Valerio Fiori: "Al Milan ho vinto, la Lazio è amore"

Valerio Fiori: "Al Milan ho vinto, la Lazio è amore"

Il portiere romano ha debuttato in Serie A con i biancocelesti poi una vita in rossonero come giocatore e preparatore

Paolo Colantoni/Edipress

30.09.2023 ( Aggiornata il 30.09.2023 13:01 )

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"Lazio e Milan rappresentano le squadre più importanti della mia carriera. Con i biancocelesti ho esordito in serie A, ho giocato tanti anni da titolare e mi sono tolto la soddisfazione di difendere i colori della squadra che sentivo mia. Al Milan ho passato un pezzo importante della mia vita, non giocando, ma facendo parte di un gruppo fortissimo. Che ha dominato in Italia e in Europa». Valerio Fiori è il doppio ex di Lazio e Milan. Con i biancocelesti ha vinto uno scudetto Primavera, ha esordito in serie A ed ha giocato sei stagioni, tra alti e bassi. Con poca esperienza fu gettato nella mischia in un derby storico, che la Lazio portò a casa grazie ad un gol di Paolo Di Canio. Poi, a 30 anni, ha accettato la chiamata del Milan, diventando il terzo portiere della squadra rossonera. Un’avventura particolare, che lo ha trasformato in un vero e proprio uomo spogliatoio. «A Milano è nata mia figlia ed io tra la carriera di calciatore e quella di allenatore, sono rimasto quasi venti anni, togliendomi tante soddisfazioni".

Nove anni e una sola presenza da titolare. Quanto è stato difficile accettare un ruolo diverso da quello al quale era abituato?

"Sono arrivato a Milano a trent’anni, con un’esperienza e una consapevolezza diversa. Le motivazioni non mi sono mai mancate, anche se sapevo che difficilmente sarei sceso in campo. Di quell’esperienza mi resta il rapporto tra squadra, giocatori e ambiente. In quegli anni il Milan era speciale. I trofei vinti hanno regalato emozioni forti e indimenticabili. Vincere era bello e speciale. Ma non dimenticherò mai neanche la finale di Istanbul contro il Liverpool. Una cosa assurda".

A Milano ha anche iniziato la carriera da allenatore.

"Per me è stata una consacrazione professionale in un altro ruolo. Ma ho portato a casa dei trofei anche lì: ricordo lo scudetto con Allegri. Passare dal campo alla panchina è stato particolare: vedi il calcio in un’ottica diversa, prestando attenzione a dei dettagli che quando fai il giocatore non puoi capire".

Nella sua carriera da allenatore c’è un rammarico?

"Non aver mai avuto la possibilità di tornare a lavorare a Roma nella Lazio. Mi sarebbe davvero piaciuto tornare nella mia squadra, dove ho iniziato e alla quale mi sento legato. Fino ad oggi non c’è mai stata questa possibilità. Magari in futuro qualcosa può cambiare".

La Lazio cosa rappresenta per lei?

"La squadra che mi ha lanciato, che mi ha fatto diventare un portiere vero. Giocare a vent’anni alla Lazio non è facile. Hai una pressione addosso pazzesca, ma io ho sempre cercato di fare il massimo. E credo di esserci riuscito".

Come nasce la sua storia alla Lazio?

"Ho fatto il settore giovanile alla Montesacro Lazio e poi alla Lodigiani. La Lazio mi prese per farmi fare il portiere della Primavera. E al primo anno arrivò lo scudetto".

Che Lazio era?

"C’era mister Morrone in panchina, in campo Rizzolo, Saurini, Biagioni. Eravamo una bella squadra. Nell’87 vinsi lo scudetto in Primavera, l’anno successivo mi allenai con la prima squadra e poi in campionato giocavo con la Primavera e l’anno dopo arrivò l’esordio in serie A".

Con Materazzi in panchina...

"Ero il vice di Silvano Martina, ma poi alla lunga sono diventato titolare. L’esordio ufficiale fu in Coppa Italia con l’Atalanta, poi in campionato a Firenze e la domenica successiva, subito titolare nel derby".

Per un romano cosa vuol dire giocare un derby a 19 anni alla seconda esperienza in serie A?

"Non fu per niente semplice. Ma l’incoscienza dell’età ha giocato un ruolo fondamentale. Resterà per me un’emozione unica. Poi la Lazio tornò a giocare e a vincere un derby dopo tanti anni. Quindi fu una gara storica".

Titolare della Lazio a 19 anni, titolare della Nazionale Under 21. Molti erano convinti che Valerio Fiori fosse destinato a una carriera eccezionale, ma purtroppo non tutto andò per il verso giusto. Si è spiegato cosa è successo?

"Da come ero partito pensavo che le cose potessero andare meglio. Nei primi anni alla Lazio ho avuto un problema serio alla schiena, l’ernia del disco. Sicuramente un po’ ha inciso, e poi ci sono stati altri fattori che non mi hanno permesso di esprimermi come avrei voluto. Ma non mi lamento. Qualche rammarico c’è, ma sono contento della mia carriera. Giocare a Roma, per un giovane romano non è affatto facile. E’ stata una bella battaglia. Comunque c’è una cosa da dire...".

Quale?

"Ero spesso criticato, sotto processo e continuamente osservato, ma alla fine ho fatto cinque anni da titolare, sia con Materazzi che con Zoff. Solo l’ultima stagione ho perso il posto e a metà stagione sono stato sostituito da Orsi".

A proposito di allenatori. Zoff le ha dato qualche consiglio?

"Sono legatissimo a Materazzi, che mi ha fatto esordire e che poi ho ritrovato a Piacenza e a mister Zoff. Uno che non mollava mai, di fronte a tutto. Una volta prima di una partita mi obbligò a giocare con una caviglia gonfia come un pallone. Si avvicinò e mi disse che un portiere non doveva mai mollare e che dovevo stringere i denti. Ora ho capito perchè il suo secondo c’è “morto” in panchina" (ride ndr.).

Cosa le resta dell’esperienza alla Lazio?

"L’esordio, la vittoria nel derby, l’anno del Flaminio con la vittoria contro il Napoli. Tanti bei ricordi".

L’attaccante di quella Lazio era Ruben Sosa.

"Un giocatore pazzo, simpaticissimo. Prendeva in giro tutti ed era fortissimo. Tirava talmente forte in allenamento che io quando lui calciava provavo a respingere, ma spesso la palla entrava ugualmente. E lui mi chiamava manina".

Paul Gascoigne?

"Ho vissuto gli anni dell’infortunio, quando doveva arrivare e poi quando finalmente esordì. Giocatore dalla classe unica: peccato per la fragilità".

Che scherzo le ha fatto?

"A me nessuno in particolare, ma credo di essere stato fortunato. Con gli altri non si è risparmiato".

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