John Robertson, il “Supertramp” che rese grande il Nottingham Forest

John Robertson, il “Supertramp” che rese grande il Nottingham Forest

Con il club inglese vinse due Coppe Campioni consecutive decidendo con un suo gol la finale del 1980 contro l’Amburgo. Per le sue doti Brian Clough lo soprannominò “Picasso”

Paolo Marcacci/Edipress

19.01.2023 ( Aggiornata il 19.01.2023 11:22 )

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Lo chiamavano Supertramp, quando era un calciatore. Il supervagabondo, per l’immancabile sigaretta che sembrava sempre sul punto di cadergli dalle labbra e per lo stile trasandato, a metà tra un hippy e un bohemién, in salsa scozzese. Artista lo era per davvero, bastava vederlo palla al piede quando un compagno si liberava occupando la zolla giusta per ricevere il pallone. Il Nottingham Forest che attraversa il decennio che va dal 1970 al 1980 non è soltanto una squadra, divenuta nel frattempo grandissima; è una pagina di letteratura, una predestinazione collettiva che dal sogno di un uomo vide nascere l’autostima di un gruppo. Per quel gruppo, il brevilineo John Robertson era indispensabile. Perché con la palla faceva ciò che un paesaggista fa col pennello, forse di più. Brian Clough gliene aveva affibbiato un altro, di soprannome: Picasso, per come Robertson tratteggiava il percorso del gol con l’ultimo passaggio. Un metro e settantacinque scarsi, germogliato in un sobborgo grigio di fumo e rivendicazioni alle porte di Glasgow, era arrivato diciassettenne al Forest, con il club che galleggiava tra la prima e la seconda divisione.

John Robertson, l’arrivo di Brian Clough e la consacrazione

Nel 1975 era arrivato Clough alla guida della squadra: reciproca scommessa, tra slanci e incognite, ma col carisma del tecnico a far da collante per il ritorno nella massima categoria. Robertson in breve tempo passò dalla lista dei cedibili a quella degli indispensabili, perché una delle doti principali di Clough consisteva nel saper individuare in pochi giorni un grande giocatore laddove molti dirigenti riuscivano a vedere solamente un ingaggio da tagliare. Un trequartista naturale, abile anche nel ricoprire il ruolo di ala sinistra, sia per lo scatto col quale creava superiorità numerica sul fronte offensivo, sia per i cross che sembravano eseguiti su carta millimetrata. Per questo Bill Shankly, indimenticabile allenatore del Liverpool all’epoca, per sintetizzare la precisione dei suggerimenti di Robertson dalla linea di fondo lo paragonava a un giocatore di biliardo. 

John Robertson e i trionfi con il Nottingham Forest

Gli anni che vanno dal 1977 al 1980 non restano indelebili soltanto per la storia del Nottingham Forest: sono un patrimonio dell’intero calcio europeo, per la concentrazione di successi ma, ancora di più, per la traduzione sul campo della convinzione di un gruppo che a un certo punto si era messo in testa di poter fare tutto e che, in effetti, ci riuscì. Il club dalla maglia “rosso Garibaldi” vinse il campionato l’anno dopo essere stato nuovamente promosso in prima divisione. Un risultato storico, ma era solo l’aperitivo: con Robertson sempre protagonista assoluto, i tifosi del club che gioca all’ombra della foresta di Sherwood avrebbero, incredibilmente, festeggiato due Coppe dei Campioni, una di seguito all’altra: quella del 1979, vinta a Monaco di Baviera contro il Malmö, in una finale per la quale bastò la rete di Trevor Francis, su assist di Robertson, seguita da quella dell’anno successivo, a Madrid, nella finale contro l’Amburgo, sempre per uno a zero, ma in quell’occasione con Robertson autore del gol. Nella bacheca dello scozzese figurano anche due Coppe d’Inghilterra, una Charity Shield, una Supercoppa Europea. Con la Scozia, due Coppe del Mondo disputate, nel 1978 in Argentina e nel 1982 in Spagna. Nato il 20 gennaio del 1953, i suoi settant’anni sono l’occasione per ricordare una pagina unica della storia del calcio europeo, scandita dai tocchi di un piccolo, geniale funambolo come Robertson, che per il Nottingham giocò fino al 1983, per poi tornarci per la stagione 1985-86, dopo due anni al Derby County.

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