terzo portiere, ma cosa ti è rimasto dentro?

“Dello scudetto a Roma mi è rimasta dentro la difficoltà di inizio stagione in un ambiente molto complicato, ma rimasi colpito dall’atteggiamento di Capello che era sicuro fossimo una squadra forte: l’ha costruita lui quella vittoria”.

Sei stato in grandi squadre, ma reputi il periodo di Livorno il migliore nella tua carriera?

“Normale, ho giocato tanti anni a Livorno. Sono partito dalla Serie C per arrivare a disputare la Coppa Uefa, di sicuro è stato molto bello!”.

Visto che parliamo del Livorno. Da più soddisfazione fare un goal oppure una parata decisiva?

“A Livorno i tifosi vivono la partita con grande passione e giocare in uno stadio sempre pieno mi ha dato gioie immense. Ogni parata è sempre soddisfacente, invece il goal fu una goduria per l’importanza che aveva”.

Dopo l’Europeo vinto da titolare nel 2004, ti aspettavi di essere confermato per le Olimpiadi?

“Dopo l’Europeo Under-21 speravo di giocare le Olimpiadi, ma vennero fatte altre scelte. Comunque mi sono goduto l’esperienza e il riconoscimento del mister e dei dirigenti nei confronti del mio comportamento esemplare, è valso più della medaglia ottenuta”.

Capitolo Nazionale. Lasciamo stare ahimè il presente. Berlino 2006, cosa hai provato quando hai alzato al cielo la Coppa del Mondo?

“Baciare la coppa e alzarla al cielo è la sensazione più bella che un calciatore possa provare, è stato meraviglioso”.

Come è stato condividere quel mese con due fenomeni come Gigi e Tyson?

“Risposta troppo scontata. Per me è stato di grande insegnamento, io li vedevo come grandi esempi e questo mi ha formato moltissimo anche umanamente”.

Palermo e Genova due piazze importanti del calcio italiano, hai più rimpianti oppure credi di aver fatto il massimo possibile?

“Palermo e Genova, sono due piazze passionali. Ho fatto quel che potevo, non ho rimpianti se non quello che forse avrei potuto restare qualche anno in più in maglia rosanero”.

Come è stato esordire in Champions contro il Real Madrid?

“L’esordio in Champions con la maglia del Milan è stato sicuramente emozione allo stato puro e mi ha fatto piacere fare una grande prestazione”.

Dopo Milano, a 32 anni, età in cui un portiere può dare ancora tanto, decidi di ripartire dai dilettanti, come mai?

“Dopo l’esperienza in rossonero ero esausto e volevo fare qualcosa di diverso per il mio Paese. È stata una bellissima esperienza, poi però ho ripreso”.

Ho sempre pensato che il portiere è quello che riesce maggiormente a vedere l’azione, quindi mi chiedo come mai così pochi portieri hanno deciso di intraprendere questo ruolo?

“La risposta sta nella domanda. È statistica, i portieri nelle squadre sono 2, mentre i calciatori di movimento sono 20. Ci sono comunque molti allenatori che giocavano in porta, e hai detto bene, il ruolo ti portava a conoscere al meglio la modalità di gioco della squadra al di là di chi fosse l’allenatore e questo aiuta molto”.

In chi si rivede oggi Marco Amelia?

“Seguo molto il calcio, ma se devo dire un portiere che mi ricorda quello che ero io faccio fatica. Il ruolo è cambiato nell’interpretazione e nella tecnica!”.

Una carriera di grande valore, credi però che avresti potuto fare qualcosa in più? Per intenderci, essere titolare in un grande club?

“Forse avrei potuto fare qualcosa in più, ma sono contento di quello che ho fatt,o che è diretta conseguenza di tanti sacrifici fatti da piccolo, da me e la mia famiglia”.

I tre portieri più forti che hai visto giocare?

“Buffon, Peruzzi e…io!”.

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