"Gil" De Ponti, l'allegria di venire dal nulla

"Gil" De Ponti, l'allegria di venire dal nulla

L'attaccante fiorentino balzò dalla C alla A e divenne un simbolo del Cesena dei miracoli negli anni Settanta. A Bologna e soprattutto ad Avellino le sue stagioni migliori, a suon di gol e all'insegna della leggerezza

Alessandro Ruta/Edipress

13.07.2022 ( Aggiornata il 13.07.2022 22:23 )

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Quando si poteva tentare la scalata dai dilettanti alla Serie A, Gianluca "Gil" De Ponti è stato uno dei rappresentanti più validi. Bomber a tutte le latitudini e in tutte le categorie, non si è mai fatto mancare nulla, dentro e fuori dal campo. Simbolo tipico di un certo prototipo di giocatore che ormai non esiste quasi più.

Fiorentino

Lo chiamavano "Il Bettega dei poveri", Gianluca, uno che in realtà come idolo aveva Gigi Riva e che si divertiva come un matto a scimmiottare un altro Gigi, Meroni. Come vezzo, infatti, aveva quello di girare per il centro di Cesena con un'anatra al guinzaglio, vestito ovviamente con un cappotto di pelliccia. Altri tempi, gli anni Settanta nella provincia italiana del pallone, dove un tipo estroso come Gil poteva sguazzare alla grande. Capelli lunghi, baffoni, fiorentino di nascita (quartiere Lippi, zona Rifredi) e di tifo, un decollo non esattamente da predestinato sui campi della Toscana profonda, tra Impruneta e Terranuovese. Fino alla Sangiovannese, 14 gol in Serie C, e l'interesse del Cesena in Serie A, con l'approdo nel 1975 nella massima categoria.

Perché fermarsi lì, però? De Ponti in Romagna vive due stagioni stupende in una squadra che è la rivelazione del campionato con un sesto posto impensabile e una qualificazione storica per la Coppa Uefa. Mai il Cesena arriverà così in alto, con una formazione recitata a memoria ancora oggi dai suoi tifosi e in cui Gil è una delle punte di riserva dietro Urban e Bertarelli. In panchina c'è Pippo Marchioro, che da lui esige sempre il massimo, non sempre ottenendolo: "In campo ero soprattutto un combattente, con limiti tecnici evidenti, ma con uno stile di gioco imprevedibile - ricorda De Ponti-. Sono nato dal niente, non ho avuto scuole. Marchioro mi metteva al muro per migliorarmi e ci sono riuscito".

"Figlio delle stelle"

Se la merita la Serie A, Gil, anche quando il Cesena dopo la sbornia del sesto posto retrocede, l'anno successivo, pur con l'attaccante fiorentino titolare e autore di 7 gol. Fa pochi chilometri, si sposta al Bologna dove si sposa e dove gli nasce il primo figlio. Una sola stagione, ma sufficiente per mettere radici con casa e negozio di biancheria intima comprato in società con un parente. Da lì vola ad Avellino, dove viene adottato istantaneamente.

Col matrimonio fine delle scorribande notturne, che gli avevano portato in carniere storie con attrici del calibro di Gloria Guida e Serena Grandi. Rimane tutto sommato un viveur, un "figlio delle stelle" come viene soprannominato seguendo il titolo della celebre canzone dell'epoca di Alan Sorrenti. In Irpinia lega con Piga e Romano, non si nega un pacchetto di sigarette al giorno e qualche stravizio non proprio da atleta, tipo spaghettate fuori orario. L'ambiente bollente dell'Avellino lo esalta, dà sempre l'anima ogni volta che scende in campo, la squadra è bene amalgamata tra giovani e vecchi. Quando gli chiedono perché si segni così poco in Serie A risponde: "I difensori sono fortissimi e non ti mollano mai, meno male che qualche portiere è un po' piccione".

Due stagioni al massimo, prima della cessione in B alla Sampdoria, dove segna 10 gol senza riuscire a portare i blucerchiati in Serie A ma regalando perle come una rete di tacco al Varese. Poi Ascoli, ritorno a Bologna coi rossoblù in C e chiusura esotica con i maltesi del Zurrieq, dove c’era l’ex compagno sotto le Due Torri Adelmo Paris.

La sua carriera da allenatore non avrà molto successo. Anzi, dovrà interromperla per via di un tumore, inizialmente diagnosticato come benigno e invece maligno. Però Gil è ancora tra noi, a tifare viola e a riconoscersi poco nel calcio attuale. "Troppi falli tattici", dice.

 

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