Andrea Orlandini, il calcio del futuro tra Fiorentina e Napoli

Andrea Orlandini, il calcio del futuro tra Fiorentina e Napoli

Perno della squadra azzurra di Vinicio, si è formato in viola alla scuola di Liedholm. La “zona” lo esaltava ma con Bernardini non funzionò. Nasceva a Firenze il 6 febbraio 1948

Lorenzo Stillitano/Edipress

06.02.2023 ( Aggiornata il 06.02.2023 09:14 )

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Luciano Ligabue ha sostanzialmente ragione. Però la fa troppo semplice. Certo il mediano si fa sempre un mazzo (fatica tanto...) ma c'è modo e modo di portare l'acqua per i compagni. Andrea Orlandini, fiorentino di San Frediano nato nel 1948, difendeva attaccando: interpretava dunque il ruolo in modo innovativo per la sua epoca. Due sono stati i suoi punti di riferimento in panchina: Nils Liedholm e Luis Vinicio. Una storia nata male, invece, quella col visionario Fulvio Bernardini. Questi professori della pedata erano accomunati da una visione moderna del gioco del calcio. L'interprete più saggio dei tre è stato senza dubbio Liedholm. Il modo di stare in campo di Orlandini, insomma, veniva dal futuro. È ancora attorno a noi.

Andrea Orlandini, una carriera tra Fiorentina e Napoli

Il pugnace Andrea, agile e compatto nel suo fisico da 1,80 m per 70 kg ma detto “Birillo” per il peso piuma, è stato uno dei migliori mediani della sua epoca. Esordisce in Serie A con gol, nel 1971, indossando la maglia della squadra del suo cuore. In panchina c'è il Signor Liedholm (tutto maiuscolo). Ultima gara disputata da calciatore nel maggio del 1982, sempre con la Viola, a un passo dal sogno scudetto finito invece alla Vecchia Signora. In mezzo la brillante parentesi con il Napoli tra il '73 e il '77, con cui ha vinto anche una Coppa Italia.

Due volte Andrea va vicino al tricolore. Prima dello psicodramma fiorentino Orlandini è stato il frangiflutti del libidinoso Napoli di Luis Vinicio, secondo nel torneo del 1975, poi conquistato sempre dalla Juventus. Bianconero (blasfemia!) Andrea sarebbe diventato sul finire del secolo, in qualità di capo degli osservatori. Una bischerata: i suoi amici non l'hanno presa bene, ma a un figliolo di Firenze si perdona quasi tutto. Totale: 267 presenze in Serie A e 8 gol. Solo tre partite in Nazionale tra il 1974 e il 1975. Paradossalmente, e suo malgrado, Andrea è noto più per una di queste sfide che per la sua dignitosissima carriera.

Orlandini su Cruyff, il pasticciaccio di Bernardini

“Perché proprio Orlandini, il mediano laterale, contro Cruyff?”. Bernardini, il mitico Dottor Pedata di breriana memoria, risponde con un sorriso educato: “Orlandini non è un giocatore speciale. Semplicemente, ha le caratteristiche di agilità che possono competere con quelle di Cruyff. E allora ho scelto lui”. Poi Fuffo si rivolge ai cronisti olandesi: “In ogni modo state tranquilli, questo Orlandini che vi fa tanta paura non è mica un killer”. Bernardini s'alza sornione dalla sedia della sala stampa del Feyenoord Stadion, dove l'indomani si sarebbe disputata Olanda-Italia valida per le qualificazioni all'Europeo del 1976. Le prenderemo contro i capelloni olandesi, il cui calcio provocante cavalcava lo spirito del tempo del '68: 3-1. Con dignità. Fulvio è stato scelto dal presidente federale Artemio Franchi con un obiettivo preciso: rinnovare il calcio italiano in nome del bel giuoco dopo la figuraccia del Mondiale tedesco. Avete presente la fanfara suonata all'arrivo di Roberto Mancini e la sua Nazionale dai “piedi buoni”? Esattamente. La disse Bernardini per primo una cosa del genere. Simile la retorica, simili anche le contraddizioni dialettiche della rivoluzione: ai proclami estetici presto è seguito infatti un pragmatico termidoro. Non è semplice andare contro la Storia...

Orlandini è il numero 4 di quella formazione scesa in campo a Rotterdam. Il mediano laterale - centrocampista d'appoggio in fase d'attacco, difensore laterale in quella difensiva - per l'occasione deve insolitamente marcare il centravanti avversario. Insolitamente: perché questa mossa di Bernardini infoltisce sì la difesa, ma affida il semidio Cruyff nelle mani di un centrocampista e non in quelle irsute di un esperto difensore. Il pasticciato esperimento non funziona e confonde gli stessi giocatori: il catenaccio viene buttato dalla finestra ma fatto rientrare di soppiatto dalla porta! Dopo un buon primo tempo chiuso in parità, l'Olanda dilaga nella ripresa. Cruyff partecipa a un paio di reti sfuggendo sempre dalle grinfie di Orlandini. Che dentro di sé intanto ribolle chiedendosi per quale motivo Bernardini lo abbia esposto a così alti rischi, piuttosto che affidare il centravanti a uno stopper, come consuetudine. La sua carriera azzurra non a caso è stata molto breve.

“Finché ha svariato tra l'attacco e il centrocampo l'ho fermato a dovere. Da centravanti però Cruyff era immarcabile. Se non avessi perso un paio di tacchetti - ha detto Orlandini qualche anno fa - forse lo avrei tenuto a bada pure nel secondo tempo...”.

 

Orlandini con Vinicio e Liedholm: l'arte di giocare a zona 

“Devi aspettarlo, non inseguirlo. Quello è un mostro. Trascurare ogni partecipazione alla manovra della propria squadra per cercare di frenare un determinato avversario, sia pure esso Cruyff, sarebbe un errore”. Così Bernardini ha evangelizzato il suo ragazzo nei giorni precedenti la partita. Bella contraddizione! Fulvio predica il gioca a zona (“devi aspettare l'uomo, non inseguirlo”) pretendendo tuttavia che sia proprio Orlandini a tenere a bada il celeste Johan. La stentata via di mezzo è fatta su misura di chi è abituato per tradizione a marcare gli uomini piuttosto che presidiare uno spazio. Orlandini tuttavia sarebbe stato uno dei pochi mediani italiani del suo tempo perfettamente in grado di comprendere i dettami di Bernardini, fossero stati questi inequivocabili. Il punto è che il resto della squadra azzurra non parlava quella lingua. La lingua della “zona”.

Pressing offensivo. Velocità. Interscambio dei ruoli e dunque suddivisione del campo di gioco in settori piuttosto che in linee orizzontali. Orlandini è sin da subito quel tipo di calciatore: Liedholm e Vinicio, il primo con moderazione il secondo con fervore, del resto proprio questo in quegli anni andavano predicando. Solido nel contrasto quanto geometrico nella distribuzione del pallone, “Birillo” è stato un moto perpetuo sempre in appoggio dei compagni: in raddoppio delle marcature come per completare una triangolazione. Un numero 4 con il goniometro. 

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