Giuliano Groppi: il figlio di Mestre con il cuore a Catanzaro

Giuliano Groppi: il figlio di Mestre con il cuore a Catanzaro

L'ex difensore in occasione del suo compleanno ripercorre con noi la sua lunga carriera a cavallo tra gli anni '70 e '80

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Giuliano Groppi è l’emblema di un calcio che non c’è più. Un calcio fatto di uomini coi baffi e i capelli lunghi, di difensori coriacei e attaccanti spigolosi, di divise di lana e sigarette in panchina. Un calcio diverso, più a misura d’uomo, senza contratti milionari e sponsor sulle maglie. Lo abbiamo raggiunto per ripercorrere il suo lungo cammino all’interno della storia calcistica nostrana.

Ci racconti dei suoi primi calci, che se non sbaglio coincidono con l’inizio dell’amicizia con Ivano Bordon.

"Con Ivano siamo proprio cresciuti insieme, anche per questioni anagrafiche visto che ci passiamo due anni. Abbiamo iniziato a giocare nella Juventina Marghera, una società poco più che amatoriale. Lui era già molto bravo ovviamente, si mise in mostra fino ad attirare l’attenzione di diversi club e soprattutto dell’Inter. Venivamo entrambi da famiglie che non navigavano nell’oro, lui ebbe la fortuna di sistemarsi subito a Milano, io in quel periodo venni notato dal Piacenza e dalla Reggiana, due società che però non mi avrebbero garantito tutto questo guadagno. All’epoca non era di certo come ora con contratti esorbitanti già dalle serie inferiori. Io dovevo andare a lavorare per dare supporto alla mia famiglia. Scelsi di andare a Mestre dove il presidente, oltre all’impegno calcistico, mi garantì anche un posto di lavoro."

Il suo treno passò qualche stagione più tardi.

"Sì, quando andai a Chioggia, e la stagione successiva a Udine in Serie C, mi resi conto di poter fare il calciatore a tempo pieno. Di Udine ho un bellissimo ricordo, mi trovai bene nonostante gli alti e i bassi sul campo. Era il periodo del patron Sanson, fu il trampolino di lancio della mia futura carriera."

Poi Catanzaro, forse la parentesi più felice della sua carriera in una squadra iconica rimasta nel cuore di tutti.

"Sì, Catanzaro è stato senza dubbio uno dei periodi più belli della mia carriera. Lo testimonia l’affetto con cui sono ancora ricordato da quelle parti. Per farti un esempio sono stato invitato poco tempo fa per la ricorrenza della nostra promozione. È un luogo a cui sono legato, presi anche casa lì, avendoci giocato per tre anni. Feci qualche gol in Serie B e anche uno in Serie A proprio al mio amico Ivano! (Bordon ndi). È stata la mia unica rete nella massima serie, giocavamo in casa contro l’Inter e grazie a me pareggiammo 1-1, ricordo che Bordon a fine partita nemmeno mi guardava in faccia, e mi rivolse qualche insulto in dialetto veneto (ride ndi)."

Nel primo anno di Serie A in panchina c’è Mazzone. Cosa ricorda di lui e di quell’anno in cui arrivaste noni?

"Per me Mazzone fu praticamente un secondo padre, lo ricordo con tantissimo affetto. Proprio ieri ho sentito al telefono Claudio Ranieri e abbiamo parlato di lui e di quanto fosse una persona speciale per tutti noi. Era un uomo 'pane al pane e vino al vino' per intenderci e per noi, che eravamo uomini semplici, non poteva esserci un allenatore migliore. È stato senza dubbio il tecnico con cui mi sono trovato meglio, ma ho uno splendido ricordo anche di Giorgio Sereni, con cui centrammo la promozione in A."

Che cosa le manca del suo calcio?

"La semplicità. Noi calciatori eravamo persone normali, e questo in un certo senso ci avvicinava di più alle persone. Ricordo che quando andai via da Brescia nel 1981 trovai un accordo con la Mestrina che mi assicurava un posto in banca e così tornai a casa. Per noi la prima preoccupazione era 'portare la pagnotta a casa', non come oggi con questi contratti milionari che fanno credere ai calciatori di essere superuomini. Poi comunque la mia vita nel mondo del calcio non è terminata. Nel 1985 entrai nel Milan con Braida, e lì ho fatto 30 anni da osservatore."

Il giocatore più forte con cui ha giocato e quello più difficile da marcare?

"Ricordo che mi impressionava Turone. Quando venne da noi aveva già più di 200 presenze tra Genoa e Milan, un’altra categoria. Il giocatore più difficile da marcare in assoluto era Paolo Rossi. Anche Bettega era un osso duro e poi i laziali. Loro erano davvero degli animali. Uno che mi rimase impresso era anche Daniel Bertoni della Fiorentina, davvero cattivo. In ogni caso io non mi facevo metter sotto da nessuno, mai."

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