Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi
Con i bianconeri vinse due campionati e quattro coppe internazionali mentre col Grifone espugnò Anfield Road. Un suo autogol nella MLS fece nascere la “Curse of Caricola”
La Serie A degli anni Ottanta sembrava la Premier di oggi. I migliori calciatori del mondo giocavano in Italia: la preferivano a qualsiasi altro campionato per il livello tecnico elevato, che significava anche la possibilità di guadagnare più che altrove. Ma ai nomi altisonanti di Falcão, Platini, Maradona, Bruno Conti e Paolo Rossi si affiancavano anche quelli di giocatori meno abili, comunque indispensabili perché lo spettacolo potesse prender forma. Comprimari che incrociavano lo sguardo dei campioni con la speranza di intralciarne il cammino, rubandogli una domenica di gloria da poter raccontare.
Nicola Caricola, barese classe 1963, apparteneva a questa categoria. Nato attaccante, nel percorso di avvicinamento al professionismo arretrò il suo raggio d’azione fino a diventare difensore nella primavera del Bari allenata da Enrico Catuzzi, che poi gli consentì anche l’esordio tra i cadetti nella stagione 1981-82 nella quale i biancorossi, col quarto posto finale, sfiorarono la promozione. Quella squadra praticava un calcio che incuriosiva: movimenti sincronici, pressing avanzato, intensità erano le caratteristiche di un gioco che sapeva di futuro ma che nell’annata successiva non preservò il Bari da un’inopinata retrocessione. Nonostante quell’esito negativo, Caricola si impose all’attenzione degli osservatori di mercato e venne acquistato dalla Juventus che, con Gentile e Scirea a cavallo dei trent’anni, doveva iniziare a impostare il ricambio generazionale della linea difensiva.
A vent’anni, con tutta la vita davanti, arrivare a Torino è una prima conquista che alimenta mille sogni da realizzare a piccoli passi, perché nella società sabauda le gerarchie vanno scalate con pazienza. La prima stagione è in linea con le aspettative di un ragazzo che deve ancora formarsi ad alti livelli: 20 presenze in campionato, la metà per intero, 5 nel percorso che porta alla vittoria della Coppa delle Coppe. L’anno successivo potrebbe essere quello buono, con la partenza di Gentile, per entrare stabilmente nell’undici titolare. Arrivano, invece, Favero e Pioli ad aumentare una concorrenza che lo spinge a sedere in panchina molto più spesso della stagione precedente. Poche soddisfazioni, se non quella di disputare le due partite di semifinale di Coppa dei Campioni contro il Bordeaux che portano la Juventus alla sciagurata finale dell’Heysel, che Caricola vede dalla panchina. Nel 1985-86 la situazione non migliora, anzi: al termine dell’annata saranno solo 9 le presenze accumulate in tutte le competizioni. Per sentirsi protagonista Nicola deve aspettare l’arrivo in panchina di Rino Marchesi, col quale non arricchisce il palmarès ma riesce a conquistare il posto da titolare nel finale di stagione. A ventiquattro anni sembra arrivato finalmente il momento dell’attesa consacrazione dopo quattro annate a disposizione della Juventus senza lamentele, lavorando in settimana per trovare la collocazione giusta in campo la domenica e avendo comunque contribuito alla vittoria di due scudetti e, in sequenza, Coppa delle Coppe, Supercoppa Uefa, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale.
Ma le vie del calcio sono infinite, piene di deviazioni impreviste e improvvise. Così, nell’estate del 1987, il difensore barese viene ceduto al Genoa in Serie B. A quell’epoca i procuratori non esercitavano il potere che hanno oggi e l’unica cosa che poté fare Caricola fu ottenere una buonuscita per compensare la perdita della massima categoria. Ma non tutti i mali, come recita il proverbio, vengono per nuocere. Nicola non sapeva che, da figura comprimaria in un top club, stava diventando attore principale di uno dei periodi più esaltanti della storia del Grifone, quello che porterà i rossoblù a ridosso dell’èlite del calcio italiano (quarto posto nella stagione 1990-91) ed europeo. Già, perché anche se ad Anfield Road, il 18 marzo 1992, Caricola riesce a giocare solo gli ultimi sei minuti, lui è tra i protagonisti di quella squadra, la prima italiana che riesce a battere il Liverpool a domicilio. Questo, forse, è il tratto distintivo di un ragazzo che, nonostante la dedizione professionale, non è mai riuscito a essere presente nei momenti decisivi delle squadre in cui ha militato. Delle quattro finali di coppa vinte dalla Juventus nel periodo di permanenza a Torino, Caricola riuscì a giocare per un solo minuto in quella di Basilea contro il Porto.
Viceversa, seppe mettersi in sfortunata evidenza proprio in una delle ultime partite della sua carriera, quando ormai i trenta li aveva varcati da un pezzo, aveva collezionato anche un fugace passaggio al Torino e le sirene del calcio made in Usa avevano attirato lui e altri calciatori italiani alla ricerca di esperienze di vita che allargassero gli orizzonti e alimentassero cospicuamente il conto in banca. Proprio negli Stati Uniti Caricola diventa, suo malgrado, un personaggio iconico del soccer, per via di un incredibile autogol che infligge a Tony Meola, già portiere della nazionale ai Mondiali di USA '94. Nella partita che si gioca il 20 aprile 1996 al Giants Stadium di New York tra i Metrostars, la squadra di Nicola, e i New England Revolution (nelle cui file militano, tra gli altri, Alexi Lalas e Nanu Galderisi) mancano pochi secondi alla fine, quando un tiro da distanza piuttosto ravvicinata viene respinto da Meola. Il pallone rimbalza nei pressi di Caricola che, gonfio d’impaccio, non riesce a fare di meglio che “inventare” un pallonetto che mette fuori causa il proprio portiere e determina la vittoria degli ospiti. Da quell’autorete nascerà la storia della Maledizione di Caricola (The Curse of Caricola), una specie di sortilegio abbattutosi sulla squadra di New York che, di fatto, non vincerà mai un trofeo. Almeno fino al 2013, anno in cui si aggiudicherà il Supporters’ Shield, assegnato al club che arriva primo nella classifica generale della Regular Season. Ma dal 2006 i Metrostars avevano ormai cambiato nome, diventando i New York Red Bulls. Anche se il sito della MLS celebrò quel traguardo con un titolo inequivocabile: Curse Broken!
Condividi
Link copiato